Capitolo 53

C A P I T O L O 53

Stavo sistemando la camera dove i miei genitori avevano passato insieme la loro seconda notte a Neverland.
Ero ritornata la domestica della famosa popstar, ma sinceramente non mi lamentavo.
Anzi, ero alquanto felice di esserla.
Michael quella mattina era uscito presto da casa dicendo che avrebbe avuto le ultime prove del suo nuovo album, prima di un'altro suo grande concerto.
Glenda passava la maggior parte del suo tempo a conversare con sua madre di faccende del tutto personali.
E anche quel giorno erano chiuse nella grande camera di ella per scambiarsi quattro chiacchiere.

« Kara, dovresti riposarti un po', lo sai. Quante ore lavori al giorno? »

Mia madre aveva aperto bocca dopo dieci minuti in cui mi trovavo insieme a lei in quella stanza, porgendomi una domanda che non sapevo rispondere.
Lavoravo molto, a dire la verità, ma stranamente non era così faticoso come me lo ero immaginata.

« Forse sette ore? Diciamo che non sono tutto il giorno a lavorare. La maggior parte del mio tempo lo passo a gironzolare in questo colosso » replicai, allungando una mano per sistemare le fodere colorate e ancora profumate.

Ella era davanti allo specchio da ormai tre minuti, intenta a sistemarsi i lunghi capelli in una crocchia ordinata.
Le sue docile labbra erano colorate di un rosso acceso e le sue dita dalle lunghe unghie laccate dal medesimo colore del rossetto, erano state affondate nella sua folta capigliatura.
Mi fermai per brevi secondi, poggiando entrambe le mani sui miei fianchi esili per poter concedere una parte del mio tempo ad osservare la donna dinanzi a me.
Avevo da sempre ammirato mia madre, rendendola quasi sempre un esempio da seguire, cercando di imitarla quasi sempre ma con scarsi risultati.
I miei occhi vagarono per tutto il suo corpo minuto e dalle forme uniche, poggiandosi infine sulle sue mani cui in un dito portava la promessa di mio padre.

« Come fai ad essere così? » le domandai ad un certo punto.

Lei aveva continuato a specchiarsi, afferrando un paio di orecchini a perla per poi cominciare ad infilarseli senza problemi.

« Cosa intendi, tesoro? » replicò.

Mi strinsi leggermente nelle spalle, mordicchiandomi il labbro inferiore prima di sedermi sul grande materasso che affondò di poco sotto al mio peso.

« Così forte e sempre allegra. Come ci riesci? » ripetei.

A quella frase, ella si voltò verso alla mia direzione, assumendo un'espressione del tutto sorpresa e quando si accorse della mia smorfia quasi penosa, sorrise lene, avvicinandosi al grande letto per prendere posto di fianco a me.

« Di cosa stai parlando, Kara? Qualcosa non va? » chiese dolcemente.

Era strano ritornare a parlare con mia madre dei miei problemi e delle mie paure.
L'ultima volta in cui le rivelai per davvero ciò che più mi turbava, fu qualche anno fa, prima di trasferirmi.

« Io...Io non lo so, mamma. Mi sembra di vivere in un mondo che non mi appartiene e con persone che pensano di conoscermi. Non mi sento sicura di me stessa e tutto ciò che sto facendo, è come se sbagliassi qualcosa. Niente va per il verso giusto e questo mi rattrista. Pensavo di accettare questo lavoro con la speranza di poter cambiare qualcosa nella mia vita, ma in realtà non ho fatto altro se non raddoppiare i miei problemi e le mie insicurezze. Ho paura, mamma » mormorai.

Mia madre mi sfiorò il viso con una dolce carezza, afferrando una ciocca di capelli per portarli dietro al mio piccolo orecchio.

« Di cos'hai paura, Kara? Cosa ti rattrista? » sussurrò.

Stetti in silenzio per brevi secondi, abbassando il capo per riflettere.
Erano molte le cose di cui avevo paura; non essere mai all'altezza di tutti i miei colleghi, di non rivedere più mia sorella, ma soprattutto di non essere felice.
Ma erano soltanto quelle le mie paure? Oppure c'era qualcos'altro?
Oh, sì. Avevo timore di perderlo.
Era ormai da giorni che la notte dormivo di meno e il pensiero costante di non rivederlo più, un giorno, aveva cominciato a gironzolare per la mia testa, rendendomi schiava di quel terrore che si era aggiunto a quelli che già possedevo.
Ma quanto era grande quella paura? Tanto? Oppure ero soltanto paranoica?
Percepii la mano di mia madre appoggiarsi sulla mia gamba coperta dalla divisa da lavoro e ciò mi fece sussultare lievemente.
Sollevai lo sguardo per incrociare le sue iridi chiare guardarmi con attenzione.

« Allora? Dimmelo, bambina
mia » parlò.

« Ho paura di perdere Michael, mamma. Io...Io mi sono innamorata di lui e... » balbettai quasi nervosa.

Le avevo appena confessato i miei sentimenti e lei non aveva per niente cambiato espressione.
Pensavo sarebbe rimasta scioccata, sorpresa o magari avrebbe cominciato ad urlacchiare mentre mi avrebbe porso tante domande, invece ella rimase in silenzio, accennandomi infine un sorrisino.
Si avvicinò maggiormente al mio corpo e senza proferire parola mi strinse in un dolce e stretto abbraccio, avvolgendo saldamente le sue braccia attorno al mio corpo poco tremolante.
Ero scossa da sentimenti che non avrei potuto descrivere in quel momento.
Sapevo solo che ero molto felice ma arrabbiata al contempo, perché mi sentivo male nell'averle nascosto una cosa così genuina e d'altronde bella.
Perché era vero.
Innamorarsi era una bella cosa.

« Perché mi hai mentito la scorsa volta? » domandò dolcemente.

Chiusi gli occhi, nascondendo di poco il mio viso contro alla sua spalla.

« Non lo so...Pensavo di non esserlo, mamma. Pensavo davvero di non esserlo, ma lui non ha mollato e io mi sono lasciata andare... » mormorai, percependo le mie emozioni trasformarsi in calde lacrime che cominciarono a rigare il mio viso.

« Ssh, non piangere, tesoro. L'amore è una cosa bellissima. Non dovresti sentirti mai in colpa. Non dovresti mai sentirti in colpa perché ami una persona, Kara. Ricordatelo. »

Mi strinsi di più contro al suo corpo, inspirando il suo dolce profumo che invasero le mie piccole narici in un modo lene.
Mi sono sentita un'egoista, a dire la verità.
Le avevo mentito, le avevo nascosto i miei chiari sentimenti per Michael e nonostante le avessi fatto tutto ciò, ella era riuscita a comprendermi senza nemmeno adirarsi.
Mi aveva compresa senza troppe spiegazioni ed io mi ero sentita una stupida.
Un'egoista.






Mi svegliai quasi di soprassalto, ritrovandomi in una stanza alquanto buia se non per il chiarore della luna che filtrava attraverso la grande porta scorrevole che portava sul balcone ornato di fiori profumate.
Mi guardai attorno, spostando la mia attenzione su due piccole figure minute coricate di fianco al mio corpo.
Lily e Timmy si erano addormentati con me, quel giorno.
Sfortunatamente Michael era rimasto quasi tutto il tempo fuori casa e i bambini non erano riusciti a visitare Neverland secondo quanto detto e in più sapevo solo che la mattina seguente avremmo dovuto accogliere un'altro gruppo di bambini che provenivano da un'altro orfanotrofio del Texas.
Ero alquanto eccitata all'idea, perché stare in compagnia di bambini era da sempre stato il mio passatempo preferito.
E in più, Michael si era preso la giornata libera soltanto per loro.
Lanciai un'occhiata all'orologio da parete sopra alla porta, realizzando così che erano le due del mattino ormai passate e che la temperatura era calata notevolmente, lasciando spazio ad un'aria più fresca.
Mi alzai piano dal letto, attenta a non svegliare i bambini che dormivano ancora profondamente.
Camminai verso alla sedia per afferrare la mia lunga veste da notte per poi indossandomelo e socchiudere con estrema calma la robusta porta di legno che emise un leggero cigolio.
Chiusi istintivamente un occhio, pregando che i bambini non si fossero svegliati.
Lily aveva da sempre avuto un sonno leggero ed era per quello che a volte, non riuscivo nemmeno ad addormentarmi.
Avevo sempre paura che si svegliasse nel cuore della notte per cominciare a piangere com'era solita fare, nascondendosi sotto alle coperte come se avesse visto o sognato qualcosa di orribile.
L'aria serile ormai fresca mi colpì violentemente il viso e tutto ciò che riuscii a fare in quel momento, fu sollevarmi di poco il colletto della mia lunga veste leggera.
Il lungo corridoio cui pareti erano tappezzate di quadri e foto, era stato avvolto nel buio e solo la piccola luce fioca che penetrava da quella grande finestra illuminava quell'ingresso soltanto per una parte.
Chiusi la porta alle mie spalle e quasi in punta di piedi percorsi la grande rampa di scale che conduceva al piano di sotto.
Quel giorno non vidi Michael per quasi tutta la giornata e ciò mi aveva reso alquanto triste.
Mi mancava. Mi mancava passare del tempo in sua compagnia e vedendo i visi corrucciati dei bambini, avrei potuto dire lo stesso di loro.
Camminai in direzione della cucina, ma un rumore proveniente dall'altro corridoio mi bloccò.
Se c'era una cosa che avevo da sempre odiato di fare la notte, era camminare in giro per la casa senza nessuno al mio fianco.
Avevo da sempre avuto la paura di essere aggredita, oppure di vedere cose irreali.
Ma forse era soltanto la mia parte infantile a prendere la meglio, in quei casi.
Scossi di poco la testa, come a scacciare i miei pensieri poco intelligenti e dopo aver preso un bel respiro, mi voltai, pronta a camminare, ma una voce roca alle mie spalle mi frenò.

« Kara. »

All'udire il suono della sua voce, il mio cuore perse un battito.
Mi voltai quasi di scatto nella sua direzione, intravedendo nel buio di quella stanza, la sua alta figura in piedi poco distante dalla mia.
Indossava ancora la sua semplice giacca a vento scura e da cui potevo perfettamente intravedere la sua camicia di raso grigia e i suoi pantaloni scuri.
Il suo viso mostrava segni di stanchezza e nonostante non ci fosse abbastanza luce, scorsi perfettamente i suoi occhi velati da una luce strana.

« Michael... Scusami, io- »

« Possiamo parlare? » domandò ad un tratto, inumidendosi il labbro inferiore con la lingua.

Parlare. Non mi era mai piaciuto quando qualcuno me lo domandava, perché sapevo perfettamente che il più delle volte era per una ragione non positiva.

« Qualcosa non va..? » mi azzardai a chiedere.

« Andiamo fuori? Odio gli spazi chiusi » mormorò, ignorando completamente la mia domanda.

Lo guardai per brevi secondi sorpresa, ma dopo essermi composta annuii.
Egli si affrettò a togliersi la giacca, porgendomela con un leggero sorriso sulle labbra.

« Fa un po' freddo » parlò.

Ricambiai il sorriso, scuotendo lievemente il capo.

« Non ti preoccupare. Tienilo tu » risposi.

Egli sospirò, increspando le labbra subito dopo e senza preavviso si avvicinò a me a grandi passi, aprendo maggiormente la giacca per incitarmi ad indossarla.

« Signorina Jones, odio dover insistere, ma non voglio che si ammali per colpa mia » sussurrò.

Aveva le braccia tese proprio dietro alle mie spalle, quasi volesse abbracciarmi.
La sua azzardata vicinanza aveva scatenato in me un fremito di piacere al basso ventre e subito, il suo dolce profumo di colonia invasero le mie narici, inebriando i miei sensi in un modo disarmante.
Le sue iridi scure e profonde erano incatenati nelle mie che avevano assunto del tutto una luce strana.

« Odio dover rifiutare, signor Jackson. Non voglio nemmeno che lei si ammali » sussurrai, percependo il mio cuore correre come matto.

« Ci sono altre cose che fanno più male del freddo pungente, Kara » replicò.

La sua risposta mi lasciò del tutto meravigliata.
Sapevo molto bene che egli mi nascondeva qualcosa, ma non volevo pregargli di dirmelo.
Se lo avrebbe voluto fare, si sarebbe aperto lui.
Con una punta di malinconia, alzai di poco le braccia, per permettergli di farmi indossare la sua giacca che emanava il suo dolce profumo.
Sistemò per bene la stoffa nella parte del colletto e dopo essersi assicurato che tutto fosse apposto, mi fece un cenno col capo per inseguirlo fuori dalla grande dimora.
Camminai subito dietro di lui, tenendo le braccia davanti al mio grembo e con fare nervoso, cominciai a giocherellare con le mie proprie dita.
Michael aprì la porta principale senza preoccuparsi di svegliare qualcuno e quando fummo fuori, se la richiuse alle spalle, riprendendo a camminare verso alla sua meta preferita. Il lago.

« Midispiace doverti trascinare fin qui a quest'ora » disse, voltandosi da un lato per incrociare il mio sguardo.

« Sono felice di rivederti » risposi.

Un dolce sorriso si formò sulle sue labbra e lui, mostrandosi leggermente imbarazzato distolse lo sguardo dal mio, abbassandolo di poco per poi rialzarlo e poggiarlo sulla stradina ciottolata.
Avevo da sempre amato il suo sorriso e come sempre, ogni volta in cui le sua labbra si inarcavano in quella curva genuina, il mio cuore fremeva.
Continuando a camminare, si avvicinò a me, cercando con la propria mano la mia, per poi stringerla in una presa salda e forte.

« Come stai? » mi domandò.

Strinsi la sua mano dolcemente, mordicchiandomi il labbro inferiore mentre ero intenta ad osservarmi in giro.
Amavo Neverland di notte.

« Potrei dire che lei mi ha rallegrato la giornata, signor Jackson » replicai.

Egli mi guardò con una punta di divertimento in viso, inarcando subito dopo un sopracciglio con eleganza.

« Potrei saperne il motivo? » chiese.

« Avere i miei genitori qui, i bambini ed Angie, è stato uno dei più bei regali che tu mi abbia potuto fare » mormorai, arrestando la mia camminata per fargli fare lo stesso.

Michael mi osservò negli occhi con dolcezza, sollevando una mano per sfiorarmi il viso in una languida carezza.

« Qual è l'altro regalo? » sussurrò.

« Averti conosciuto » risposi.

Egli mi rivolse un sorriso che non seppi decifrare e prima che potessi aprire bocca, lui mi abbracciò di scatto, stringendomi forte contro al suo corpo poco muscoloso.

« Scapperesti con me, Kara? Lo faresti se te lo chiedessi? » domandò.

Fui colta di sorpresa e confusa aggrottai la fronte.
Di cosa stava parlando?

« Dove vorresti andare,
Michael? »

Non sapevo cosa dirgli, cosa rispondergli, ma scappare mi avrebbe resa un pochino più felice.

« Non lo so, ma lontano da tutto e da tutti. Verresti con me? »

La sua presa aumentò maggiormente ed io, senza aspettare ricambiai l'abbraccio, cingendogli le larghe spalle con le mie braccia esili.
Mi limitai ad annuire, avvicinando maggiormente il mio corpo contro al suo.

« Farei qualsiasi cosa pur di renderti felice » mormorai.

Lui si allontanò dal mio corpo quasi in un modo brusco, afferrandomi le spalle con entrambe le mani.
Mi guardò negli occhi e in un'espressione sorpresa mi fissò negli occhi.

« Tutto? » domandò.

Annuii, leggermente scossa dalla sua reazione.

« Quindi, se ti chiedessi di sposarmi, lo faresti? Diventeresti mia moglie? » esclamò.

A quella domanda spalancai gli occhi quasi violentemente.
Sposarlo? Perché parlava di matrimonio in quel momento?

« Michael... » sussurrai.

Ero alquanto felice che lui mi avesse chiesto una cosa del genere, perché forse era ciò che aspettavo da tanto tempo, ma non potevo accettare. Non in quel momento.
Era troppo presto.

« Kara, ti prego. Sposami e scapperemo da questo mondo orribile. Ti porterò dove hai sempre sognato di andare e ti renderò la donna più felice di questo mondo » parlò.

Il mio cuore aveva cominciato a battere talmente veloce da farmi male e le mie gambe avevano cominciato a perdere il loro equilibrio.
Ero stata appena sopraffatta da tutti i miei sentimenti più intimi e segreti che Michael riusciva sempre a mettere allo scoperto.
Mi aveva da poco proposto di sposarlo e nonostante avessi voluto cedere, accettare e unirmi a lui, sapevo che quello non era il momento giusto.
Non era così che doveva andare.
Lo amavo, lui mi amava, ma nessuno sapeva della nostra relazione clandestina.
Non volevo causargli altri problemi.

« Perché mi dici tutto questo, Michael? » domandai con voce quasi strozzata dalle mie emozioni.

« Perché è quello che desideri anche tu, Kara. Non volevi forse diventare mia? Non volevi stare al mio fianco per sempre? Cosa pensi? Che io non abbia notato come mi guardi ogni volta in cui ti passo davanti? Che io non mi accorga di quanto dolore ti faccia, vedermi con un'altra donna al mio fianco? » esclamò.

« Lo farei all'istante, Michael. Accetterei di diventare tua moglie anche adesso, ma cosa penseranno le persone che non sanno di noi? Cosa penserà la tua famiglia? I tuoi ammiratori? Dimmelo, Michael » dissi.

Il mio corpo aveva cominciato a tremare come una fogliolina scossa dal vento e anche se cercavo francamente di stare su due piedi, sembrava che traballassi senza nemmeno farlo apposta.
Egli chiuse per brevi secondi gli occhi, sospirando rumorosamente.

« Sono stanco di dover sempre aver paura di cosa penseranno le persone su di me. Anche se non faccio nulla, mi accusano senza motivo. Che differenza ci sarà se ti sposassi? Renderei felice soltanto me e te ed è questo che mi importa, Kara. »

Stavo per replicare, ma una vocina a me familiare mi bloccò.

« Volete sposarvi? »

Voltai la testa di lato, incrociando il viso di ella contratta in una smorfia di allegria.
Spalancai gli occhi, mentre Michael aveva mantenuto la sua espressione seria, continuando a guardarmi in viso.
Lily.

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