Capitolo 50
C A P I T O L O 50
Percorrevo velocemente il lungo corridoio cui pareti erano tappezzate di quadri di grandi artisti, udendo le suole delle mie scarpe echeggiare fra le quattro mura colorate.
Michael quella mattina mi aveva richiamata per motivi sconosciuti nel suo ufficio infondo alla grande dimora, dopo aver scambiato due chiacchiere con Glenda che non aveva fatto altro se non evitare il mio sguardo per quasi tutto il tempo in cui ci eravamo trovate insieme.
Avevo da poco finito di pulire i grandi e comodi divani in pelle rossa e il profumo di talco e vaniglia con cui avevo accuratamente lavato i grandi cuscini, ora facevano da coperta alla mia buffa divisa leggermente macchiata.
"Il signor Jackson ha chiesto di te, Kara".
Non sapevo cosa volesse e speravo tanto in cuor mio, che la giovane donna non si fosse inventata una scusa o un'accusa contro di me, pur di ricevere le sue attenzioni.
Odiavo dover essere sempre messa in primo piano per cose che non avevo nemmeno fatto o pensato di fare.
Io vivevo la mia vita in un modo diverso.
Mi fermai dinanzi alla porta in legno scura, sistemandomi per bene i capelli prima di stirarmi l'abito lungo i miei fianchi esili.
Era da un paio di settimane che io e Michael non parlavamo più come un tempo e le ultime volte in cui riuscivo ad avere una conversazione del tutto normale, era per domandargli riguardo alla faccende domestiche.
E ritrovarmi ora lì, davanti a quella misera porta che separava ancora per poco i nostri corpi, mi faceva innervosire.
Presi un profondo e lungo respiro, percependo tutti i miei muscoli tesi rilassarsi leggermente; poi, sollevando una mano poco tremante, bussai.
« Entra pure. »
Socchiusi la porta lentamente, entrando infine con passi insicuri, prima di richiuderla alle mie spalle con un leggero scricchiolio che mi fece sussultare appena.
Appena mi voltai, intravidi la sua alta e slanciata figura davanti alla grande vetrata che dava sull'immenso giardino ormai baciato dalla luce del sole californiano.
La grande stanza era illuminata di una luce alquanto diversa quel giorno e pure gli occhi di Jackson, che quando si voltò andò subito a scrutare la mia esile figura ancora davanti alla soglia.
« Ha chiesto di me, signor Jackson? » domandai, portando entrambe le mani davanti al mio grembo.
Egli mi sorrise ammaliante, aggiustandosi il colletto della sua camicia blu, prima di invitarmi con una mano a prendere posto su una delle due poltrone rosse davanti alla sua scrivania zeppa di fogli macchiati di inchiostro.
« Si sieda, signorina Jones » replicò.
Lo ringraziai con un lieve cenno del capo, prima di avanzare verso alla poltrona che sembrava essere stata acquistata da poco, talmente nuova e pulita appariva.
Con le gambe leggermente tremanti, mi sedetti su di essa, percependo i muscoli di essi rilassarsi sotto alla superficie morbida su cui mi ero accasciata dopo al suo consenso.
Egli non tardò a raggiungermi, prendendo posto dinanzi a me, portando entrambi i gomiti sulla superficie fredda della sua confusa scrivania.
« Come sta oggi? » mi chiese, scrutandomi attentamente negli occhi, mentre un sorriso dolce aveva cominciato a spuntare sulle sue morbide labbra.
« Sto bene, la ringrazio. Lei come sta? »
Lui accennò una risata divertita, increspando infine le proprie labbra.
« Direi che potrebbe andare meglio » si limitò a rispondere.
Mi aggiustai per bene il grembiule bianco sulle gambe, sistemandomi comoda sulla poltrona che sembrava volesse abbracciarmi.
« È successo qualcosa? » chiesi, osservandolo con attenzione nelle sue iridi scure.
Egli scosse la testa, sporgendosi leggermente in avanti con il busto.
« Ho parlato con Angie, questa mattina » disse.
Angie.
Mi sporsi violentemente in avanti, allungando una mano per reggermi al bordo della scrivania, evitando di scivolare giù dalla sedia.
« Angie? Perché? È successo qualcosa? » esclamai.
Lui si alzò dalla sua sedia, facendola scivolare leggermente all'indietro e dopo aver fatto mezzo giro della sua scrivania, si posizionò di fronte a me, poggiando entrambe le mani suoi braccioli della mia poltrona da intrappolarmi così fra il suo corpo ed essa.
Avvicinò pericolosamente il suo viso al mio, quasi a sfiorare le mie labbra e con un mezzo e sarcastico sorriso dipinto sul suo volto, mi scrutò per brevi secondi di silenzio.
« Abbiamo parlato di te » sussurrò.
Spalancai gli occhi, sentendo il mio cuore cominciare a galoppare come un cavallo emozionato.
Il suo alito di menta invase le mie narici e quando mi accorsi che lo spazio che ci divideva era molto fine, una strana sensazione al basso ventre mi colse di sorpresa.
« Di me? » domandai in un mormorio, percependo la voce morirmi in gola.
Stupidi sentimenti. Stupida me.
Lui sorrise, ritornando però subito dopo serio.
Le sue iridi scure come la pece brillavano di una luce alquanto strana e nonostante abbia da sempre cercato identificarne il motivo, essa mi sfuggiva ogni volta di mano.
A cosa stava pensando?
« Non sapevo di piacerle già dalla prima volta in cui ci siamo conosciuti » parlò con voce bassa e roca.
Trattenni il fiato per un paio di secondi, stringendomi nelle spalle quando egli si avvicinò di poco al mio viso ormai accaldato.
Angie si era lasciata andare senza nemmeno accorgersene e gli aveva rivelato ciò che io le avevo proibito di fare.
« Chi te lo ha detto? »
La mia voce, seppur bassa aveva cominciato a tremare e con essa anche le mie gambe che non volevano stare al proprio posto.
Lui inarcò un sopracciglio, sollevando una mano per sfiorarmi la guancia con le sue lunghe dita affusolate.
« Lily » replicò.
Lily. Oh no. Lily aveva parlato con lui? Cosa gli avrà detto ancora?
« Lily? Le ha detto...le ha detto qualcos'altro? » mi affrettai a domandare, mettendomi dritta con il busto.
Michael rise divertito, allontanandosi dal mio corpo con estrema velocità e subito percepii l'aria fresca colpirmi in pieno, trascinando via quel poco calore che lui era riuscito a regalarmi.
« Da quando ci diamo del lei? » canticchiò ancora dilettato, poggiandosi di schiena contro al bordo della sua scrivania elegante.
Mi alzai dalla comoda poltrona, aggiustandomi l'abito lungo i fianchi.
Mi portai una ciocca di capelli dietro all'orecchio e respirando a pieni polmoni, lo guardai attentamente.
Il suo busto poco muscoloso era stretto in modo galante da una semplice camicia, ma che indossata da lui era in grado di renderlo affascinante.
« Da quando richiama i suoi dipendenti per parlare della loro vita privata? Non siamo forse qui per lavorare? » domandai, portando come rito le mie mani davanti al mio grembo piatto.
Egli mi scrutò in silenzio per vari secondi, percorrendo con i suoi profondi occhi ogni centimetro del mio corpo.
Un sorriso sarcastico ma divertito al contempo spuntò sulle sue labbra ed io non riuscii ad evitarlo, nonostante avessi voluto farlo.
« Qui per lavorare? Ha ragione, signorina Jones. Le chiedo le mie più sincere scuse » disse.
Mi limitai a fargli un cenno con il capo, lasciando che le mie braccia ricadessero lungo i fianchi.
« È tutto? » chiesi a bassa voce.
Il sorriso di Michael si allargò maggiormente voltandosi alla ricerca di un foglio che trovò sotto ad un piccolo quadernino.
Allungò una mano, afferrandolo per poi ripuntare la sua attenzione su di me e porgermelo.
« Cos'è? »
« Sei qui per lavorare, no? Questo foglio contiene la lista di tutte le cose che dovresti e farai domani » spiegò.
Lo presi delicatamente, continuando ad osservarlo con sguardo interrogativo.
« Da quando dobbiamo seguire una lista? »
Lui portò entrambe le mani sui fianchi, poggiando le sue lunghe dita affusolate sulla cintura scura che in quel momento gli fasciava i fianchi in un modo quasi sublime.
« Da quando la signorina Jones fa tutte queste domande? » domandò.
Chiusi per brevi secondi gli occhi, sospirando leggermente frustata.
Si stava prendendo gioco di me?
« Cercherò di portare a termine i miei compiti, signor Jackson » mormorai, dopo averli socchiusi nuovamente.
Michael si limitò ad annuire, ritornando del tutto serio.
« Può andare. La prego di far entrare Javon » disse, ritornando a sedersi sulla sua comoda sedia, senza guardarmi.
« Certo signor Jackson. Ogni suo desiderio è un ordine » esclamai.
Camminai verso alla porta, pronta ad aprirla, ma la sua dolce voce mi bloccò.
« Tieniti libera domani pomeriggio » parlò alle mie spalle.
A quella frase il mio cuore cominciò a battere velocemente, mentre un sorriso genuino spuntò sulle mie labbra, lasciandomi allo scoperto dei miei più segreti sentimenti.
« Perché? »
Non mi ero voltata a guardarlo, perché sapevo perfettamente che se l'avrei fatto, mi sarei di sicuro lasciata tradire nuovamente da me stessa.
Avrei messo in luce ciò che in quel momento provavo realmente e lui non avrebbe fatto altro se non giovarne e continuare a stuzzicarmi, come stava facendo in quel momento.
« Sono sicura che non te ne pentirai » si limitò a rispondere, poi continuò: « dammi retta, questa volta. »
Come ad una ragazzina innamorata, avevo cominciato a mordicchiarmi il labbro inferiore, mantenendo quel sorrisino adolescente sul mio viso. Questa volta mi voltai nella sua direzione, incrociando la sua figura intenta a sistemare alcuni fogli svolazzanti sulla sua scura superficie.
« Spero che lei abbia ragione. Ad ogni modo, domani mi troverà libera » dissi.
Egli sorrise dolcemente, alzando infine una mano per farmi cenno di uscire e senza esitare lo ascoltai, augurandogli una buona giornata prima di rinchiudermi la porta alle spalle.
Una volta fuori dal suo studio, abbassai lo sguardo sul pezzo di carta che tenevo in mano, leggendo il suo contenuto.
Tutti i lavori che avrei dovuto svolgere domani avevano come aiutante Glenda e tutti i posti in cui avrei dovuto pulire erano le stanze in cui il signor Jackson spendeva la maggior parte del suo tempo.
Che stesse scherzando?
Percorsi con gli occhi il lungo elenco numerati, arrivando all'ultimo scritto leggermente più piccolo.
"Ore 16:30. Visita a sorpresa. Niente mansioni. Niente polvere. Niente grembiuli sporchi. Indossa i tuoi bei vestiti e sii pronta a raggiungermi davanti al grande cancello di Neverland. Non tardare."
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