Capitolo 49

C A P I T O L O 49

Ero seduta su una delle piccole scalinate fuori dalla lussuosa dimora, percependo il dolce vento quasi primaverile accarezzarmi lascivo il viso e i capelli che avevo accuratamente sistemato in una piega ordinata.
Avevo da poco finito di consumare la ricca ed abbondante cena che la generosa cuoca, insieme a suo marito ci avevano preparato.
Ma stranamente quel giorno non mangiai più di tanto.
Ero rimasta quasi tutto il tempo seduta a giocherellare con la mia forchetta, ricevendo di tanto in tanto delle occhiate nascoste da Leticia che non si era lasciata sfuggire nessun particolare del mio stato d'animo emotivo.
Erano da giorni che Michael passava gran parte del suo tempo fuori casa e da giorni che Glenda si rinchiudeva spesso in camera sua, tralasciando la maggior parte del suo lavoro alle due domestiche di turno.
Il suo comportamento infantile aveva cominciato a stufarmi e più il tempo passava, più cominciavo a perderne la pazienza.
Capivo perfettamente il suo stato d'animo, perché anche lei era stata da poco ferita dalla persona che in passato aveva amato.
Ma questo non poteva intrappolarla e tenerla lontana dal proprio dovere.
Avevamo tutti un triste passato alle spalle.
E con il passare del tempo mi ero accorta che continuare a rimpiangere un fatto lontano della mia vita, non mi avrebbe fruttato beni nell'avvenire.
Da quel triste giorno non avevo più avuto notizie di mia sorella e mai ero stata in grado di parlarne con i miei genitori, soltanto con Angie ed ella, come sempre, era stata in grado di sostenermi, sopratutto quando Michael non era in casa.
Senza di lui mi sentivo sotto pressione, strangolata in un certo senso.
Ed era così che mi sentivo in quel momento, intenta a rinfrescare anche i miei più assurdi pensieri.
Avevo del tutto perso la cognizione del tempo, stando tutto il tempo ad osservare il panorama colorato estendersi sotto ai miei occhi come un tappeto rosso.
Romantico ma innocente al contempo.
Distesi le gambe, percependo ogni muscolo delle mie gambe rilassarsi sotto ai tocchi leggeri e circolare che avevo cominciato ad esercitare su essi.
Ero stanca e il mio corpo aveva cominciato ad accendere un piccolo campanello d'allarme che avevo subito represso durante ai miei giorni di lunga fatica.
Non sapevo come altro spendere la giornata, se non pulire e vagare per la grande e maestosa Neverland ma più i giorni correvano, più cominciavo a volere altro.
Un'altra carezza dal vento e non esitai a chiudere gli occhi, sorridendo lievemente.
Il canticchiare insistente dei grilli avevano cominciato a sfiorare le mie piccole orecchie e il fruscio delle ultime foglie adagiate sul prato, facevano da sottosfondo a quell'atmosfera tranquilla.
Erano ormai da minuti che cercavo disperatamente di riposare, ma la mia mente ricorreva sempre ad un fatto triste del mio passato, quasi lo facesse apposta.
Scostai i miei capelli da lato, concedendo alla blanda brezza serale di lambire anche quella parte sensibile del mio corpo ormai dolente.
Non sapevo quanto ancora sarei rimasta ad usufruire di quel benessere, ma quando il mio intelletto decise di risaltare nuovamente nel mio penoso avvenuto, una voce bassa mi destò dai miei pensieri, tirandomi fuori da quel fosso come una semplice carezza.

« Ho sempre amato stare all'aria aperta. Sopratutto di notte. »

Mi voltai nella direzione da cui essa proveniva, incontrando con sorpresa la figura esile di Glenda intenta ad accendersi una sigaretta, portandosela in bocca con indifferenza.
Le rivolsi un leggero e breve sorriso, portandomi istintivamente una ciocca di capelli dietro all'orecchio, osservando attentamente la sua conformazione sinuosa.
Indossava un semplice abito notturno con una veste quasi trasparente a ricoprire il tutto, lasciando allo scoperto le sue gambe incrociate una davanti all'altra.
I suoi lunghi e scuri capelli erano stati tirati su da un elastico che si era preoccupato di raccogliere soltanto l'essenziale, concedendo ad alcune ciocche di contornarle quel viso sottile e rifinito.
Quando ella sollevò lo sguardo, rimasi colpita dalle sue iridi grigie che in quel momento splendevano sotto alla luce della luna piena, regalando loro un'aria maestosa.
E di quel piccolo particolare, ne fui da subito invidiosa.
Davanti a me c'era una donna bellissima, forse troppo e lei non se ne rendeva nemmeno conto.
Si era lasciata mangiare dal desiderio di riavere una persona che aveva già persa, dal rancore che aleggiava e teneva nascosta nella parte più profonda del suo irrequieto animo.
Voltai lo sguardo nuovamente in avanti, percependo i suoi occhi vagare per tutta la schiena, dissolvendo nell'aria il mio tranquillo riposo che a malapena ero riuscita ad ottenere.

« Credo tu abbia ragione » mi limitai a rispondere, stirando la stoffa dei miei pantaloni lungo le gambe ancora tese.

Il rumore dei suoi passi si fecero sempre più vicini al mio corpo e subito scorsi la sua figura piegarsi vicino alla mia, sedendosi su quel pezzo di legno freddo.
Si portò la sigaretta in bocca, aspriandone il fumo per poi liberarlo in un lungo e lento soffio.

« Sei sempre così silenziosa? » mi chiese, portando le proprie ginocchia contro al petto.

La osservai di profilo, notando i suoi lineamenti docili scomparire lì dove aveva serrato la mascella in una smorfia che non seppi decifrare.

« Sto assaporando un po' di tranquillità » replicai, ritornando a poggiare i miei occhi sulla distesa di lucine colorate.

Ella sospirò leggermente, allungando una mano dietro alla sua schiena, per appoggiarsi contro ad essa, stiracchiandosi di poco.

« Ho sempre detestato chiudermi in camera per così tanti giorni » parlò.

Rovesciai la testa all'indietro, massaggiandomi la nuca dolorante per poi sospirare lievemente.

« Allora smetti di farlo. Chiuderti in camera non ti porterà ad una conclusione, se non alla solitudine, Glenda. Lo sappiamo benissimo » mormorai, ritornando a puntare la mia visuale sulla sua figura quasi ranicchiata vicino alla mia.

Lei scosse la testa, portando un'altra volta quell'oggetto per lei rilassante alle labbra.

« Dimmi come fai, Kara. Dimmi come riesci a tenerti ancora in piedi dopo a tutto quello che stai passando. Con la famiglia, con te stessa e con Michael. »

Aggrottai leggermente la fronte, guardandola con aria seria.

« Di cosa stai parlando? » chiesi.

Ella puntò lo sguardo davanti a lei, evitando il mio con noncuranza.
Cominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore, esitando nel rispondere.
Che avesse scoperto o sentito qualcosa?
Speravo di no.

« Ho ascoltato la conversione quel giorno. Non era di mia intenzione, ma non ho potuto evitarlo. Tua sorella. Lei non c'è più, non è così? »

Mi passai una mano sul viso, sospirando rumorosamente.
Jane. Sembrava che avesse ormai preso parte agli argomenti della mia quotidianità.
Era sempre riuscita ad avere la meglio sui miei stati d'animo ed io non ero riuscita ad evitarglielo.

« Sì. Hai ragione. Ho una sorella che si è completamente dimenticata di avere una famiglia » risposi, assumendo del tutto un tono di voce serio.

Ella abbassò lo sguardo, quasi volesse condividere con me il proprio dolore nell'aver perso un membro della famiglia che ritenevi importante.
Sentii il mio cuore stringersi e le mie iridi avevano cominciato a bruciarmi, ma non potevo lasciare che questa volta vincesse.
Non potevo mostrarmi debole di fronte a tutte le persone che mi circondavano, perché non ne sarebbe valso la pena.
Piangere non avrebbe riportato indietro ciò che era andato perduto.

« Midispiace » mormorò.

Mi limitai ad annuire, portandomi le ginocchia contro al petto per poi abbracciare, cingendole con le mie braccia esili.

« Grazie » sussurrai.

Glenda si voltò nuovamente nella mia direzione ed io ricambiai lo sguardo, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Non dovevo cedere.

« Siamo così diverse » disse.

Scossi la testa, stringendomi nelle spalle.

« Siamo uguali. Siamo due persone uguali, Glenda. Abbiamo dei sentimenti, delle aspettative e un passato alle spalle. Solo non portiamo lo stesso nome » replicai.

Lei rise nervosamente, affondando una mano nella folta capigliatura scura.

« Kara. Io sarei scappata da tutto questo. Avrei lasciato correre il rischio e avrei abbandonato tutto quanto » esclamò, giocherellando con la sigaretta fra le dita.

« È vero. Saresti scappata. Lo avresti potuto fare, ma invece hai deciso di restare. Non hai corso il rischio di perdere tutto, per il semplice fatto che sai di potercela fare » mormorai.

Lei mi rivolse un'occhiata del tutto diversa, assumendo un'espressione quasi meravigliata mentre con gli occhi vagava per tutto il mio viso, incastrandoli infine in quelli miei scuri.

« Quindi tu mi stai dicendo che possiamo cambiare il futuro. Che possiamo avere un po' di quella felicità che cerchiamo da tempo » rispose.

« Sì. Comincia dalle piccole cose » dissi.

Lei spense la sigaretta, increspando le proprie labbra.

« E tu? Lo stai facendo? » domandò.

Sorrisi lievemente, distendendo lo sguardo altrove.

« Ho appena cominciato. »

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