Capitolo 46
C A P I T O L O 46
Erano passati circa quattro giorni da quando incontrai mia sorella dopo un lasso di tempo che non ricordavo più.
E da quel giorno non avevo fatto altro se non pensare ad un modo per riavvicinarmi a lei, senza la paura di dover soffrire di nuovo.
Avevo escogitato diversi modi e piani per rientrare in quel disarmonico locale senza essere sbattuta a calci fuori.
Ma come avrei fatto?
Stavo pulendo il pavimento del lungo corridoio, con un panno umido ed insieme a Glenda.
Leticia quel giorno si occupava delle camere.
Era rientrata pochi giorni fa ed era ritornata a lavoro la mattina seguente, dopo aver sopportato un volo durato circa otto ore.
Ero proprio davanti alla porta dell'entrata e la mia collega proprio poco distante da me.
Stranamente quella mattina non aveva parlato, come faceva spesso, anzi, si limitava ad annuire ed obbedire senza fiatare, domandandomi pure dove avrebbe dovuto pulire.
Ero meravigliata, ma sapevo benissimo che c'era qualcosa che la turbava; ma non voleva parlarne con nessuno.
Mi aveva sempre detto che la persona con cui si era sentita a suo agio e si sentiva tutt'ora era Michael, ma lui in quel momento era troppo impegnato e girovagare per il grande giardino di Neverland.
La osservai di sottecchi, notando il suo viso contratto in una smorfia alquanto strana. Le sue candide labbra non era tinte di quel bellissimo rossetto bordeaux. Non si era truccata e ai occhi miei mi appariva leggermente diversa.
La giornata era una delle migliori quel giorno e quel tanto amato sole splendeva alto nel cielo, scacciando le grandi e scure nubi del pomeriggio precedente.
I miei occhi, ogni tanto, si rivolgevano alla grande finestra di legno in cui Leticia vi aveva appoggiato un bellissimo vaso di fiori rossi.
Osservavo il cielo sorridermi, persa nei miei pensieri, mentre continuavo a pulire il pavimento scuro.
Avevo paura di affrontare mia sorella e parlarne con i miei genitori. Loro non sapevano nulla e non avrei loro detto niente, finché non avrei chiarito con Jane.
Non volevo ferirli come lei aveva ferito me.
Ma in che modo riavvicinarmi?
« Kara, se non ti dispiace, qui siamo per lavorare, non per ammirare il cielo azzurro. »
La voce severa di Glenda mi giunse alle orecchie come un lamento trattenuto da molto tempo e che solo ora era riuscita a sputare fuori.
Mi voltai nella sua direzione, scorgendola sulle ginocchia come me a sciacquare la pezza bagnata con dell'acqua pulita dentro ad un secchio giallo.
« Scusami. Non riaccadrà più » replicai.
Ella sospirò leggermente, scuotendo la testa.
« Che c'è? » mi domandò ad un tratto.
Alzai il capo, guardandola con aria interrogativa. Ma ella non sembrava degnarmi di uno sguardo.
Continuava a pulire per terra, stringendo fra le esili dita il panno umido.
« Scusa..? »
« Ti ho chiesto se c'è qualcosa che non va. Stai bene? »
Istintivamente alzai un sopracciglio, abbassandolo subito dopo.
Glenda mi aveva posto una domanda che nemmeno io sapevo rispondere.
Stavo bene? Cos'è che mi turbava maggiormente?
Questa volta sollevò gli occhi verso alla mia figura, smettendo di strofinare sul pavimento per attendere paziente la mia risposta.
E lei come stava?
« Io sto bene. Ti ringrazio » replicai.
Ella mi scrutò attentamente per vari secondi, non sapendo se fidarsi o no.
Mi meravigliai nel sapere che ad ella interessasse qualcosa del mio stato d'animo, anzi, ciò mi rendeva leggermente felice.
Annuì infine, abbassando il capo per ritornare al suo lavoro.
La osservai per un po', poi mi azzardai a domandarle la stessa domanda, prostandomi di poco in avanti con il busto.
« Tu come stai? »
Glenda aggrottò la fronte, sollevandosi con la schiena per asciugarsi con il dorso della mano, la fronte impregnata dal sudore.
« Sarebbe inutile parlartene. Tanto non capiresti » si limitò a dire.
Feci le spallucce, sollevandomi pure io con il busto per poterla osservare meglio negli occhi.
« Forse questa volta potrebbe essere diverso. Cosa c'è che non va? » chiesi.
Ella sbuffò frustata, lanciandosi delle occhiate ovunque, per tutto il pavimento, assicurandosi che anche le parti irraggiungibili fossero state lavate.
« Dalla litigata con Michael non sono più stata in grado di guardarlo in faccia. Lui non mi ha più nemmeno rivolto la parola e questo mi fa pensare che lui mi abbia realmente dimenticato. Ora ha per la testa un'altra donna » parlò, fissandomi con sguardo serio e profondo.
Dimenticato. Come si poteva dimenticare qualcuno che hai amato?
« Non lo ha fatto. Credo solo stia passando un momento pesante » replicai.
Le sue parole mi avevano colpita in pieno viso e ciò mi fece stare male. Mi sentii terribilmente in colpa per ciò che stava passando, perché sapevo perfettamente che la causa di tutto questo ero proprio io.
Mi ero avvicinata a Michael senza nemmeno rendermene conto e lui aveva fatto altrettanto, arrivando pure ad avere una relazione segreta.
Come si sarebbe sentita se lo avesse scoperto? Se le nostre foto sarebbero comparse in prima pagina, come la prima volta in cui atterrammo a Houston?
Non me lo sarei perdonata.
Mai. mai. E mai.
Ella ridacchiò sarcastica, lanciando piano il panno dentro al secchio, facendo schizzare un po' d'acqua ovunque.
« Un periodo pesante? Beh, anch'io lo sto passando, se proprio dovrei essere sincera. Da quando l'ho perso non faccio altro se non maledire me e la mia famiglia. Pensavo di essere stata importante nella sua vita, ma mi è bastato uno schiocco di dita per farmi perdere la ragione e lui per guardarmi con occhi diversi. È stato un inferno lavorare per lui, dopo a ciò che ci era successo e lo è tutt'ora. Ma a lui questo non interessa. Lui ha tutto quello che vuole. Dei soldi, degli amici, una madre che lo ama per quello che è, e tante ragazze che sarebbero in grado di leccargli i piedi pur di stargli accanto. Io ho perso tutto per colpa sua. Mi avevano sempre detto che quello che facevo era un errore, ma mai mi ero preoccupata ad ascoltarli. Ed ora guardami, Kara. Dimmi cosa vedi! »
Vedevo tanto cose in lei: una donna abbattuta ma che cerca di restare a testa alta, una giovane adulta che non avevo mai smesso di combattere, ferendo senza rendersene conto i sentimenti altrui.
Vedevo tante cose in lei.
Aveva parlato di Michael in un modo che non avevo sentito mai prima e le sue iridi scure vagavano sempre da una parte all'altra, durante il suo discorso.
Cosa le succedeva?
Abbassai di poco lo sguardo, percependo le mie goti farsi sempre più calde.
Ero nervosa e cercavo di non darlo a vedere, ma come sempre i miei più profondi sentimenti mi avevano tradita.
Giocherellavo agitata con le mie proprie dita, osservandole come se solo ora mi rendessi conto di quanto esse magre e sottili fossero.
La sentii sospirare e quando spostai la mia attenzione sulla sua figura, la notai rovesciare la testa all'indietro, imprecando a bassa voce.
« Puoi prenderti una pausa. Al resto ci penso io » sussurrai.
Ella scosse la testa velocemente, abbassando il capo per osservarmi.
« Perché sei così gentile con me? Cosa pensi di ricevere in
cambio? » mi domandò.
La sua domanda mi spiazzò letteralmente.
Gentile. Sì, ero gentile, ma non solo con lei.
I miei genitori avevano da sempre trattato le persone nei migliori dei modi, ed io avevo seguito il loro esempio, arrivando ad amare il mio prossimo anche quando esso mi infliggeva dolori.
Ma nonostante tutto, non avevo mai smesso di farlo.
"Sii sempre gentile, Kara. Non conosci la loro storia" mi avevano sempre detto.
Ricordo ancora quei piccoli momenti in cui mi ranicchiavo sulle ginocchia dell'uomo che mi era da sempre stato accanto; la persona che mi aveva conosciuta fin da bambina e che era sempre stata pronta a consigliarmi.
Era solito carezzarmi i miei lunghi mancati capelli, mentre con la sua voce profonda e dolce al contempo, si preoccupava di insegnarmi ad ascoltare e a guardare gli altri con buoni occhi e buone orecchie.
"E se dovessero farmi male?" domandai un giorno.
Ricordai di averlo sentito sospirare, prendendosi una pausa per riflettere.
"Allora sii più gentile".
Non capii immediatamente ciò che egli volesse dirmi, genuina com'ero.
Mi ero sempre soffermata ad annuire ad ogni loro frase, mettendo in pratica ciò che era stato detto. Ma mai mi ero fermata a meditare su quelle parole che mi avevano insegnato ad accettare il mio prossimo per ciò che era, non per ciò che sembrava.
« Non voglio ricevere nulla in cambio. Voglio solo stare bene con me stessa » replicai.
Glenda mi accennò un sorriso quasi sarcastico, sbuffando subito dopo.
Odiava avere certe risposte, perché sapeva benissimo che lei non ci riusciva.
La sua rottura con Jackson non aveva fatto altro se non renderla più nevrotica e ciò mi dispiaceva.
Feci per aprire bocca e risponderle, ma una voce maschile alle mie spalle mi bloccò.
« Glenda, va tutto bene? »
La ragazza di fronte a me alzò lo sguardo, assumendo un'espressione del tutto sorpresa, mentre io mi voltai, scrutando attentamente la persona che mi aveva poco prima interrotta.
Il mio cuore prese la sua solita danza traditoria, quando incrociai il suo sguardo profondo e gli occhi color pece, vagare sulla figura di ella, ancora immobile.
Indossava una bellissima camicia arancione e dai bordi neri incastrata elegantemente sotto ad una cintura di cuoio argentata. Le sue gambe poco muscolose, erano state messe in risalto da un paio di jeans neri, accompagnati da un paio di stivali lucidi.
Era perfetto ed io ne rimasi semplicemente affascinata.
Egli, non ricevendo alcuna risposta, inarcò un sopracciglio, tenendo le braccia conserte contro al petto.
Mi voltai verso Glenda ed ella si raddrizzò con il busto, schiarendosi la voce.
« Sto bene. Grazie. »
Michael non si fece intimidire dal suo tono distaccato e freddo con cui aveva replicato, anzi, fece un passo in avanti, passandosi una mano sulla nuca con fare nervoso.
« Possiamo parlarne? » domandò quasi a bassa voce.
Glenda si portò una ciocca di capelli dietro all'orecchio, riprendendo tutto ad un tratto a lavorare.
« Non abbiamo nulla di cui parlare. Te l'ho già detto, sto bene » disse.
« Ti conosco perfettamente e so che quando fai così vuol dire che c'è qualcosa che non va. Possiamo fare due passi? »
Mi sentii terribilmente a disagio in quella situazione.
Avrei dovuto intervenire? O lasciare che se la risolvano da soli?
Ripresi a lavorare pure io, cercando di cacciare il sapere che erano lì.
Percepivo le famose farfalle allo stomaco e in quel momento avrei voluto soltanto maledirmi.
La donna di fronte a me soffriva per il suo amore ormai perso ed io invece facevo la ragazzina innamorata nel momento, nel posto e nella persona sbagliata.
Perchè?
Ella si alzò di scatto, cogliendomi di sorpresa.
Scaraventò piano il panno bagnato nel secchio colmo d'acqua, facendone schizzare qualche goccia fuori e si sistemò il lungo abito buffo lungo i fianchi.
La guardai sorpresa, ma Michael non si mosse affatto.
Era rimasto ad osservarla con sguardo serio e deciso, serrando leggermente la mascella.
Perché mi trovavo lì?
La imitai, alzandomi lentamente e con lo sguardo abbassato.
Aggiustai per bene il grembiule davanti al grembo piatto, per poi voltarmi, pronta ad uscire senza emettere parola.
« Puoi anche non andare. Sono io a farlo. Resta pure con il tuo Michael. »
Il tuo Michael.
Spalancai gli occhi, girando bruscamente il volto nella sua direzione,
« Smettila di comportarti in questo modo, Glenda. Le cose non funzionano così » esclamò Michael.
« Come dovrebbero funzionare? Perché io proprio non lo so! Dovrei forse fare come te? Dimenticare la persona a cui pensavi di dare tutto e cominciare ad amare segretamente un'altra donna che non conosci abbastanza? È questo? Dovrei forse fare così? » urlacchiò.
Il mio cuore aveva ripreso a battere come un cavallo in fuga e in preda al terrore.
Michael fece scivolare le braccia lungo i fianchi, alzando una mano per passarselo sul viso, sospirando.
« Di cosa stai parlando? Non ho dimenticato ciò che ci è stato fra di noi. Lo sai benissimo. Non sai quanto io abbia sofferto quando ho saputo che ciò che volevi erano soltanto i miei soldi! Cosa pensavi? Che non avevo progettato un futuro insieme a te? Pensavo che eri la giusta, Glenda, ma tu ti sei lasciata influenzare dai tuoi genitori che non hanno fatto altro se non pensare alla loro felicità! » esclamò a sua volta, contraendo la mascella per il nervosismo.
« Io mi sono lasciata influenzare? E cosa mi dici di te? Ti sei lasciato condizionare da tuo padre che ti ha obbligato ad intraprendere questa vita scandalosa, dove tutto quello che fai viene messo a luce sotto ai riflettori! Cosa dovrei dire di te? Ti ho amata anche quando loro ti odiavano! Anche quando di notte non riuscivi a dormire e tutto quello che riuscivi a fare era piangere come un bambino! Sei un bastardo, Jackson! Pensavo fossi diverso, ma mi sbagliavo! Ed io lavoro ancora per te? Con che scopo? »
Le sue parole mi spiazzarono letteralmente.
Si era appena rivolta in quel modo alla persona che diceva di amare con tutta se stessa, all'uomo che le aveva salvato la vita e resa felice.
Aveva riportato alla luce una parte del suo passato che lui aveva da sempre odiato, non curandosene del fatto che esso avrebbe potuto ferirlo.
Ricambiare con la stessa moneta. Ecco cosa aveva appena fatto.
Lui aveva fatto soffrire lei, ed ora era il suo turno.
Michael strinse i pugni talmente forte che le sue nocche cominciarono a diventare bianche e subito temetti che potesse scoppiare.
Ella avanzò verso di lui, pronta ad oltrepassarlo per salire su per le scale, ma egli la bloccò, afferrandola per un polso.
L'attirò a sé e in un colpo solo, unì le sue labbra contro a quelle di lei, baciandola a stampo.
Spalancai gli occhi a quella scena e le mie gambe avevano cominciato a tremare.
Glenda e Michael.
Michael la stava baciando. La stava baciando davanti a me.
Trattenni violentemente il respiro e il mio stomaco avvertì un dolore lancinante al basso ventre.
I miei occhi si offuscarono a quella vista e tutto ciò a cui pensai in quel momento, fu scappare.
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