Capitolo 45

C A P I T O L O 45

Il suo corpo si staccò piano piano dal mio, fino a lasciarmi completamente spoglia di quel calore così familiare e protettivo.
Fece scivolare le sue mani lungo le mie braccia esili, soffermandosi sulle mani che andò ad afferrare dolcemente, massaggiandomi le nocche con estrema dolcezza.
Si abbassò leggermente con il busto, cercando di catturare il mio sguardo con il suo e, una volta riuscito, alzò una mano, asciugandomi le lacrime calde e salate che avevano cominciato lentamente a fermarsi.
Piangere davanti a lui non rientrava in quello che avevo pensato di fare, una volta ritornata a casa, ma nascondergli i miei sentimenti, mi risultava alquanto difficile.

« Non meriti tutto questo dolore, Kara » mormorò, accennandomi un leggero sorriso malinconico.

Abbassai la testa, annuendo, ma egli portò due dita sotto al mio mento per alzarmelo delicatamente.
Si guardò attorno e poi ritornò ad appoggiare la sua attenzione sulla mia bassa figura davanti alla sua alta e dalle spalle larghe.

« Se fossimo stati proprio soli, ti avrei baciata » parlò, continuando ad osservarmi con innocenza, accennando una leggera risata.

Il suono cristallino di essa mi attraversò le orecchie come una dolce e delicata melodia, arrivando dritta al mio cuore che aveva ripreso a battere velocemente.
Era incredibile come egli riuscisse a tirarmi fuori una parte di me che credevo aver perso per sempre.
L'aveva fatto sin dal primo momento in cui lo incontrai e nonostante il tempo passato, esso continuava a succedere.

« Perché non lo fai di nascosto? » enfatizzai, asciugandomi con il dorso della mano il viso umido, aiutata da lui che non aveva smesso.

Lui rise, alzando un sopracciglio.

« Di nascosto? Dici sul serio? » chiese.

Mi strinsi nelle spalle, assumendo un'aria del tutto innocente.
Bramavo le sue labbra sulle mie, ma non potevo rischiare soltanto perché il mio corpo lo desiderava.
Non volevo farlo rischiare.

« Stavo scherzando » replicai, roteando di poco gli occhi al cielo.

Lui continuò a fissarmi divertito, poi, senza preavviso cominciò a correre verso destra, trascinandomi dietro al suo corpo che sembrava andare controvento.
La sua rumorosa risata echeggiò per aria e il mio non tardò ad unirsi al suo, tanto contagiosa fosse.

« Dove stiamo andando? » esclamai dilettata, puntando di tanto in tanto lo sguardo per terra, attenta a non inciampare.

« Ti devo mostrare una cosa » rispose, alzando di poco la voce per sovrastare il rumore delle foglie che venivano calpestate dalle suole delle nostre scarpe.

Continuammo a correre lunga la distesa di verde cui ad illuminarla erano soltanto un paio di grandi lampioni accesi.
La leggera ebbrezza serale mi colpiva delicatamente il viso e il collo che aveva cominciato a ricoprirsi di piccoli brividi insistenti.
Michael strinse la presa attorno alla mia mano, voltandosi per sfoggiarmi un bellissimo sorriso che non riuscii ad evitare.
Ricambiai, percependo la temperatura del mio corpo aumentare, bruciando le mie goti che giurai si fossero velati di un roseo acceso.
Portai istintivamente una mano sulla mia fronte, chiudendo per brevi secondi gli occhi.
Provai una sensazione del tutto nuova, come se stessi volando libera lontano da tutto quel dolore che avevo sulle spalle da ormai troppi anni.
Le mie gambe si fecero sempre più leggere e veloci e quasi temetti di volare per davvero.
Aprii lentamente gli occhi, quasi contraria a ciò che stavo facendo, ma la mia attenzione cadde su un albero poco distante da noi e su cui vi era costruito un piccolo rifugio.
Una casa sull'albero.
I passi di Michael cominciarono a rallentare e con lui anche i miei, risentendo la sensazione dell'erba sotto alle suole delle mie comode scarpe.
Delle piccole lucine addobbavano tutto il soffitto e la piccola finestra da cui potevo scorgere soltanto poco di ciò che essa nascondeva realmente.
Continuando a camminare, mano nella mano, scorsi un grande lago che rifletteva la luce cristallina della luna, sfumandola quasi in un modo perfetto.
In realtà, tutto in quella casa era perfetto; compreso il proprietario che ora si era fermato, facendomi fare lo stesso.

« Come ti sembra? » mi domandò in un sussurro, continuando a guardare dinanzi a lui.

Mi osservai attorno, sentendomi protagonista di una di quelle tante favole romantiche, dove il principe portava la propria principessa in un posto sperduto, lontano dalla realtà dura che spesso ci veniva sbattuta in faccia senza pietà.
Un religioso silenzio regnava in quel posto alquanto irreale e nonostante cercassi di convincermi che non fosse tutto frutto della mia stupida fantasia, ero sempre dalla parte che prima o poi mi sarei dovuta svegliare da quel sogno spettacolare.

« Mi...Mi sembra così surreale... » mormorai.

Lui spostò la sua attenzione su di me, sorridendomi dolcemente.

« Surreale? Lo trovo anch'io, ma sappi che non è un sogno » sussurrò.

Ricambiai lo sguardo, scrutandolo nelle sue iridi scure contornate dalla matita nera, rendendo il suo sguardo ancora più espressivo nonché profondo.
Mi osservò con un'espressione del tutto diversa dal solito e le sue pupille color pece, vagavano per tutto il perimetro del mio esile corpo, spogliandomi del tutto con quel semplice sguardo attraente.
Portai una mano tremante sulla sua guancia, sfiorandogli la pelle perfetta con estrema lentezza, mentre egli chiuse gli occhi, godendosi di quel breve momento.
Rovesciò leggermente la testa all'indietro, scrollando di poco le spalle; poi si raddrizzò, socchiudendo le sue iridi scure che andarono ad incatenare le mie.

« Sei stanco? » gli domandai, mantenendo la voce bassa e pacata.

Egli mi accennò un leggero sorriso, scuotendo lievemente la testa.

« Sto bene » farfugliò, guardando altrove.

Afferrò dolcemente la mia mano che era ferma sulla sua guancia, abbassandola lentamente per tenerla stretta fra la sua morbida e calda.

« C'è una cosa che vorrei fare, in questo momento. Ma non qui » sussurrò.

Lo guardai interrogativa, inclinando la testa di lato.

« Di cosa stai parlando? » chiesi con una punta di curiosità.

Egli mi guardò, massaggiando leggermente la mia mano.

« Odio dovertelo dire. Perché non aspetti a guardare? »

Prima che potessi rispondere, egli aveva ripreso a camminare con passi leggeri e sicuri verso al grande albero addobbato.
La sua figura alta ed esile si muoveva sinuosa lungo il tratto di strada che ci conduceva verso alla nostra meta.
Più mi avvicinavo al tronco e più avvertivo delle piccole scosse al basso ventre.
Cosa stava succedendo?

« Ti sei mai arrampicata ad un albero? » domandò dilettato, dopo essersi fermato ed esaminato con soddisfazione il gigantesco fusto dinanzi a noi.

Portai il mio sguardo su di lui, spalancando gli occhi.

« Dobbiamo arrampicarci? » esclamai sbigottita.

Non l'avevo mai fatto prima d'ora in vita mia e ciò mi spaventava.
Perché ero sempre stata così goffa? Scommetto che lui lo poteva fare anche ad occhi chiusi.
Michael scoppiò in una risata, ricambiando il mio sguardo.

« Cosa ti aspettavi? Che Rapunzel ti calasse i suoi lunghi capelli? »

Gli mostrai una smorfia, sciogliendo la presa delle nostre mani per avanzare di un passo.

« Molto divertente. Riesco perfettamente a farcela da sola, senza il tuo aiuto » dissi.

Lo udii ridacchiare alle mie spalle e un innocente sorriso lasciò le mie labbra.

« Attenta a non cadere. Non vorrei sporcarmi le mani » enfatizzò canzonatorio.

« Certo, si prenda pure gioco di me, signor Jackson. Ma quando raggiungerò la cima del nostro amico, conterò i secondi che impiegherà lei ad arrivare » replicai.

Un alito caldo e di menta solleticò il mio orecchio sinistro e una voce roca e bassa parlare:
« Certo, chi arriva alla cima in minor tempo possibile, vince. »

La sua voce mi suonò competitiva, anche se dilettata al contempo.
Sapevo che lui amava le gare e quel genere di cose, ma non sapevo di essermi messa contro a qualcuno che per molti era imbattibile.
Molti compresa me.




« Un ultimo sforzo, Kara! »

Per tutto il tempo in cui mi arrampicavo, Michael non aveva fatto altro se non aiutarmi per poi ridere ad ogni mia azione goffa.
Mi sentivo leggermente in imbarazzo, imprecando mentalmente di non aver mai provato in vita mia ad arrampicarmi su un albero.
Ma perché mai avrei dovuto farlo?
Una volta raggiunta la cima, mi sistemai per bene sul grande e largo ramo quasi privo di piccoli insetti; solo alcune foglie quasi verdi avevano cominciato a spuntare da uno dei piccoli rami che fuoriuscivano da una parte all'altra.

« A quanto sono? » domandai, guardando in basso, nella direzione di Michael.

« Sette minuti e venti secondi » esclamò divertito.

Sgranai gli occhi mentre mi inchinavo in avanti con il busto, poggiando le mani ai bordi del robusto ramo.

« Cosa? Non ho preso così tanto tempo! » mi lamentai.

Lui fece le spallucce, continuando a ridacchiare.

« Tocca a me. Sei pronta? » domandò, avanzando di un passo, pronto a partire.

Feci un largo sorriso, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.

« Uno, due, tre... »

« Ehy! Non vale! » esclamò.

Risi, facendo le spallucce.

« Quattro, cinque, sei, sette... » continuai a contare, fingendo di non averlo ascoltato.

Lui cominciò ad arrampicarsi velocemente, mettendo i piedi nel posto giusto senza problemi.
Rimasi a fissarlo per il tempo restante in cui non avevo smesso a numerare i secondi.
I suoi movimenti erano leggeri e la velocità in cui si arrampicava erano simili a quelli di un felino, a dire la verità.
Che lo facesse spesso? O quasi tutti i giorni?
Più si avvicinava e più mi rendevo conto che scommettergli contro fu una brutta idea.
Lui cominciava a raggiungermi e lo spazio che ci separava era soltanto un metro.
Egli allungò i piedi verso ad un ramo quasi ricoperto di foglie e in un semplice salto lo raggiunse, sparendo del tutto in mezzo a quelle foglie.
Lo persi completamente di vista e subito temetti che fosse caduto.
Mi sporsi maggiormente in avanti, cercandolo ovunque con lo sguardo, muovendo la testa da destra a sinistra.

« Michael? » lo chiamai, smettendo di contare.

Udii un rumore alla mia sinistra e quando lo sguardo nella direzione da cui essa proveniva, sussultai per la sorpresa.
Michael mi aveva già raggiunto ed ora era fermo ad osservarmi con un ghigno strano sul volto e un braccio sollevato, a tenere un'altro ramo sopra al suo capo.

« Mi chiamava, signorina
Jones? » domandò con tono di voce ammaliante.

Boccheggiai lievemente, percependo le mie goti aumentare di temperatura.

« Dove...Non vale! Hai...Hai un passaggio segreto ma non mi hai detto nulla » esclamai, cercando di apparire seria.

Odiavo dover essere tradita dai miei stessi sentimenti, perché mi succedeva spesso, soprattutto quando mi ritrovavo in sua presenza.
Lui era il mio problema.
Egli ridacchiò, scuotendo il capo, poi cominciò ad avanzare in ginocchio verso alla mia figura, reggendosi con le mani per non cadere.

« Se te l'avrei detto, dove sarebbe stato il divertimento di vedere il tuo bel visino dopo aver perso? » domandò.

Ridacchiai leggermente nervosa, scompigliandomi i capelli.

« Dovresti smetterla di prendermi in g- »

Michael fece un lungo passo, raggiungendomi subito.
Andai dietro con il busto, reggendomi velocemente con i gomiti, guardandolo con occhi spalancati.
La sua figura alta ora era sopra di me.
Poggiò le mani ai lati del mio corpo che aveva ormai cominciato a tremare.
La sua azzardata vicinanza aveva scatenato in me un violento brivido che percorse tutto il mio corpo in modo inesorabile.
Il suo dolce profumo invasero le mie piccole narici e i suoi occhi, incatenati nei miei, scrutava ogni perimetro del mio viso, soffermandosi sulle labbra.
Sollevò una mano, sfiorando il mio viso con le sue lunghe dita affusolate, afferrando una ciocca ribelle per portarla dietro al mio orecchio.

« Tu dovresti imparare a tacere, qualche volta » sussurrò.

Sussultai di poco, stringendomi nelle spalle.
Tacere. Avevo per caso detto qualcosa di sbagliato?

« Ma io- »

« Ssh, Kara. La prima volta in cui ti ho incontrata avevo subito pensato che qualcuno avrebbe dovuto zittirti. Ma mai avevo pensato che quella persona sarei stata io » mormorò.

Mi schiarii la voce, sentendo il familiare formichilio al basso ventre.
Cosa stava facendo? Aveva intenzione di giocare? E cos'era ciò che voleva mostrarmi?
Il suo alito di fresco e che sapeva di menta mi accarezzò le labbra, inebriando i miei sensi in una maniera disarmante.
Chiusi gli occhi, godendomi di quella dolce blandizia per poi respirare profondamente.
Le sue mani avevano cominciato a vagare per tutto il mio corpo, facendo scorrere in modo lascivo le sue dita che sembravano essere state fatte apposta per quello.
Inclinò la testa di lato, avvicinandosi al mio collo bollente, inspirando il mio profumo lentamente, fermandosi con le mani sui miei fianchi esili, stringendoli appena.
Aprii gli occhi e subito mi sentii svenire e per non mancare, mi aggrappai velocemente alle sue larghe spalle coperte da una bellissima giacca scura.
Egli alzò un sopracciglio, facendomi arrossire.
Non volevo sembrare goffa, per niente.
Lui mi aveva semplicemente stordita.
Fece scivolare le sue mani lungo i miei fianchi, arrivando a alle mie natiche che strinse, sollevandomi di poco per spingermi all'indietro in un colpo solo, facendomi adagiare sopra ad una superficie morbida e piena di cuscini.
Mi meravigliai di quanta forza abbia, nonostante fossimo seduti ed egli non tardò a raggiungermi, bloccandomi con il suo busto quando cercai di sollevarmi.
Il suo viso era a pochi centimetri di distanza dal mio e le sue mani erano affondate in uno dei tanti cuscini colorati.

« Se ti farò vedere una cosa, prometti che non scapperai
via? » mi chiese, cambiando del tutto espressione.

Una cosa.
Ricambiai lo sguardo, aggrottando di poco le sopracciglia.

« Certo...Ma va tutto bene? » domandai a mia volta, guardandolo per bene in viso.

Egli sospirò leggermente, poggiando la sua fronte contro la mia.

« Quindi me lo prometti? » replicò, ignorando del tutto la mia domanda.

Annuii, scostandogli dal viso un ciuffo ribelle, osservandolo negli occhi.

« Te lo prometto, Michael » mormorai.

Egli mi lasciò un casto bacio all'angolo delle labbra, spostandole infine verso al mio orecchio.

« Chiudi gli occhi » sussurrò.

Gemetti leggermente alla sua voce ammaliante, cercando di soffocarlo ma con tentativi invani.
Chiusi gli occhi ed egli si allontanò dal mio corpo, privandomi della protezione che sempre percepivo quando mi trovavo al suo fianco.
Udii dei strani e bassi rumori, poi la sua voce incitarmi ad aprire le mie iridi.
Le socchiusi e intravidi Michael di fronte a me, con il petto nudo, privo dei suoi indumenti.
Solo i suoi pantaloni gli coprivano la parte bassa del suo busto, accompagnato dalle scarpe che non si era ancora sfilate.
La luce fioca della luna bastò ad illuminarmi il suo torace scolpito dai muscoli e il suo addome contratto. Le sue braccia leggermente forti erano segnate da due piccole vene che percorrevano le sue arte superiori, scomparendo verso al polso.
Mancai un battito a quella vista vistosa.
Ma poi la mia attenzione ricadde su una piccola macchiolina presente sul suo addome, seguito da un'altra e poi da un'altra ancora.

« Puoi dire di me tutto quello che vuoi, Kara. Ma ti prego, aspetta prima di giudicarmi » parlò con voce tremante.

La sua espressione si fece malinconica e le sue iridi scure erano velate da un luccichio tedio.

Mi sollevai con il busto, allungando una mano per sfiorare dolcemente la chiazza sul suo addome.
I miei occhi vagavano per tutto il suo busto, soffermandosi su sul suo volto oscurato.

« Cosa sono..? » chiesi pacamente.

Lui sospirò, esitando prima di rispondere: « Soffro di una malattia alla pelle; la vitiligine. A causa di questa patologia, molte persone mi chiamano con nomi orribili. Ma non l'ho voluto io, lo sai. È una cosa che è capitato tutto ad un tratto e non sono nemmeno riuscito ad adattarmi a questo 'nuovo me'. Kara, ti prego, non giudicarmi e non scappare via da me. Ti prego. Non lasciarmi di nuovo da
solo. »

Il solito fastidioso groppo non tardò a farsi spazio nella mia gola.
I miei occhi si fecero immediatamente lucidi, nel momento in cui egli abbassò lo sguardo.
Non lasciarmi di nuovo da solo.
Questa volta mi alzai del tutto, avvicinandomi con le ginocchia verso alla sua figura.
Poggiai una mano sul suo petto, percependo il battito accelerato del suo cuore e quando gli sfiorai il braccio, mi accorsi che tremava.
Tirò su col naso e in quel momento realizzai che stesse piangendo in silenzio.

« Michael... » gli sussurrai.

A quel punto egli scoppiò in un pianto liberatorio, poggiando la fronte sulla mia spalla.
Mi avvicinai maggiormente al suo corpo, facendolo combaciare contro al mio, stringendolo in un dolce e sincero abbraccio.

« Michael, non piangere, ti prego. Potranno dire tutto quello che vorranno su di te, ma non avranno mai il potere di cambiare ciò che penso io di te, sappilo » dissi.

Egli singhiozzava, stringendosi a me come un bambino spaventato.
Lo allontanai piano da me, portando le mani sulle sue larghe spalle, cercando di catturare il suo sguardo con il mio.
Gli asciugai le lacrime, stampandogli un casto bacio sulla fronte.

« Questo non cambierà nulla, ed io ti starò accanto per sempre. Non ti lascerò da solo e non ti giudicherò, anzi, ti amerò per quello che sei » sussurrai.

« Anche se sono così brutto? » domandò.

« Sei bellissimo, Michael. Non ho mai smesso di pensarlo, sin dal primo giorno in cui ti ho incontrato » replicai.

Egli mi guardò, ed io gli poggiai le mani sulle guance, accarezzandogliele con dolcezza.

«Chiudi gli occhi » dissi.

Fece come gli ordinai e li chiuse, tenendo le braccia lungo i fianchi.
Gli lasciai un casto bacio sulle labbra, scendendo poi sul collo dove tracciai con esse, il percorso di una piccola vena alzata per poi scendere giù sul petto, soffermandomi di più sulle chiazze.
Egli sospirò, gemendo piano e in quel momento mi sentii arrossire.
Non avevo mai fatto una cosa del genere con un uomo, mai prima d'ora.

« Kara » biascicò.

Scesi più in basso, nel suo addome e lì percepii la temperatura del suo corpo aumentare.
Portai due mani sui suoi fianchi, staccandomi lentamente da quel contatto a dir poco seduttivo ma sincero.
Lo amavo nonostante molti lo definissero diverso e lo avrei fatto fino alla fine.
Lo guardai e lui guardò me, aprendo lentamente gli occhi; mi osservò per una manciata di secondi che parevano un'infinità, poi in una mossa veloce mi afferrò per i fianchi, attirandomi al suo corpo per baciarmi di scatto, cogliendomi del tutto di sorpresa.
Inclinò la testa da un lato, per poter accedere perfettamente nella mia bocca e fece entrare in gioco pure la lingua che subito incontrò la mia, cominciando a danzare in un ballo passionale.
Chiusi gli occhi, circondandogli il collo con le braccia ed egli mi fece sdraiare sul piccolo materasso dietro di me, insinuandosi in mezzo alle mie gambe.
Affondò il suo viso nell'incavo del mio collo e cominciò lasciarci dei languidi baci, soffermandosi su un punto qualsiasi, cominciando a tirare e mordere piano con i denti.
Inarcai la schiena pervasa dal piacere che egli era in grado di regalarmi, mentre facevo scivolare le mie mani per tutta la sua spalla nuda, arrivando alla schiena.
Quella notte non facemmo l'amore e nulla di male, anzi ci eravamo per tutto il tempo scambiate coccole e baci.
Avevo avuto una pessima giornata, forse una delle più brutte nella mia caotica vita.
Avevo scoperto che mia sorella non era più la stessa, dopotutto e che tutte le stupide immaginazioni che mi ero creata sul suo conto, si erano rivelate del tutto diverse.
Poi, la persona che tanto ammiravo, si era smascherato, mostrandomi un'altra parte dolorosa della sua frenetica vita.
Si era aperto con me in un modo quasi innocente, mostrandomi il lato che più odiava in lui.
Mi aveva parlato della sua infanzia con il terrore in faccia e mi aveva raccontato di come Joseph, suo padre, lo aveva quasi forzato ad intraprendere quella carriera, cogliendo il proprio figlio con un talento per lui grandioso.
Aveva aperto un argomento che riguardasse i bambini e le visite fatte in ospedale quando si spostava per esibirsi in paesi diversi, rivelandomi uno dei suoi più grandi desideri: diventare padre.
"Non c'è cosa più bella, se non sentirsi chiamare papà. I bambini sono un dono fatto dal cielo e non si può non volerne uno" diceva.
Ed io lo avevo ascoltato per tutto il tempo, con la testa appoggiata sul suo petto ed una sua mano tra i miei capelli, intento ad accarezzarli, regalandomi di tanto in tanto dei casti baci sulla testa.
"Janet" - disse - "Janet ed io ci assomigliamo molto. Siamo due gocce d'acqua compatibili. Adoro giocare con lei, ma da quando si è sposata ed è andata via di casa, mi sono sentito molto solo".
E nel mentre parlava, una risata malinconica lasciò le sue labbra.
Avevo sospirato, stringendomi a lui mentre la mia mente aveva fatto un salto nel passato.
Il mio mancato passato.
Avevo avuto anch'io una sorella, e per tutto quel tempo avevo pensato che mi amasse, che se ne fosse andata via di casa per intraprendere una vita nuova, felice.
Ma da quella visita, avevo avuto la conferma che lei soffriva e anche più di me.
E nonostante fosse talmente cambiata, per me lei era rimasta la Jane di un tempo. Era rimasta la sorella protettiva e generosa.
L'esempio che avrei voluto tanto seguire, malgrado il lasso di tempo che ci aveva divise.
Per me era ancora lei.
E l'avrei riportata a casa, a costo di perderla.
Non smettere di combattere per ciò che ami, Kara.

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