Capitolo 44

C A P I T O L O 44

Jane mi afferrò violentemente per il polso, camminando verso alla porta con passi spediti, mentre io, quasi barcollando per essere stata colta in pieno, cercai di stare al suo stesso passo.
La spalancò, trascinandomi fuori con quasi tutta la forza che aveva, nonostante cercassi di oppormi.

« Jane, Jane ti prego! Non voglio lasciarti di nuovo! Jane! » esclamavo.

« Dovresti smetterla di comportarti da bambina! Sei nel posto sbagliato » urlava furiosa.

La sua presa era talmente forte che potei percepire perfettamente il mio polso bruciare sotto alla sua presa aggressiva.

« Mamma e papà chiedono di te, Jane. Ti prego, ascoltami! » continuavo a supplicarla, cercando invano di aggrapparmi con l'altra mano libera, alle pareti nere, ferendomi le dita.

Attraversammo il lungo corridoio in quello stato e più andavamo avanti, più erano le persone che uscivano dalle proprie camere ad assistere la scena per loro indifferente, ma che per me era straziante.
Non volevo allontanarmi di nuovo da lei. Volevo riprendermela, ma lei sembrava non volersi fermare.
Dov'era la Jane dolce e premurosa di un tempo?
Le grandi porte del locale si aprirono ed ella si bloccò immediatamente quando scorse la figura alta e robusta di un uomo fare ingresso.
Indossava un costoso ed elegante completo nero, da cui potevo scorgere una camicia bianca sbottonata ai primi due bottoni.
In mano teneva un sigaro acceso, e nonostante non ci fosse sole fuori, egli indossava un paio di occhiali dalle lenti scure.
I suoi capelli, neri come la pece, erano stati tirati all'insù con del gel e pettinati con estrema cura, e al suo orecchio destro, una fila di anelli in metallo percorrevano tutto il suo lobo fino alla punta di esso.
Mi spaventai notevolmente quando egli si fermò dinanzi a noi.
Jane dovette alzare la testa per poterlo osservare negli occhi e tutte le altre ragazze, compresa la prima che mi aveva accolta, fecero un passo indietro, cominciando a tremare come foglioline scosse da un impetuoso vento.
Cosa stava succedendo?

« Bene. Vedo che Brown si è decisa di uscire dalla sua stanza » parlò, inchinandosi leggermente in avanti con il busto.

Mia sorella arretrò di un passo, avvicinandosi a me con fare protettiva.

« Mi sto preparando per i nostri clienti » rispose.

Aveva cercato di acquisire un'espressione seria e decisa, ma potevo perfettamente percepire il tremolio della sua mano stretta attorno al mio polso.
L'uomo mi guardò, accennando un sorriso beffardo.

« E questa bellezza? Da dove proviene? » chiese.

Cercò di allungare una mano per sfiorare il mio viso, ma Jane lo bloccò, piazzandosi davanti a me.

« La ragazza ha sbagliato locale. Se ne sta andando » disse acida.

Lui la guardò e un ghigno alquanto strano e che non seppi decifrare gli si formò sul volto.

« Peccato. In due sarebbe stato molto più divertente » sussurrò.

Accennai una smorfia di disgusto a quelle parole.
Che razza di uomo era quello?

« La sto accompagnando all'uscita. »

« Certo. Fai con calma e raggiungimi nella tua stanza una volta fatto. Devo farti capire chi comanda qui » disse, ricomponendosi.

Spalancai gli occhi, incredula da ciò che udii pochi secondi fa.
Avevo paura che facesse del male a mia sorella; non volevo che per colpa mia abbia una punizione.

« Sono stata io ad entrare qui. La signorina Brown non c'entra » dissi, seria in viso.

Signorina Brown.
Mi suonò strano e finto pronunciare un cognome che neanche le apparteneva.
Lei era Jones. Jane Jones.
Il tipo dalla corporatura robusta mi scrutò attentamente; uno strano sorriso aleggiava sulle sue labbra leggermente screpolate.
Se le inumidì e aggiustandosi gli occhiali sul naso, si sistemò la giacca scura.

« Esci subito. Adesso » disse, scandendo parola per parola.

Guardai Jane ancora scossa, ma lei non mi degnò nemmeno di uno sguardo.
Continuava a fissare il pavimento, sciogliendo la presa al mio polso.
Non volevo andarmene, dividermi nuovamente dalla donna che avevo sempre amato, perché non sapevo nemmeno cosa egli le avrebbe fatto.
Da quanto tempo lavorava lì?
Mi strinsi nelle spalle, restando immobile.

« Allora?! Non capisci? Esci! » urlò.

Sussultai bruscamente, cominciando a tremare come una fogliolina.
Ma la felicità di aver rivisto mia sorella, dopo tanti anni, era maggiore rispetto alla paura che provai in quel momento.
Jane si voltò verso di me, serrando la mascella.

« Non hai sentito? Esci da qui. Vai via » esclamò a bassa voce, quasi volesse sussurrarmelo.

La guardai per bene negli occhi, notando il terrore e la preparazione dipinta su di essi.
Avevo da sempre amato le sue iridi, e avevo da sempre passato ore ad osservarli, innocenti e belli com'erano; ma in quel momento, dopo ad un lasso di tempo non contato, potevo dire di vedere un'altra donna.
Non la mia Jane.
Sollevai una mano per poterle sfiorare il viso.
La sua candida pelle andò a contatto con la mia e una sensazione strana di scaturò dentro di me.
Ella chiuse per brevi secondi gli occhi, godendosi di quel piccolo momento intimo.
Quanto mi era mancata?
Cominciai a piangere in silenzio singhiozzando come una bambina.

« Mi dispiace » sussuraii.

La oltrepassai con passi spediti, correndo fuori dall'edificio.
Spalancai la grande porta di vetro, e subito l'aria fredda colpì il mio pieno viso.
Non mi accorsi nemmeno del buio che era calato e soltanto alcuni grandi lampioni illuminavano le stradine quasi prive di persone.
Jane. Avevo appena rivisto mia sorella? Sì, lo avevo appena fatto. Jane. Jane Jones. La mia Jane. Mia sorella.






« Dovresti smetterla di comportarti da bambina. Sei nel posto sbagliato. »

« Esci da qui. Vai via! »

Era ormai da tempo che camminavo per la stradina che conduceva alla lussuosa villa di Jackson e persa nei miei pensieri non mi ero neanche accorta di aver varcato i cancelli che si aprirono senza che citofonassi.

« Kara! Santo cielo! Dov'eri finita? »

Alzai lo sguardo e notai Karen, la truccatrice di Jackson corrermi incontro con sguardo preoccupato.
Glenda si era fermata sotto la soglia d'entrata, osservandomi attentamente con le braccia lungo i fianchi.

« Karen. Scusami io... Io ero
fuori » mormorai, accennandole un leggero sorriso.

Ella spalancò di poco gli occhi, alzando un dito per indicarmi.

« Hai pianto? » domandò, quasi allarmata.

Scorsi Michael uscire dalla porta principale, mentre si indossava la giacca nera e corta che adoravo tanto.
Scese quasi correndo le piccole scale, fissandomi con uno sguardo serio.
I suoi occhi color pece brillarono sotto alla luce dei lampioni accesi, mentre camminava veloce verso di me.
Cercai di ignorarlo e concentrarmi su Karen che mi aveva posto una domanda, ma non volevo nemmeno risponderle.
Cosa le avrei detto? Che avevo incontrato mia sorella?

« Io no- »

Michael mi raggiunse in fretta, afferrandomi per una mano e strattonandomi mi trascinò dietro di lui verso al grande giardino posteriore della dimora.
Spalancai gli occhi dalla sorpresa, seguendolo quasi correndo.
Perché mi trattavano tutti in quel modo?

« Michael, io d-. »

« Stai in silenzio Kara! » esclamò.

Cercai di sciogliere la presa, ma egli era deciso a non mollare.

« Michael! » lo chiamò Glenda, scendendo le scale per raggiungerci, ma lui la bloccò.

« Non adesso! »

Continuò a camminare velocemente, oltrepassandola e si diresse dall'altra parte del giardino, lasciando le due donne alle nostre spalle.

« Potresti dirmi che ti prende? » chiesi, sentendo il familiare groppo formarsi nuovamente nella gola.

Lui si fermò, trascinandomi di poco in avanti per poi lasciare la presa.
Barcollai leggermente, perdendo di poco l'equilibrio, ma alla fine mi trovai in piedi davanti a lui.
La sua alta figura sovrastava la mia e solo allora mi accorsi che indossava gli stessi indumenti di stamattina.
Che fosse arrivato anche lui adesso?

« Dov'eri? » mi domandò, fissandomi serio.

Persi un battito alla vista dei suoi bellissimi occhi.
Ne ero uscita pazza fin dal primo momento in cui li incontrai.

« Ero...Ero uscita per cambiare aria » risposi.

« Cambiare aria? Quanto tempo ti ci è voluto? »

Per caso non potevo uscire?

« Erano soltanto per un paio di ore. Non troppe, direi » dissi.

Lui rise nervoso, passandosi la lingua sul labbro inferiore.

« Sai a che ora sono? » domandò, portando entrambe le mani sui fianchi.

Scossi la testa, negando. Avevo perso completamente la cognizione del tempo, dopo all'accaduto.
Lui sollevò di poco la manica della sua giacca e della sua camicia, cercando con le dita l'orologio da polso che portava e, dopo averci lanciato un'occhiata, me lo mostrò.
Undici e mezza.
Sgranai gli occhi, trattenendo per brevi secondi il respiro.

« Cosa? Io...Io pensavo fosse ancora presto...Davvero, scusa- »

« Le tue scuse sono l'ultima cosa che voglio udire, Kara! Sei uscita completamente di testa?! Sai che passeggiare da sola in questo buio è pericoloso? » urlò.

Era la prima volta che lo vedevo in quello stato e ciò mi fece spaventare.
Ma passeggiare non era affatto pericoloso. C'erano donne che facevano lavori più pericolosi del passeggiare da soli nel buio.
Jane. Night club.

« Sono ritornata a casa sana e salva, no? Cosa c'è di più importante? » domandai, cominciando ad avere la vista offuscata.

Lui fece un passo in avanti, cambiando del tutto espressione.
Da cupo ed arrabbiato si era fatto più serio e preoccupato.

« Cos'hai? » mormorò.

« Non ho niente! » esclamai, tirando su col naso.

Egli fece un'altro passo in avanti, allungando le mani per sfiorarmi il viso, ma mi scansai, spingendolo per il busto.

« Dovresti smetterla di trattarmi come una bambina, Michael! Se sei arrabbiato per ciò che è successo con Glenda, dovresti risolvere la questione con lei e non lasciare che la tua ex se la prenda con me senza un motivo! Dovresti essere più responsabile delle tue azioni, hai sentito?! » urlacchiai.

Lui mi guardò confuso, seguendo ogni mio gesto con le mani.

« È per questo che piangi? Per Glenda? » domandò.

« No! Sto piangendo per tante cose, Michael. Ma Dio, forse non capiresti mai e mi daresti della bambina, ma non mi interessa. Sono stanca di tutto questo e l'unica cosa che vorrei fare in questo momento è lasciare tutto e scappare. Mio padre che si ammala, dei genitori lontani, Glenda che ce l'ha con me, la mia relazione segreta con te, i bambini che ho dovuto lasciare ad Angie ed ora vengo a scoprire che mia sorella è una
prostituta? » sbraitai.

Michael spalancò gli occhi, restando immobile.

« Cosa..? Tu...Kara tu... » balbettò, incredulo.

Gli sorrisi in modo sarcastica, asciugandomi le lacrime che continuavano a scendere copiose.

« Sì. È così, Michael. Ho rivisto mia sorella dopo tantissimi anni a cercarla. Non sapevo che ce l'avevo proprio vicina a me. Non mi è mai passata per la testa che potesse lavorare in un night club perché non me la sono mai immaginata! Jane Jones, o come dovrei dire, Jessica Brown. Ha avuto anche il coraggio di cambiare nome! Dio! Io sto impazzendo, Michael! » sbottai, voltandomi per camminare avanti ed indietro, mentre mi portavo due dita alle tempie.

Percepii la temperatura del mio corpo aumentare notevolmente e le mie gambe avevano cominciato a tremare per un motivo a me sconosciuto.

« Ma questo non cambierà nulla, Kara. Se non ha voluto parlarti, non è colpa tua. Lo sai benissimo pure tu » parlò.

Mi voltai verso di lui a guardarlo.

« Sì invece! È colpa mia! Avrei dovuto andare in quel posto già tanto tempo fa! Le avrei impedito di scegliere quella strada! »

« No, Kara. Puoi darti tutte le colpe che vuoi, ma se lei è in quel posto è perché c'è un motivo. Ha bisogno di aiuto, ma tu non lo sapevi per il semplice fatto che non sei mai riuscita a trovarla. Ma ora che l'hai fatto, sai da dove cominciare, tesoro » replicò, cercando di apparire serio e sicuro.

Ma fallì miseramente quando mi accorsi dei suoi occhi leggermente lucidi.

« Io sono stanca di tutto questo, Michael. Questa non era la vita che mi aspettavo. La vita che sognavo! Cosa ne sarà domani dei miei genitori se mi dovesse capi- »

Non riuscii a terminare la frase, e già Michael era corso nella mia direzione, abbracciandomi di scatto.
Portò una mano sulla mia testa, affondandolo nei capelli e l'altra andò ad appoggiarla sulla mia schiena, attirandomi maggiormente al suo corpo.
Il mio petto toccò il suo e il suo viso non tardò ad affondare nell'incavo del mio collo, respirando a pieni polmoni.
Rimasi immobile, avvertendo il battito del suo cuore accelerato, correre insieme al mio come due cavalli in fuga.

« Mi dispiace, piccola. Non sai quanto mi dispiaccia » sussurrò.

Ripresi a piangere in silenzio, sentendomi finalmente fra braccia protettive.
Un senso di tranquillità si espanse nel mio basso ventre, quando egli cominciò a massaggiarmi dolcemente e lentamente la schiena, compiendo movimenti circolari e decisi.
Portai entrambe le mani tremanti attorno al suo addome, stringendomelo contro, mentre sprofondai di più il mio viso contro al tessuto della sua giacca.

« Non mi importa quanto tempo ci vorrà. Non mi interessa cosa ci succederà in futuro oppure domani, Kara. Non mi importa niente di tutto questo. Ci siamo incontrati per un motivo valido e ci siamo conosciuti per la stessa ragione. Quindi, se ci vorrà un mese, due o anche tre anni per aiutare tua sorella, sappi che per tutto il tempo in cui aiuterai la tua famiglia, io ti sarò sempre accanto. Anche quando non lo vorrai o quando ci saranno altre persone ad opporsi. Perché in realtà non mi importa più niente da quando ti ho conosciuta. Non mi importa più niente, se non quello di renderti felice e starti per sempre vicino. La affronteremo insieme, mano nella mano e se cadrai tu, cadrò anch'io e poi ci rialzeremo insieme. Se trionferai, lo stesso varrà anche per me, Kara. Quindi, smettila di dire che è tutta colpa tua, ti prego » disse.

Il suo alito caldo solleticò la pelle del mio collo che si ricoprirono di piccoli brividi.
Le sue mani e la sua presa si fecero sempre più strette attorno al mio corpo ed io mi avvicinai ancora di più a lui, facendo combaciare in un modo possessivo il mio petto contro al suo.
Annuii, restando in silenzio, mentre singhiozzavo silenziosa.
Egli depositò un lascivo e dolce bacio sulla mia pelle e al contatto delle sue labbra umide su di esso, percepii una strana sensazione al basso ventre.
Chiusi gli occhi esausta, abbandonandomi fra le braccia dell'unica persona che in quel momento mi era accanto.
Nessuno mi aveva mai parlato in quel modo fino ad ora.
Nessuno tranne lui. Il mio eroe.

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