Capitolo 43
C A P I T O L O 43
Era da molto tempo che non mi sentivo così libera, a dir la verità.
Passeggiavo tranquilla lungo le strade della grande ed amata California, ormai affollate di persone e famiglie intente a trascorrere la loro domenica in compagnia di amici e parenti.
Il sole quel giorno non splendeva alto nel cielo, anzi, sembrava volesse nascondersi dietro a quelle grandi nubi bianche.
Avevo deciso di cambiare aria, uscire un po' e dedicarmi a ciò che mi piaceva fare nel mio tempo libero; ovvero passeggiare in cerca di qualcosa di interessante da comprare.
Glenda si era rifiutata di venire con me, anche dopo al mio secondo invito e ciò mi fece pensare che non avesse tanta voglia di uscire quella mattina, dato la pesante litigata con Michael che era uscito subito dopo per poi non rientrare più.
Erano già le tre del pomeriggio passate e avevo da poco pranzato con una piccola fetta di pizza e una piccola bottiglia di coca cola che avevo comprato in un chiosco poco distante dal panificio.
Mi sarebbe tanto piaciuto spendere la mia giornata in compagnia di qualcuno, ma quel giorno nessuno sembrava essere di buon umore per uscire e ciò mi rese alquanto triste.
Mi alzai dalla lunga panchina in legno che avevo condiviso con una donna e la sua bambina di circa sette anni, stiracchiandomi di poco per poi sistemarmi la giacca a vento che indossai.
« Mamma, perché le persone sono cattive? »
Alzai lo sguardo, incrociando il corpicino esile della bambina ora in piedi davanti alla madre.
I suoi lunghi capelli biondi erano legati in una treccia a lisca di pesce e i suoi grandi occhioni grigi scrutavano quelli di sua madre, anch'essi chiari.
La giovane donna, seppur con alcune borse sotto agli occhi, le sorrise lievemente, poggiando entrambe le mani sui suoi fianchi stretti.
« Perché me lo stai chiedendo? » domandò dolcemente.
La bambina fece le spallucce, cominciando a giocherellare con il proprio vestito; un bellissimo abito floreale.
« Perché a scuola mi chiamano sempre la 'senza papà' » rispose.
Ella la osservò per un paio di secondi, assumendo un'espressione del tutto diversa.
Era cambiata radicalmente, passando da una giovane donna spensierata, ad una triste e cupa in viso.
« Chi sono a dirtelo? Dimmelo, Anna » disse, con la voce leggermente tremante.
La piccolina scosse la testa, negando.
Si strinse nelle spalle, diventando seria.
« Mi faranno male, se te lo dico » sussurrò.
La madre si alzò di scatto, facendo sussultare la figlia che fece un passo all'indietro.
Afferrò violentemente il suo zaino rosa, la sua giacca e la prese per mano, guardandola prima negli occhi.
« Ora andremo a parlarne con la preside. Sono stufa di sentirti sempre dire che hai paura di loro. Non lascerò che ti facciano questo » sbraitò seria, quasi urlando.
Cominciò a camminare velocemente e la piccola, per stare ai suoi passi, dovette correre leggermente.
La guardai per poco, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio, mentre ella si allontanava sempre di più, fino a scomparire.
Sospirai piano, con lo sguardo malinconico e le braccia cadenti lungo i fianchi.
Come si poteva prendere in giro una bambina?
Questo mondo stava andando in rovina e nessuno si smuoveva dal proprio posto per cercare di cambiarlo.
Poche persone lo facevano. Ed una di quelle era la madre della bambina.
Mi guardai attorno, cercando di pensare a dove sarei potuta andare in quel momento.
Avevo già passato abbastanza tempo fuori e il clima aveva cominciato a calare notevolmente.
Faceva più freddo ora e il vento aveva cominciato a soffiare insistente, scompigliandomi quasi sempre i capelli.
Estrassi dalla borsa il mio cappello nero, indossandomelo subito dopo.
Mi specchiai contro alla vetrata del panificio davanti a me, mettendo a posto alcuni ciuffi ribelli che andai a depositare dietro all'orecchio e sotto al cappello.
« Dove posso andare adesso? » mi domandai fra me e me.
Non conoscevo per niente quella città e non ero nemmeno uscita molte volte, da quando avevo cominciato a lavorare per Jackson.
Mi sentivo come un pesce fuor d'acqua, in quel momento.
Lanciai un'occhiata al mio orologio da polso che segnavano le tre e quarantacinque e mi meravigliai subito di quanto tempo passai fuori da quelle quattro mura ormai per me divenute soffocanti.
Esattamente quattro ore di piena libertà.
Ma Glenda? Come si sentiva ora? E Michael era rientrato?
Estrassi il cellulare, digitando il suo nome nella rubrica e quando il suo numero mi apparve, ci cliccai sopra, portando infine l'oggetto al mio orecchio.
Spostai il peso del mio corpo sull'altra gamba, cominciando a picchiettare leggermente sull'asfalto con le mie scarpe da ginnastica quasi consumate dal tempo.
Uno squillo. Il secondo e poi il terzo.
« Qui risponde la segreteria telefonica di- .»
Chiusi la chiamata con il broncio, sbuffando leggermente.
E se fosse ritornato a casa e stesse con Glenda?
Dopotutto erano soltanto in due.
La mia mente si catapultò letteralmente da un'altra parte e solo in quel momento cominciai a maledirmi per i pensieri poco intelligente e poco carini che mi stavo facendo su Jackson e Glenda.
Non ero affatto gelosa, anzi, avevo da sempre avuto paura che egli un giorno si potesse stancare di me e ritornare con la ragazza che i suoi genitori le avevano fatto spezzargli il cuore, dopotutto.
Scossi ripetutamente la testa e al solo modo di farlo, attirai l'attenzione di una coppia seduta poco distante da me, intente a sorseggiare una bibita fresca con delle cannucce colorate.
Mi rivolsero un'occhiata interrogativa, inarcando un sopracciglio mentre portavano in bocca i calami.
Sorrisi appena, quasi imbarazzata dalla mia figura poco dignitoso, poi voltai il mio corpo completamente verso sinistra, cominciando a camminare di fretta verso ad una meta a me sconosciuta.
Percorsi un tratto di strada a me sconosciuto, spinta dalla fila di negozi da cui vetrine erano esposte gioiello e bijoux di vario genere.
Mi soffermai davanti ad una di esse, catturata da un bellissimo bracciale maschile in metallo.
Era molto semplice a dire la verità, ma era ugualmente elegante.
Non aveva decorazioni speciali né elaborati; l'unica cosa di cui disponeva era soltanto una piccola e corta frase al centro: "try to be a rainbow in someone's cloud".
Rilessi la frase un'altra volta, inclinando leggermente la testa di lato per permettermi di scorrere su ogni singola lettera senza problemi.
« Posso aiutarla? »
Una voce maschile proprio di fianco a me mi fece sussultare, obbligandomi a voltare lo sguardo nella direzione da cui essa proveniva.
Un uomo sulla cinquantina era in piedi proprio davanti alla mia figura.
Le sue labbra erano incurvate in un gentile sorriso e i suoi occhi scuri erano velati leggermente dalle lenti di un paio di occhiali che teneva perfettamente sulla punta del naso.
I suoi capelli quasi del tutto bianchi e dal taglio classico, sembravano essere stati pettinati con cura e tirati lievemente all'indietro.
Indossava una semplice maglia bianca e blu, incastrata dentro a dei pantaloni marroni chiari e larghi.
Non era molto alto e da quello che dedussi, non era un amante dello sport.
« La ringrazio, ma stavo solo dando un'occhiata » replicai con tono gentile, accennandogli un sorriso.
Egli abbassò leggermente il capo per potermi osservare meglio negli occhi.
Poi avanzò verso di me, allungando una mano per indicare con l'indice il bracciale esposta in vetrina.
« Stava guardando quello? » domandò.
Seguii il suo dito, annuendo infine.
« È molto bello » ammisi.
Lui ridacchiò, scuotendo lievemente il capo.
« Molti clienti vengono qui per questo. Mi ha recato molta fortuna, a dire il vero » disse.
Sorrisi, aggiustandomi per bene la borsa sulle spalle.
« Vuole fare un giro all'interno? Sono sicura che non sarà soltanto quello ad attirare la sua attenzione » mi propose.
Lo guardai per brevi secondi, ed infine, dato che non avevo altro da fare, decisi di accettare.
« Certo. Sarei ben lieta di accontentarla. La ringrazio » replicai con un sorriso.
La sua espressione si fece più allegra e, dopo avermi stretto la mano, mi fece strada verso all'interno.
Salii un piccolo gradino e una volta dentro, mi meravigliai della bellezza di quella gioielleria che seppur piccola, emanava una bellissima luce limpida e chiara.
Non ero solita entrare in un posto di quel genere, anche perché non ne avevo mai avuto l'occasione.
Mi guardai attorno, percependo un semplice calore invitante solleticarmi il collo.
Non era un grandissimo edificio, anzi, era talmente piccolo che ci sarebbero potuti stare soltanto sette persone.
Tutti i gioielli erano disposti accuratamente in un fila lunga è sistemata quasi in un modo maniacale.
I prezzi variavano dai più alti, ai più bassi.
« Cosa ne pensa? » mi chiese ad un tratto.
Sorrisi divertita, accostandomi ad una piccola vetrina che rappresentava un paio di anelli femminili ornate con piccoli diamanti.
« Potrei non essere la prima a dirlo, ma credo che lei abbia gusto. »
Egli mi sorrise raggiante, facendo tutto il giro per posizionarsi dietro al bancone.
« È molto gentile da parte sua, sentirmelo dire » mormorò.
Ci fu un attimo di silenzio, dove egli aveva preso a sistemare alcune cose da dietro al bancone, mentre io mi limitavo a sbirciare in ogni angolo dell'edificio.
« Sai, c'era una ragazza, una certa Jessica Brown, che aveva ordinato un gioiello qui, circa due mesi fa e le avevo dato appuntamento che ci saremmo rivisti la settimana dopo, essendo una donna molto indaffarata. Credo che abbia più o meno la tua stessa età, se non di più. Ma non si era presentata e io non posso rimandare indietro l'oggetto » disse.
Lo guardai con sguardo interrogativa, fermandomi per voltarmi del tutto verso di lui.
« Non vorrei essere scortese, ma forse avrà cambiato idea? » risposi.
Lui fece le spallucce, aggiustandosi gli occhiali sul naso.
« Non credo avrebbe speso una fortuna, se avesse saputo che non l'avrebbe più preso » rispose.
Restai in silenzio, non sapendo cosa dire.
« Sarei potuto andare a dargliela di persona, ma come vedi cara non ho molto tempo » continuò.
« Vive lontano? » domandai.
Lui scosse la testa.
« No. Vive in un piccolo appartamento proprio vicino ad un night club dove lavora. Poco distante da qui » rispose.
« Night club? » chiesi nuovamente, sperando di aver sentito male.
« Sì, proprio così. Non vorrei essere scortese, ma lei è
sposata? »
Sposata. Non era la prima volta che qualcuno me lo chiedeva. L'ultima volta che ciò successe, fu quando comprai la bambola di pezza per Lily e che ora era diventata la sua migliore amica.
« No. Ma posso andarci pure da sola, se è questo quello che le preoccupa » replicai.
Non conoscevo quell'uomo e lui non conosceva me, ma perché mi ero offerta di aiutarlo?
« Ne sei sicura? Posso mandarci mio nipote, quando avrà finito tutti i suoi esami » disse.
Sorrisi, facendo un passo in avanti.
« Avanti. Potrò passarci adesso, dato che è ancora pomeriggio e credo che ora si stiano preparando. Quindi non ci sarà di certo molta gente » parlai.
Lui ricambiò il sorriso, annuendo.
Mi fece cenno con una mano di aspettarlo, mentre egli si allontanò, entrando dentro ad un piccolo sgabuzzino dove forse teneva altri gioielli di riserva.
Aspettai in silenzio, con le braccia lungo i fianchi e con gli occhi scrutavo ogni parte della sala illuminata.
Dopo pochi minuti, egli ritornò con in mano un cofanetto rosso abbastanza grande.
Lo poggiò sul bancone fatto di vetro, soffiandoci sopra per togliere alcuni residui di polvere.
« Ecco qua. La ringrazio mille per la disponibilità. Una volta consegnatole, me lo faccia
sapere » disse.
« Certo » mi limitai a rispondere.
Allungai le braccia per prendere il cofanetto di pelle morbida, stringendolo bene fra le mani.
« Come potrei ricambiare? » mi domandò.
Gli sorrisi gentile, mettendo l'oggetto dentro alla mia borsa.
« Non ce n'è bisogno. Lo faccio volentieri » risposi.
Lui si prostò in avanti con il busto, tendendo una mano per poter stringere la mia che allungai senza esitare.
« Non posso accettarlo. Per qualsiasi cosa, passi pure da me, signorina Jones. »
Spalancai gli occhi sorpresa. Come faceva a conoscere il mio cognome?
« Come...come fa a sapere chi sono? » chiesi.
Lui sorrise, abbassando leggermente lo sguardo.
« Hai gli stessi occhi di una ragazza che conobbi non molto tempo fa. Ora va'. Il lavoro ti aspetta » si limitò a rispondere.
Cercai di protestare, ma egli mi fece un cenno con la mano, come a congedarmi.
Lo salutai con un cenno del capo, ancora scossa da quanto accaduto e, dopo essermi voltata, uscii titubante dal piccolo edificio, fermandomi subito dopo.
Hai gli stessi occhi di una ragazza che conobbi non molto tempo fa.
Di chi stava parlando? Di mia sorella?
Il più grande night club della California.
Ero ferma da quasi più di dieci minuti davanti al grande è alto edificio ornato di lucine invitanti che avevano cominciato ad illuminare proprio sei minuti fa.
Mi guardai attorno, notando subito che davanti all'entrata del locale notturno, vi era un auto grigia parcheggiata, seguita poi da un'altra rossa che pareva essere stata tirata da poco a lucido.
Era quello il night club di cui egli parlava? E cosa ci faceva una giovane donna lì?
Presi un bel respiro, stringendo la mia borsa lungo le spalle.
Poi, senza esitare spinsi la porta, entrando dentro con passi leggeri e indecisi.
La cosa che mi colpì per prima, fu l'odore stravolgente di fumo e la luce cupa e tetra del locale stesso.
Tanti tavolini erano disposti in modo ordinato per tutta la grande sala e i divani dai cuscinetti rossi non mancavano ad addobbare quel posto lugubre.
Mi aderenti dentro, voltando la testa a sinistra e poi a destra, scorgendo dei lunghi banconi dalle luci blu e colme di alcolici e cocktail, mentre alcuni pali con pedali erano state piazzate proprio al centro della sala.
Pole dance? Sì, lì c'erano ballerine di pole dance e come sempre esse non mancavano in un night club.
Mi sentii terribilmente a disagio in quel momento, trovandomi nel posto sbagliato e per di più da sola. Ma chi potevo portare con me?
Una giovane ragazza, alta più di me mi camminò incontro con fare sinuoso.
Indossava un semplice reggiseno blu e un paio di reggicalze color panna, quasi a confondersi con la sua stessa pelle.
I suoi lunghi capelli mori erano sciolti e piegati in grandi boccoli morbidi e ben sistemati.
« Salve, per caso sei la nuova arrivata? » mi chiese.
La guardai sbigottita, trattenendo per brevi secondi il respiro.
« No. In realtà io cercavo la signorina Brown. Jessica Brown. Ho qualcosa che le appartiene » risposi.
« Jessica? È impegnata adesso. Gliela darò io » rispose, allungando una mano con il palmo aperto.
« Passerò più tardi, se ora è occupata. »
La ragazza di fronte a me sbuffò, aggiustandosi i capelli con fare noioso.
Le sue lunghe dita erano laccate di rosso e le sue labbra dipinte del medesimo colore, si contrassero in una smorfia a me sconosciuta.
« Seguimi. »
La ringraziai, e lei roteò gli occhi al cielo, poi cominciò a camminare sui suoi tacchi altissimi ed eleganti.
« Hai soltanto cinque minuti. Abbiamo del lavoro da fare qui » parlò seria, con un tono di voce scocciato.
« Non mi servirà molto tempo. »
Mi guidò per un lungo e stretto corridoio privo di lampade.
Tante porte si affacciavano da ogni angolo di esso, e quando mi sporsi leggermente in avanti con il busto per guardare dentro, vi era un grande letto dalle fodere rosse e nere.
Da una di esse invece uscì una donna, con il trucco sbavato e la fronte impregnata dal sudore.
A seguirla, un uomo alto e robusto ricoperto di tatuaggi.
Mi scrutò da capo a piedi ed io lo guardai per poco con sguardo impaurita.
Ora capii a cosa servivano quelle stanze.
« Da questa parte. »
Ci soffermammo dinanzi ad una porta bianca chiusa e quando ella bussò, una bassa voce la incitò ad entrare.
« Avanti. »
Ella mi guardò, socchiudendola infine.
« Jessica, una certa tipa è venuta a cercarti. Dice di avere qualcosa che ti appartiene. Cerca di farla uscire prima che passi Aron » disse.
La ringrazio con un leggero sorriso, congedandola per farla allontanare ed ella non ci mise molto ad andarsene.
« Ciao Jessica. Spero di non disturbarti » parlai con voce bassa.
La donna dai lunghi capelli bruni aveva continuato a truccarsi davanti ad un piccolo specchio, seduta su una poltrona di pelle rossa.
I suoi movimenti erano circolari e decisi.
Non riuscii ad identificare il suo viso, dato l'altezza dello schienale in cui ella si era appoggiata.
« Ho qualcosa che ti appartiene. Proviene dalla gioielleria in fondo alla strada » sussurrai, facendo un passo in avanti.
« Appoggiala pure sul mio letto » si limitò a rispondere.
Annuii, aprendo la borsa per estrarre il cofanetto rosso che andai ad appoggiare dove indicato.
« Il proprietario chiede di te. Potresti passare a salutarlo? » chiesi.
Ella sospirò pesantemente, alzandosi dalla poltrona.
Indossava gli stessi indumenti dell'altra ragazza, solo che i suoi erano di un rosso accesso.
« Senti, ragazzina. Sono una donna molto occupata, dovresti smetterla di disturbarmi ed uscire dalla mia stanza, prima che lo faccia io e senza le buone maniere » esclamò, poggiando il pennellino con cui si stava truccando, sulla superficie chiara del tavolo.
Come osava parlarmi in quel modo? Ragazzina?
« Senta, sono stata abbastanza gentile da portarle il suo costoso gioiello. Credo che dovrebbe mostrarmi un po' di gratitudine e dimostrarlo anche al proprietario che mi ha pregato di raggiungerla. Non crede? » esclamai.
« Smettila! » sbraitò, voltandosi violentemente verso di me.
Mi bloccai di colpo ed ella fece lo stesso.
Le sue belle iridi chiare erano contornate da una matita nera e un ombretto dal colorito scuro sfumato ai lati.
Le sue docili labbra, invece, erano dipinte di un rossetto dal colore acceso e voluminoso, mentre i suoi capelli di seta, lunghi fino alle spalle, erano sciolte e state messe da un lato.
La osservai da capo a piedi, spalancando gli occhi che cominciarono a coprirsi di lacrime, mentre i suoi erano sorpresi.
Percepii le mie gambe farsi gelatine e le mie mani tremare. Sarei subito caduta in ginocchio, se non fosse stato per il letto in cui mi appoggiai maggiormente con le mie forze.
« Ma cosa... » bisbigliò ella.
« Jane... »
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