Capitolo 36


C A P I T O L O 36

Mi svegliai quasi di soprassalto, guardandomi attorno spaesata.
Avevo appena avuto uno dei miei strani ed inquietanti incubi che avevano cominciato a tormentarmi fin dalla mia adolescenza.
Il posto in cui mi trovavo era tetro, e solo la fioca luce della luna piena che filtrava attraverso la grande finestra che dava sul balcone, illuminava una piccola parte della stanza.
Solo allora mi accorsi di dove mi trovavo.
Ero ritornata a Neverland, nella grande e lussuosa casa del re del pop e, nonostante cercassi di convincermi del fatto che ora, le cose sarebbero state diverse, ancora non riuscivo ad accettare l'idea di essere ritornata in quel posto nel momento sbagliato.
Mi misi seduta, appoggiando la spalla allo schienale in legno, per poi allungare una mano per accendere la piccola lampadina posta sopra al comodino.
La grande stanza si illuminò e quel buio spaventoso fu finalmente sotterrato.
Odiavo dovermi risvegliare nel buio più totale, soprattutto quando al mio fianco non vi era nessuno.
Era un'abitudine che avevo fin da bambina tant'è che, quando, a scuola dovevamo fare le gite scolastiche, cercavo una compagnia di stanza fidata con cui passare le notti.
Era un mio difetto che molti trovavano patetico.
Presi un bel respiro, aggiustandomi l'abito nella parte del petto, coprendo così una parte che involontariamente era rimasta un pochino scoperta.
Attorno a me regnava un silenzio tombale e quando lanciai uno sguardo all'orologio da parati posta sopra alla porta, mi accorsi che le lancette segnavano le due e mezza.
Avevo dormito per così poco tempo e senza accorgermene.
Ma, chi aveva spento la mia luce?
Mi alzai sbuffando, sentendo il disperato bisogno di bagnarmi la gola divenuta ormai secca. Indossai le mie pantofole calde e con il minimo rumore possibile, socchiusi la porta, scoprendo per prima la testa per controllare a destra e a sinistra che nessuno ci fosse.
Poi, dopo essermi assicurata che il lungo corridoio che conduceva alla grande ed elegante rampa di scale fosse vuoto, uscii del tutto, richiudendomi la porta alle spalle con massima cautela.
Percorsi il tratto di andito in punta di piedi, scendendo la spaziosa rampa di scala che conduceva al piano di sotto, svoltando a destra per dirigermi nella grande cucina.
La porta era socchiusa e la poca luce proveniente dai grandi lampioni nel giardino illuminavano apposta la parte sinistra della stanza, dove vi era il bancone contentente i bicchieri puliti.
Aprii piano la piccola porticina, ed essa, come a farlo apposta emise un cigolio assordante, obbligandomi quasi a strizzare gli occhi.
L'aria notturna proveniente dalla fessura della finestra raffreddava l'atmosfera in cucina. C'era abbastanza freddo e da sbadata mi ero completamente dimenticata di indossare la mia vestaglia pesante.
Poggiai il bicchiere di vetro sul bancone in marmo, abbassandomi per afferrare una bottiglia nuova nella parte bassa dello scanno, raddrizzandomi nuovamente per aprirla e versarne un po' del suo contenuto nel bicchiere.
Afferrai il bicchiere, alzando lo sguardo per lanciare uno sguardo al giardino illuminato da tante lucine colorate.
Neverland di notte era uno spettacolo.
Sarei potuta restare per ore, a contemplare quel posto magnifico e magico con i suoi piccoli e grandi particolari, ma una voce roca alle mie spalle mi fece sussultare, e, istintivamente poggiai il bicchiere quasi in un tonfo, sulla superficie del bancone, voltandomi di scatto per incontrare la figura minuta ed esile di Lisa appoggiata allo stipite della porta.
Indossava una lunga vestaglia di pizzo nera, molto elegante e la veste del medesimo colore, le fasciava il busto piatto e dalle piccole forme.
I suoi capelli erano legati in una crocchia disordinata, mentre alle labbra, il colore rosso di quella sera era ancora intatto, come se lo avesse passato sopra a quello precedente.

« Avrei immaginato di trovarti qui. E da una parte, lo speravo » disse, accennandomi un sorriso sarcastico mentre portava una mano sul fianco.

Michael le aveva concesso di passare la notte a Neverland.

« Lisa, midispiace averti svegliata. Pensavo di fare meno casino, ma sono sempre stata una frana in questo » mi giustificai, portando le mani davanti al grembo mentre ero intenta a torturarmi nervosa le dita.

Ella rise appena, scuotendo la testa.

« Non mi hai svegliata. Ero in studio con Michael. Avevo intenzione di andare a dormire, ma mia domandato di portargli un bicchiere d'acqua » replicò.

In studio con Michael.
A quella frase, un nodo doloroso si formò al mio basso ventre.
Avevano passato gran tempo della notte nel suo ufficio, e il suo abbigliamento provocante mi allarmava parecchio.

« Ma, dato che la domestica di turno si è svegliata, penso che possa farlo lei, al mio posto » continuò, passandosi la lingua sul labbro superiore.

« L'ha chiesto a te. Non a me » ribattei irritata, lanciandole uno sguardo serio.

Ella rise divertita dalla mia reazione, quasi volesse prendermi in giro.

« Ho sonno. Domani partirò presto. Quindi, perché non mi fai questa favore? » chiese, ritornando seria.

Presi un bel respiro, annuendo infine, mentre ella, dopo essersi ricomposta, mi rivolse un sorrisetto finto, allontanandosi per salire sinuosa, la rampa di scala tappezzata da un elegante tappeto persiano.






Mi ero da poco fermata davanti alla porta in legno dell'ufficio di Michael.
Dalle fessure, vi proveniva una luce bassa, quasi fioca.
Erano poche le volte che riuscii ad entrare in quella stanza e quelle poche occasioni, erano per pulire quei scaffali pieni di libri.
Presi un bel respiro, aggiustandomi i capelli sciolti lungo le spalle, poi, dopo essermi assicurata di essere pronta, alzai una mano, bussando piano contro alla porta.

« Puoi entrare, Lisa. »

Socchiusi la porta con estrema lentezza, entrando per chiudermela infine alle spalle.
Michael era seduta alla scrivania con una piccola luce posta sopra ad essa accesa, mentre con un'espressione concentrata, quasi con la fronte aggrottata, sfogliava un ammasso di fogli pieni d'inchiostro e scarabocchi.
Indossava una semplice camicia di cotone blu scura, aperta e con la canottiera bianca con lo scollo a v a coprirgli il busto leggermente muscoloso.
I suoi capelli erano legati in una codina bassa, con qualche ciuffo ribelle fuori posto.

« Ti...Ti ho portato dell'acqua » mormorai.

Al suono della mia voce, egli alzò di scatto la testa, spalancando di poco gli occhi per la sorpresa.

« Kara » sussurrò, poggiando velocemente la penna che teneva in mano sulla superficie del tavolo in legno scuro.

Avanzai nella sua direzione, porgendogli il bicchiere senza guardarlo negli occhi.
Odiavo il fatto che egli avesse speso gran parte della sua notte in compagnia con Lisa, per di più nel suo ufficio; l'unica stanza in fondo alla casa e ben nascosta.
Non notando che egli prendeva il bicchiere, poggiai quest'ultimo sulla scrivania, voltandomi per camminare verso alla porta chiusa.

« Kara, aspetta » esclamò, facendo scivolare la sedia per alzarsi.

Udii dei passi affrettati avanzare verso alla mia direzione, infine, la sua figura alta si presentò davanti alla mia, bloccandomi il passaggio.

« Kara, non è come pensi. Io noi...noi non riuscivamo a dormire, quindi abbiamo deciso di fermarci qui, mentre io cercavo di - »

« Non mi interessa cosa stavate facendo. Voglio soltanto andare a dormire, ora » lo interruppi, prendendo infine un grande respiro.

Cercai di oltrepassarlo, ma egli questa volta mi afferrò per le spalle, bloccandomi.

« Kara, piccola, ascoltami. Midispiace ok? Non pensavo sarebbe arrivata da un momento all'altro. So che stavi passando un brutto periodo, lo so perfettamente, ma lei ha insistito affinché dormisse qui, questa notte » si giustificò, guardandomi dall'alto con sguardo implorante.

Risi nervosamente, passandomi una mano fra i capelli, scompigliandoli appena.

« Ti dispiace? Non m'importa se è rimasta a dormire qui questa notte. È casa tua, non mia » risposi, quasi in un esclamazione.

Lui sospirò frustato, abbassando lo sguardo per grattarsi nervosamente la nuca.

« Non mi interessa quello che dici, Kara. Sono venuto a rimboccarti le coperte quando ti sei addormentata, con la speranza che ti svegliassi per stringerti fra le mie braccia, ma... Dio, Kara, ti prego, devi credermi, non l'avrei mai fatto di proposito » esclamò esausto, scrollando le spalle.

Mi mordicchiai il labbro inferiore più volte, abbassando lo sguardo per evitare il suo.
Avrei tanto voluto stringerlo forte, mettermi in punta di piedi per sfiorare le sue labbra con le mie, ma d'altra parte mi sentivo insicura.
Non mi sentivo al sicuro con Lisa in casa, sopratutto se era sveglia.

« Non ti sono mancata nemmeno per un po', non è vero? » domandai, indietreggiando un po' per poterlo osservare meglio negli occhi.

Le sue iridi si velarono subito da una luce strana.
Si passò la lingua sul labbro inferiore, aggrottando leggermente la fronte.

« Nemmeno un po'. Non sentivo per niente la tua mancanza » rispose.

Lo guardai per brevi secondi seria, poi, imprecando a bassa voce, lo scostai di lato, avanzando velocemente verso alla porta.
Ma non feci nemmeno in tempo ad arrivare sotto alla soglia, che delle mani dalle lunghe dita affusolate, afferrarono la mia vita sottile, attirandomi all'indietro in un colpo solo.
Percepii le mie spalle seminude appoggiarsi al suo busto coperto da quella canottiera bianca, mentre le sue braccia andarono a circondarmi la pancia con possessione, stringendomi forte.
Le sue labbra umide andarono a solleticare il mio collo nudo, ricoprendo la pelle di brividi che percorsero la mia colonna in modo insistente, solleticandomi infine la nuca.

« Mmh. Mancata? Non riuscivo a stare senza di te » sussurrò, affondando maggiormente il viso nell'incavo del mio collo.

Sospirai, percependo tutto il mio corpo accapponarsi dal piacere per la nostra vicinanza.

« Davvero? » domandai con una punta di felicità, sorridendo mentre abbassavo lo sguardo.

« Sì. Ho aspettato per giorni questo momento. E ti giuro, che invitare Lisa non era per rimpiazzarti » parlò, sciogliendo la presa per voltarmi nella sua direzione.

Lo osservai dal basso, studiando la sua espressione seria dipinta sul volto.
La fioca luce illuminava il suo viso impeccabile, segnando i suoi lineamenti perfetti con qualche velo di ombra.

« Come stai? » mi chiese, portando una ciocca dei miei capelli dietro all'orecchio.

Presi un bel respiro, sentendo il groppo in gola spuntare all'improvviso.

« Sono partita per mio padre, Michael. Non avrei mai immaginato di varcare nuovamente quella porta che aveva diviso la mia famiglia in due. Era come ritornare da qualcosa che hai pensato di aver perso, di irraggiungibile. Ma quando sono entrata nella mia camera, nella camera dove io e mia sorella abbiamo passato notti intere a parlare, mi è sembrato di saltare nel passato. Mi sono sentita vuota, ma colma al contempo. Era una sensazione bellissima, ma quando ho realizzato di dover rilasciare quell'appartamento, ho rivissuto quel momento straziante che anche mia sorella ha sopportato. Solo che il mio era temporaneo. Il suo per sempre » mormorai, percependo gli occhi pizzicarmi e la vista farsi offuscata.

Ero stanca di dover fuggire dalla realtà, dal passato e dal dolore che esso mi portava.
Se avessi avuto la possibilità di scegliere tra la verità e la menzogna, avrei preferito quest'ultima, anche se mi sarei illusa da sola.
Ma a volte era meglio fingere, che accettare il colpo fatale.
Ed io da una parte volevo tanto poter fingere.
Michael mi guardò, sfiorando la mia guancia con il palmo morbido della sua mano, andando a depositarla infine sul mio braccio nudo.

« È difficile accettare la realtà, Kara. Così com'è difficile accettare di aver perso qualcuno di fondamentale. Ma sai, anch'io ho perso qualcuno. Ho perso qualcuno che ho amato, ma questo non vuol dire che io abbia smesso di cercare l'amore. Ho perso la mia infanzia, ma la ricerco in ogni piccolo e semplice particolare. Perché ho capito, che qualcosa che credi di aver perso, non è del tutto svanito. Si nasconde, ed è tuo compito andare a riprenderli » sussurrò, guardandomi con un leggero e sincero sorriso inarcato sulle labbra.

Sospirai malinconica, abbassando lo sguardo.

« E se ogni volta che cerchiamo di andare a riprenderli, veniamo interrotti da qualcosa o qualcuno? Se quel qualcosa o quel qualcuno stesse in realtà scappando da noi, per non soffrire? Allora cosa dovremmo fare? » chiesi.

Lui prese un bel respiro, aggrottando leggermente la fronte.
Scrollò le spalle, grattandosi nervosamente la nuca.

« Beh, in questo caso sta a te decidere se continuare a combattere o lasciare perdere. Perché anche se sembrerà facile, Kara, non si riesce a stare lontano a qualcuno o qualcosa che hai amato. La ricercherai sempre ed ovunque, in un modo o nell'altro » replicò, prendendo dolcemente le mie mani nelle sue, per stringerli.

Gli rivolsi un sorriso, mordicchiandomi il labbro inferiore ripetutamente.

« Avevo sentito parlare di te in tutti i modi possibili, e avevo da sempre dato per scontato quando ti definivano saggio » mormorai.

Lui rise divertito, raddrizzandosi maggiormente con il busto.

« Ah davvero? E dimmi, cosa pensavi su di me? » domandò dilettato, inarcando un bellissimo sorriso.

Roteai gli occhi, ridendo allietata.

« In verità penso molte cose su di te, Michael. Ma preferisco tenerle segrete per un po' » replicai canzonatoria, scuotendo piano le nostre mani.

Lui ridacchiò, passandosi la lingua sul labbro superiore, inumidendo quest'ultimo.

« Mi sei mancata » disse, acquisendo un'espressione un po' più seria.

Sorrisi dolcemente, allungando una mano per spostargli dal viso alcuni ciuffi di ricciolini fuori posto.
Avrei tanto voluto poter risfiorare le sue labbra morbide, avvicinarmi maggiormente al suo corpo per poter sentire il tepore del suo petto contro al mio e magari nascondere il mio viso nell'incavo del suo collo leggermente muscoloso, in cui una vena era in evidenzia.
Stavo impazzendo.
Così, senza aspettare più di tanto, mi avvicinai alla sua figura alta con passi leggeri, portando entrambe le mani sul suo collo scoperto, sfiorando così la sua pelle candida e liscia.
I suoi occhi vagarono per tutto il perimetro del mio corpo, soffermandosi infine nei miei occhi velati da una luce strana.
Egli mi afferrò salda per i fianchi, trascinandomi verso alla scrivania dove appoggiò la schiena contro ad essa, sgomberando di poco i fogli svolazzanti che vennero depositati nella parte destra sulla superficie ruvida.
Divaricò di poco le gambe, quel che bastava per posizionare il mio corpo in mezzo ad esse, poi, portando le mani sulla mia vita esile, mi strattonò contro al suo petto, facendo combaciare i miei seni al suo busto saldo.
Arrossii di botto, sentendomi subito imbarazzata.
Era la prima volta che mi trovavo in una situazione di quel genere e la sua vicinanza quasi azzardata, mi aveva da sempre provocato uno strano effetto al basso ventre.
Affondò il viso nell'incavo del mio collo, cominciando a lasciarmi una scia di baci umidi e caldi, percorrendo tutto il perimetro con le sue labbra bagnate.

« Dimmi che senza di me ti sentivi persa » sussurrò.

Il mio fiato si fece corto a quella frase e il mio corpo venne pervaso da un forte brivido di piacere, che percorse frenetico la mia colonna vertebrale.
Sussultai involontariamente, andando a poggiare le mani sulle sue braccia coperte dal tessuto della sua camicia da cui potevo perfettamente percepire i muscoli.

« Io...Io mi sentivo persa, Michael. Davvero persa » dissi, con la voce tremante e le gambe che minacciavano di cedere.

Egli si allontanò, togliendosi la camicia che lasciò cadere sulla scrivania, per poi afferrarmi nuovamente pronto a baciarmi questa volta sulle labbra, ma la paura mi impossessò improvvisamente, obbligandomi ad allontanarmi quasi bruscamente dal suo corpo.
Lui mi guardò confuso e con una nota di preoccupazione, allungando una mano per afferrare la mia, ma involontariamente arretrai quest'ultima, facendo due passi indietro.

« Midispiace io... » balbettai con voce tremante.

Lui si raddrizzò, aggrottando di poco la fronte.

« Kara, è tutto apposto. Io non ti farei mai nulla che vada contro a quello che vuoi » disse dolcemente, avanzando di un passo verso alla mia figura che ne fece tre indietro.

Ero spaventata al solo vederlo con la canottiera bianca.
Io indossavo un semplice abito notturno con gran parte delle mie spalle e braccia scoperte e fu in quel momento che mi maledii mentalmente, chiudendo per brevi secondi gli occhi.

« Io credo che andrò...credo che andrò a dormire, ora » dissi, voltandomi pronta per camminare verso alla porta, ma lui mi bloccò, riprendendo a parlare: « Senti, midispiace averti spaventata. Non era di mia intenzione, lo sai. »

Mi voltai nella sua direzione, sorridendogli leggermente.

« È tutto apposto. Io sono solo stanca » risposi, cercando di non balbettare, ma con scarsi risultati.

Lui annuì piano, sospirando serio, poi, con un cenno della mano e del capo, mi invitò ad uscire.
Mi girai dall'altra parte della stanza, dandogli le spalle, poi, con un veloce gesto, raggiunsi la porta in legno, spalancandola per uscire per poi richiudermela alle spalle.
Se tutto fosse stato così facile.

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