Capitolo 30
C A P I T O L O 30
Brooklyn si era addormentata già da un po', lasciando che un buio quasi teatrale, dominasse gran parte delle strade ormai desolate.
La macchina nera su cui viaggiavo, bruciava l'asfalto grigio sotto alle sue grande ruote, e, il cielo che ormai aveva assunto un colorito più scuro e privo di stelle, facevano da coperta a quel posto così tranquillo e sereno.
Era uno spettacolo, osservare quelle strade dritte e zeppe di semafori, sopratutto quando la luce della luna piena, illuminava le strade ed i cartelloni azzurri.
Ero seduta da ormai quindici minuti dentro, ma potevo già udire la stanchezza dei miei piedi aumentare.
Avevo indossato le scarpe sbagliate nel giorno sbagliato ed ora mi ritrovavo a lottare contro a me stessa, per quel dolore fastidioso e pungente.
« Michael, quando passeremo a prenderti, domani? »
La voce di Bill mi obbligò a distogliere la mia attenzione da quel panorama dilagante, per poggiarla su Michael, intento a masticare una gomma alla menta che mi aveva anche offerto, ma che io avevo rifiutato gentilmente, ringraziandolo.
« Non lo so Bill. Ma ti prego, non venire troppo presto » rispose con voce bassa.
I due omoni in giacca e cravatta annuirono, ritornando a puntare lo sguardo davanti alla strada illuminata dai fari della grande vettura scura.
« Signor Whitfield, signor Beard, potrete fermarvi a casa nostra, per questa notte » dissi, sporgendomi leggermente in avanti con il busto.
Javon mi guardò dallo specchietto retrovisore, sfoggiandomi un sorriso smagliante.
« Non si preoccupi signorina Jones. Io e Bill ci prenderemo una camera. Sei molto gentile » replicò.
Appoggiai la schiena contro allo schienale, lanciando uno sguardo fuori dal finestrino.
« Ma è buio fuori » mormorai.
« Ce la caveremo. Ti ringraziamo. È molto gentile da parte tua » intervenne Bill.
Mi limitai a sorridere, annuendo comprensiva.
L'auto parcheggiò proprio nel grande parcheggio di quel appartamento spoglio e alto quanto una torre.
Mi slacciaii la cintura, ringraziando i due uomini che mi sorrisero, augurandomi la buonanotte.
Dopodiché aprii lo sportello, uscendo subito dopo.
L'aria notturna mi colpì violentemente il viso, scompigliandomi i capelli che andarono a depositarsi sul mio viso ormai ricoperto di brividi.
Michael mi raggiunse subito dopo, affiancandomi, mentre l'auto che prima era dietro di noi, ora si allontanava sempre di più.
« Sei sicura di voler dormire con me, oggi? » mi domandò all'improvviso, guardandosi attorno.
Sorrisi divertita, lanciandogli uno sguardo furbo.
« Credo che riuscirò a sopravvivere per una notte » scherzai.
Lui si bloccò, guardandomi perplesso, poi, dopo avermi sfoggiato un sorriso dilettante, mi mollò un leggero pugno.
« Andiamo! » esclamai, ridacchiando.
Cominciammo a camminare insieme, una di fianco all'altro.
Michael aveva intascato le mani, dato il freddo pungente che aumentava con il passare dei minuti.
Poi, dopo aver controllato che non ci fosse nessuno e, dopo aver attraversato il grande portone che conduceva alle scalinate che percorremmo con massima attenzione, ci fermammo dinanzi alla porta d'entrata.
Aprii la mia borsa, cercando le chiavi in mezzo a tutto quel casino e, dopo averle trovate, infilai quella giusta nella piccola serratura dorata, roteandola infine.
La porta si aprì e pregai con tutta me stessa che la casa sia in perfetto ordine.
Quando la spalancai del tutto, un profumo delicato di vaniglia invase le mie narici.
Mi ero completamente dimenticata che, prima di uscire, avevo acceso una di quelle piccole candeline che mamma e papà tenevano nel nostro piccolo corridoio stretto.
« Prego, accomodati » dissi, facendogli spazio per entrare.
Michael varcò la soglia con passi decisi ma eleganti al contempo, gli stessi che usò quando varcò i grandi cancelli di quel orfanotrofio ormai lontano.
Oh, quanto mi mancava stare in compagnia dei bambini e di Angie!
Si guardò attorno curioso, togliendo le mani dalle tasche del suo cappotto nero, per andare ad appoggiare l'indice sul suo labbro inferiore.
Mi tolsi il cappotto e la borsa, appendendo il primo all'attaccapanni ormai vecchio.
« Posso offrirti qualcosa da
bere? » domandai, raggiungendolo per restare al suo fianco.
Egli spostò la sua attenzione dagli arredi, su di me, sfoggiandomi un bellissimo sorriso.
Due invidiose fossette sbucarono su quelle guance perfette e ricoperte da un velo di trucco, mentre una scia di denti bianchissimi, vennero allo scoperto, quasi in modo teatrale.
« Grazie. Gradirei un po'
d'acqua » rispose.
Annuii timidamente, incitandolo a seguirmi ed egli, senza problemi, ubbidì, riprendendo a camminare poco dietro di me.
« Quindi è qui che vivono i
tuoi? » domandò.
« Sì, prima ci abitavamo pure io e mia sorella, ma poi mi sono trasferita in Texas, dopo aver trovato lavoro all'orfanotrofio » replicai, entrando in cucina per dirigermi velocemente verso ad un bancone, aprendo il piccolo sportello per estrarre fuori una grande bottiglia d'acqua e due bicchieri in vetro.
« È carina. Molto accogliente » disse con un dolce sorriso dipinto sulle labbra.
Lo ringraziai a bassa voce, quasi imbarazzata.
Non potevo negare che fosse carina ed accogliente, ma per ospitare tre persone, prima quattro, era un po' come dormire sopra ad un letto matrimoniale con quattro uomini robusti.
Ma mi bastava quel piccolo spazio e forse anche per mamma e papà era lo stesso.
« Bisogna accontentarsi di quello che si ha » sussurrai, aprendo la bottiglia per versarne il contenuto nei due bicchieri.
Poi, dopo averlo raggiunto, gli porsi il suo osservandolo dal basso con un sorriso impacciato.
Stare da sola in sua compagnia mi rendeva alquanto nervosa.
Sapevamo entrambi cosa provavo, ma lui sembrava proprio essersene dimenticato.
Oppure fingeva?
« Grazie » mormorò, allungando di poco una mano per afferrare il bicchiere colmo di acqua.
Le sue lunghe dita affusolate sfiorarono le mie e un fremito di piacere percorse la mia colonna vertebrale, solleticandomi il collo con avidità.
Sussultai involontariamente, allontanandomi dal suo corpo possente e Michael, dopo aver mandato giù in un solo sorso tutto il contenuto trasparente, mi guardò serio, tenendo ancora quell'oggetto in mano.
Mi voltai lievemente di lato, portando in bocca quel pezzo di vetro freddo, bevendo un sorso d'acqua.
Il mio stomaco si era improvvisamente riempito, come se avessi appena finito di mangiare tre piatti di pasta.
Mi sentivo pesante, con il ventre gonfio, ma era soltanto una mia stupida immaginazione.
Dannazione!
« Ti senti bene? » mi domandò all'improvviso, interrompendo quel silenzio inquietante e i miei pensieri più assurdi ed insensati.
Gli rivolsi un leggero sorriso, poggiando il bicchiere sul tavolo in legno.
« Sì, sto bene. Vieni, ti mostro la casa » dissi, oltrepassandolo velocemente per dirigermi fuori dalla cucina.
Il rumore dei miei tacchi eccheggiarono tra quelle quattro mura così vicini tra di loro, e solo allora mi accorsi di quanto veloce stessi camminando.
Era tutto così assurdo ed irreale.
Mi trovavo insieme, dentro ad una casa, la mia casa, con Michael la persona per la quale avevo perso letteralmente la testa, la più grande celebrità di tutti i tempi.
Ero da sola con la persona che amavo, ma che era così tanto stupido da non accorgersi di me.
Correva dietro ad una donna ormai sposata, una donna che si era praticamente dimenticato di lui e dei suoi sentimenti silenziosi.
Ma lui era cieco.
Udii dei passi leggeri dietro a quelli miei pesanti, avanzare dietro di me, e subito potei immaginarlo con gli occhi puntati sul mio esile ed indifeso corpo.
Mi piaceva immaginarlo in quel modo.
« Partiamo dal salotto » dissi, spalancando una porta in legno che emise un sonoro è fastidioso cigolio.
Strinsi i denti a quel rumore, mentre Michael aggrottò di poco le sopracciglia.
Davanti a noi si estendeva due piccoli divani da due posti e un tavolino basso in legno con sopra un bellissimo vaso di fiori che mio padre aveva regalato alla sua donna per il loro anniversario di matrimonio.
Le pareti erano quasi tappezzate di fotografie rappresentanti la nostra famiglia.
Una parte del pavimento di marmo, era stato coperto da un sottile tappeto rosso, mentre una piccola libreria, era posta di fianco ad una poltrona in pelle gialla.
La poltrona di papà.
Michael si scrutò attorno silenziosamente, accennando un dolce sorriso quando intravise tutte quelle cornici al muro.
« Nessuno sa che il signor Jones abbia tre bellissime fanciulle » commentò divertito.
Risi dilettata, portandomi una ciocca di capelli dietro all'orecchio mentre percepivo le mie guance bruciare come legno nel fuoco.
Michael uscì dal salotto, affiancandomi ed io, capendo che aveva finito, decisi di procedere, mostrandogli il piccolo bagno caldo e la camera dei miei genitori.
Poi, arrivando davanti ad un'altra porta in legno, dove sopra, con un pezzetto di legno bianco e della vernice colorata, vi era scritto "camera delle principesse Jones."
Ricordai perfettamente il giorno in cui io e mia sorella lo dipingemmo.
Era una calda serata di estate e mia madre era in cucina, intenta a prepararci una delle sue tante insalate al tonno che io tanto amavo.
Papà era appena uscito da lavoro e, dato che a quel tempo lavorava in un grande negozio di arredi, uscendo dall'edificio aveva trovato un pezzo di legno malmesso che ci aveva portato.
Eravamo così talmente felici, che lo avevamo pregato, affinché ci tagliasse un pezzo di quel legname a forma di cornice e lui, per accontentarci, lo aveva fatto la sera stessa, stanco e senza forze.
Ed ora, essendo divenuta grande, mi accorsi di quanto stupida fossi stata.
Come tutte le bambine, volevo avere una cosa che tanto mi piaceva, al più presto possibile, senza nemmeno pensare a quali conseguenze avrei potuto arrecargli.
« Camera delle principesse
Jones. Fammi indovinare... È la vostra camera? »
La voce angelica di Michael mi destò dai miei pensieri.
Gli sorrisi annuendo e, dopo aver abbassato la maniglia, spalancai la porta, allungando una mano per accendere la luce.
La piccola stanza si illuminò e quello che cadde immediatamente all'occhio, fu un letto matrimoniale con sopra delle semplici federe azzurre.
Una bassa libreria bianca era posta proprio vicino a quell'armadio a due ante e vicino ad essa una piccola lampada.
Poi, davanti alla finestra che dava sulla città ormai addormentata, vi era una scrivania in legno bianca con una sedia del medesimo colore.
Un paio di libri erano sistemati in un ordine quasi maniacale, con un piccolo vaso di fiori colorati.
« Puoi dormire qui, stanotte » mormorai, quando lui varcò la soglia, ammirandosi attorno con sguardo curioso e lene.
« Posso dormire sul divano, Kara. Non ti devi preoccupare » replicò, poggiando la sua attenzione sulla mia figura ancora immobile sotto alla soglia di camera.
Roteai gli occhi, incrociando le braccia al petto.
« Insisto. Hai fatto così tanto per noi. Farti dormire sul divano, non sarebbe un bel ringraziamento » esclamai.
Lui rise, divertito dalla mia affermazione.
Poi, con fare suadente, si tolse il cappotto, guardandomi dritto negli occhi.
Lanciò quest'ultimo sul letto, aggiustandosi infine la camicia blu che indossava.
« Ora va meglio? » domandò con fare innocente.
Annuii, percependo i battiti del mio cuore, correre come un cavallo in fuga.
Stare da sola in sua compagnia era un grande errore.
Non solo mi osservava come nessuno aveva mai fatto fino ad ora, ma mi scatenava emozioni intensi.
Era come una catena in continuo movimento. Lui l'agitava ed io mi scuotevo senza sosta.
Mi rivolse un largo sorriso, ritornando ad esaminare la piccola stanza, facendo cadere la sua attenzione sopra ad una cornice rosa pastello, posta sopra al comodino bianco.
Il suo sorriso, che fino a poco fa era dilettante, ora si addolcì completamente e, con passi felpati e lenti, avanzò verso al mobiletto, inchinandosi in avanti con il busto per afferrare il quadro.
« Non smetti mai di pensarla, non è vero? » sussurrò dolcemente, passando una mano sopra alla foto.
Lasciai che le mie braccia ricadessero lungo i fianchi, prima di avanzargli incontro con passi leggeri.
« Non puoi dimenticare qualcuno che hai amato » replicai, soffermandomi di fianco alla sua figura alta.
Lui mi guardò ed io ricambiai lo sguardo, osservandolo nel profondo delle sue iridi scure, velate da una luce strana e misteriosa.
« Tu non hai dimenticato Lisa » mormorai.
Lui spalancò gli occhi, poi, ritornando normale, rise nervosamente, poggiando la cornice al suo posto.
« Pensavo di non averla dimenticata. Ma mi sbagliavo » rispose, voltandosi completamente verso di me.
La sua figura alta sovrastava la mia bassa.
I suoi occhi scrutavano ogni centimetro del mio viso, mentre le sue labbra, prima secche, furono leggermente bagnate dalla sua lingua.
« Lisa non ritornerà da me, lo sai. Ha già la sua famiglia, suo marito. Ha già trovato l'amore ed io non sono egoista per poterglielo rubare. Ma Kara, conosco una ragazza fantastica che mi guarda diversamente dalle altre. E dannazione, vorrei tanto poterla avere, ma il mio mondo è diverso dal suo. Rischierei di ferirla e basta » esclamò leggermente esausto, sospirando irritato.
Un'altra ragazza? Di cosa stava parlando?
« Ti piace un'altra ragazza? » domandai.
Lui non rispose, anzi, si limitò ad osservarmi con un ghigno strano dipinto sul viso.
« Chi è, Michael? » chiesi, avvicinandomi maggiormente al suo corpo.
Lui si inchinò in avanti con il busto, accostandosi pericolosamente a me.
« Se te lo dicessi, scapperesti » sussurrò con voce bassa.
Questa distanza azzardata, mi aveva causato un leggero tremolio e la mancanza di fiato, tant'è che in quel momento mi ritrovai a respirare a fatica.
« Glenda? Ti piace Glenda, non è vero? » domandai irritata.
Volevo che fossi stata io la scelta, non un'altra donna.
Sarei potuta sembrare egoista, ma lo desideravo così tanto, già dal primo momento in cui incrociai per la prima volta quello sguardo profondo e sincero.
Volevo essere stata io, almeno per una volta, la scelta.
La sua espressione di tramutò in poco tempo; ora un sorriso che non seppi decifrare aleggiava sulle sue labbra morbide.
« E tu, Kara? Quando dicevi di non amare nessuno, era una bugia vero? »
Questa volta fu lui a porgermi una domanda.
Spalancai gli occhi, allontanandomi di poco dal suo corpo ed egli si raddrizzò, guardandomi attentamente.
Le mie gambe avevano cominciato a tremare piano, mentre il mio stomaco aveva cominciato la sua solita danza traditoria.
« Di cosa stai parlando? Io non amo nessuno » risposi sulla difensiva, facendo un passo indietro.
Lui sorrise sarcastico, alzando un sopracciglio.
« Ah no? Kara, puoi nascondere tutto. Tutto ma non i tuoi sentimenti » sussurrò, ritornando serio.
Indietreggiai nuovamente, compiendo questa volta due passi ed egli ne fece tre in avanti.
« Ti sei innamorata di me, Kara? Perché? Perché io? » domandò con voce bassa.
Feci un sussulto, stringendomi nelle spalle.
« Non...Non sono innamorata di te, Michael. Ti prego, smettila » lo implorai scossa, continuando ad indietreggiare.
« Sai chi è la ragazza, Kara? Sai chi ha preso il posto di Lisa Marie? La conosci? » esclamò, facendo un lungo passo verso di me.
Il mio petto cominciò ad alzarsi ed abbassarsi come matto, mentre il mio cuore correva talmente veloce, da farmi male.
« No. Non lo voglio sapere » replicai nervosa.
« Ne sei sicura? Davvero non vuoi sapere chi sta nei miei pensieri mattina e notte? Tutto il giorno? » domandò nuovamente.
Scossi la testa, negando.
Forse sapevo a chi si riferiva, ma scoprire la verità mi spaventava.
Lui rise nervoso, passandosi la lingua sul labbro inferiore.
Scattò in avanti, circondandomi la vita con il suo braccio leggermente muscoloso, per attirarmi contro al suo petto.
Spalancai violentemente gli occhi, andando a poggiare istintivamente le mie mani sul suo busto.
« Sei tu Kara. Sei tu il mio pensiero fisso. E Dio, non sai quanto io voglia stare con te, ma il mio mondo ti ucciderà, Kara. Non avrà pietà di te, come non ce l'ha con me » mormorò, spostando dal mio viso una ciocca di capelli che andò a depositare dietro al mio piccolo orecchio.
Questa strana vicinanza mi terrorizzava.
Era la prima volta che mi trovavo così vicino ad un uomo, e per di più, la sua figura alta, sovrastava possente la mia minuta.
Poggiai le mie mani sul suo braccio, cercando di abbassarlo ed egli, notando la mia goffaggine, mi liberò subito, lasciandomi correre fuori dalla stanza.
« Te l'avevo detto, Kara! Saresti scappata! » esclamò.
Ero talmente spaventata, che scappare era la mia unica via di fuga.
Non sapevo di questa mia reazione, ma di una cosa ero certa; lui non aveva mollato e mi inseguì, raggiungendomi proprio sotto alla soglia del salotto.
Mi afferrò per un polso, voltandosi verso di lui e, dopo avermi fatta indietreggiare velocemente, le mie spalle incontrarono la parete fredda.
Mi guardò negli occhi per pochi secondi, con un'espressione seria ma dolce allo stesso tempo, poi, in un colpo secco, avvicinò il suo viso al mio, baciandomi.
"Un giorno mi ringrazierai".
"Il mio mondo ti ucciderà".
"Pensavo di amarla. Ma mi sbagliavo".
"Sei tu Kara. Sei tu il mio pensiero fisso".
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