Capitolo 27
C A P I T O L O 27
In così poco tempo, il mio corpo e i miei sentimenti erano arrivati al precipizio di una grande e forte crisi di solitudine e malinconia.
Ero ritornata a casa, da mia madre e da mio padre che non sapeva nemmeno del mio arrivo, dato le condizioni critiche in cui era caduto.
Ma una parte piccola e lontana di me, rivolgeva sempre una parte dei miei pensieri, a Michael.
Era già approdato in California, arrivando in poco tempo nella sua grande dimora colorata e lussuosa.
Io, invece, avevo passato tutta la mia giornata in compagnia di mia madre, raccontandole del nuovo lavoro, delle attenzioni di Jackson, di Angie e dei bambini.
Ella, dal canto suo, mi aveva accennato di aver ottenuto una piccola promozione al lavoro, incassando un paio di soldi in più.
Era una bella notizia, ma non volevo che i miei genitori continuassero a lavorare, dato le loro condizioni di salute.
Mia madre era solita soffrire di emicrania, ed ora che avevamo ricevuto un'altra notizia alquanto macabra, le nostre preoccupazioni si allargarono.
« Pensi che un giorno riusciremo ad incontrare tua sorella? » mi domandò all'improvviso, mentre eravamo sedute sul divano dalla stoffa grigia, intente a raccontarci delle nostre lunghe giornate di lavoro.
Sospirai esausta, appoggiando la schiena contro allo schienale del divano, osservando mia madre con uno sguardo indecifrabile.
Non sapevo cosa risponderle.
Non volevo darle false speranze, sapendo che mai e poi mai saremmo state in grado di incontrarla per un'ultima volta.
Lei era sparita, forse in un altro continente, dall'altra parte del mondo e forse si era già creata una famiglia propria.
Nonostante volessi un gran bene a quella ragazza che mi aveva abbandonata, nutrivo in una parte, rancore.
Ero arrabbiata con lei e l'avevo tante volte data per egoista, ferendo anche i sentimenti dei miei genitori.
Ma non potevo reprimere il mio dolore, mentendo me stessa di essere felice.
Non lo ero, ma la ricercavo da tutte le parti, arrivando persino a cercarla tra le carezze e i sorrisi di Michael.
Ma una sorella perduta non la si poteva mai trovare in qualcuno che non era lei.
L'amore fraterno era tutt'altro che una cotta.
Era qualcosa di diverso, profondo e genuino.
« Credo che se avrebbe voluto rivederci, sarebbe ritornata lei a casa, mamma. Ha la sua famiglia ad attenderla, e lei lo sa. Ma non è ritornata » replicai, abbassando lo sguardo per paura di incrociare gli occhi di mia madre, l'unica donna della mia famiglia ad essermi sempre stata vicina.
Ella m'imitò, mordicchiandosi il labbro inferiore. Annuì, come ad avermi dato retta e, dopo essersi raddrizzata, poggiò una mano sulla mia, cercando di catturare il mio sguardo con le sue iridi chiare.
« Spero che un giorno si faccia avanti. È ormai da tempo che non la vediamo. Pensi che sarà cambiata? » domandò con sguardo perso e pensieroso.
Cambiata? Certo che lo era. Non si rimaneva per sempre uguali.
Era cambiata in tanti punti di vista, non solo quello fisico, ma anche quello interiore.
Era diventata irrascibile, senza sentimenti.
Aveva voltato le spalle all'unica sorella che l'aveva amata più di ogni altra cosa ed era scappata in un paese sconosciuto, in un posto lontano da casa sua.
Ma se proprio avessimo dovuto parlare dell'aspetto esteriore, avrei potuto benissimo immaginarmela con i suoi lunghi capelli legati in una treccia e messa di lato.
Mi era da sempre piaciuto immaginarla in quel modo, forse perché quell'immagine la rendeva più ingenua.
Era la figura che avevo impressa nella mente in un modo indelebile, marcato più volte, come se sparire avrebbe potuto nuocere ad una parte dei miei ricordi più preziosi e puri che avevo conservato con un tale egoismo da ferire me stessa.
« Sì, credo che sia cambiata » mormorai.
Cambiata o no, sarebbe per sempre rimasta colei che, per una piccola parte della mia infanzia, mi aveva reso felice, lacerandomi infine, quando quella troppa felicità aveva deciso di traboccare dal calice che teneva in mano.
Era già passato un giorno da quando ero ritornata ad abitare insieme a mia madre.
Rientrare in quella piccola casa mi aveva riportato indietro nel tempo, scaraventandomi in una realtà ormai passata e svanita.
Avevo trovato tutto così come avevo lasciato tempo fa e, rientrare nella mia vecchia camera, mi aveva riempito di sensazioni malinconici ed estasiati al contempo.
Ma ora, seduta su quelle sedie scomode, aspettavo di ricevere notizie di mio padre che, secondo quanto detto dai dottori, si era ripreso.
Avevo appena finito di parlare con Angie che mi aveva raccomandata di mangiare e di prendermi cura della mia famiglia, chiedendomi se avessi bisogno del suo aiuto, ed io, non volendo disturbare nessuno, rifiutai dolcemente, dicendole che, se avessi avuto in futuro bisogno di una mano, l'avrei chiamata.
Mia madre mi era vicina e com'era solita fare quando era ansiosa e nervosa, dondolava in avanti ed indietro con il busto, giocherellando con le proprie mani.
Dopo un'ora, che sembrava un'eternità, ad attendere, il dottore della scorsa volta ci venne incontro, tenendo in mano la sua solita cartella gialla ed aggiustandosi gli occhiali un po' troppo piccoli per il suo viso, sul suo naso.
Aveva un'aria serena e tranquilla, e mi bastò per farmi rilassare completamente.
Lo salutammo con una stretta di mano, lasciandole infine cadere lungo i fianchi.
« Il signor Jones si sente molto meglio. Le forze sono ancora poche, ma per adesso è in grado di muoversi abbastanza bene. Se le sue prestazioni di salute miglioreranno entro la prossima settimana, potremmo rilasciarlo senza problemi, prescrivendogli delle pastiglie che lo aiuteranno con i problemi di tremolii e stanchezza » disse.
Rilasciai un lungo respiro liberatorio, sorridendo con una nota di allegria.
Quello che sarebbe arrivato poco mi interessava in quel momento, l'importante era che mio padre stesse bene.
Mia madre lo ringraziò velocemente, stringendogli la mano più volte ed io feci altrettanto, inchinandomi infine con il busto.
« La ringraziamo, dottore » parlai.
Lui ci sorrise dolcemente, poi, con un cenno del capo ci invitò ad avanzare.
« Vi starà aspettando. Buona serata. »
Ci congedammo un'ultima volta, poi, con passi affrettati raggiungemmo la stanza dove mio padre era stato ricoverato, bussando prima di entrare.
Udimmo una voce flebile invitarci ad entrare e, quando mia madre socchiuse la porta, trovai mio padre disteso sopra ad un lettino bianco, con le coperte anch'esse bianche e vari macchinari a circondarlo.
Voltò lentamente la testa verso alla nostra direzione e, quando incrociò la mia figura e il mio viso con le iridi ormai lucidi, spalancò gli occhi.
« Kara » sussurrò flebile, lasciando che una lacrime calda gli rigasse il viso coperto da un accenno di barba.
Cercai invano di trattenere le lacrime. Rivedere mio padre dopo così tanto tempo, mi aveva in un certo senso risvegliata da quel tormento che mi portavo dietro da mesi.
Avanzai con passi lenti verso al lettino privo di colori, soffermandomi davanti al suo corpo coperto.
Poggiai una mano sulla sua testa leggermente calva, allungandomi in avanti con il busto per stampargli un casto bacio sulla fronte leggermente sudata.
Lui non proferì parola, anzi, continuava a piangere in silenzio.
« Papà, stai bene? » gli domandai con la voce strozzata.
Non volevo piangere davanti a lui, lo avrei reso più debole. Ma trattenermi sarebbe come impedire alle mie emozioni di sprigionarsi fuori dal mio corpo.
Non volevo impedire ai miei sentimenti di esplodere. Angie diceva che a volte faceva bene lasciarsi andare.
Lui annuì piano, chiudendo gli occhi, per lasciar percorrere lacrime calde lungo le sue guance.
Allungai velocemente una mano, asciugandole.
Sfiorai la sua pelle leggermente ruvida ed in mente mi apparse subito l'immagine di me da bambina.
Ricordai che ero solita sedermi sulle sue gambe, coccolandomi contro al suo petto muscoloso e tracciando con le mie piccole manine, i lineamenti del suo viso perfetto.
Era solito lasciarsi crescere la barba, perché mia madre lo aveva da sempre trovato affascinante in quel modo ed ora, crescendo, mi ero accorta che ella aveva ragione.
« Piccola mia, tu stai bene? » chiese a sua volta, guardandomi con un leggero e dolce sorriso.
Avevo da sempre amato il suo sorriso, sopratutto quando lo rivolgeva a me o mia madre ed un tempo, anche a mia sorella.
Inarcava le sue labbra con eleganza, scoprendo quella fila di denti bianchi ed in perfetto ordine.
« Sto benissimo, papà » sussurrai, ricambiando il sorriso.
Tirai su col naso, avvicinandomi ancora di più al suo letto, poi, con estrema lentezza mi piegai in avanti, poggiando la mia testa sul suo petto ancora scolpito e le mani sul suo torace duro.
« Mi sei mancato » mormorai, chiudendo gli occhi, mentre singhiozzavo, tremante.
Lui alzò una mano, appoggiandola sulla mia testa per accarezzarmi i capelli con estrema dolcezza.
« Anche tu bambina mia. Anche tu » replicò con voce tremante.
Solo allora udii i passi incerti di mia madre farsi sempre più vicini, fino a quando si soffermò vicino a me, poggiando una mano sulla mia schiena.
Si abbassò alla mia stessa altezza e, dopo aver appoggiato la sua testa sulla spalla, andò a cercare la mano di mio padre, stringendola forte.
Ora sì che potevo dire di essere finalmente a casa.
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