Capitolo 26


C A P I T O L O 26

« Mamma! » la chiamai, correndole subito dopo incontro.

Ella, appena si accorse della mia presenza, si alzò di scatto, guardandomi con un'espressione stupita ma affranta allo stesso tempo.
Potevo leggerle negli occhi la felicità che provava nel rivedermi dopo tanto tempo.

« Kara...Bambina mia » mormorò.

Senza preavviso, mossi le mie gambe tremanti verso a quella figura alta, correndo velocemente mentre cominciavo a sentire calde lacrime rigarmi le guance che avevano ormai assunto un colorito più acceso.
Mia madre allargò le braccia, correndo piano verso di me.
Faceva fatica a muoversi ed accordai questo suo problema al fatto che fosse scossa da ciò che avvenne.
Ci abbracciammo forti, stringendosi fra le braccia dell'altra.
Appoggiai la mia testa sul suo petto coperto da quella stoffa calda, chiudendo gli occhi come una bambina che aveva appena rivisto la propria madre dopo tanti e tanti anni.
Udii il battito accelerato del suo cuore, invadermi l'orecchio ed a ciò, un sorriso genuino scappò dalle mie labbra.
Quanto mi era mancata?
Dopo vari minuti mi staccai, guardandola con preoccupazione ed allarmata.

« Papá. Papà dov'è? » domandai, alquanto agitata.

Mia madre mi afferrò per le spalle, salda.
Mi guardò negli occhi dopo avermi scossa e nel suo sguardo potei chiaramente leggere la paura che ella provava in quel momento.

« I dottori mi hanno vietato di vederlo, Kara. L'hanno portato in un'altra stanza e mi hanno detto di restare qui ad attendere » disse.

Proprio in quel momento, Michael e i suoi due fidati bodyguards, si avvicinarono alle nostre figure, leggermente titubanti.
Mia madre, appena li notò, sgranò gli occhi, riportando a guardarmi con espressione sorpresa e scioccata.

« Kara » si limitò a sussurrare.

« Mamma, devi soltanto dirmi in quale stanza l'hanno portato, ti prego » parlai, prendendola dolcemente per le braccia e voltandola completamente verso alla mia direzione.

Ella scosse la testa, risvegliandosi dal suo stato di trance.

« Non lo so. Non so in che stanza sia, ma è lontano da me. Da noi » replicò, ora agitata.

Michael si avvicinò maggiormente a lei, poggiandole una mano sulla spalla ed ella, a quel gesto, sussultò.

« Signora, la prego di calmarsi. I miei uomini si accerteranno che vada tutto bene. Ma la prego, non faccia così. Deve essere forte per suo marito e per se stessa » mormorò con voce pacata.

Rimasi leggermente colpita dal modo in cui egli si rivolse a mia madre, sopratutto quando la invitò a sedersi, domandandole se avesse voluto bere un po' di caffè o qualcosa di rilassante. Ma ella aveva rifiutato gentilmente, guardandomi con aria ancora scioccata.
Presi posto di fianco a lei, portando entrambe le mie mani sulle sue gambe, prendendo le sue ormai fredde.

« Mamma, papà starà bene, vedrai » le sussurrai dolcemente, pregando dentro di me che ciò fosse vero.

Ella annuì soltanto, lasciandosi andare contro alla mia spalla, poggiando la testa su di essa, mentre fece un lungo e lento sospiro.
Io invece poggiai la mia testa sulla sua, aumentando la stretta.
Era da tanto tempo che non mi trovavo così tanto vicino al corpo di mia madre e ciò mi aveva riportato in mente tutti quei ricordi che conservavo in una parte remota del mio passato.
Michael si limitò a stare in piedi, avvicinandosi ai due omoni per parlare loro in privato.
Non sapevo cosa stesse loro dicendo e sinceramente in quel momento non mi importava più di tanto.
Ero assorta nei miei pensieri e nelle mie preoccupazioni, godendomi da una parte, il rincontro ravvicinato del corpo di mia madre contro a quello mio. E quello mi bastava.
Mi era mancata tanto ed era da sempre stata la donna che mi aveva sorretta nei peggiori momenti, insieme a mio padre ed a Angie.
Mi bastava soltanto la sua presenza per risentirmi bene. Come una bambina che smetteva di piangere una volta attaccata al proprio grembo materno.
Una sensazione pacifica.






Era ormai da un'ora che attendevamo nella grande sala priva di colori.
Mia madre non aveva chiuso occhio per niente, nonostante fosse talmente stanca e distrutta da crollare in un momento all'altro.
Michael aveva camminato nervoso per tutto il corridoio, mentre io ad un certo punto mi ero alzata, andando a cercare notizie di mio padre, scorta da lui che si preoccupava di parlare a volte, al posto mio.
Era ormai mattina e per una notte intera non avevo chiuso occhio.
Nessuno di noi lo aveva fatto è Bill e Javon si erano allontanati per prenderci da bere, nonostante avessimo insistito di restare.
Ma essi ascoltavano sempre il loro superiore.

« Grazie per la disponibilità, signor Jackson » mormorò mia madre, allungandogli la mano in segno di gratitudine.

Egli le sorrise lievemente, stringendola ed agitandola piano.

« Sarò sempre disponibile ad affiancarvi. Sua figlia è una ragazza forte ed in gamba, come lo è lei » rispose.

Sorrisi, alzandomi in piedi pure io, per affiancare mia madre.

« Mamma, resterò per un po' con voi, almeno fino a quando papà non si rimetterà del tutto » le dissi, afferrandola dolcemente per un gomito.

Ella mi guardò sorpresa.

« Cosa? E il lavoro? Tutto il resto? » chiese, alternando lo sguardo dal mio viso a quello di Michael.

Egli le sorrise dolcemente, portandosi una mano sotto al mento per brevi secondi, poi, dopo averle appoggiate sui propri fianchi, mi guardò.

« Il lavoro può aspettare. La famiglia prima di tutto » mormorò, spostando infine l'attenzione su mia madre.

Ella si portò una mano davanti alla bocca, poi, con velocità assurda lo abbracciò ringraziandolo, mentre gli afferrava le mani, stringendoli con insistenza.
Michael arrossì, ridacchiando.

« È tutto apposto » disse.

Dopo che mia madre si ebbe allontana dalla sua alta figura, un uomo dal camice bianco e i pantaloni azzurri, si avvicinò a noi, tenendo in mano una cartellina gialla.
Attorno al suo collo vi era uno stetoscopio verde, mentre nella piccola tasca del suo camice lasciato aperto, dove sotto si poteva perfettamente notare una maglia bianca, alcune penne stilografiche e un piccolo cartellino con sopra inciso il suo nome: dottor Grant.
Si fermò di fronte a noi tre, leggendo qualcosa su dei fogli bianchi e macchiati di inchiostro stampabile.

« Parlo per il signor Jones? » chiese, guardando mia madre.

Annuì, stringendosi nelle spalle e fu lì che le cinsi il busto, stringendomela incontro al corpo.
Non volevo che avesse paura. Volevo che sapesse che io ero vicino a lei e che tutto sarebbe andato bene, almeno speravo.

« Buongiorno, abbiamo appena finito tutti gli esami e la visita. Dai risultati che abbiamo potuto ottenere, il signor Jones soffre di una rara malattia al cervello. Una malattia neurodegenerativa, noto come la malattia di Parkinson. Questa coinvolge alcune funzioni, come il controllo dell'equilibrio e dei movimenti. È molto raro nelle persone della sua età » spiegò, alternando lo sguardo su mia madre e su di me.

« Dottore, per favore, c'è una cura? » domandai preoccupata, facendo un passo in avanti.

Egli sospirò lentamente, aggiustandosi gli occhiali sulla punta del naso.

« Potremmo provvedere ad effettuare un corso di fisioterapia che lo aiuterà a mantenere almeno un po' l'equilibrio. È un caso un po' delicato, quindi vi prego di stare forti e di attraversare insieme a noi questo percorso lungo » replicò.

Michael mi affiancò, guardando il dottore con gentilezza.

« Dottore, potrei per favore parlarle? » domandò.

Mia madre ed io lo guardammo, e il dottore annuì, allontanandosi leggermente.
Michael mi guardò, facendomi cenno di seguirlo ed io guardai mia madre, facendola sedere su quella sedia scomoda e fredda.

« Mamma, arrivo subito » le sussurrai dolcemente.

Ella si limitò ad annuire, assorta nei suoi più profondi pensieri.
E quando mi accertai che stesse bene, mi allontanai da lei, seguendo Michael che si fermò di fronte all'uomo, con me al suo fianco.

« Dottore, la prego, ci dica la verità. Questa malattia è... è letale? » domandò.

Egli mi guardò per brevi secondi, poi, riportando lo sguardo su Michael, parlò: « Se non curata in tempo e per bene, il paziente potrà riscontrare altri problemi e malattie. Vede, questa malattia rende il corpo debole, quindi, per il paziente sarà difficile tenere lontano altri batteri che potranno dar alla luce malattie come infarto, polmonite, infezione urinaria e altre patologie di malattie letali. È una questione di duro lavoro e fede. Per il resto dovrete pregare che tutto vada per il verso giusto » spiegò, mormorando l'ultima frase.

A quella risposta, il mio cuore prese a battere velocemente.
Letale. Quella parola mi rimbombava in testa come un allarme.
E se fosse successo qualcosa a mio padre?

Lo ringraziai con una stretta di mano ed un lieve inchino con il busto, poi Michael fece lo stesso, parlando infine per un'ultima volta.

« La prego. Tutte le spese mediche lo metta sul mio conto. Provvederò io a ciò. Lascerò alla reception tutti i miei dati ed il mio conto » disse.

Spalancai gli occhi, voltandomi verso alla sua direzione.
Non poteva farlo di nuovo.

« Michael, non c'è ne bisogno, io, noi... » balbettai alquanto imbarazzata.

Non mi piaceva il fatto che Michael spendesse tutti quei soldi per colpa mia. Se non mi avesse conosciuta, forse, avrebbe potuto mettere da parte tutti quei denari.
Mi sentivo un peso e non lo negavo, sopratutto quando il dottore aveva annuito, sorridendogli.
Era tutto accordato e non sarei potuto ritornare indietro.
Ovviamente mia madre non sapeva nulla di tutto ciò, ma sarebbe di sicuro rimasta scioccata.
Troppi avvenimenti in così poco tempo!







La grande vettura si fermò di fronte al nostro piccolo appartamento.
Ero ritornata a casa insieme a mia madre, scortate dai bodyguards e da Michael che aveva per tutto il tempo fissato un punto indefinito senza aprire bocca.
Non ero riuscita ad incontrare il viso di mio padre, essendo stata obbligata dai dottori di lasciarlo riposare senza disturbarlo.
"Passate domani", ci avevano detto, ma domani sarebbe stata una lunga attesa, dato che la giornata di oggi era da poco cominciata.
Javon parcheggiò la grande vettura nell'ampio parcheggio pubblico, aggiustandosi la cravatta con fare elegante.

« Siamo arrivati » disse.

Mia madre si era addormentata sulla mia spalla. Era crollata dopo un paio minuti dalla nostra partenza ed io non avevo voluto disturbarla.
Dormiva così tranquilla. Le sue palpebre erano chiuse e le sue labbra colorate di un rosa carne, erano leggermente socchiuse.
Alcuni suoi boccoli le ricadevano fastidiosi lungo il viso, ed ella se li scostava di tanto in tanto, sbuffando, per poi ritornare a dormire.
Io ero seduta in mezzo, fra Michael e mia madre.
Egli, dopo aver guardato Javon con una punta di malinconia dipinta sul volto, spostò la sua attenzione su di me, notando la testa di mia madre appoggiata sulla mia spalla destra.

« Come farai a svegliarla? » domandò, accennandomi un sorriso dolce ma dilettato al contempo.

Ricambiai il sorriso, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Con la coda dell'occhio, guardai mia madre ancora dormente.
Sembrava così rilassata e tranquilla che svegliarla mi sembrava egoista.

« Non lo so. È così serena mentre dorme » mormorai, poggiando una mano sul suo braccio esile, coperto dalla stoffa del suo cappotto.

Ripuntai l'attenzione sul ragazzo dalla capigliatura scura e riccia, guardandolo attentamente per brevi secondi.
Il suo viso era illuminato dai primi raggi del sole mattutino, marcando i suoi lineamenti dolci e perfetti. Le sue iridi scure vagavano per tutto il mio viso, e, nonostante fossero stanche, emanavano ancora quella leggera luce rassicurante che avevo spesso trovato nei suoi sguardi discreti.
Allungai una mia mano tremante verso al suo volto dalla carnagione chiara, scostandogli dal viso una ciocca di ricciolini che andai a depositare lentamente dietro al suo orecchio e con massima cura, sfiorandogli la pelle candida.
A quel gesto, egli chiuse gli occhi sospirando.
Sembrava che avesse atteso per così tanto tempo un contatto fisico con il mio, ed ora che ne aveva avuto la possibilità di risentire la mia pelle sfiorare la sua, si rilassò completamente, lasciandosi andare contro allo schienale dei sedili posteriori.
Gli sorrisi leggermente impacciata, e quando egli riaprì gli occhi, andò ad appoggiare la sua mano sulla mia, stringendola piano.

« Prenditi cura della tua
famiglia » mi sussurrò.

Annuii, mantenendo quel dolce sorriso sulle mie labbra.

« Grazie Michael. Per tutto » mormorai.

Egli si avvicinò lentamente al mio viso, stampandomi un casto e lungo bacio sulla guancia, infine, dopo essersi staccato per metà, poggiò le sue mani sulle mie guance, sfiorando il suo naso con quello mio.
Un brivido percorse la mia schiena a tal punto da farmi sussultare appena.

« A presto, Kara » sussurrò.

Chiusi gli occhi, concedendomi quel momento di beatitudine che trovavo sempre, ogni qualvolta che percepivo il suo corpo contro al mio.
Il suo candido profumo mi inebriò i sensi ed invase le mie narici con estrema eleganza.
Le mie guance che ora bruciavano sotto al tocco delle sue mani ormai calde, mi scaldavano il viso.
Era la prima volta che si avvicinava così pericolosamente al mio viso e quasi temetti di venire tradita nuovamente dai miei sentimenti asfissianti.
Mille emozioni in un colpo solo. Era quello che lui, dietro a quelle attenzioni, mi provocava.
Avevo ricercato il motivo delle sue improvvise e ripetute attenzioni nei miei confronti, che mi aveva portata a quella famosa discussione con Glenda e, nonostante fossero passati giorni, ella non si apprestava a parlarmi.
Era come se lui, dietro a quegli sguardi genuini e a quei tocchi percettivi, volesse nascondere qualcosa.
Un segreto.
Ma quale?
Ma infondo lo sapevo anch'io.
Chi ama, spesso mente.

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