Capitolo 22


 C A P I T O L O 22

Vedevo la macchina nera scomparire dietro ai cancelli di Neverland con eleganza, trascinando via da me, l'unica persona che fino a quei giorni era stata in grado di capirmi e comprendermi.
Angie se n'era andata subito dopo aver consumato insieme a noi la cena e dopo aver passato una bellissima giornata in mia compagnia.
Mi aveva parlato dei bambini che erano diventati più allegri del solito e di Lily che non faceva altro se non chiedere di me e Jackson.
"Devi vederla com'è! Sembra rinata!" aveva esclamato, spalancando le braccia con gesto allegro.
Avrei tanto voluto rivederli di nuovo, abbracciarli e coccolarli fra le mie braccia.
Ma quando? Quando avrei avuto la possibilità di rivederli?
Il buio era ormai calato e l'aria notturna alquanto fredda, aveva preso il sopravvento, agitando gli alberi e le sue foglie ormai secche.
Michael era di fianco a me. Indossava un semplice cappotto a vento grigio. I suoi capelli erano legati in una coda bassa con alcuni ciuffi ribelli ad incorniciargli il volto privo di imperfezioni.
Avevamo accompagnato Angie fino all'auto che l'avrebbe ricondotta a casa e, dopo che essa sparì dietro a quei folti alberi, Michael sorrise, intascando le mani.

« Entriamo, fa freddo » disse, continuando a tenere lo sguardo dinanzi a lui.

Fece per voltarsi e camminare, ma lo bloccai, poggiando istintivamente una mano sul suo braccio, stringendo leggermente il tessuto della sua giacca.
Egli, al tocco, si voltò verso di me, aggrottando leggermente la fronte.

« Qualcosa non va? » domandò.

Presi un bel respiro, fissando per un paio di secondi la cerniera del suo semplice vestito.

« Grazie per quello che stai facendo all'orfanotrofio. Angie me ne ha parlato stamattina » mormorai.

Egli sorrise, voltandosi completamente di corpo verso alla mia figura alquanto bassa.

« È stato un onore per me. Spero Lily si rimetta presto » disse, mordicchiandosi il labbro inferiore.

Ricambiai il sorriso, annuendo.

« Si rimetterà. È solita ammalarsi con il cambiamento del clima » replicai.

Lui sospirò, inumidendosi il labbro inferiore con la lingua.

« Menomale » sussurrò.

Restai in silenzio per vari secondi, non sapendo cosa dirgli.
Parlargli mi faceva del male, mi lacerava il cuore.
Non ero mai stata nessuno di importante per lui e lui non lo era mai stato per me, ma la prima volta che lo vidi, mi sembrò di conoscerlo da un'eternità.
Lo incitai leggermente con la mano che era libero di andarsene adesso, voltandomi per poter camminare, ma questa volta fu lui a bloccare me, prendendo il mio polso con fare dolce.
Mi attirò leggermente all'indietro, posizionandomi di fronte alla sua figura alta.
E, sempre con il mio esile polso incastrato in una sua mano, egli mi sollevò il mento con l'altra, obbligandomi a guardarlo negli occhi.
Il chiarore della luna illuminava quelle iridi scure e profonde, velandole di una luce intensa, brillante.
Era bellissimo e i suoi dolci lineamenti erano messi allo scoperto, tracciando il contorno del suo volto perfetto.

« Kara, cosa c'è che non va? » domandò, poggiando ora la sua mano sulla mia testa, accarezzandomi i capelli con estrema dolcezza e sicurezza.

Il mio polso bruciava sotto al contatto della sua pelle e le mie gambe cominciarono a farsi molle.
Ero a pochi centimetri di distanza dal suo corpo che emanava protezione e calore.
Lui mi scrutava in silenzio, attendendo una mia risposta.
Cosa c'era che non andava? Se solo sapesse quale fosse il mio problema.

« Io sto bene, Michael » sussurrai, fissando la stoffa della sua giacca.

« Guardami » mormorò.

Mi morsi il labbro inferiore, alzando lo sguardo con timore di incontrare i suoi occhi intensi.

« Dimmi cosa c'è che non va e possiamo risolvere la questione insieme. Non ti senti a tuo agio, qui? » mi chiese.

Scossi la testa, come a negare ciò che aveva detto.

« Qui mi sento bene, Michael. Sono soltanto stanca e vorrei dormire, se tutto il lavoro è
finito » risposi.

Lui mi scrutò per secondi interminabili, poco convinto della mia risposta.
Infatti, subito dopo parlò: « So perché ti senti a disagio stare in mia compagnia, Kara. Quindi, ti prego, dimmelo. »

Spalancai leggermente gli occhi e la bocca, restando bloccata.
Il mio cuore prese a battere all'impazzata, mentre le mie mani cominciarono a tremare per l'emozione e, avendo il polso bloccato nella mano di Jackson, egli lo notò, abbassando lo sguardo per poggiarlo sulla mia mano ormai barcollante per poi guardarmi, con una strana luce negli occhi.
Lo sapeva? Sapeva di quello che provavo? Delle mie emozioni? Ero stata nuovamente tradita?

« Tu...Tu non sai niente,
Michael » mormorai con la voce tremante.

Non volevo che scoprisse i miei sentimenti. Era il mio capo, una celebrità. Io una sua semplice domestica.
Avrei voluto sotterrarmi, scappare dalla sua presa, poter dimenticare tutto e magari non averlo mai fermato.

« Non so niente? Ne sei sicura? » domandò, con un mezzo sorriso sulle labbra.

Voleva sfidarmi o mi stava solamente prendendo in giro? Cominciai a respirare a fatica, nonostante prendessi grandi e profonde boccate d'aria.
Cercai di sciogliere la presa dal mio polso, ma Michael aumentò la stretta, quasi in modo possessivo.
Non voleva lasciarmi andare e lo sapevo, ma perché si comportava tutto ad un tratto in quel modo? Che qualcuno gli avesse detto qualcosa?

« È vero? » domandò all'improvviso.

Mi bloccai, alzando lo sguardo per guardarlo con aria confusa.

« È vero quello che mi ha detto Glenda? » chiese, serio in viso.

Glenda? Certo, Glenda mi aveva tradita. Aveva raccontato tutto a Michael e lui l'aveva creduta. Ma perché?

« Di cosa stai parlando? » esclamai, con una punta di irritazione.

« Di noi. È vero, Kara? » chiese.

Questa volta fu come ricevere un secchio d'acqua fredda in pieno inverno.
Di noi. Di noi? Perché parlava in quel modo?
Aveva cambiato atteggiamento ed umore in poco tempo e ciò mi spaventava.

« Non so di cosa tu stia
parlando » replicai infastidita.

Sciolsi la presa con un gesto leggermente brutale, lasciando me stessa sorpresa.
Non avevo mai compiuto un gesto di quel genere, ma volevo soltanto scappare, rinchiudermi in camera e sotterrarmi sotto al cuscino.
Volevo piangere, stare da sola, senza nessuno.
Oh, quanto avrei voluto ci fosse la compagnia di Angie!
Mi voltai con le lacrime agli occhi e, con passi veloci, quasi correndo, cominciai a camminare, diretta verso al grande portone principale che distava abbastanza lontano.
Non volevo girarmi. Non volevo incontrare nuovamente quelle iridi scure, perché so che mi avrebbe soltanto fatto del male.
Ma allora perché una parte di me voleva ancora restare?
Asciugai velocemente una lacrima che rigò la mia gote, alzando leggermente il manico del mio cappotto, ma proprio quando stavo per fare un'altro passo, percepii una mano calda afferrarmi nuovamente un braccio, vicino al gomito.
In uno strattone mi ritrovai tirata all'indietro e il mio minuto corpo andrò a sbattere contro a quello suo alto e slanciato.

« Ti prego Mich- »

Le mie urla furono soffocate dal suo petto leggermente scolpito, ed una grande mano andò a cingermi con forza, le spalle coperte dal tessuto del mio cappotto.
Il suo fiato mi solleticò il collo, mentre io restai paralizzata, spalancando gli occhi.
Michael mi aveva abbracciata. Nascose il viso nell'incavo del mio collo, e il suo caldo respiro a contatto con la mia pelle mi causò dei piccoli brividi che percorsero la mia colonna vertebrale.

« Midispiace » - sussurrò -
« Midispiace, Kara. »

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