Capitolo 20
C A P I T O L O 20
Le parole di Michael mi erano state impresse nella mente come un eco che, con il passare del tempo, si diffondeva, prendendo possesso nella mia piccola e confusa testa.
Non volevo accettare l'idea che lui avesse già qualcuno nel suo cuore, nella sua mente, ma più cercavo di convincermi che ben presto tutti sarebbe ritornato normale, più mi avvicinavo nel crearmi strani e negativi pensieri a riguardo.
Se solo non lo avessi conosciuto.
Aspettavo Angie da ormai dieci minuti, stando in piedi, davanti al grande cancello di Neverland.
Si era preoccupata di telefonare in persona Michael, chiedendogli il consenso di poter venirmi a fare visita e lui, buono com'era, aveva accettato senza problemi, invitandola a portare anche i bambini.
Ma ella si era rifiutata per un motivo a me sconosciuto.
Michael quella mattina era rimasto a casa. Non aveva voglia di uscire, dicendo che si sentiva stanco, malato e Glenda si preoccupava di prendersi cura di lui, portandogli da bere e preparandogli da mangiare e, nonostante egli le avesse pregato di non trattarlo in quel modo, ella non si ostinava ad ascoltarlo.
Sospirai frustata all'idea di loro due insieme. Ma poi, quell'immagine rimasto impresso nella mia mente, tormentandomi, mi aveva riportato alla realtà.
Se Michael fosse stato davvero innamorato, non avrebbe giocato con i sentimenti di Glenda. Forse la guardava come una semplice amica, ma lei lo considerava più di un semplice amico e capo.
Lisa Marie. Lisa Marie.
Perché per tutto quel tempo non si era confessato a lei? Perché l'aveva lasciata scappare dalle sue mani, sapendo che ella era tutto ciò che voleva?
Avevo passato una notte intera a camminare da una parte all'altra della stanza, non riuscendo a dormire.
Mi ero domandata per quei cinque ore senza riposo, cosa avesse spinto Michael ad allontanarsi da lei. Che si fosse accorto dei suoi sentimenti quando era già troppo tardi?
Mio padre mi aveva sempre detto che, soltanto perdendo una persona, puoi sapere quanto lo amavi. Quando tutto è già troppo tardi. Quando non puoi ritornare le cose al suo posto, fare un salto nel passato e sistemarle.
Era ciò che successe a lui?
Stavo meditando su tutte quelle domande, mordicchiandomi il labbro inferiore per un lasso di tempo cui avevo perso il conto, ma poi, quando mi accorsi di una grande ed elegante auto nera, parcheggiare davanti al cancello, mi bloccai, osservandola.
Un uomo alto, robusto e muscoloso uscì dalla vettura, aggiustandosi la cravatta e solo allora mi accorsi di chi fosse.
Javon. Il fidato bodyguard di Jackson.
Ma cosa ci faceva lì? Michael non era uscito.
Osservai ogni suo movimento e lui sembrò non accorgersi della mia presenza. Con passi decisi e veloci, si affrettò ad aprire la portiera posteriore e, con un sorriso gentile ed un cenno del capo, lasciò spazio per permettere ad un corpo minuto di uscire.
Mi avvicinai lentamente al cancello e subito i miei occhi si spalancarono per la sorpresa e la felicità.
Angie.
« La ringrazio signor Beard » disse, stringendogli calorosamente la mano e lui si affrettò a ricambiare, sfoggiandole un sorriso smagliante.
Volevo aprire i cancelli, correrle incontro ed abbracciarla, ma mi ero dimenticata che l'interruttore si trovava all'interno della grande dimora.
Saltellai leggermente sul posto, come una bambina che rivede dopo tanto tempo la propria madre. Sarei potuta sembrare infantile, maleducata, ma non provai mai così tanta felicità di rivederla. Sembrava che, una volta arrivata lei, tutti i miei problemi sarebbero stati risolti. Mi avrebbe ascoltata e consigliata, come aveva fatto da sempre.
E, come se qualcuno da dentro alla dimora avesse visto la mia vistosa voglia di stringere fra le braccia Angie, i cancelli si splancarono, emettendo un suono spaventevole.
Mi voltai verso al grande e colorato edificio, cercando di scorgere il viso di qualcuno, magari di Leticia, ma il mio respiro si bloccò leggermente, quando intravidi in lontananza, il corpo sinuoso di Michael, avanzare verso alla mia direzione.
Un dolce e felice sorriso aleggiava sulle sue candide labbra ed una fila di denti bianchi erano allo scoperto.
Ero rimasto a contemplarlo come una bambola, accorgendomi solo dopo di due calde ed esili braccia, avvolgermi i fianchi.
« Kara, tesoro! Oh Dio, quanto mi sei mancata! »
Mi voltai, incontrando il viso allegro di Angie, osservare quello mio contento.
L'abbracciai, nascondendo il mio viso nell'incavo del suo collo, come a cercare riparo.
Il suo solito buon profumo invase le mie narici e le sue braccia non tardarono ad avvolgermi le spalle, stringendomi contro al suo corpo avvolto da un cappotto rosso lungo.
« Madre, attendevo da tanto il suo arrivo » mormorai, chiudendo per brevi secondi gli occhi.
Angie portò una mano sulla mia testa, sopra ai miei capelli biondi, accarezzandoli con dolcezza.
« E tu non sai da quanto tempo abbia aspettato di rivederti » mormorò pacata.
Sorrisi e basta, stringendomi leggermente nelle spalle, mentre il vento d'inverno mi sfiorava con grazia il collo, solleticandomelo.
« Bentornata! »
Una voce maschile alle mie spalle, mi obbligò ad allontanarmi da quel corpo caldo, voltandomi nella direzione da cui essa proveniva.
Intravidi Michael sorridente, mentre con passi allegri ci raggiungeva, aprendo le braccia per stringere Angie fra le sue braccia, stampandole un casto bacio sulla tempia.
Ella non esitò a ricambiare, sorridendo raggiante.
« Ti ringrazio per l'auto... Sei stato molto gentile a mandare il signor Beard » disse, sorridendogli riconoscente.
Michael si era preoccupato di mandarle la sua guardia del corpo, nonché autista?
Quello era stato davvero un bel gesto da parte sua.
Lui ridacchiò, imbarazzato.
« Non mi devi ringraziare. È un onore per me » replicò.
Poi guardò oltre al cancello.
« I bambini? I bambini non sono venuti? » domandò, ritornando a guardarla.
Lei scosse leggermente la testa.
« Lily, la più piccola, si è ammalata » mormorò.
Sgranai gli occhi, preoccupata.
Si era ammalata? Da quanto? Perché non me ne aveva parlato?
« Madre, da quando? » domandai, avanzando di un passo verso alla sua figura esile.
Michael aveva lo sguardo triste, affranto. Mi aveva detto che odiava vedere o sapere che i bambini stessero male. Aveva da sempre sognato un mondo dove la malattia non esisteva e dove tutte le creature, avrebbero avuto l'opportunità di vivere per sempre, senza problemi, malattie e guerre.
« Da ieri sera. Scusami se non te l'ho detto Kara, ma non volevo farti preoccupare » si giustificò, mortificata.
La guardai, ancora con gli occhi leggermente spalancati.
Farmi preoccupare? Era un mio dovere e diritto sapere chi stava male e chi no. Nonostante non lavorassi più nell'orfanotrofio, ciò non significava che avrei dovuto smettere di prendermi cura della salute e dei problemi dei bambini. Per me loro erano importanti.
« Cos'ha? Non si sente bene? »
La voce dolce e calma, seppur preoccupato, di Michael, invasero le mie orecchie.
Guardava Angie negli occhi, come a voler sapere e leggere ciò che stava succedendo.
« Ha avuto un po' di frebbe. È una bambina molto delicata e ieri, aveva passato il resto della serata fuori, in giardino » rispose.
« In giardino? Madre... » sussurrai.
Mi faceva sentire male all'idea che non mi trovassi vicino a Lily. Sapevo quanto a lei, la mia presenza le facesse del bene. Ed io volevo stare con lei, con loro.
« Ha fatto una visita medica? » chiese Michael.
Angie scosse la testa, negando.
Visite mediche? Erano rare le volte che i bambini si ammalavano e spesso, una visita dal dottore costava un sacco, per non parlare delle spese.
Michael sospirò.
Si inumidì le labbra con la lingua e, dopo vari secondi parlò:
« Metterò a disposizione il mio medico, per Lily e per gli altri bambini. Non preoccupatevi per le spese, sarò io stesso a preoccuparmene. »
La sua voce ora era più sicura, seria.
Sembrava che, sapere che un bambino stesse male, lo facesse sentire in colpa, arrabbiato.
Avrebbe fatto pur di tutto affinché essi stessero bene.
Io ed Angie spalancammo gli occhi, per la sorpresa.
« Michael, non possiamo accettarlo. Stai già facendo
tant- »
Angie venne interrotta nuovamente dalla sua voce soffice, lieve.
« Non lascerò che Lily si ammali. Non ci vorrà molto. È molto bravo ed ha avuto esperienze con i bambini, in passato » disse.
Lo ringraziammo con un inchino sincero e, quando alzai lo sguardo, i miei occhi incrociarono quelli scuri e profondi di lui.
Mi osservava in silenzio, serio in viso. Non sorrideva e non rideva, anzi, studiava il mio abbigliamento buffo e i miei capelli ormai scombinati dal vento gelido.
Non mi piaceva essere fissata in quel modo, da occhi di chi è già innamorato.
Ciò mi metteva in imbarazzo, mi faceva sentire vulnerabile, sopratutto se era lui a farlo.
Detestavo le sue iridi, ma al contempo le amavo, ed ogni volta che lo sorprendevo a guardarmi, maledicevo il mio cuore e il mio basso ventre che cominciavano la loro veloce ma dolce danza insistente.
Ed odiavo quella tortura interna, perché non solo mi faceva sentire bene, ma in un certo senso mi uccideva.
Mi sentivo spogliata e messa a nudo davanti alla persona che, nonostante avesse passato gran parte del suo piccolo e poco tempo con me, non si era accorto dei miei sentimenti.
Aveva parlato della donna che amava con tanta malinconia e desiderio di riaverla indietro, come se ella gli fosse stata strappato dalle mani con violenza.
Mi aveva detto che aveva voltato pagina, che l'aveva dimenticata, ed io, da donna genuina, avevo creduto alle sue parole.
Ma infondo, il mio povero e misero cuore sapeva che, un posto alla persona che hai amato, ci sarà sempre stato in una parte di te, anche dopo anni e giorni passati a voler dimenticarla.
C'era e ci sarebbe per sempre stata.
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