Capitolo 17


 C A P I T O L O 17

« Signorina Jones, il signor Jackson sarà qui a momenti. Le chiedo gentilmente di apparecchiare anche per lui. »

Un dipendente dalla statura bassa ed esile, aveva fatto il suo ingresso nell'ampio salotto, reggendo fra le mani, un tovagliolo bianco.
Indossava un camice color latte, con dei pantaloni neri e leggermente aderenti.
I suoi corti capelli neri, erano tirati su, con qualche piccolo ciuffo fuori posto.
Annuii sorridente, voltandomi infine, per afferrare un piatto ed un bicchiere puliti.
Mi sentivo molto felice all'idea di pranzare con Michael, ma da una parte avrei voluto evitare il suo sguardo così profondo e studioso.
La conversazione con Glenda, mi aveva lasciata alquanto scombussolata.
Non rientrava nei miei piani litigare con lei e non lo volevo neanche.
Per tutta la mattinata aveva cercato di evitarmi, trovandosi una scusa plausibile ogni talvolta che cercavo di avere una normale discussione con lei.

« Sarà fatto » mi limitai a rispondere, ricevendo da parte di egli, un cenno col capo in segno di ringraziamento, dileguandosi dietro alla grande porta in legno.

Mi mordicchiai il labbro inferiore, poggiai le posate sul tavolo, apparecchiando con cura il resto.
Leticia si era preoccupata di pulire le ultime finestre, mentre Glenda, spazzava la cucina, camminando sinuosa da una parte all'altra, con la sua lunga divisa.
Era molto bella come ragazza, ma il suo comportamento così ostile mi aveva lasciato costernato.

« Gliel'hai detto tu? » mi domandò all'improvviso, fermando ciò che stava facendo.

La guardai, ritornando poi a puntare lo sguardo sul tovagliolo che tenevo in mano.
Mi sentivo sotto pressione, come la causa di tutto quello fosse soltanto la mia.
Non volevo passare per una donna poco buona, ma la presenza di Glenda e le sue stolide domande, mi lasciavano sbigottita.

« Come non detto » mormorò infine, ritornando a spazzare non curante del fatto di star facendo alzare una bella quantità di polvere per aria.

Non avevo pietà per lei, ma ero solamente triste dal fatto che ella si fosse allontanata dalla persona che amava.
Lo aveva considerato come uno che giocava con i sentimenti delle donne, come uno con la testa fuori posto, ma nonostante mi avesse descritto il suo carattere in quel modo, nel suo parlare, potevo perfettamente udire un velo di malinconia.
E ora, sedermi a tavola con Michael e con lei, mi faceva sentire ingiusta.
Leticia fece irruzione irruzione nella cucina, camminando velocemente, com'era solita fare quando era nervosa.

« Kara, dovete pulire la camera di Michael prima del suo
ritorno » disse, soffermandosi poco distante dalla mia figura.

Le rivolsi un mezzo sorriso, annuendo, poi quando aprii bocca per parlare, Glenda mi precedette, rispondendo al posto mio.

« Oggi saremo noi a sistemare la camera di Michael. Kara si occuperà di portare fuori il bidone della spazzatura » replicò.

La guardai, restando leggermente sorpresa dalla sua risposta.
Quello era il mio giorno e il mio turno, non poteva permettersi di decidere al posto mio.
La guardai leggermente contrariata, sistemando il mio grembiule lungo i fianchi.

« Oggi è il mio turno, o sbaglio? » domandai con un filo di voce, guardandola attentamente.

Ella ricambiò lo sguardo, sospirando leggermente, frustata.

« Ho voglia di lavorare un po' con Leticia. Ti dispiace? Potresti sempre farlo domani » rispose, tenendo il manico della scopa con tanta insistenza, portandoselo davanti al busto.

Leticia ci osservava in silenzio, con sguardo interrogatorio, come se volesse domandare ad una di noi due, cosa succedeva.
Ma ella non venne accontentata.
Glenda, dopo aver deposto la ramazza al proprio posto, avanzò verso Leticia, afferrandola per un polso per trascinarla fuori da quelle quattro mura ormai divenuti soffocanti.
Mi guardai attorno, sentendomi spaesata.
Era cominciato tutto così bene ed ora mi ritrovavo ad avere una collega, con cui avrei dovuto lavorare, contro di me.
Sospirai rumorosamente, mormorando parole incomprensibili, prima di avanzare verso al bidone ormai colmo di rifiuti, e, dopo aver tirato fuori il sacchetto, lo legai per bene, storcendo leggermente il naso, per l'odore sgradevole che esso emanava.
Fuori faceva parecchio freddo e i gradi erano calati notevolmente.
Indossai il mio lungo cappotto marrone, prima di uscire con in mano, i rifiuti raccolti dentro ad un sacchetto trasparente.
Camminai velocemente per il piccolo sentiero ricoperto di sassolini colorati e, una volta raggiunta i grandi bidoni neri, mi fermai, poggiando un piede sulla leva che avrebbe poi sollevato il coperchio, lanciandovi dentro il sacco, che emise un tonfo al tocco sulla superficie.
E solo allora tolsi il piede dalla leva, appoggiandolo nuovamente per terra.
Mi guardai attorno, sentendo l'aria fresca sfiorare il mio viso e le mie orecchie, solleticandole.
Il sole splendeva ancora e, i suoi raggi, illuminavano il prato ricoperto ancora dalla brina dovuta alla notte precedente.
Era un paesaggio perfetto e quella varietà di colori regalavano un tocco di magia a quel posto sublime.
Sfregai le mie mani tra di loro, cercando di riscaldarle e, dopo essermi aggiustata il cappotto, avanzai verso all'entrata posteriore, ritrovandomi nuovamente nella grande cucina.
Il tavolo era già pronto e le posate erano state ordinate in un modo quasi maniacale.
Ma mancavano ancora i dipendenti e Michael.
Che arrivassero in ritardo?
Mi tolsi il giubbotto, dirigendomi nel lungo corridoio dove lo appesi all'attaccapanni dorato.
I minuti passavano in fretta, ma Jackson non ne voleva sapere di rientrare.
Avevo fame e quasi quasi mi maledii mentalmente per aver scelto di aspettarli.
Avevo lavorato intensamente, cercando di dare il meglio ed ora mi ritrovavo a dover aspettare il mio capo, non sapendo dove fosse andato quella mattina.
Rimasi ad aspettare ancora per un'altro po', camminando avanti ed indietro nella grande stanza, fermandomi solo allora, quando mi accorsi di Glenda, intenta a scendere le scale, con al suo fianco Leticia.
Un sorriso soddisfatto aleggiava sulle sue labbra, quando incrociò il mio sguardo.
Cambiai direzione, guardando un punto a me sconosciuto, poi, quando udii il suono di un clacson, mi lasciai sfuggire un sorriso involontario, mentre il mio cuore sembrava essersi risvegliato.
Glenda era altrettanto felice nel sapere che Jackson era arrivato, mentre Leticia, solo essersi alzata con due mani la lunga divisa, corse davanti alla porta d'entrata, spalancandola per ricevere il suo capo in modo elegante.
Glenda l'affiancò, aspettandolo con impazienza, mentre io, non sapendo cosa fare, mi affacciai alla finestra, osservando la grande auto parcheggiare perfettamente vicino ad un albero ormai spoglio.
Le portiere si aprirono e da essi uscirono i due robusti omoni, con Michael, intento ad aggiustarsi il cappello nero in testa.
Quel gesto provocò uno strano effetto al mio basso ventre e, quando notai il suo sorriso, il mio cuore fece un sussulto.
Si avvicinò ai due uomini, stringendo loro la mano come per ringraziarli ad averlo accompagnato, poi, tenendo la sua giacca a vento blu in una mano, avanzò verso all'entrata, aggiustandosi sul naso, quel paio di occhiali da sole scuri.
La sua camminata era sinuosa, elegante.
Salì i piccoli gradini, passandosi la giacca nell'altra mano.
Scorsi il corpo di Glenda irrigidirsi leggermente quando egli le si soffermò davanti, abbracciandola, per poi passare a Leticia che lo strinse talmente forte da fargli sfuggire un verso strozzato.
Avrei tanto voluto ricevere anch'io un suo caldo abbraccio, ma non potevo presentarmi proprio in quel momento.
Che sciocca che ero stata! Sarei dovuta già essere sul posto all'inizio, non correre come una bambina alla finestra.

« Michael, il tavolo è già stato apparecchiato. »

Glenda parlò, obbligandolo a sciogliere quel amichevole abbraccio, per poggiare la sua attenzione su di lei.
In risposta, egli le sorrise, ringraziandola con voce bassa, varcando infine la soglia, intento a togliersi gli occhiali.
Mi allontanai subito dalla finestra, avanzando verso alla sua figura alta per salutarlo con un leggero inchino ed un sorriso allegro che in quel momento cercavo di reprimere, data la presenza di lei.
Le sue iridi color pece si posarono sui miei, sfoggiandomi un dolce e brillante sorriso.

« Kara » mormorò, passandosi l'indice sul labbro inferiore.

« Bentornato a casa, Michael » dissi, portando entrambe le mani davanti al mio grembo, inchinandomi leggermente in avanti con il busto.

Lui continuò a sorridermi, mentre Leticia si affrettò a prendergli la giacca dalle mani, appendendolo vicino al mio giubbotto.
Michael sembrò divertito da quella situazione.

« Leticia, non sono un re. Posso farcela da solo » la rimproverò divertito, poggiando gli occhiali sul comodino in legno pregiato.

Ella arrossì, ridacchiando.

« Scusami » sussurrò, impacciata.

Il ragazzo dalla folta capigliatura le sorrise intenerito, poi, dopo essersi guardato attorno, posò nuovamente lo sguardo sulla mia figura fattosi ormai piccola e tremante.
Mi osservò attentamente, studiandomi da capo a piedi, portando entrambe le mani sui fianchi fasciati da una cintura marrone.

« Il cibo è già pronto. Venite. »

Guardai Glenda e lei guardò me, prima di incitare Michael e gli altri a farsi spazio nella grande sala da pranzo.
Mi sentii leggermente frustata da quel suo comportamento invadente.
Voleva avere la sua attenzione e ci era riuscita benissimo.

« Grazie mille. Sono curioso di scoprire cosa hanno cucinato » esclamò allegro, quasi fosse un bambino, che, appena uscito da scuola, si faceva sorprendere dalla propria madre che gli aveva preparato il pasto preferito.

Tutti lo seguirono a ruota, compresa io che cercavo di farmi strada in mezzo a tutti quei uomini alti e robusti.
Un profumo delizioso invase le mie narici quando mi ritrovai tra quelle quattro mura color bordeaux.
Inspirai a pieni polmoni, chiudendo gli occhi per brevi secondi, mentre un sorriso genuino si fece spazio sulle mie labbra rosee.

« Ohw! Che buono! » esclamò Jackson, con gli occhi che ora brillavano dall'emozione.

Tutti risero, tranne io che osservavo stupita i recipienti ancora fumanti, posizionati sul lungo tavolo.
Avevano preparato in così poco tempo tante pietanze e ciò mi aveva lasciata sorpresa.
I cuochi inoltre, erano soltanto quattro.
La tavola era bandita di cibo, quasi ci fosse una festa e quella fu la prima volta, da quando misi piede in quella lussuosa casa, di aver intravisto così tante pietanze.
Michael ci invitò ad accomodarci intorno alla tavola ed io mi sedetti di fronte a Glenda, vicino ad uno delle sue guardie del corpo.
Lui invece, era seduto a capo tavola.
Diceva che così facendo avrebbe avuto possibilità di vedere tutti.

« Prego, servitevi pure » disse con un largo sorriso, cominciando pure lui a servirsi da solo.




« Grazie a tutti per il pranzo, era delizioso! » esclamò Michael, sorridendo allegro.

Infatti, quel giorno, egli aveva mangiato tre piatti abbondanti, riempiendosi lo stomaco come non aveva mai fatto prima.
Ma nonostante ciò, il suo ventre rimase piatto, come se non avesse mangiato nulla.
Si alzò dalla comoda sedia e tutti fecero lo stesso, compresa io che mandai giù il mio ultimo boccone, alzandomi velocemente, rischiando di inciampare sul tessuto del mio abito lungo, ma una guardia del suo corpo fu abile a bloccarmi, afferrando in una morsa, il mio esile braccio.
Lo guardai, arrossendo bruscamente, ma poi, con un cenno del capo e un sorriso impacciato, lo ringraziai sottovoce, inchinando leggermente la testa ed il busto in avanti.

« Non si preoccupi » si limitò a rispondere, accennandomi un sorriso rassicurante ma dilettato al contempo.

« Avrei voglia di fare una bella passeggiata, chi vuole accompagnarmi? » domandò Michael, sorridendo ingenuamente.

I bodyguards uscirono dalla cucina, ritornando al loro posto di lavoro, mentre i cuochi si erano fiondati nuovamente in cucina, con l'intenzione di cercare il menù serale.
Karen lanciò una veloce occhiata a Glenda che ricambiò, poggiando poi la sua attenzione su di me.
Il suo sguardo indifferente mi faceva sentire tesa, scoperta dal segreto che avevo nascosto in una parte profonda di me.

« Posso accompagnarti io » parlò infine.

Michael guardò Glenda, sorridendole con un sorriso raggiante.

« Perfetto! Andiamo! »

Senza neanche rivolgermi uno sguardo, la ragazza cominciò ad allontanarsi, mentre egli mi rivolse un dolce sorriso, sparendo infine dalla mia vista.
Mi mordicchiai leggermente il labbro inferiore, sentendomi tutto d'un tratto affranta.
L'idea di lasciarli insieme da soli, dopotutto quello che successe, mi lasciava una certa sensazione al basso ventre che questa volta, non avrei voluto reprimere.
Sospirai rumorosamente, lanciando subito uno sguardo a Leticia che ricambiò, sorridendomi allegra.
Oh, quanto avrei voluto essere felice come lei!

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