Capitolo 16

C A P I T O L O 16

Era da un lasso di tempo che fissavo la stradina vuota dinanzi a me.
I cancelli di Neverland erano chiusi e con essi anche la magia che quel posto magnifico traspirava.
Michael era sulla soglia del grande portone principale, intento a prepararsi per uscire, un'altra volta.
Indossava una semplice camicia blu con i suoi soliti pantaloni neri.
I suoi mocassini lucidi non mancavano mai e le sue calze bianche, davano un tocco di classe a quell'abbigliamento elegante ma semplice al contempo.
Glenda si preoccupava di tenergli la giacca, mentre Karen, la sua truccatrice, si apprestava a correggergli il trucco.
Leticia mi venne incontro, sorridendo com'era solita fare.

« Oggi è una bella giornata » esclamò raggiante, stando al mio fianco.

Sorrisi guardandola.
In effetti era una bella ma fredda giornata.
Il sole, nonostante splendesse alto nel cielo, quel giorno, non riscaldava per niente quel clima divenuto ormai troppo arido.

« Già! Ma abbiamo così tanto lavoro da fare » replicai, sospirando leggermente.

La donna mi guardò, portando una sua grande mano, sulla mia schiena.
Era solita compiere quel gesto e ora non ne rimanevo più sorpresa.
In verità, in quel momento, i miei pensieri erano rivolti da tutt'altra parte.
I miei occhi non avevano smesso nemmeno per un secondo di scrutare il corpo di Michael, poco lontano da me, intento a prepararsi per lasciare ancora quella grandissima dimora che, senza alla sua presenza era spoglia.
Lui al contrario, non mi aveva nemmeno notato, tanto indaffarato fosse.

« Oggi toccherà a noi due pulire la camera di Jackson » mormorò ella, portando entrambe le mani sui fianchi larghi.

La guardai divertita, inclinando la testa da un lato.

« Pulire la camera di Jackson? Pensavo non amassi farlo » scherzai dilettata, ricevendo come risposta un largo ma impacciato sorriso.

Era così dolce quando s'imbarazzava!

« Beh, vedi... non tutte le cose rimangono uguali » replicò, giocherellando con il proprio grembiule.

Ridacchiai, stringendola in un caloroso ed affettuoso abbraccio.
Lei amava essere abbracciata e me lo disse lo stesso giorno in cui misi piede in quel posto che mi cambiò la vita.
Infatti, dopo pochi secondi, udii le sue forti braccia, stringermi dolcemente contro al suo corpo, quasi avesse paura di schiacciarmi sotto al suo peso.
Poi, dopo che ci fummo staccate, ella guardò dinanzi a noi, sorridendo.
Si avvicinò maggiormente contro al mio corpo e, portando una mano vicino alle labbra, come a svelarmi un segreto, parlò con voce bassa, mantenendo lo sguardo sul soggetto interessato.

« Michael ti sta guardando. Non credi che tu debba salutarlo? » domandò.

A quella frase, spostai la mia attenzione davanti alla mia figura, incrociando lo sguardo di Michael, intento a fissarmi mentre si abbottonava la giacca a vento blu scura.
Gli sorrisi timidamente e lui ricambiò con uno dolce, portandosi il cappello in testa, coprendo così quella capigliatura riccia raccolta in un codino basso.
Leticia si era allontanata, dopo avermi dato una pacca amichevole sulla spalla, avvicinandosi a Glenda che si era fermata ad osservare ogni suo movimento.
Ma provai un sentimento angosciante nel basso ventre, quando mi accorsi che Karen, la sua truccatrice, gli aveva sfiorato il volto, obbligandolo a posare lo sguardo sulla sua figura.
Sembrava volesse avere attenzione, e il suo gesto alquanto provocante, mi aveva dato un certo fastidio.
Gli sorrise con innocenza, sussurrandogli qualcosa all'orecchio.
Michael le rivolse un'occhiata indecifrabile ed infine, sorridendole, le parlò divertito, portandosi due dita sul labbro inferiore, com'era solito fare.

« Michael, l'auto è già pronta. »

Un suo fidato Bodyguard, lo stesso che venne a prendermi, mi passò di fronte, camminando verso di lui.
Il suo corpo robusto era avvolto attorno ad una camicia bianca con cravatta azzurra e dei pantaloni grigi leggermente larghi, in modo da nascondergli quelle gambe muscolose e possenti.
Indossava gli occhiali da sole, oscurando così le sue iridi chiari.
La sua pelle leggermente abbronzata e il capo ormai raso, splendeva leggermente sotto ai raggi del sole.
Michael annuì semplicemente, ringraziandolo con un cenno della mano, poi, dopo essersi rivolto a Karen, per stamparle un bacio sulla guancia, in segno di ringraziamento, salutò pure Glenda e Leticia che ora avevano assunto un colorito roseo.
Si chiuse la giacca a vento blu scura, alzando la cerniera fino al collo, poi, dopo essersi avvolto una sciarpa calda attorno alla collottola, scese le scale, camminando in compagnia della sua guardia del corpo, verso all'uscita, dove una bellissima auto nera e lucida, vi era ad attenderlo.
Passò di fianco al mio corpo che, alla sua vicinanza venne scosso dal solito tremolio, fermandosi subito, guardandomi con uno sguardo dolce, innocente.
Mi rivolse un dolce sorriso e, dopo essersi avvicinato maggiormente al mio viso, mi stampò un casto e delicato bacio.
Era la prima volta che ricevevo un tocco così profondo, intimo.
La prima volta che un uomo sfiorava la mia pelle delicata.
E fu quel tocco così lene e privo di malizia che mi fece sussultare leggermente, lasciandomi sorpresa.

« Ci vediamo, Kara » sussurrò con un sorriso flautato, osservandomi negli occhi.

Avrei voluto salutarlo da subito, ma non volevo nemmeno lasciarlo andare così di fretta.
Si sarebbe allontanato da me per ore interminabili e il mio corpo, seppure forte, non riusciva ad accettarlo.
Avrei voluto poter vederlo per tutta la giornata in giro per la casa, nel suo immenso giardino, ma sapevo che ciò sarebbe stato raro.

« Pranzerai a casa? » domandai in un mormorio, portando entrambe le mani davanti al mio grembo.

Lui sembrò sorpreso dalla mia domanda.
Mi guardò con gli occhi leggermente spalancati e subito mi domandai se avessi detto qualcosa di sbagliato.
Non volevo che fraintendesse, anzi, volevo soltanto che capisse che la sua compagnia, mi facesse stare bene.
Si schiarì la voce, inumidendosi il labbro inferiore con la lingua, poi, dopo avermi sorriso,
parlò: « Cercherò di ritornare presto. Ma non ti prometto
nulla. »

Annuii sorridendo, inchinando leggermente in avanti il busto.
Lui invece, dopo avermi scrutato per vari secondi, si allontanò, indossando i suoi occhiali da sole neri, nascondendo così quei occhi profondi e neri.
Avevo appena ricevuto un suo tocco così delicato ed ingenuo.
Da quando avevo aperto quel tormentoso capitolo riguardante il mio passato, Michael aveva cercato tutti i giorni di farmi sentire a mio agio.
Aveva cercato di farmi capire che lui, nonostante fosse a volte lontano, sarebbe stato sempre vicino a me, pronto ad ascoltarmi.
E Glenda aveva preso questo suo modo di rivolgersi a me, come una 'cotta', che spesso, almeno così diceva lei, il signor Jackson era solito prendersi.
Non volevo illudermi.
Dopo aver intravisto l'auto sparire dietro a quei cancelli di ferro battuto, mi voltai, pronta ad incamminarmi verso all'entrata, ma mi bloccai subito quando incontrai la figura esile di Glenda intenta ad osservarmi con sguardo che non seppi decifrare.
Non sembrava arrabbiata né triste.
Mi osservava in silenzio, poi, abbassando il capo, si voltò entrando dentro casa.
Cosa le prende? Mi ero domandata cos'avessi mai fatto di male, ma mai ero riuscita ad affrontare una conversazione con lei.
Aveva cambiato atteggiamento nei miei confronti, cominciando a trattarmi con indifferenza.
Ed io, nonostante cercassi in tutti i modi di avere una normale ed amichevole conversazione con lei, avevo sempre cercato di comportarmi come lei. Una semplice domestica che lavorava al grande ranch del re del pop.
La inseguii velocemente, alzando di poco la mia lunga divisa per poter camminare più in fretta, e, una volta entrata nella grande dimora, la cercai ovunque, trovandola infine in cucina, intenta a sistemare le posate della sera precedente.

« Glenda..? » la chiamai con voce bassa, sottile.

Ella lavorava velocemente, camminando da una parte all'altra della grande cucina.
Sembrava non mi avesse sentita o forse sì ma non voleva rispondermi.

« Glenda, posso parlarti un minuto? » le chiesi intimorita, avvicinandomi appena al suo corpo.

Lei si bloccò subito, voltandosi verso di me.
Il suo sguardo era malinconico, spento.

« Non abbiamo tempo, dobbiamo lavorare » replicò con tono distaccato, voltandosi per riprendere ciò che aveva cominciato.

« Perché non mi parli più? » domandai.

Ella poggiò il bicchiere di vetro sul pianale, quasi con un tonfo.
Sussultai appena, osservandola intenta a rigirarsi nuovamente verso di me.

« Perché non ci parliamo più? Davvero non lo sai, Kara? » mi chiese, con tono sarcastico.

Scossi piano la testa, mordicchiandomi il labbro inferiore.
Litigare era l'ultima che avrei voluto fare.

« Partiamo da quando sei venuta qua per la prima volta. Eri così innocente ed indifesa, ma adesso, sembra tu voglia avere il pieno controllo della situazione » disse.

La guardai, confusa.

« Controllo della situazione? Di cosa stai parlando? » domandai.

« Ti stai avvicinando a Michael. Perché? Non ti basta aver già ricevuto un posto di lavoro? Ora vuoi pure essergli amica? »

« Non...Ma perché dici così? » domandai scombussolata, scuotendo la testa.

« Michael non fa altro che rivolgerti attenzioni ogni giorno sempre di più. Mi vuoi dire che sta succedendo? » esclamò esasperata.

Rimasi in silenzio, cercando di realizzare ciò che mi disse.

« Non vuoi capire Kara? Michael non potrà mai innamorarsi di quello che siamo. Lui non potrà mai » disse a denti stretti, stringendo a pugno le mani.

Spalancai gli occhi violentemente, quasi avessi ricevuto uno schiaffo.
Di noi? Ma cosa le prende?
E, come se avesse letto nei miei pensieri, continuò, stavolta in un mormorio, con voce angosciata, malinconica.

« Ci ho provato anch'io, Kara. Abbiamo avuto una piccola relazione durata soltanto tre mesi. Mi aveva detto che il suo mondo non mi apparteneva, che i riflettori mi avrebbero schiacciata senza pietà. »

La sua voce era pesante e tra una parola e l'altra, aveva fatto lunghi e profondi respiri, come se, a parlare della loro piccola relazione le facesse del male.

« A me Michael piaceva. Mi piaceva eccome. »

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