Ventisette.
Francesco ha un'aria da snob, molto diversa dalla prima volta che gli ho parlato.
Un'aria da stronzo, che prenderei a calci molto volentieri.
Mi guarda dalla testa ai piedi, scettico; la situazione è molto imbarazzante, dato che il fianco mi brucia da quanto Michelangelo lo stringe.
Il cane non molla l'osso, neanche un attimo.
«E' davvero bella la tua ragazza; complimenti Angelino.» - dice Francesco, facendo un occhiolino. Si conoscono?
Arriccio le labbra, cercando di soffocare una risata. 'Angelino'!? Fa sul serio?
«Sparisci da qui.» -risponde l'altro cane, ringhiando.
Ed è una cosa un po' insensata da dire, dato che Michelangelo, per primo, mi prende la mano e mi trascina oltre Francesco.
Aggrotto le sopracciglia; le sue dita sono intrecciate alle mie, e sta camminando così velocemente, che rischio di cadere con la faccia nella sabbia.
Che cosa vuole? E' geloso!?
Lui può stare seduto con Marta e le sue tette, ed io non posso parlare con un conoscente. Scherziamo!?
Mi volto di sfuggita; Lucia se n'è già andata. «Stavo facendo conoscenza, grazie tante per avermi interrotto.» -dico acida, fermandomi ed incrociando le braccia.
Mi lascia la mano, ed interrompe la sua corsa sfrenata; restando lontano da me un paio di metri.
Si volta a guardarmi e, quando i miei occhi incrociano i suoi, noto che ha un'espressione molto, molto nervosa in volto. Ma cosa è successo?
In uno scatto, si avvicina; prende il mio viso tra le mani, e mi bacia.
Chiudo gli occhi, esitante, mentre le sue morbide labbra sfiorano le mie.
Schiudo la bocca, e permetto alle nostre lingue di accarezzarsi. Mi bacia disperatamente, e anch'io comincio a baciarlo con più foga; le sue mani, dal mio viso, passano alla schiena e mi stringono forte a lui.
I nostri corpi aderiscono perfettamente. E' questo il mio posto.
Mi sento protetta, con lui al mio fianco.
Sento che, Michelangelo, è quel frammento che ho cercato tanto a lungo; è tutto quello che desideravo. Voglio che non si esaurisca mai, questa forza di gravità che mi lega irrimediabilmente a lui.
Ah, già. Non siamo nell'universo, ma in una spiaggia.
Mi distanzio, restando fra le sue braccia:«Non stiamo dando un po' troppo spettacolo?» -chiedo, sorridendo.
Alza un sopracciglio. «Sei tu che stai dando troppo spettacolo.» -afferma serio, facendo un cenno al mio seno.
Oddio, mi ha guardato le tette.
«Sei tu che mi hai invitata a mare.» -rispondo, ironica. «Credevi che sarei venuta con un pullover e jeans lungo?».
Mi guarda e, in modo impercettibile, annuisce; sembra un bambino. Sì, certo, credici.
Sbuffo. «E comunque, ripeto, stavo facendo amicizia.».
Visto che tu eri troppo impegnato ad ignorarmi, aggiungerei.
«Parlare di me, non è fare amicizia.» -ribatte, con un sorrisetto presuntuoso.
Trattengo il fiato. «Non stavamo parlando di te!» -balbetto, mentre il calore mi affiora il viso.
Non risponde, ma continua a guardarmi e a tenermi stretta. Lo sto fissando così tanto negli occhi, che adesso intravedo una piccola me nella sua pupilla.
Da qualche parte, ho letto che quando vediamo qualcosa che ci piace, le pupille si dilatano. Mi rincuora vedere che quelle di Michelangelo siano leggermente più dilatate.
Dio, stai sul serio controllando le sue pupille?
Credo di essere molto inquietante, in questo momento; perché, se è vero, dovrei avere l'occhio completamente nero.
«Vogliamo andare a fare una passeggiata?» -chiede. Quante passeggiate, oggi. «Però, prima, bagniamoci un po' la testa, altrimenti ci becchiamo un'insolazione.» - aggiunge.
Soffoco una risata, dinanzi a tanta cautela. «Va bene.» - rispondo.
Mi prende per mano e ci avviciniamo all'acqua cristallina, e leggermente fredda. Mi abbasso, ne prendo un po' e inumidisco i capelli. Michelangelo fa lo stesso, ed io lo osservo.
Si porta l'acqua sui capelli, e questi gli ricadono sulla fronte, insieme a tante goccioline.
Ne osservo una che, dal collo, scivola sul suo petto. Deglutisco. Dovrei smetterla di fissarlo.
Cominciamo a camminare, la mia mano sempre nella sua. Protetta. Mi tornano alla mente le parole di Lucia.
"Sei completamente cotta di lui."
Sono cotta di lui. E' vero. La situazione mi è completamente sfuggita di mano; e, questo, è un gran problema. Vorrei lasciarmi andare, vorrei vivere la nostra storia con spensieratezza.
Ma qualcosa mi blocca. Ancora.
«Scusa per ieri sera.».
Mi volto nella sua direzione. «Michelangelo...» - sussurro, fermandomi. Dovrei essere io a chiedergli scusa.
Lo guardo negli occhi, e mi faccio coraggio:«Ho bisogno di sapere cosa provi per me.»
Incrocia le braccia, soddisfatto. «Devi spiegarmi perché.» -sorride, beffardo.
Pare che stesse aspettando da sempre questa conversazione.
«Perché sì.» -ribatto, imitando la sua posizione. Diamine, cominciano a tremarmi le gambe. «Perché... Non mi fido.»
Mi mordo un labbro. Perché non sto mai zitta? Beh, almeno sa la verità.
La sua espressione, però, non cambia; continua a sorridermi, scettico, come se lui sapesse quello che non riesco a spiegargli, e mi stesse mettendo alla prova.
Sospiro, sconfitta. Comincio a torturarmi le mani, e abbasso lo sguardo. Sono un'idiota.
Con i palmi ancora umidi, ed il tocco che mi brucia la pelle, mi costringe a sollevare lo sguardo.
«Alisya, vedi...» -mormora. «Ci sono cose che nascono col tempo. L'hai detto anche tu, quando mi hai dato ragione stanotte. Ci conosciamo da poco, ma di tempo ne abbiamo, non trovi?».
Mi guarda, confortante. Sta cercando di calmarmi, ma il problema è che non so da cosa.
«Con te io sarò sincero, te lo prometto. E tu devi credermi, perché io mi fido di te.» -continua, sorridendo.
Scuoto la testa; è inutile continuare, non crederò mai a nulla.
«Non promettermi nulla che riguardi noi. Promettimi che non stai con me per dimenticarla. Solo questo.» -sussurro, debolmente.
Ho bisogno di saperlo. E' un pensiero che mi tormenta da quando ci siamo conosciuti. Voglio che lui stia con me perché mi vuole bene, perché gli piaccio, non perché gli faccio pena o perché deve dimenticare Marta.
Sospiro, esausta. Finirò per impazzire.
Perché!? Perché devo essere così anormale? Perché le altre ragazze della mia età, sono felici ed innamorate, mentre io ho l'ansia costante di essere abbandonata?
Spalanco gli occhi, allontanandomi di scatto da lui. E' colpa loro.
Ho gli occhi sbarrati, e il respiro si fa affannoso; sento che le gambe tremano. Guardo un punto impreciso della sabbia, intravedendo il mio petto che si solleva e va giù.
E' colpa loro. Ci ho messo diciannove anni per capirlo, meglio tardi che mai.
Tutti questi anni passati ad avere il controllo delle emozioni, delle azioni. Tutto questo tempo trascorso a soffocarmi.
Tutti i momenti felici, le cui emozioni erano ben compresse, come delle aspirine. Tutte le cose da cui mi ero sottratta, per non restarci male una volta perse.
Ma voglio davvero privarmi di tutto questo? Ne vale la pena?
«E' colpa loro.» -bisbiglio, a causa del respiro affannoso.
Alzo lo sguardo, per ritrovarmi negli occhi di Michelangelo. Mi guarda apprensivo, e annuisce. «Ce ne hai messo un po'.» -mormora, mordendosi l'interno della guancia.
La sua voce, mi arriva come un sussurro. Forse perché, nelle orecchie, ho solo il rumore del mio respiro.
Michelangelo l'aveva già capito. Sono sicura che anche Perla l'abbia capito.
Suor Lorena l'ha capito. Tutti l'hanno capito. Solo io no.
Solo io non ho mai capito niente, di me stessa. Sono un'idiota.
«E' colpa loro.» -ripeto, più tranquilla. Vorrei urlarlo al mondo, vorrei sbraitare, vorrei strillare e spurgarmi di questo peso. E' colpa loro se sono così.
Mi tremano le gambe, sento che non reggono. Non so che mi prende. Vorrei sputare tutto il sangue amaro che circola nel mio corpo, tutta la rabbia che ho dentro, affibbiata.
Mi immobilizzo. Non ce la faccio, le gambe cedono.
Prima che me ne possa rendere conto, Michelangelo mi stringe a se'; mi lascio andare, consapevole che non mi farebbe mai cadere.
Quel respiro affannoso, si trasforma in singhiozzo; e i singhiozzi mutano in lacrime.
«Te lo giuro, Alisya. Io non ti abbandonerò mai. ».
Sbarro gli occhi, ancora.
Questa promessa, mi arriva dritta al cuore: è un fascio di luce lampante, che si adagia sul mio petto, rasserenandolo.
Il suo giuramento mi rianima, inaspettatamente. Mi fido di lui?
Non mi abbandonerà mai. Annuisco lievemente sulla sua spalla. Riesco a fidarmi.
Me lo sento; Michelangelo avrà cura del mio cuore, come non hanno fatto loro.
I miei genitori.
Continuo a singhiozzare. Le lacrime hanno cominciato a scendere all'improvviso, e stanno inondando la sua spalla.
Gli sto mostrando il mio lato debole. Quello di cui non ero consapevole, fino a pochi istanti fa.
Quello che di cui tutti erano a conoscenza, tranne me.
«Non piangere, ti prego. Fai piangere anche me.» -sussurra, con la voce rotta.
Mi scoppia il cuore. E non importa del naso rosso, degli occhi lucidi e della mia espressione abbattuta.
Sollevo il capo, e lo guardo dritto negli occhi:«Ricominciamo?»
Annuisce, sorridendo lievemente:«Ricominciamo.»
〜
Michelangelo è riuscito a non piangere, fortunatamente. E' stato dolcissimo.
Credo siano passate un paio d'ore, perché il sole non batte più forte come prima.
Ci siamo seduti, e lui mi ha fatta sedere fra le sue gambe. Ho poggiato la testa sul suo petto, e abbiamo chiacchierato a lungo.
In realtà, abbiamo aspettato che mi calmassi, e che non si vedessero più i segni del pianto.
Arriviamo al nostro lido. Gli altri sono in acqua, facendo una sorta di torneo a 'Sette si schiaccia', tranne Marta e Lucia, che sono rimaste sotto l'ombrellone.
«Vado a scusarmi con Lucia, visto che qualcuno mi ha trascinata via da lei, prima.» -dico, acidamente.
«Ne è valsa la pena, non trovi?» -dice, ridacchiando.
«Sarà...» -mormoro, raffinata.
Sbuffa divertito, per poi lasciarmi un bacio sulle labbra. «Vado dagli altri.» -dice, sorridendo.
Sospiro. Credevo di aver fatto una pessima figura, a piangere davanti a lui. Ma Michelangelo ha fatto di tutto per rassicurarmi del contrario. Credo di non aver mai incontrato una persona così comprensiva.
Mi avvicino all'ombrellone, e mi siedo accanto a Lucia, che armeggia col telefono.
«Lucia» -la chiamo.
Si gira di scatto. «Oddio, Alisya!» -squittisce. «Com'è andata?».
Non possiamo parlarne adesso, che c'è Marta a pochi metri da noi. Le faccio un occhiolino, sorridendo. E' stata molto gentile con me, prima.
Contro qualsiasi mia aspettativa, Lucia posa il telefono e mi abbraccia forte. Resto un attimo sorpresa, ma poi decido di ricambiare il suo abbraccio.
«Sono tanto felice per te, Alisya.» -mi sussurra ad un orecchio, a voce tanto bassa che credo di averla sentita solo io.
«Grazie, davvero.» - rispondo, con sincerità. Anche lei ha contribuito, spero di ricambiare un giorno.
Ci distanziamo, e lei torna ad usare il suo telefono. Sollevo lo sguardo, incrociando quello di Marta.
Sbatto le palpebre. Mi stava guardando?
Sì, lo stava facendo. Ma l'hai appena fatto anche tu!
Torna con gli occhi sul cellulare, mentre io continuo a scrutarla.
Osservo il suo costume da bagno. E' blu, con paillettes acquamarina, e si intona perfettamente al colore dei suoi occhi. Le calza davvero alla perfezione, dopotutto ha un bel seno.
Se continuo a fissarla, però, mi confonde con un maniaco. Decido di rompere il silenzio imbarazzante:«Avete già fatto il bagno?»-chiedo, ad entrambe.
Marta scuote il capo, rivolgendomi uno sguardo.
«No.» -dice Lucia, sospirando.
«Perchè non raggiungiamo gli altri?» - propongo, leggermente nervosa.
«Va bene.» - dice Marta; ed io tiro un sospiro di sollievo. Dopo aver parlato a lungo con Michelangelo, credo di non provare poi tanto astio nei suoi confronti.
Ci alziamo, e andiamo verso il bagnasciuga.
«Caricaaaaa.» -urla Lucia, prendendo la rincorsa e tuffandosi in acqua.
Marta scoppia a ridere, in una risata limpida e gioiosa. Io, al contrario, sbatto le palpebre. «Ma come fa?» -mormoro, mentre l'acqua gelida mi bagna i polpacci.
Marta avanza verso gli altri, sistemandosi i capelli in una crocchia. Di sfuggita, noto che ha una cicatrice bianca sul fianco, che fuoriesce dal pezzo inferiore del costume. Mi vengono i brividi; è una cicatrice profonda, e non voglio neanche immaginare come se la sia procurata.
Quando raggiungiamo il nostro gruppetto, sembra che siamo tornati ai tempi delle medie: sguazzano e si divertono tutti. Anche Perla e Michelangelo, si passano il Super Santos divertiti.
In altre circostanze, l'avrei fatto anch'io; ma adesso ho ancora gli occhi gonfi e, semplicemente, non mi va. Mi allontano di poco e raggiungo gli scogli, dove l'acqua è più bassa.
«Sembra divertente.» -mormoro, quando i ragazzi cominciano a schizzarsi l'acqua addosso; vedo Achille strofinarsi gli occhi per il bruciore.
Anche a me bruciano, ho molto sonno e credo sia dovuto agli occhi gonfi dalle lacrime; ma, fortunatamente, non sono più rossi.
«Alisya, vieni a giocare!» -urla Perla, guardandomi divertita; mi lancia il pallone.
Oddio, no. «Non mi va, Perla!» -urlo a mia volta, maledicendola perché ha attirato tutta l'attenzione su di me.
Rilancio il pallone con forza, poi mi volto e mi siedo su uno scoglio, con le gambe ancora nell'acqua.
Mi soffermo a guardare tutto il litorale riminese. Da lontano, scorgo la stradina per la mia vecchia casa. Questo mare, probabilmente, mi ha vista crescere. Può testimoniare tutte le volte che, per un motivo o per un altro, la sera scendevo in spiaggia, presa da momenti tristi e da giornate no.
«Stai pisciando o posso avvicinarmi?».
Perla mi guarda, con la fronte corrucciata. Si scioglie i capelli, ravvivandoli con una mano.
Scoppio a ridere. «No, non sto pisciando.» -rispondo.
Piega la testa di lato. «Allora, non mi racconti niente?!» - chiede, con lo sguardo curioso.
Sospiro. Non c'è bisogno di raccontarle tutto. Con lei è sempre così.
«Perla, sono arrivata ad una conclusione.» -comincio, mentre lei si avvicina per guardarmi, con un interesse che mi colpisce molto.
Sospiro, ancora. «Credo di aver subito una specie di trauma.» -dico, tutto d'un fiato.
Fa male riferirlo; è come una grande ferita, sempre pronta a riaprirsi. Una ferita che qualcuno mi ha inflitto, tempo fa, senza interessarsi delle conseguenze.
«Mh.» -mormora, attenta. Stringe le labbra, e il suo sguardo si fa cupo. Anche lei sapeva.
«Credo che la mia difficoltà nelle relazioni con gli altri, sia dovuto all'abbandono dei miei genitori.» -mormoro, agitando le mani nervosamente.
Si morde il labbro, e i suoi occhi si fanno lucidi. Aggrotto le sopracciglia. «Perla?» -chiedo, scrutandola. «E' successo qualcosa?».
«No, Ali. E' solo che...» -mormora, ricomponendosi. «Mi manca la mia famiglia. Tutto qui.» -aggiunge, sorridendo.
Schiudo le labbra. E' l'unica cosa su cui non posso aiutarla.
Mi limito a donarle un abbraccio sincero, sperando che possa servire a qualcosa.
«Scusa, ma tu puoi tornare a Catania quando vuoi. Perché non ci torni magari per due, tre giorni?» -propongo, accarezzandole i capelli.
«No, Ali, non capisci...» -sussurra, distanziandosi.
Incrocio le braccia. «Hai gli occhi color pistacchio.»
Mi guarda sconcertata, con la bocca semiaperta. Poi scoppia in una risata isterica. «Ma che significa?» -strilla, ridendo. «Mi fai morire.»
Appunto, perciò l'ho detto.
La guardo divertita, mentre si dimena dalle risate. Mi sembra una risata liberatoria, la sua. E' bello vederla ridere.
«Sai, il pistacchio è una specialità siciliana.» -dice, riprendendosi.
«Un giorno mi ci porterai.» -rispondo, sorridendole.
Annuisce. «Si, un giorno ci andremo insieme.»
〜
Mentre Perla è nel bagno a fare la doccia, io sono stesa sul divano del soggiorno.
Mi bruciano le spalle, ed ho leggermente freddo. Penitenza per aver trascorso il pomeriggio al sole.
Sono felice di essere andata al mare, mi sono divertita e, soprattutto, ho chiarito con Michelangelo. Dopo il 'torneo' siamo stati ancora un po' insieme, poi ognuno è tornato a casa propria.
Adesso sono davanti al computer di Perla, facendo le mie ricerche su dei siti imbarazzanti e tutti colorati, ma che di allegro non hanno un bel niente.
"Il bambino adottato ha vissuto uno dei traumi più importanti che un bambino possa sperimentare: la perdita delle figure primarie di accudimento, che avrebbero dovuto costituire garanzia di sicurezza e protezione."
Sicurezza e protezione.
"Il bambino porterà con sé la sensazione di un'assenza, di una mancanza che percepirà nel profondo della sua anima e che determinerà spesso scelte, umori, reazioni."
Chissà cosa pensavo, da piccola.
"Il bambino abbandonato sperimenta una mancanza di fiducia in se stesso e negli altri, difficile spesso da identificare e da riconoscere. Si tratta di qualcosa che proviene dal passato e si riflette nelle relazioni attuali."
Touché.
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