Trentotto.
Sono così emozionata, che potrei seriamente scoppiare a piangere; ma, alla fine, era come se lo sapessi già: Michelangelo mi ama, ed io amo lui. Questa dichiarazione arriva come un soffio di aria fresca, in grado di spolverare il mio cuore e renderlo più leggero.
Si allontana per guardarmi negli occhi, come a voler cogliere anche un solo cenno in grado di fargli capire le mie emozioni. Il problema, però, è che mi sento vuota e riempita. Privata di tutte le preoccupazioni, colma della speranza che tutto andrà bene e che niente sarà in grado di distruggere il nostro amore. Non vi è la paura di essere abbandonata; al contrario, so di non essere più sola.
Schiudo le labbra, provando a dire qualcosa; non so nemmeno io cosa, in realtà. Non c'è molto da riferire. Michelangelo soffoca una risata, come ad alleviare la tensione, e si adagia al sediolino. Mi passo una mano fra i capelli, in imbarazzo, e con l'altra cerco la sua, trovandola sul cambio.
«Andiamo a cenare?» -mormora, il sorriso sulle labbra. «Ho fame.».
Annuisco, mordendomi l'interno della guancia. «Piadina?».
«Vada per la pida.».
Sospira, inserendo la cintura; faccio lo stesso.
Mette in moto, illuminando la strada buia e deserta in cui ci troviamo.
«Scusa, ma...» -comincio, cercando di trovare le parole giuste. «Tu che fai in quel gruppo? Nel senso, che ruolo hai?».
La sua espressione cambia, si fa più seria. «Faccio il palo. In pratica, nella piazza di spaccio controllo che non ci siano 'guardie'.».
Come se il mio cervello fosse un grande computer, assimilo tutte le informazioni e creo nuove cartelle: palo, piazza di spaccio, guardie.
«E ti sei mai...».
«Non provarci neanche a dirlo.» -sbotta, interrompendomi. «Mio fratello è morto per quello, ti pare che io mi droghi?».
Resto interdetta per qualche attimo. «Sì, ma stai calmo.» -mormoro, incrociando le braccia. «Che ne posso sapere io? Non so mai niente, qui. E' una situazione che mi riguarda in prima persona, eppure sono l'ultima a sapere le cose. Bah.» -aggiungo, girando intorno all'argomento, sperando che possa dirmi qualcosa in più.
Emette uno sbuffo, come a calmarsi. «Mi duole darti ragione.».
«Oh, che onore» -alzo un sopracciglio, sarcastica- «e, dimmi, da quanto fai parte di questo gruppo?».
«Da un anno; più o meno, dall'estate scorsa.».
Un anno.
«Ma è tutto così strano... Non sanno che sei il fratello di Gabriele?».
Scrolla le spalle, mentre gira il volante e ci ritroviamo sul lungomare. «Non dovrebbero. All'inizio mi sono infiltrato davvero a caso in quel gruppo, sapendo della sua esistenza grazie alle voci che circolano; da qualche parte dovevo iniziare, no? Poi, poco più di un mese fa i carabinieri ci dissero che il caso era stato riaperto e che l'assassino si trovava proprio in quel clan.».
Assassino. Clan.
«E tu che hai detto?».
«Che ne facevo parte.».
Sbatto le palpebre, mentre tutte le sue risposte spargono luce e chiarezza nella mia mente. «E come l'hanno presa?».
«Mi hanno detto che ero un coglione.».
Soffoco una risata. «Ti hanno detto proprio così?!».
«Davvero!» -afferma, sollevando una mano. «Chiedi a Perla se non mi credi.».
Perla?
Mi volto di scatto nella sua direzione, l'espressione confusa e stordita. «Perla era lì?» -chiedo, le palpebre socchiuse e curiose.
Spalanca gli occhi e schiude le labbra, colpevole di aver detto qualcosa che -dalla sua espressione incerta- capisco non avrebbe dovuto spiattellare. «Dimentica tutto.»
«Che c'è di male se me lo dici?» -chiedo, aggrottando le sopracciglia.
«C'è, credimi.» -risponde veloce, annuendo.
«Michelangelo.» -asserisco, risoluta. «O me lo dici tu, o lo chiedo a Perla.» che ti sbranerà per aver spifferato tutto, quindi non hai molta scelta.
Sbuffa, esasperato. Fa per parlare, ma lo interrompo, colta da un lampo di consapevolezza. «I genitori di Perla!» -prorompo. «Loro sono a Rimini! Loro... Perla...» -balbetto, incredula. «Daniela e Mauro... stanno facendo le indagini su tuo fratello!».
«Indovinato...» -mormora, esausto.
Sorrido, adempiuta, mentre mi volto a guardare la luna riflettersi nello specchio d'acqua dell'Adriatico. «Perché non avrei dovuto saperlo?» -domando, ancora.
«Chiedi a Perla, parte due.».
La conversazione è interrotta -proprio come stamattina- dalla suoneria del suo cellulare.
«Collegalo al cavo USB dello stereo.».
Sbatto le palpebre, confusa. «E dov'è?».
«Lì, veloce!» -mi incita, indicandomi un cavo nero che penzola dall'unico forellino dello stereo. Lo collego al telefono e rispondo alla chiamata di un certo "Marco service.".
Service?
«Pronto Marco?» -chiede Mihangel, alzando la voce.
«Michelangelo, senti, vedi che Sabato 30 c'è la festa al Carnaby... Ci sei, no?».
La sua mimica si trasforma in un gran sorriso, gli occhi brillano e mi guardano, felici.
Sorrido a mia volta, nonostante non abbia capito niente.
«Sì, ci sono. A che ora andate a montare?».
«Alle cinque.».
«Okay, perfetto. Allora ci vediamo là.».
«Okay, ciao Mike.».
Mi fa cenno con la testa ed io capisco di dover attaccare. Chiudo la chiamata e scollego il telefono, restando perplessa. «Che devi montare?».
«Ah, non te l'ho detto!» -esclama, sprizzando felicità da tutti i pori. «Stamattina ha telefonato questo mio amico, Marco. Col fratello ha una società di Service che, a fartela breve, sarebbero quelli che attrezzano le feste e gli spettacoli, con luci, musica...».
«E tu che devi fare?».
«Il dj.» -attesta, fiero. «Però aiuto anche a montare le attrezzature.».
Inclino la testa di lato, curiosa. «Da quando fai il dj?».
«Bambolina, io vivo nel mondo della musica da quando ero piccolo così!» -esclama, avvicinando pollice ed indice, in una degna imitazione della Clerici nella pubblicità della Kinder.
«Ah, non lo sapevo...» -mormoro. «Ma sono felice per te, perché mi sembri abbastanza contento della notizia...» -continuo, facendo una smorfia ironica con la bocca.
«Tu mi farai compagnia, no?».
Mi volto a guardarlo, perplessa. Cosa c'entro io lì? Alzo un sopracciglio.«Non credo che ci sarò.».
«Ah...» -sospira, falsamente affranto- «Vuol dire che sarò da solo con le ballerine di lapdance ai miei lati e centinaia di adolescenti arrapate, che mi sussurrano richieste di canzoni all'orecchio. Ma non fa niente, va bene così!».
Il sangue mi ribolle nelle vene, nonostante lui stia scherzando. Mi trattengo dallo sferrargli un pugno in pieno volto.
Perché faccio così?
Io non sono una persona violenta e possessiva.
«Non mi sembra una cattiva idea.» -rispondo a voce bassa.
«Oh, neanche a me, assolutamente!»- esclama, facendomi un occhiolino.
Ah, vuole giocare col fuoco allora...
«Oh, non ti ho detto una cosa!» -allargo le braccia, voltandomi nella sua direzione. «Oggi sono stata così bene con Francesco!».
Sterza bruscamente per andare nell'altra corsia, rischiando di schiantarsi contro un'autovettura proveniente dalla direzione opposta.
Accosta in maniera disordinata e toglie la cintura di sicurezza, rude. «Che cazzo hai detto!?» -urla, facendomi venire i brividi.
«Calmati...» -balbetto, avvicinando lentamente la schiena al finestrino.
«No, tu adesso rispondi, mi hai capito!?».
Stupida, stupida, stupida Alisya.
Aggrotto le sopracciglia, esitante. «Ho... Ho incontrato Francesco e sono stata con lui. Tutto qui...» -farfuglio. Oh, andiamo, non ho fatto nulla di male, ma che gli prende?
«Tutto qui?! Ma che cazzo di problemi hai?» -sbraita, mentre la sua pelle comincia a farsi rossa e gli occhi lucidi dalla rabbia. «Tu non mi devi far incazzare, Alisya, hai capito?».
«Ma non ho fatto niente di male...».
«Dove Cristo vi siete incontrati?» -chiede, guardandomi truce negli occhi.
«Stavo nel parco Fellini oggi pomeriggio e l'ho incontrato... Siamo andati a fare un giro, solo un giro...»
Espira rumorosamente. «E dove l'avete fatto questo giro?».
«Sul lungomare, dove poi ti ho visto... ma siamo stati poco insieme, forse neanche un'ora.» -mormoro, insicura.
Poi, mi rendo conto di quello che sta succedendo. «Tu con me non la alzi la voce, in questo modo. Chiaro?».
Incrocia le braccia e solleva il viso, chiudendo gli occhi. Resta in silenzio per qualche attimo.
«Mi dici cosa ti ha fatto di male Francesco?».
«Non è lui il problema. Non devi stare con nessuno, solo con me. Molto semplice.».
Scuoto la testa, scettica. «Io sono libera di stare con chi voglio. Non sarai tu ad impedirmi di vedere Francesco, o chiunque altro sia.».
Apre gli occhi di scatto e si volta a guardarmi. «Ti rendi conto della stronzata che hai detto?» -chiede, calmo.
«Perché dovrebbe essere una stronzata, scusa? Se sto con Francesco non vuol dire che mi piace o altro, come con qualsiasi altro ragazzo.».
«E perché prima ti sei arrabbiata così tanto quando mi hai visto con Nina, allora? Significa che anche io sono libero di stare con chi voglio, se la mettiamo su questo piano.».
Schiudo la bocca. Touché.
«Pensaci su prima di sparare stupidaggini, grazie. E adesso andiamo a casa.».
Mi incanto a guardarlo, perplessa. «Tu sei bipolare.».
«Da che pulpito!» -sbotta, ironico.
Sul suo volto aleggia l'ombra di un sorriso, e comincio davvero a pensare che abbia una doppia personalità. Insomma, due minuti prima era rosso dalla rabbia, e adesso scherza come se niente fosse. «Chiudiamola qui.» -affermo, risoluta.
«Ti amo.» -risponde, come se avesse appena detto "Oggi c'è lo sconto sul prosciutto cotto."
Incrocio le braccia e, lentamente, mi volto a guardarlo. «Non mi compri così. Mica lo dimentico, quello che hai detto poco fa.».
«Mi farò perdonare; cerca di capirmi, dai.» -sussurra, avvicinandosi per lasciarmi un bacio sulle labbra.
Solo adesso mi rendo conto di essere ancora appiccicata al finestrino, pronta a darmela a gambe levate. Mi sistemo sul sediolino e faccio un gran sospiro.
«Io ti capisco, Michelangelo. Ma non è una buona scusa, il fatto che tu sia nervoso in questo periodo. Cerca di calmarti un po'... E andiamo a cenare, 'che sto morendo di fame.».
_
«Ma dove stiamo andando?» -domando confusa, dato che ha cambiato direzione. Ero convinta che dopo aver mangiato saremmo andati a casa, ma non credo che ciò rientri fra i suoi piani.
«Eh eh» -ride, beffardo. «Sorpresa!».
«Non mi piacciono le sorprese, Michelangelo.» -affermo, fredda.
«Vedrai che ti piacerà e adesso taci, 'che metto un po di musica.» -ribatte scherzoso, accendendo lo stereo. Con movimenti sicuri allunga la mano destra verso il cruscotto, da cui recupera un cd. Lo introduce e avvia la riproduzione.
Leggo il titolo della canzone sullo stereo: 'izi – chic'
Filtra la luce dall'alto e sembra quasi bello
Non mi piace mai un cazzo, ma stamattina è diverso
Cosa mi dirà il cervello
Ruota, non gira se penso già male
Pensa che ho il mare e che è dove ci lascio
Affogare le pare, così ci chiariamo
Ogni accento ha il suo posto
Ogni aceto ha il suo mosto
Ho il diabete ed è un mostro
Foglie secche nel bosco
Scricchiolii nel corso
Quando ci separiamo
Ritornare a casa
Quando il sole cala piano
Ascolto Michelangelo cantare rap a bassa voce, mentre guida; di una parte velocissima, che segue la prima strofa, non riesco ad afferrare neanche una parola. C'è una pausa, a cui segue quello che credo sia il ritornello.
E non ti sento da giorni
E sono in viaggio da solo
E non pretendo che torni
Ma nemmeno che volo perché
Quando plano dall'alto
Vedo il mondo davvero
Tu vai piano, io parto
Tanto già lo sapevo che
Se qualcuno mi dà la forza
Frà mi rafforzo così, fai te
Nessuno mi da la forza
Ma me la cavo così trà
Vesto le vesti di uomini chic nei sogni
Ma nella realtà vesto jeans
Non scendo con she ma esco con chi
Dimostra di sapermi capire appieno
Okay, mi piace questa canzone. E tanto. Soprattutto perché adesso Michelangelo mi accarezza una guancia, mentre con l'altra mano tiene il volante. C'è traffico, e le luci posteriori della macchina davanti illuminano di rosso i nostri volti.
Mi afferra con delicatezza il mento, inducendomi a guardarlo.
«Io pensavo a me e a te
Stesi nudi nel lè
Le coperte non le voglio
Perché coprono l'orgoglio
Quindi prendo da te e tu prendi da me
Come fosse il nostro giorno
Come stessimo sparendo in un secondo io e te.».
Fa un sorriso beffardo e accelera, tornando a guidare; mentre io sono completamente rossa, me lo sento, e questa volta non è per i fari della macchina.
Aiuto, ma come fa a pensare a me e a lui stesi nudi nel letto?
Va bene, è vero, non l'ha detto lui, ma comunque... l'ha detto! Guardandomi negli occhi, per giunta!
No, basta; non so cosa possa uscire da questa canzone. Allungo l'indice e metto pausa.
«No, oh, ma che fai? Cambi?» -chiede, allarmato.
«Assolutamente sì.» -rispondo in fretta, intanto che leggo i vari titoli. Quando arrivo a 'Pompeii – Bastille' mi fermo e, dopo qualche attimo, avvio.
«Non ti piaceva quella di izi?» -domanda, con un sorriso canzonatore sulle labbra.
Santo Dio, ha capito il mio disagio.
«No.».
«Ti vesti seducente e poi hai vergogna di ascoltare le parole 'nudi' e 'letto' nella stessa frase?» -chiede, pungente.
Trattengo il respiro, incredula. «Io – non – ho – vergogna – di – niente.» -scandisco bene. «Ficcatelo in testa.» -aggiungo, cercando di apparire sicura di me.
«Certo, certo...».
«E poi» -alzo un indice- «io non sono vestita seducente. Sono solo troooppo carina!».
«Ah, cosa ti farei se non fossimo arrivati...» -mormora, serio.
Cerco in tutti i modi di non soffermarmi sul cosa mi farebbe, per osservare dove siamo arrivati.
Inarco un sopracciglio. «Ma è casa di Marta e Raffaele.».
«Esatto. Aspettami qui.» -afferma e, prima che possa rendermene conto, esce dalla macchina chiudendomi dentro.
«Ma che cosa...» -mormoro, vedendo la figura di Michelangelo attraversare il marciapiede, citofonare ed entrare nel palazzo.
Quindici.
I minuti che sono passati da quando sono chiusa in questo veicolo.
Dopo qualche attimo lo vedo, con un sorriso sul volto e delle strane chiavi fra le mani.
«Sei mai andata in moto?».
_
Accelera, e il motore scoppiettante rimbomba nella mia testa, provocandomi un aumento di adrenalina. Oh mio Dio. Non capisco niente di motori, dunque l'unica caratteristica che apprendo del groviglio di ferro e bulloni che ho davanti, è che è una Ducati. Punto. Non importa quanti modelli ne possano esistere al mondo, per me è una Ducati. Rossa. Come una fiamma. Come la mia faccia. Come il sangue che sta circolando più velocemente nelle mie vene.
Sospiro, stringendomi nel giubbotto di pelle che mi ha portato Raffaele; mi calza a pennello, credo sia di Marta, come anche il leggins nero che ho necessariamente indossato sotto la gonna. Ma come diavolo sono conciata...
Diamine, ho mal di pancia e non credo sia cattiva digestione... Me la sto facendo sotto dalla paura. «Dobbiamo proprio?» -piagnucolo.
«Bambolina, potremmo morire da un giorno all'altro senza aver fatto tutte queste cose insieme!».
Lo guardo sconvolta, divertita, perplessa.
Le labbra schiuse, il cuore a vento; poi scoppio a ridere e afferro il casco lucido e nero, decisa. «Giusto.».
Sospiro. Che Dio ce la mandi buona.
Sollevo la gamba e monto in sella, mentre i brividi di eccitazione riprendono ad attraversarmi la schiena. Poggio i piedi sui pedalini -quando li trovo, dato che la moto è altissima- e mi stringo forte a Michelangelo, abbracciandolo da dietro.
«Pronta?» -chiede, girando leggermente il capo.
Mi allontano, schivando il casco ed evitando di prendere una testata. «Madonna mia...».
Scrolla le spalle. «Lo prendo come un sì.».
Non realizzo nemmeno ciò che ha detto, che già siamo immersi di nuovo sul lungomare.
No, Alisya. Non urlare. Non pensare che, a questa velocità, potreste schiantarvi e morire sul colpo. I nostri corpi fatti in mille pezzi e le nostre bare appaiono nella mia mente, come un chiaro presagio di morte.
Sybil sbuffa rumorosamente. Perché devi pensare ad una scena così macabra?
Dallo specchietto intravedo i miei capelli scompigliati.
Poggio la testa sulla spalla di Michelangelo, mentre sfrecciamo per le strade di Rimini. Sorrido, stringendomi di più a lui. E' divertente.
«Ti piace?».
«Sì!» -emetto un gridolino a dir poco imbarazzante.
Sbarro gli occhi quando vedo che stiamo andando a circa 120 km/h, anche se adesso non ho più paura, perché ho capito che Michelangelo è abile a portare la moto.
Ci immettiamo in una strada piuttosto isolata e dalle corsie molto larghe.
«Vuoi vedere che so fare?» -urla, per superare il rumore del motore.
«Cosa?» -strillo, divertita.
Non passa neanche un millesimo di secondo.
Neanche uno.
I miei occhi, che prima erano puntati sulla strada, si spostano a rilento sul cielo buio e stellato; per un attimo mi manca il respiro.
Prima su.
Ci stiamo spostando su un'unica ruota.
Ho il cuore a mille, e i -quasi- diciannove anni di vita mi passano davanti agli occhi.
Poi giù. «Woahhh!» -urla, accelerando e scoppiando a ridere. «Che ficata!».
«Ma sei una patacca!!!» -strillo, aggrappandomi a lui come un koala, in antitesi con l'insulto che gli ho appena cantato. Finirò per impazzire.
_
Mi specchio nel vetro dell'ascensore, per aggiustarmi i capelli. «E' la prima e ultima volta che lo farò, è giusto che tu lo sappia...» -mormoro distrattamente.
«Ah sì?» -chiede, poggiando le mani sulle mie anche.
Poveri fianchi, hanno preso fuoco.
Sollevo lo sguardo ed incrocio quello di Michelangelo, che mi guarda divertito. Si abbassa di poco, per lasciarmi un bacio sulle labbra.
«Sì sì.». -rispondo, sorridendo. «Anche se è stato divertente.» più o meno...
Dopo alcuni istanti ci troviamo davanti la porta di casa Semprini – Bertozzi.
Michelangelo allunga il braccio e bussa il campanello, per poi circondarmi le spalle con lo stesso.
Ad aprire la porta è Raffaele, senza maglia e con un pantalone largo grigio topo, cupo. «Allora, vi siete divertiti?» -chiede, passandosi una mano fra i ricci.
Perché, quando ci sono io, ha un'espressione costantemente vuota?
«Sì, è stato divertente.» -la butto lì, sperando di sembrare 'simpatica' o 'degna di risposta da persona normale'.
«Mh.» -mugugna, allungando il palmo in avanti, in attesa probabilmente delle chiavi.
Chiavi che Michelangelo, prontamente, gli consegna.
«Volete entrare un po'?» -chiede, come se si stesse sforzando in tutti i modi di apparire gentile. Dai, Raffaele, ce la puoi fare.
«Chi è?».
La voce di una donna interrompe la nostra conversazione: la mamma di Marta, quindi la matrigna di Raffaele, di cui non ricordo assolutamente il nome...
«Mamma, sono Michelangelo e Alisya...» -mormora, facendosi da parte.
«E falli entrare, che state facendo là fuori?» -esclama, scoppiando a ridere.
Varchiamo la soglia e ci immergiamo nell'appartamento, in cui ho messo piede circa un mese fa, quando facemmo la famosa 'torta' a Perla. Torta che, poi, è risultata inutile, dato che loro non stavano davvero insieme.
E io non ne sapevo niente.
Come al solito.
«Buonasera.» -esclamo a voce alta, gentile. «Ciao... Signora.».
La signora Bertozzi esce da una stanza a me ignota e ci viene incontro, sorridente. «Ciao bella!» -mi saluta, dandomi due baci sulla guancia. Ha i capelli castani legati in una crocchia e una comoda vestaglia di seta bianca.
Volto l'angolo, lanciando un'occhiata in cucina. «Oh...» -sussurro, alla vista di Marta stesa sul divano, davanti la televisione. «Ciao Marta.» -affermo, mordendomi l'interno della guancia.
Si volta di scatto e, inaspettatamente, si alza e mi viene incontro, salutandomi come la madre. «Ciao Alisya!».
«Senti, io volevo dirti una cosa...».
Inarco un sopracciglio. Ma chi l'ha detto?
Io.
L'ho detto io.
Aggrotta la fronte. «Dimmi.» -asserisce, con aria interrogativa.
«Ehm...» -balbetto. Ma dov'è Michelangelo quando serve? Mi guardo intorno, esasperata.
«Se vuoi possiamo andare in camera mia...».
Incrocio i suoi occhi blu marino, che cercano di capire qualcosa, confusi. Annuisco. «Va bene.».
Oltrepassa la stanza ed io la seguo, fedelmente. Attraversiamo il salone, dove Michelangelo e Raffaele parlano con la signora Bertozzi.
Michelangelo mi guarda, con aria inquisitoria, ed io scuoto la testa rassicurandolo.
Marta entra in una stanza, accendendo la luce e rivelando un ambiente del tutto femminile. Le pareti sono rosa pesco, e molte sono le foto attaccate ad esse. Non è una camera molto piena, c'è solo un letto ricoperto da lenzuola bianche, una scrivania ordinata e una televisione poggiata su un tavolino di vetro.
Non guardare quelle dannate foto, Alisya, mi ammonisce Sybil. Potresti trovarne qualcuna con Michelangelo!
Si volta, visibilmente imbarazzata, e allarga le braccia. «Ecco qua.».
Alisya, non dire stronzate, ti prego...
«Ecco... Volevo chiederti scusa. Sai, per quella volta...» -comincio, mentre lei mi guarda spaesata. «Per quando ti ho sporcato i capelli. Non volevo... Cioè, sì» sì? Ho davvero detto che in realtà volevo? Santo cielo...
Mi porto le mani fra i capelli e chiudo gli occhi. «Scusa, non so cosa sto dicendo...».
Sybil, dammi fuoco, ti supplico.
Poggia le mani microscopiche e abbronzate sulle mie spalle; mi guarda quasi come se stesse cercando di non scoppiarmi a ridere in faccia. «Alisya, ascoltami.» -inizia, guardandomi apprensiva. «Non devi scusarti... anzi, sono io a dovermi scusare con te. Ti ho dato fin troppo filo da torcere e solo adesso che anche io sono fidanzata seriamente posso riconoscerlo...».
Resto in silenzio, per evitare di sparare stronzate.
«Ho perso una brava persona, lo so, ma adesso sono davvero innamorata di Luca e... Non mi hai più tra i piedi. Ho fatto io la stronzata, baciando Michelangelo. Non avrei dovuto farlo... Se qualcuno lo facesse con Luca, adesso, dovrebbero mantenermi altrimenti non so cosa farei.».
Annuisco convinta e colpita da questo 'discorso'; tuttavia, non so cosa dire.
«Ali, andiamo? E' tardi.».
Grazie, amore mio, non ti ho mai amato così tanto.
Mi volto a guardare Michelangelo, esitante.
«Non preoccuparti, vai. Ciao Alisya, ci vediamo.» -Marta sorride e mi prende alla sprovvista, lasciandomi un bacio sulla guancia. «Vi accompagno alla porta...».
Le sorrido, vivamente felice di aver risolto questo piccolo problema, e ci dirigiamo verso la porta. «Buonasera signora.» -saluto, cortese.
Michelangelo mi prende per mano e, con l'altra, fa uno strano saluto a Raffaele. «Ci vediamo sabato alla festa.».
Raffaele annuisce. «Ciao raga'.».
_
uhuh... sha lanciafiamme è tornata, addirittura a distanza di una settimana!!!! e niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto, è di passaggio...
ringrazio @ritaska99 per aver corretto il capitolo
ascoltate chic di izi.... è bella
il prossimo sarà ambientato direttamente alla festa. ne vedremo delle belle....
alla prossima! <3
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