Quindici.
Capitolo revisionato.
«'Alla fine hai deciso da cosa travestirti domani sera?'» - Perla legge ad alta voce il messaggio che ha appena ricevuto, facendo chiaramente riferimento alla festa al Carnaby di domani - alla quale io, per spirito contraddittorio, non andrò.
Ha le gambe incrociate sul letto, il computer su di esse, mentre io sono seduta al suo fianco, con la schiena premuta contro la parete. «E' Raffaele?» - domando, annoiata, retoricamente.
Annuisce, come previsto, ma senza aggiungere altro circa la sua risposta. «Allora, hai deciso?» - la interrogo anch'io, sorridendo debolmente per la domanda che le pongo da ben due giorni.
Sbuffa, arricciando un angolo della bocca. «Non lo so ancora, Ali. Sono in crisi. Devo trovare un vestito che sia abbastanza coprente altrimenti mi smascherano subito!».
«Oh mio Dio, sai che tragedia.» -la prendo in giro, il tono mordace e sottile.
Si volta a guardarmi, le labbra schiuse e gli occhi spalancati dalla disperazione. «Tu sei sempre sicura di non voler venire?».
Emetto uno sbuffo, piena di noia. «Sì, Perla. Non preoccuparti, non mi offendo se tu ci vai.» - la rassicuro, per la centesima volta. Non voglio andare a quella stupida festa e vedere la stupida Marta con lo stupido Michelangelo. «Piuttosto, muoviti a trovare un vestito.».
Mi guarda, con occhi luminosi, ed io ho un vago sospetto di ciò che sta per dire. «Non puoi prestarmi nulla, fra i tuoi costumi di danza?» - chiede, speranzosa, giungendo le mani dinanzi a sé.
Fingo una risata acida e divertita, poi divento subito seria. «Non se ne parla, assolutamente. Li ho pagati un botto e li voglio intatti.» - affermo, e su questo non può farmi cambiare idea. «Pensiamo...».
Mi guarda, aspettando una risposta. Diamine, ho tanta fantasia, ma adesso non ho voglia di pensare a niente; il pensiero di Michelangelo - che non mi parla da lunedì sera, da ben due giorni! - non ha fatto altro che mandare in tilt il mio cervello, ostacolando le mie capacità intellettive. Sbuffo, guardando fisso un punto sul soffitto. «Non puoi semplicemente vestirti da principessa e andare a comprare una maschera abbinata al vestito?» - la butto lì, sperando possa accettare e capire che, davvero, questo pomeriggio finisce male.
Mi guarda, come se l'avessi appena offesa. Aggrotta le sopracciglia e sbarra gli occhi, l'espressione disgustata. «Assolutamente no!» - urla, con enfasi. «Vorrei un travestimento speciale...» - il suo tono si minimizza, angosciato.
Tiro un lungo sospiro, cercando di ricompormi e di non cominciare a strillare e a prendere a calci il suo dannato computer da cui fuoriesce una musica assordante; altrimenti, da questa situazione non ne usciremo mai. «Aahhh, dammi qua!» - esclamo esasperata, prendendo il computer tra le mani e poggiandolo sul letto.
«Stupida festa. Stupido Carnaby. Stupido Michelangelo.» - farnetico, infastidita da tutto, quasi lancio per aria il suo computer. Ma, poi, so che farei una fine simile se lo facessi, quindi meglio evitare.
«Principessa ranocchio?».
Si porta un dito alla guancia, pensierosa.«Mhm, no.»
«Biancaneve?».
Dall'espressione che si forma sul suo volto, oserei dire che è inorridita dalla mia proposta. «Proprio no!».
«Per forza una principessa?» - chiedo, spazientita, omettendo un ' E che palle!'.
Si morde l'interno della guancia, annuendo e spargendo del miele sul mio cuore di legno. «Si.»
«Non è che forse stai prendendo un po' troppo sul serio questa festa? No, vero?» - sbotto, l'ironia ha la meglio sulla rabbia.
Muove la testa a destra e a sinistra, negando ed incrociando le braccia. Sembra una bambina. Ci tiene davvero a questa stupida festa, quindi ho il dovere di aiutarla. «Ti piacerebbe un vestito da odalisca?» - domando, sperando in una risposta affermativa.
«Fa' vedere!» - si illumina, un po' troppo agitata per i miei gusti.
Mi alzo malvolentieri dal letto, raggiungendo l'armadio della mia camera. Apro una delle scatole che non toccavo da anni e, dopo alcuni minuti di ricerche ardue, finalmente lo scorgo; un vestito da odalisca non proprio semplice, composto da un top a mezze maniche color porpora coi bordi dorati, che lascia scoperta la pancia. Le gambe fasciate da un pantalone di velo largo, ed una cintura anch'essa dorata. «Che ne pensi?» - domando, mostrandoglielo. Avrò fatto centro? «Potresti comprare una maschera: con i capelli e metà volto coperti dovresti essere irriconoscibile.» - aggiungo, scrollando le spalle.
«E' bellissimo.» - le sue labbra formano un cerchio ricco di sorpresa, e per un attimo il mio cuore sospira dal sollievo. Ho fatto centro. «Sono ancora le sei, mi fai compagnia a prendere la maschera? Poi non ti scoccio più!» - aggiunge, il labbro inferiore in avanti e le mani giunte in supplica.
〜
«Sei così felice?» - chiedo, ispezionandola con divertimento. Ha i gomiti appoggiati sul tavolino di alluminio dello Shine, proprio come una settimana fa, e tra le mani ha ancora l'elegante maschera che abbiamo scelto insieme. E' per metà dorata, che sfuma poi nel viola abbinato al vestito, con degli abbellimenti dorate sopra. Fortunatamente, non ci abbiamo messo poco: se ne è innamorata appena l'ha vista.
«Sì sì.» - annuisce, come una bambina felice dinanzi l'ovetto Kinder.
Sospiro, bevendo un sorso del mio thè. «Menomale, dai.».
«Ali...» - mormora, guardandomi come se potessi sbranarla da un momento all'altro.
Alzo gli occhi al cielo. «No.» - rispondo, ferma e risoluta.
«Senti, so che stai cercando di evitare il discorso, okay?» - cerca di indagare, agitando le mani- «Ma è da lunedì sera che tu e Michelangelo non vi parlate!».
Sospiro, adagiando la schiena alla sedia, distrutta e debellata. Questa storia non avrà mai fine. E' la decima volta che prova a parlarne, ma, puntualmente, le rispondo male. Dovrei darmi una calmata. «Perla, per me è irrilevante.» -comincio, decidendo finalmente di risponderle- «Cioè, veramente, tu credi che io non parli perché ci stia male, o qualcosa di simile, ma la realtà è che, dannazione, io l'ho capito! Michelangelo e Marta si stanno ancora frequentando. Ormai non ho dubbi.» - Certo, sono così indifferente alla situazione che non ho fatto altro che pensarci, giorno e notte... «Davvero, non fissarti. Questa situazione mi è indifferente. Ed io non voglio parlarne.» - concludo, sperando di essere stata chiara. E, soprattutto, convincente.
Mi rivolge un sorriso beffardo, scuotendo la testa. «Tu puoi anche prendere in giro me, ma non puoi farlo con te stessa. Comunque, in effetti... Raffaele ha invitato solo me.» - mi guarda, in cerca di una risposta che non ho, ad un quesito che non esiste. «Non so, è strano.» - aggiunge poi, pensierosa.
Agito il capo, sorridendo. «Ecco, vedi? Sono sicura che lui sappia qualcosa! L'altro giorno disse che ci sarebbe stata anche Marta con le sue amiche, a questa festa.». Stupida, ridicola, festa del cavolo.
«Ma, ma...» - blatera, guardandomi con un cipiglio in volto. «Non preoccuparti, io lo terrò d'occhio e...».
«Tu non devi controllare proprio nessuno.» - la interrompo, con tono duro, sperando di essere compresa. «Ognuno è libero di fare ciò che vuole, fine.»
Mi guarda, come a schernirmi, e la cosa mi fa ribollire il sangue nelle vene. «No, Perla, non hai capito proprio nulla! Non devi permetterti di farmi fare figure di merda» - agito una mano, con enfasi - «Anzi, se proprio vuoi parlare con Michelangelo, non di me, grazie!».
Sospira, afflitta. Sul serio!? Sono io che dovrei sentirmi così disperata! «Andiamo, dai. E' ora di cena.» - borbotta, infine, forse un po' offesa dal tono brusco che ho usato.
Aggrotto le sopracciglia, ma perché mi comporto sempre uno schifo con le persone che vogliono aiutarmi? «Non esci con Raffaele?» - domando, sperando in una risposta gentile, che assolutamente non meriterei.
«Ehm..ecco...» - farnetica, piena di imbarazzo.
Sbatto le palpebre, accigliata. «Cosa?».
«Non volevo lasciarti sola.» - confessa, abbassando le spalle.
«Ma va là!» -dico, sforzandomi di ridere; quando poi mi rendo conto della palese falsità della mia risata, decido di smetterla. «Sono abituata a stare da sola a casa! Ma sei scema?» - continuo, davanti al suo sguardo esitante. «Riuscirò a resistere senza te per qualche ora.» -ridacchio, facendole un occhiolino.
〜
L'anta del balcone è spalancata, e nella mia cameretta fa ingresso un vento leggero; ho chiuso la zanzariera, perché, dannazione ci sono quelle insopportabili cavallette che, ogni anno, a giugno, diventano i padroni indiscutibili dei nostri balconi. Sono le nove di sera, il sole è tramontato da poco, ed io ho appena fatto la doccia; mi annuso l'avambraccio - ormai è il mio tormento - constatando con gioia di avere addosso il profumo di zucchero filato.
Ho la testa poggiata sul cuscino, sono stesa a pancia in giù. «Uno, due, tre, adesso scommetto che mi arriva un messaggio!» - esclamo, patetica, sollevando lo sguardo e accompagnandolo con un sorriso speranzoso, che si spegne quando constato che, di Michelangelo, nemmeno l'ombra. Perché ci speri ancora, Alisya?, mi chiedo, interrompendo lo strambo ed imbarazzante gioco che, ormai da giorni, compio per passare il tempo.
Prima che possa cambiare idea, dopo meno di un secondo mi sto già vestendo per uscire. Una bella passeggiata serale, ecco cosa ci vuole, sono sicura che potrò rinfrescarmi le idee.
_
Il palazzo dove viviamo si trova all'inizio di una stradina secondaria, che sfocia sul lungomare e separa Rimini dall'Adriatico. La spiaggia non è molto lontana, si oltrepassano le strisce pedonali e si arriva; infatti, dal nostro balcone si intravede il cristallino mare, i lidi, i bagnanti e, ahimé, il rumore assordante del gruppo di animazione; quello non manca mai.
In ogni caso, ho sempre adorato casa di Perla, e non avrei mai immaginato che un giorno avremmo vissuto insieme, proprio qui.
Attraverso la strada, cercando di non morire -una macchina bella grande ha appena tentato di investirmi, nonostante io sia sulle strisce pedonali e gli abbia fatto segno più volte- e arrivo sul largo marciapiede che affaccia sul mare, delimitato da una ringhiera scura.
Non devo pensarci.
Il lungomare Tintori si allunga per circa cinque chilometri, ed io faccio una veloce proporzione tra i minuti che sono passati da quando ho iniziato a camminare, ed i pensieri che, inevitabilmente, si sono già affollati nella mia mente: il risultato è preoccupante.
Scuoto la testa. Non devo pensare a lui, dannazione.
Aggrotto le sopracciglia; non so perché, ma in questo momento, come un flashback, mi sono tornate alla mente le parole di suor Lorena. Quelle che mi ripeteva in momenti di tristezza.
"Ricordati, piccola Alisya, che nella vita non si è mai del tutto soli, finché ci sei tu a farti compagnia."
All'inizio non comprendevo quelle parole, e credevo che la suora stesse cominciando a delirare; poi, crescendo, ho capito cosa intendesse. Non si è mai del tutto soli, finchè ci siamo noi a farci compagnia; ma come si vuole conoscere il mondo, se prima non si conosce se stessi?
Nell'ultimo anno, in particolar modo, sono riuscita a fare un resoconto della mia persona, e della mia vita. Quando vivi da sola e non hai nessuno con cui parlare, cominci sul serio a parlare con te stessa.
Hai ragione, come faresti se non ci fossi io!, la voce che tanto ho soffocato in questi giorni, si fa di nuovo spazio, emergendo da un cumulo di zucchero filato.
Sospiro, porto un piede avanti all'altro senza rendermene conto.
Non credo di essere una ragazza come tante, e non credo neanche di essere unica. Se dovessi descrivermi, mi definirei particolare. Non in senso positivo, e neanche in quello negativo. Particolare, e basta. Non mi sono mai piaciuta molto; come tutte le ragazzine della mia età, anche io avevo i miei pregi ed i miei difetti; naturalmente, vedevo solo questi ultimi. Non è che dovessi a tutti i costi vedere anche il bicchiere mezzo pieno. Io volevo lottare, ringhiavo affinché il bicchiere si riempisse di acqua fresca e pura. Dopo tanti anni ci ero riuscita: se non potevo diventare bellissima fuori, volevo esserlo almeno dentro.
La scuola mi piaceva, senza dubbio. Adoravo imparare cose nuove; ritenevo inutile, però, studiare le cose attorno, senza prima studiare me stessa. E così iniziai a studiare la mia mente, a studiarmi.
Non avevi nulla da fare, Alisya?, la vocina fa di nuovo il suo ingresso, prepotente.
No, non avevo nulla da fare, e forse è stato meglio così. Altrimenti adesso non sarei la persona che sono ora. E non avrei conosciuto te, piccola vocina interiore. Se dovessi darti una forma, ti immaginerei come un piccolo draghetto blu di nome Sybil, coi denti aguzzi e le gote rosse.
Dio, ma guarda cosa vado a pensare...
E' sicuramente colpa di quel deficiente di Michelangelo, se in questi giorni sto perdendo colpi. Sospiro, interrompendo la mia passeggiata e avvicinandomi alla ringhiera, poggiando poi il torace ad essa. Smarrisco i miei pensieri nell'ammaliante movimento del mare, le onde sono illuminate scarsamente da una imponente luna piena, che si leva alta nel cielo.
Non ho idea di che ore siano, perché avevo il telefono scarico prima, quindi non l'ho portato. Tanto, sono abituata a camminare da sola e, nonostante i numerosi ammonimenti di suor Lorena, è come se mi rifiutassi di accettare che, al mondo, ahimé, ci sono anche persone cattive. Coi gomiti ancora poggiati alla gelida superficie nera della ringhiera, volto il capo verso la strada alla mia destra, e guardo una di quelle insegne delle farmacie, verdi e a forma di croce, che si illuminano ed indicano i gradi, la data e l'ora.
«Minchia!» - sbotto, come direbbe Perla. Sono le undici, le undici! Ma quanto diamine ho camminato? E' una fortuna che io non sia stanca, credo di riuscire a camminare ancora per un'ora e tornare indietro.
Ad un tratto, avverto il clacson di una macchina scura bussare ripetutamente; in un primo momento resto indifferente, poi però, infastidita, mi volto nella sua direzione. Emetto uno sbuffo, ma la mia espressione cambia quando vedo il conducente.
Riccardo è lì e mi fa segno con la mano di raggiungerlo. Sorrido raggiante e, francamente non capisco se è per il passaggio assicurato o per l'incontro con Riccardo. Scrollo le spalle, non è il momento per rifletterci.
«Ciao Riccardo!» - lo saluto, quando entro in macchina, intanto che lui riprende a guidare dato che si era creata una lunga e nervosa fila alle nostre spalle.
«Ma dove vai tutta sola, a quest'ora?» - chiede, preoccupato, ed io mi volto a guardarlo, per un attimo scaltra.
Scrollo le spalle. «Passeggiate serali.» - mi limito a rispondere così, sperando di averlo rassicurato. Ha lo sguardo puntato sulla strada, dunque gli lancio delle occhiate veloci. I suoi occhi blu sembrano quasi neri col buio della sera, i capelli castani sono leggermente lunghi e la barba è perfettamente rasata. E' davvero bello, non è più il ragazzino imbarazzante di una volta. La pubertà fa miracoli.
«Ti accompagno a casa?».
Evito di alzare un sopracciglio, memore delle buone maniere. Ovvio, dove dovremmo andare? «Sì, grazie. Mi faresti un enorme favore.».
«Figurati, Ali. Ma qualcosa non va?».
Un cipiglio si genera sul mio viso, una domanda prende forma nella mia testa. «Ma, come hai fatto a riconoscermi? Ero di spalle!».
Ridacchia, quasi un po' imbarazzato. «Non sono sicuro che tu lo voglia sapere.».
La risposta, ad una domanda che adesso mi sembra così stupida, non tarda ad arrivare nella mia mente. «Lo voglio sapere.».
«Dal culo!» - mormora, con un'enfasi che mi fa letteralmente scoppiare a ridere.
-
Restiamo in silenzio per tutto il viaggio, non c'è traffico, quindi dura poco. Sa dove abita Perla, naturalmente; e sa che abitiamo insieme, naturalmente. La mia amica spiffera troppo per i miei gusti.
«Beh, allora...» -mormoro, schiarendomi la voce, quando siamo arrivati nei pressi del mio palazzo. «Ci vediamo. Grazie ancora!». - lo saluto, depositando un bacio sulla sua guancia ed affrettandomi ad uscire.
«Ali, non voglio vederti soffrire dietro Mike.». La sua imprevista affermazione mi fa strabuzzare gli occhi. Mi volto a guardarlo nuovamente, sconvolta. Se me l'avesse detto qualcun altro, però, avrei cominciato a delirare. Ma so che Riccardo, dopotutto, mi vuole bene e lo sta dicendo per aiutarmi. «Dico solo... sta' attenta a Marta, okay?» - aggiunge, sollevando un angolo della bocca, in uno strano sorriso.
Annuisco, mordendomi l'interno della guancia. «Non preoccuparti. Grazie ancora!» -sorrido, riprendendomi dallo shock- «Ho un favore da ricambiarti!» - aggiungo, chiudendo la portiera.
Abbassa il busto per guardarmi meglio; ovviamente, lunga quanto sono, trovandomi fuori dall'abitacolo non riesce a fissare il suo sguardo nel mio. «Spero favori sessuali!» - risponde, accompagnando la sua stupida affermazione con un occhiolino.
Sbatto le palpebre, confusa e divertita, ed alzo gli occhi al cielo. «Sei proprio stupido.»
«Ciao Ali.» - mi saluta ancora, per poi mettere in moto e andare via.
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