Quarantuno - Pearl/Mihangel.
PEARL'S POV
Ci scateniamo tutti in cerchio, mi sto sfrenando davvero tanto. Poggio la testa sull'avambraccio di Alisya, anche lei si diverte, ha le braccia poggiate sulle mie spalle e quelle di Lucia. La musica è un po' troppo alta, adesso alla console c'è quel Marco, che non ha fatto altro che darmi il tormento tutta la sera. Finalmente si è tolto dalle scatole. Non ci sono molte persone, oserei dire che la sala si è svuotata per metà, una buona parte è occupata dalla nostra cospicua comitiva.
Ad un tratto avverto qualcosa sfiorarmi il fianco sinistro; mi giro di scatto, Michelangelo ha avvolto i fianchi di Alisya in un abbraccio e adesso, presi dalla bramosia, si allontanano baciandosi e abbracciandosi.
«E adesso chi li ferma più!» - sussurro, avvicinandomi all'orecchio di Lucia, che continua a dimenarsi: forse non si è accorta di niente; automaticamente, quando Alisya se n'è andata, ha abbracciato me.
Scuote la testa, in maniera interrogativa, ed io faccio un cenno in direzione dei due piccioncini. A sua volta, Lucia si gira a guardarli; quando fissa nuovamente il suo sguardo su di me, alza gli occhi al cielo, divertita.
«E' la volta buona che gliela dà.» - aggiungo con malizia, ma Lucia non può avermi sentita, perché sta camminando velocemente in direzione del divanetto su cui abbiamo appoggiato tutti i nostri averi.
Aggrotto le sopracciglia, guardandola da lontano, e capisco cosa vuole fare solo quando sistema la tracolla della sua macchina fotografica su una spalla. E adesso chi la sente Alisya...
Mi volto a guardarli con un sorriso in volto. Michelangelo la sta baciando in modo famelico. Sembrano in un mondo tutto loro, lontano dalla realtà.
«Sorridete, dolcezze!».
Lucia ha puntato la macchina fotografica verso Alisya e Michelangelo, da quell'angolazione dovrà risultare davvero una bella foto.
Incrocio le braccia, divertita ed interessata, mentre un leggero mal di testa mi tira le tempie, affaticandomi. Lascio scrocchiare le dita, un po' indifferente, ma il flash che immortala Alisya e Michelangelo - in una posa amichevole, più che romantica - mi fa sbattere le palpebre e aggrottare le sopracciglia, dal fastidio.
Un turbine di capelli e vestito rossi mi sfiora leggermente la spalla, passandomi accanto con un bicchiere in mano. Ma come si permette di toccarmi? Nina avanza velocemente verso il divanetto accanto a Lucia, il mio sguardo è soffermato sui suoi tacchi scintillanti. Storco la bocca e punto lo sguardo su Greta, Roberta ed Angela che si fotografano con l'autoscatto.
Ad un tratto uno sciame di movimenti ambigui alla mia sinistra mi fa voltare d'impulso ed analizzo perplessa la scena che si presenta dinanzi ai miei occhi: non so davvero come abbia fatto, ma Nina è appena scivolata, con i tacchi ingarbugliati nel lungo vestito. Sbarro gli occhi e mi porto una mano alla bocca, divertita, cercando in tutti i modi di non scoppiare a ridere. Quando, poi, mi rendo conto che per sbaglio ha inondato il vestito di Alisya, col drink che aveva in una mano, scoppio letteralmente in una squillante risata, batto forte i palmi sulle cosce per l'espressione sconvolta e imbestialita che Alisya porta in volto. «Oddio...» - mormora la mia amica, guardando Nina furente, mentre continuo ad attorcigliare il mio ventre dal ridere.
«Oddio, Alisya, scusami non volevo!» - squittisce la rossa, seriamente terrorizzata. «Dio mì, scusami, io...».
Ma come diamine parla?, penso, mentre la risata va scemando e mi rendo effettivamente conto di quanto se la sia presa Alisya. Michelangelo, invece, non ha smesso di ridere. Forse lui non la conosce bene a fondo, da sapere che, in una situazione del genere, Alisya avrebbe principiato a ridere e mai a... «Ma vaffanculo.» - sibila, sguardo di fuoco. Ecco, appunto, a mandare a quel paese Nina per uno stupido incidente.
Mi volto a guardare Michelangelo, un po' smarrita, quando Alisya, con un'espressione ad ampie falcate attraversa la folla, andando chissà dove. Il ragazzo mi guarda, occhi indecifrabili, ancora scossi dalle risate.
«Madonna mia, mi dispiace...» - continua a lamentarsi Nina, sembra davvero mortificata, si passa le mani fra i capelli, gli occhi spalancati come al solito.
«Ma dov'è andata adesso?» - chiede Michelangelo, il sorrisetto divertito ancora in volto.
Scuoto la testa, accigliata. «Non lo so, vado a cercarla...» - mormoro, intanto che confusione e sconcerto prendono posto sul mio cuore.
Aggrotto le sopracciglia e mi faccio largo tra la folla. Poi, non so perché, un po' per paura, un po' per insicurezza, raggiungo Lucia e afferro la sua mano. Un gran mal di testa comincia a farmi pulsare le tempie, sempre più forte, forse non è emicrania, ma ansia che si tramuta in malessere fisico. Avverto le mie guance andare a fuoco. Mi volto a guardare Lucia, che ha l'espressione neutra: con una mano avvolge l'obiettivo della sua reflex, per pararla da eventuali colpi. Camminiamo fra le persone sudate che ballano e si sfrenano. Ho il cuore pesante, schiacciato da una brutta sensazione. Un altro tacco si piazza per bene sul collo del mio piede, facendomi imprecare. Dannate ballerine. Mi passo una mano fra i capelli, l'altra tiene saldamente quella di Lucia. Credo che la mia espressione sia più che sconvolta, oltre al mal di testa adesso si aggiunge l'ansia di non trovare Alisya. Non so perché, ma ho uno strano presentimento, di qualcosa che senza dubbio non mi piace e non mi tranquillizza.
«Ma che sta succedendo qui?» - la voce di Lucia mi riporta coi piedi per terra, più precisamente nei pressi dei bagni del Carnaby.
Aggrotto le sopracciglia. «Ma cos'è tutto 'sto via vai?» - chiedo a mia volta, al vuoto, quando mi rendo conto che, effettivamente, c'è una grande e strana confusione.
«Che è successo».
«Ma chi è?».
«Fate largo, fate passare!».
«Ma aveva fumato qualcosa?».
«Toglietevi dal cazzo!».
Mille voci ruotano attorno al nostro silenzio, mentre con le labbra stirate in una linea dura cerchiamo di allungare il collo per giovare la vista, ostacolata dalle teste di altri mille curiosi. Il cuore mi diventa più pesante, quando vedo una schiera di bodyguard allontanarci da quel luogo, sono troppo curiosa di sapere cosa è accaduto; un uomo anziano e robusto dall'aria preoccupata attraversa il corridoio, di lui posso vedere solo la testa colma di capelli grigi: sarà il proprietario?
«Ragazzi spostatevi!» - sbraita, avanzando velocemente, seguito da due uomini alti e muscolosi.
Ma cosa è successo?
Il cuore pulsa forte nel petto, così tanto da non farmi accorgere della presa allentata di Lucia. Mi volto a guardarla, invano: non c'è più. O, meglio, non è più alla mia altezza. Ma che sta facendo?, mi chiedo, lo sguardo confuso e disorientato, mentre le mie braccia sono pressate da corpi altrui. Mi porto una mano sulla fronte, abbassandomi leggermente per verificare le azioni della mia amica. Si è inginocchiata e adesso sta spingendo e gattonando tra la folla; si sistema con una mano il vestito, abbassandolo, evitando di rivelare il suo fondoschiena, una volta arrivata avanti a tutto; riesco a vedere il suo caschetto nero.
«Eccola!».
«Ma chi è?».
«Ma io l'ho già vista quella!».
Un curioso brusio riparte, c'è più movimento adesso fra la gente, e mi rendo conto che i bodyguard stanno trasportando il corpo di una ragazza.
Sul mio volto un'ombra scura, nel mio cuore un pugnale. E' in questo momento che comincio ad osservare la scena in terza persona. Come se fossi spenta.
Ma non può essere vero, penso; occhi sbarrati, mente vuota.
La fanno stendere sul pavimento lucido e scuro, il cuore a livello della testa. Le sollevano le gambe e, dannazione, se fosse sveglia avrebbe già principiato ad urlare, dato che si vedono gli slip. Schiudo le labbra e sbarro gli occhi, incapace di muovermi. Di pensare. Di realizzare. Smetto di respirare. Prego. Le persone parlano. Gli altri hanno lo sguardo smarrito. Il mio cuore batte con più forza. La prima ad urlare qualcosa è Lucia. Si è voltata a guardarmi. Non lo so cosa abbia urlato, però. Si fa largo tra la folla. Mi prende la mano. Dà uno spintone a due ragazzini che non avevano intenzione di spostarsi. Respiro. Prendo aria. Tremo.
Il mio corpo cammina fino al suo. Senza rendermene conto sono inginocchiata accanto ad Alisya. Senza sapere cosa le sia successo. Senza avere la forza e la capacità di ascoltare ciò che il proprietario del Carnaby sta dicendo a Lucia.
«Scusa?» - un indice mi picchietta la spalla.
Ha del sangue sulla fronte, che continua a scorrere. Non è tanto, però. La maggior parte è sangue secco.
«La conosci?».
Ha gli occhi chiusi, l'aria spenta. Però respira. Riesco ad intravedere il movimento impercettibile del suo torace. Cosa è successo?
«Ci sei?».
«Madonna santa, ma che cazzo vuoi?» - urlo, attivandomi all'istante e agitando le braccia, quando incrocio gli occhi di una ragazzina che adesso mi guarda mortificata. «Lucia, che è successo?» - mi volto, lo sguardo fisso nel suo, gelido come il ghiaccio.
Scuote la testa, aria sicura come al solito. «L'hanno trovata in queste condizioni, nel bagno delle ragazze. Ha sbattuto la testa contro il muro, non ci sono segni di ulteriore violenza.» - fa un cenno verso la ragazza - «Lei ha dato l'allarme.».
Giro di nuovo il capo, guardando la ragazzina, il senso di colpa non mi sfiora nemmeno per sbaglio. «Che hai visto?» - domando, brusca, socchiudendo gli occhi e mettendomi in piedi. Le afferro il polso e la trascino in disparte, lontano da sguardi indiscreti, seppur con difficoltà.
«Ho sentito la voce di una ragazza che urlava e chiedeva aiuto.» - mi sforzo di interpretare le sue parole balbettate, mentre mi dà seriamente sui nervi. Le sembra il momento di farsi prendere dal panico? - «Ero nel bagno accanto e ho sentito i sussurri di un uomo, poi la richiesta di aiuto di una ragazza, e allora sono uscita subito e quando l'ho fatto, ho visto un ragazzo abbastanza grande fuori la porta, mi ha puntato una pistola contro.».
Aggrotto le sopracciglia. Ma tutto questo non può essere vero, giusto?
«Com'era fatto?» - domando, incrociando le braccia e guardandola fisso negli occhi.
Fa per risponere, ma sono costretta a distogliere lo sguardo, ora che la mano di Lucia tira e si avvolge intorno al mio braccio. «Perla, io non lo so cosa sta succedendo, però hanno chiamato i carabinieri, l'ambulanza, pensano sia grave, non lo so, non lo so, cazzo...» - si porta una mano fra i capelli, scompigliandoli, facendosi travolgere dalle emozioni come non mai.
Poggia una mano sulla mia spalla, ma in questo momento credo di non aver bisogno del tocco di nessuno. Mi scanso, con un movimento scontroso ed acre. «So io chi chiamare.» - bisbiglio, prima di allontanarmi e lasciare da sola Lucia e la ragazzina.
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Chiudo la telefonata e infilo il telefono nella borsetta. «Ma dove cazzo sta Michelangelo?» - sbotto, quando raggiungo le altre, mentre raccogliamo le nostre cose dal tavolino.
«Non lo so, Perla, ti giuro, sono incazzatissima con lui!» - esclama Lucia, agitando una mano e toccandomi la spalla, ancora - «Ma è sparito nel nulla, è incredibile questa cosa!».
«Marco non sa dove sta?» - domando, esasperata, chiedendomi dove diamine sia finito quell'imbecille di Michelangelo.
«No, ho chiesto a tutti! Ha il telefono irraggiungibile e...».
«Ha accompagnato Nina a casa.».
Ci voltiamo in sincronia, con le labbra distanziate a tal punto che è impossibile non avvertire la nostra inquietudine. «Cosa!?» - sbottiamo entrambe, sconvolte, puntando lo sguardo su Marta.
Ci guarda con occhi lucidi e arrossati, segno del pianto in cui è precipitata non appena ha visto a terra il corpo immobile di Alisya. Roberta, Angela e Grazia hanno provato a calmarla, ma l'unico che è riuscito nell'intento è stato Raffaele, che le ha fatto capire, chiaramente mentendo, che non fosse successo nulla e che Alisya fosse solo svenuta.
Il che può essere, ma, finché non arriviamo al pronto soccorso, nulla è certo.
«Sì, ragazze, appena vi siete allontanate per raggiungere Alisya, Nina ha piagnucolato pretendendo di essere accompagnata a casa.» - la voce di Marta strozzata dal pianto mi fa ribollire il sangue nelle vene. Glieli strappo tutti quei capelli rossi, Cristo santo.
«E Michelangelo che ha detto? Ma non sa niente?» - agito le braccia, sconcertata, le dita sull'attaccatura dei capelli. «Ma Raffaele? Raffaele dove sta?!».
Una mano si poggia sulla mia spalla, ed io la riconosco prima ancora di voltarmi.
«Papà!» - esclamo e, senza neanche incrociare il suo sguardo, mi getto fra le sue braccia, avvolgendogli le spalle. Mauro Frisoni indossa una camicia azzurra su dei pantaloni blu, ha i capelli scuri e le labbra tirate in una linea dura; i suoi occhi verdi hanno tinto i miei della loro tonalità, e adesso mi fissano, quasi lucidi.
«Non ti preoccupare, va tutto bene, okay?» - sussurra, lasciandomi andare; probabilmente la mancanza di contatto fisico è una cosa di famiglia. Alle sue spalle c'è mamma, la mia meravigliosa mamma.
«Ciao mamma.» - la saluto con freddezza, accarezzandole di poco la schiena. Ha i capelli castani e ondulati raccolti in una coda, una camicia blu e i pantaloni attillati, del medesimo colore.
Anche lei principia a guardarmi, un po' troppo turbata per i suoi gusti. E' un atteggiamento che non le si addice, l'insicurezza.
«E' arrivata l'ambulanza.» - ci richiama papà e, mentre torno a guardarlo, il mio animo si risolleva, felice per loro, che dopo tanto tempo sono finalmente usciti allo scoperto. «Andiamo, Perla.».
Quando attraverso l'entrata del Carnaby, nemmeno mi volto a guardare la barella su cui stanno poggiando Alisya. Non guardo, ma so che lo sta succedendo. Mi rifiuto di credere che una cosa del genere sia accaduta sotto i miei stessi occhi.
Avanzo velocemente e in poco tempo sono già in macchina. Abbasso lo sguardo, quando trasportano la barella nel veicolo, dal retro dell'ambulanza, e solo quando avverto la chiusura delle porte mi decido ad inserire la cintura di sicurezza e a tenere lo sguardo aperto, sveglio, fisso in avanti. Lucia è al mio fianco, Roberta, Grazia, Angela e Marta sono dietro. Infilo la chiave nel quadro e giro, mettendo in moto la macchina; nello stesso momento l'ambulanza fa partire la sirena, accompagnata da lampeggianti blu, ed insieme ci immergiamo in una corsia d'emergenza creata al momento.
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«Hai provato a richiamare Michelangelo?» - sussurro a Lucia, spezzando un po' il silenzio pesante che si è creato fra noi, mantenendo lo sguardo basso. Mi muovo leggermente sul bacino, provocando lo scricchiolio della sedia su cui mi sono accovacciata non appena siamo arrivati al pronto soccorso.
«Ho rintracciato il suo telefono. L'ho chiamato io. Sta arrivando.» - risponde Raffaele, dall'alto della sua posizione: appoggiato al muro, una gamba piegata e i capelli in disordine.
Quando la porta opaca, che ci divide dal corridoio in cui hanno portato Alisya, si apre, automaticamente mi risveglio da questo stato di trance in cui sono caduta, e sollevo lo sguardo puntandolo su uno dei dottori, che lentamente avanza verso mamma e papà.
«Ci sono i genitori della ragazza?» - alla domanda del medico, spieghiamo la situazione di Alisya, al che egli si rivolge a mamma, che mostra il suo distintivo.
«Abbiamo fatto la TAC del cranio. La ragazza ha subito un trauma medio, che le ha causato una perdita di coscienza. Al momento è in stato di lipotimia, ha bisogno di dormire. Presenta un taglio sulla fronte, che le abbiamo già richiuso. Dobbiamo solo aspettare che riprenda coscienza. Non occorrono particolari precauzioni, se non riposo.».
«Sì, ma adesso possiamo vederla?» - risponde svogliatamente Marta, avviandosi già verso il corridoio. Raffaele la ostacola con un braccio.
«Penso sia abbastanza inutile, ragazzi. E' tardi e ritengo sia meglio che voi andiate a riposare. L'orario di viste va dall'una alle tre, di domattina. Se i signori vogliono seguirmi, prego...».
Sì, sì, convinto lui che aspetteremo l'una...
Si volta di spalle, lasciandoci perplessi e smarriti; Mauro e Daniela spariscono nel corridoio.
«Ma quindi sta bene Alisya, no?» - domanda Roberta, il viso pallido e assonnato che si rispecchia in quello di tutte noi.
«Sì, ha detto che deve stare a riposo, quindi suppongo non sia nulla di grave...» - mormora Lucia, strofinando le mani sulle braccia, per riscaldarsi.
«Quindi adesso che facciamo?» - chiede Grazia, stringendosi nelle spalle e guardandomi interrogatoria.
Per poco non le rispondo male. E' meglio alzarsi e andare altrove. Sono così nervosa che potrei seriamente prenderla a brutte parole.
A fatica, mi metto in piedi, e trascino le gambe fino alla finestra, posta vicino all'ascensore, lasciando dietro la conversazione intrapresa dagli altri, probabilmente su come organizzarsi per venire qui domani. Dei passi pesanti alle mie spalle mi fanno intendere che qualcuno di insopportabile mi abbia seguita e raggiunta.
«Che vuoi?» - domando, le braccia incrociate, gli occhi che cominciano a farsi lucidi.
«Mi fai compagnia? Michelangelo sta giù, solo che non sa dove andare.».
«Che se ne vada a fanculo.».
Raffaele scoppia a ridere, urtandomi i nervi, già piuttosto tesi.
Ed è qui che crollo.
Ed è sempre lui a riprendermi.
Mi avvolge le spalle con entrambe le braccia, stringendomi in un lungo abbraccio, mentre io principio a singhiozzare contro il suo petto, permettendo allo stress di fuoriuscire con impeto. Nell'udire, probabilmente, il mio pianto, le ragazze ci raggiungono e insieme entriamo in ascensore, senza proferir parola. Non vedo nulla, ho ancora gli occhi chiusi, premuti sulla maglia di Raffaele, che ancora mi abbraccia.
«Dai, andiamo...» - mormora, quando l'ascensore parte, facendo per accarezzarmi la guancia.
Mi scosto subito e, con l'aiuto dello specchio, cerco di ricompormi, ma invano: ho il naso rosso, i capelli spettinati e il trucco sciolto.
Sbuffo, perdendomi nel fissare le mie amiche.
Angela è poggiata al muro, penso stia dormendo in piedi.
Lucia ha gli occhi fissi sulla macchina fotografica, che ha ancora a tracolla.
Roberta ha quei capelli rossi che mi ricordano tanto Nina, forse è meglio non guardarla.
Grazia si fissa le unghie, fresche di ricostruzione.
Un suono squillante fa intendere che siamo arrivati al piano terra, infatti le porte si aprono rivelando l'atrio che prima, di corsa, abbiamo attraversato.
«Aspettate, che lo chiamo un attimo...» - ci informa Raffaele, prendendo il telefono dalla tasca e componendo il probabile numero di Michelangelo.
Recupero anche il mio dalla borsetta, appurando che sia un bel po' tardi: le due di notte.
«Le due di notte... sono le due di notte.» - sibilo, gli occhi iniettati di sangue, fissati in quelli di Lucia, che mi guarda senza vedere la rabbia che ho dentro. Infilo di nuovo il telefono nella borsetta, sfilo la tracolla e la passo alla cugina del ragazzo che sto per strangolare.
«Dov'è?» - sussurro, fingendomi angelica, a Raffaele che adesso ha terminato la chiamata.
«Nel parcheggio. Sta arrivando.».
Stringo le labbra in una linea dura, pizzicandomi il braccio con le dita e cercando in tutti i modi di tacere; insieme ci avviamo in direzione del parcheggio, al lato dell'ospedale. Tutto questo può mai essere vero?
Il freddo della notte prova ad entrare nel mio corpo, invano. Il fuoco che ho dentro non si può spegnere in alcun modo.
«Quella è la sua macchina.» - ci indica Raffaele con un cenno, e non finisce nemmeno di pronunciare queste poche parole, che Michelangelo appare dietro il veicolo. Ed io non gli do nemmeno il tempo di avvicinarsi, che cammino velocemente nella sua direzione, furiosa.
Raffaele cerca di fermarmi. «Aspetta, Perla, non gli ho detto nient-».
MIHANGEL'S POV.
«La tua ragazza viene violentata e tu sparisci per due ore!?» - strilla Perla, afferrandomi per il collo della camicia, i suoi occhi puntati nei miei, di fuoco.
La mia ragazza viene violentata ed io sono sparito per due ore?
Spalanco gli occhi, avvertendo un dolore atroce al petto, l'incredulità e lo sconforto mi avvolgono il collo facendomi mancare il respiro, non riesco nemmeno a pensare e la mia mente non prova neanche a creare delle ipotesi riguardo l'accaduto. «Ma...Ma che stai dic-».
«Dove cazzo sei stato, Michelangelo!? Dove cazzo eri!?» - sbraita, interrompendomi, mentre scuote ancora la mia camicia, provocandomi anche il mal di testa.
Alisya è stata violentata?
Dov'è Alisya?
La mia testa si svuota in un istante, indietreggio di poco e comincio a boccheggiare alla ricerca di aria. «Che c'è non rispondi?!» - esclama, nervosa, tossendo per le urla emanate.
«Hai la delicatezza di un porco, Perla.» - la rimbecca Raffaele, comparendo al suo fianco, assieme alle altre. «Mike, tutto bene?» - mi chiede, con aria preoccupata.
Mi viene solo da vomitare. Un senso di nausea si forma all'altezza della mia bocca, e per poco non vomito sull'asfalto del parcheggio. E ho un incredibile mal di testa...
«Non mi sento bene.» - emetto un lieve sussurro, prima di sedermi a terra, sul retro della macchina, e poggiare la schiena sulla strada piena di sassolini, che adesso sono il mio ultimo fastidio.
«Michelangelo, che hai?», «Oh, ma che tiene?», «Pure lui adesso!?», il panico si fa largo tra le ragazze, le loro domande giungono alle mie orecchie come echi lontani.
Non le sento.
Non sento niente.
Sono morto?
Di nuovo?
Perla si siede sulle ginocchia, accanto al mio corpo, e Raffaele fa lo stesso, dal lato opposto, a destra. «E' il terzo attacco di panico che ha questa settimana.» - dice distrattamente, prendendo una mia mano fra le sue.
«Pensi che dobbiamo portarlo dentro?» - mormora Perla, la voce preoccupata. «Santo cielo...».
«No, adesso gli passa. Di solito resta così per venti minuti.».
Per così tanto tempo?
Dov'è Alisya?
Devo salvare Alisya!
Mantengo lo sguardo fisso in avanti, è notte fonda, il cielo è pieno di stelle.
«Santo cielo, che casino stasera...Hey, cos'hai?» - mi chiede Perla, che adesso non posso vedere, perchè ho chiuso gli occhi, troppo lucidi per essere sopportati.
«Mi... non mi sento la faccia...» - balbetto, tremando, tastandomi con i polpastrelli una guancia. Mi tremano le labbra e mi sento perso. «Che è successo ad Alisya?».
«Non ci pensare adesso, Mike!».
«Dimmelo!» - mi sforzo di parlare, mentre il mio corpo diventa un sasso enorme, sento che la mia faccia sta lievitando, il cuore mi batte forte.
«Ragazze, andate a chiamare i miei genitori.» - ordina Perla, dispotica come al solito, ignorando la mia domanda.
«Che è succ...» - emetto un gemito di dolore, accusando una forte fitta alla testa. Le gambe cominciano a tremare, le pietre affilate su cui sono disteso mi fanno male, e mi ritroverò sicuramente i polpacci pieni di tagli così facendo. «Che è successo?».
«Ne parliamo dopo, va bene?» - ascolto il tentativo fallito di Raffaele di calmarmi.
«Ma come sta?!» - mi lamento, in cerca di una risposta, mentre la mano che non è custodita dal mio amico prende a tremare rapidamente.
«Perla, prendigli l'altra mano e accarezzala così..» - dice Raffaele, e principia a massaggiarmi il dorso, allora Perla fa lo stesso.
Sono stremato.
«Come sta? Che le hanno fatto?» - chiedo, in preda all'esasperazione, il mio corpo trema tutto, mi viene da vomitare, ho mal di testa.
«Non sappiamo ancora che le hanno fatto, Michelangelo. Lo sapremo domani, quando, ringraziando Dio, probabilmente si sveglierà.» - una voce che ho già sentito prorompe fra quelle delle ragazze, che ancora parlano tra di loro, preoccupate.
«Signora Frisoni, che piacere rivederla.» - sussurro ironico, aprendo un occhio e fissandola, mentre il dolore alle gambe diminuisce, il tremolio rimane, la nausea si allontana, l'emicrania resta.
«Vedi di riprenderti.» - afferma autoritario Mauro Frisoni, suppongo sia lui, l'ho riconosciuto dalla voce, ma non riesco a distinguerne bene i tratti del volto, dato che è situato controluce.
Chiudo gli occhi e sbuffo, provando almeno a sedermi, la schiena poggiata al retro della macchina.
«Mi... mi spiegate che... cazzo è successo?» - sussurro, ad occhi socchiusi ancora, portandomi una mano alla pancia e cercando di non vomitare.
«Ma sei rincoglionito?» - sbotta Marta, sedendosi a gambe incrociate accanto a me. Le altre ragazze fanno lo stesso. «Ti abbiamo detto che non lo sappiamo!».
«M-ma come sta Alisya?» - chiedo insistentemente, non credendo a quello che le mie orecchie stanno ascoltando e a quello che è effettivamente successo.
«Ha un taglio sulla fronte, probabilmente ha sbattuto la testa e questo ha provocato un trauma medio. Ha perso coscienza e ha bisogno di riposo.» - mi informa Mauro Frisoni, in piedi, braccia ancora incrociate.
«Ha smesso di tremare...» - mormora Lucia, poggiando una mano sulle mie gambe, richiamando l'attenzione di tutti.
«Okay, ci siamo.» - ribatte Raffaele. «Mike, pensa a qualcosa di bello, su... lo stai facendo?» - aggiunge, prendendo una mia mano fra le sue e riprendendo ad accarezzarmi con movimenti lenti e circolari.
Alisya. Alla nostra stella cadente, che è un po' la mia stella polare. La prima volta che abbiamo dormito insieme. Il suo "Ti amo" coraggioso, la promessa fatta quel giorno, il nostro giuramento.
«Voglio vederla.».
«Non puoi.» - Roberta spunta dal nulla, con un bicchiere fra le mani. «Bevi, è acqua e zucchero.».
«Perché non posso?» - chiedo, come un bambino capriccioso, mentre lei mi zittisce poggiandomi il bicchiere fra le labbra e aiutandomi a bere. Faccio un'espressione disgustata. «Fa schifo 'sta roba.».
«Il dottore ha detto che possiamo vederla domani dall'una alle tre.» - risponde Grazia, seduta sulle ginocchia, di fronte.
«Non me ne frega un cazzo.» - mormoro. «Io salgo.» - aggiungo, aggrappandomi a fatica a Raffaele, visibilmente contrario alla cosa.
«Non ti faranno salire, lo sai?» - mi rimbecca, passandosi una mano fra i ricci.
«Io faccio quello che mi pare.».
«Cristo santo, cosa ho dimenticato di dirvi!» - la voce di Perla supera di gran lunga le altre, la sua esclamazione ci fa voltare di scatto, in sincronia. Si porta una mano fra i capelli e si rivolge ai suoi genitori, portandoli in disparte.
Aggrotto le sopracciglia, incuriosito, mentre li vedo avanzare e fermarsi in un punto, da cui non si può ascoltare molto di quello che Perla sta dicendo.
Mi sento decisamente meglio, anche se la testa gira ancora e mi viene da vomitare. Ma non mi importa, salgo comunque. «Raff, io salgo.» - mi rivolgo al mio amico, autoritario, facendogli capire di non contestare. «Ci vediamo domani mattina. Mi dici qual è il piano?».
«Il terzo. Tu sei un pazzo.» - è l'ultima cosa che gli sento dire, prima di voltarmi e procedere verso l'entrata.
«Ciao ragazze!» - le saluto alla lontana, quando sono ormai arrivato all'entrata e, prima che possa rendermene conto, Perla è di nuovo al mio fianco.
«Sei proprio sicuro di non sapere niente? O stai facendo solo il finto tonto?» - le sue parole taglienti mi fanno voltare di scatto, accigliato.
«Scusa?».
Mi guarda con gli occhi iniettati di sangue, e non capisco se è per la rabbia o per il sonno. «Vuoi sapere cosa mi ha detto la ragazza che ha dato l'allarme?».
Resto in silenzio, in attesa.
«Che è stato un ragazzo a fare questo ad Alisya. E che aveva una pistola.».
Il mio cervello si riattiva subito e comincia a fare collegamenti assurdi, pur di arrivare ad una conclusione. Poi, inevitabilmente, la realtà dei fatti, senza che io sappia qualcosa, mi giunge precipitosa come un fiume in piena. Cazzo...
Cazzo, cazzo, cazzo. Ho combinato un guaio. Se è stato uno del gruppo di Testa, cosa molto probabile – perché, dai, sarebbe stata troppo una coincidenza – credo anche di sapere chi hanno mandato, e per quale ragione l'hanno fatto.
Scuoto la testa. «Penso che dobbiamo prima ascoltare la versione di Alisya.» - mormoro, fingendomi sicuro. Dopotutto mi riesce così bene, fingere. «Non credo di avere la palla magica.».
Mi guarda, sicuramente sospetta qualcosa. Annuisce, poco convinta, e si allontana, facendo dei passi all'indietro. «Spero non ti facciano salire e tu rimanga da solo come un cane.» - sibila, prima di voltarsi e andarsene.
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Dopo aver sbraitato su una povera infermiera, sono finalmente riuscito ad entrare nel corridoio. L'ultima stanza a destra, penso mentalmente, camminando e fissando lo sguardo sul pavimento blu, quasi brillantinato. Allungo lo sguardo, quella è l'ultima stanza. Le altre sono tutte chiuse, dopotutto sono quasi le tre di notte.
Mi mordo l'interno della guancia, non so se il malessere fisico che provo sia causato dall'ansia, o semplicemente sono reminiscenze dell'attacco di panico avuto prima.
Prima di entrare, mi ricordo di impostare il silenzioso al telefono. Lo sfilo dalla tasca e mi accorgo di alcuni messaggi ricevuti, inviati da Nina.
"Ecco cosa succede, quando rifiuti gli ordini del capo."
Resto col cuore in gola e il telefono a mezz'aria, sconvolto e turbato per pensare qualsiasi cosa. E a cosa dovrei pensare? Che sono uno stronzo?
E' stata colpa mia... ed io non posso fare davvero niente. Dovevo aspettarmelo, comunque. Era troppo strano che non mi avessero ancora punito in qualche modo.
Faccio un lungo respiro, mi passo una mano fra i capelli, mentre ho soltanto voglia di prendermi a schiaffi. Vorrei uccidermi. E' stata colpa mia. Un giorno tutto questo finirà?
Abbasso la maniglia e faccio il mio ingresso, la stanza è tutta buia, l'unica luce proviene da un lumino acceso, su un tavolino verde acqua. Infilo il telefono in tasca, dopo averlo spento.
Alisya è stesa su un letto molto alto, indossa una vestaglia bianca a pois blu, le braccia sono distese lungo i fianchi. Chiudo la porta per avvicinarmi, cercando di fare il minor rumore possibile, mentre il cuore comincia a pulsarmi forte e gli occhi mi si riempiono di lacrime.
Premo una mano sulle labbra, per non far sfuggire alcun singhiozzo, mentre sono distrutto dentro, e delicatamente recupero una sedia vicino ad un armadio, la sistemo affianco al letto.
Alisya ha le labbra schiuse, il volto pallido. I capelli mossi le circondano il viso, e il suo respiro è un calmante efficace per il mio cuore.
Asciugo con una spalla le lacrime che mi rigano le guance, e a tratti la vista mi si appanna, a causa dell'acqua salata.
Prendo una sua mano fra le mie, e nascondo il viso fra le braccia, incrociandole sul letto accanto al suo corpo.
«Scusa, amore mio.» - mormoro, gli occhi premuti sulle braccia. «Ti amo.» - aggiungo, riprendendo a piangere, scosso dai singhiozzi.
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Ssssssssssssssssalve!!!
Lo so, lo so, erano due mesi che non aggiornavo, sappiate che mi dispiace molto, spero di essermi fatta perdonare in qualche modo. Quello che all'apparenza è un capitolo di passaggio, in realtà è molto importante e adesso vi spiego perché:
-innanzitutto, si capisce il perché di quanto accaduto, più o meno;
-seconda cosa, e non meno importante..... ********attesa****** vi ho presentato gli ultimi due personaggi adulti della storia, e adesso sapete cosa fare.... #CACCIAAIGENITORIDIALISYA!!
Spero mi perdoniate per la lunga attesa. Ci rivediamo al prossimo capitolo. Tanti baci!
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