Capitolo 8 - Speranze e proposte.
Shane.
«Amore, che ne dici di andarci a fare una nuotata, nel pomeriggio?» mi chiese Jessica al telefono, mentre guardavo distrattamente fuori dalla finestra del mio studio.
«Sì» risposi svogliatamente rigirandomi tra le dita un laccio emostatico.
«Ma non posso lasciare lo studio per troppo tempo, lo sai, quindi potrò assentarmi solo una mezz'ora.»
L'estate era appena agli albori, ma le temperature elevate facevano pensare che fosse nel suo pieno sviluppo. La prospettiva di una nuotata nel lago era senza dubbio allettante.
«È perfetto, Shane» disse lei e sentii la sua voce un po' più lontana dal microfono, come se fosse stata distratta da qualcosa.
«Ci vediamo più tardi. Ti amo.»
«Anch'io» risposi, ma Jessica aveva già riattaccato.
Sospirando, appoggiai il cellulare sopra il davanzale della finestra, mentre i miei pensieri vagavano alla sola persona a cui non avrei mai, assolutamente, dovuto pensare.
Le avevo proposto di incontrarci per discutere del lavoro di assistente che le avevo offerto, e una parte di me sperava ardentemente che lo avrebbe accettato. Un'altra parte mi metteva in guardia da quello che sarebbe potuto succedere, perché sapeva che le avevo offerto quel lavoro non perché io avessi realmente bisogno di un'assistente, quanto perché volevo conoscerla meglio. E riconoscere questo dettaglio mi mandava in confusione: avevo appena incontrato Katherine, ma mi sembrava di conoscerla da sempre. Era come se lei fosse la luce e io una falena. Ne ero inevitabilmente e dannatamente attratto, e mi pentivo di ogni singolo istante che spendevo pensando a lei.
Mi ritrovai a riflettere sui rischi che il nostro incontro avrebbe comportato, a quale sarebbe stata la reazione di Jessica se lo avesse scoperto, ma poi mi tranquillizzai pensando che, in fondo, si sarebbe trattato solo di una pacifica e innocua conversazione tra un medico e quella che, speravo con tutto me stesso, sarebbe diventata la sua assistente.
Il campanello suonò all'improvviso, riscuotendomi dai miei pensieri e, ancora una volta, la mia speranza era che Katherine avesse deciso di venire qui.
Per la prima volta questa speranza trovò concretezza.
La porta dello studio si aprì lentamente cigolando lungo il cardine.
«Shane?»
Era indubbiamente la sua voce.
Calda, timida, sottile.
«Entra pure, Katherine» la invitai gentilmente, sebbene le mia voce fremesse dal desiderio di implorarla, quasi, di entrare.
Non indossava più gli abiti inusuali di ieri. Al loro posto, adesso, c'erano un paio di pantaloncini di jeans che le lasciavano scoperte le gambe coperte da una leggera abbronzatura, una maglietta a righe bianche e blu e un paio di scarpe da ginnastica. I capelli erano stretti in una coda di cavallo sulla sommità della testa e sembrava struccata, come lo era stata quella mattina quando l'avevo vista sul portico della casa della signora Jenna.
«Ciao» mi sorrise e in quel sorriso, dalla dentatura perfetta, notai una certa traccia d'imbarazzo.
Era indubbiamente affascinante, e quando sorrideva le si formavano un paio di fossette sulle guance. Avevo sempre trovato le fossette un particolare interessante che caratterizza una persona.
Jessica non le aveva mai avute.
«Allora!» mi schiarii la gola, allargando le braccia. «Hai preso in considerazione la mia proposta, suppongo.»
«Che cosa te lo fa pensare? » chiese lei con un sorrisetto.
Le ammiccai.
«Non saresti qui, nel caso contrario.»
Katherine rise, scuotendo il capo.
«Touché.» Sospirò. «Ho pensato che possa essere un buon modo per ambientarmi con più facilità. L'unico problema è che non so cosa devo fare, né se sarò in grado di farlo.»
«Fare l'assistente di un medico non è difficile» le spiegai appoggiando le mani sulla superficie del lungo tavolo che ci separava. «Devi solo eseguire gli ordini e tutto filerà liscio.»
Un'espressione confusa comparve sul suo volto, rendendolo teso.
«Ordini? Vuoi dire che dovrò obbedire a... »
Sogghignai divertito.
«Ti sto prendendo in giro, Katherine.»
Lei mi fissò scuotendo la testa.
«Ma tu scherzi sempre così?» chiese vagamente accigliata.
«Solo con determinate persone» le risposi e, non riuscendo a sostenere lo sguardo interrogatorio che mi rivolse subito dopo, mi girai verso la finestra.
«Comunque no, non è difficile fare l'assistente. Ci riuscirai senza problemi, e ti assicuro che io non sono un tipo così esigente.»
«E in cosa consiste?»
«Dovrai solo aiutarmi con i pazienti, nulla di più.»
«Mh» la sentii mugolare alle mie spalle. «E se sbagliassi qualcosa?»
«Io credo che non sbaglierai nulla» replicai tornando a guardarla. «Ma se non te la senti di accettare, non c'è alcun problema. Davvero, me la sono sempre cavata senza un assistente, e continuerò a farlo ancora. Te l'ho proposto soprattutto per aiutarti a socializzare con i pazienti, che sono anche abitanti di questa cittadina sperduta nel nulla.»
E per trascorrere un po' di tempo insieme a te.
«No, voglio farlo» disse lei con determinazione. «Roxi aveva ragione: ho bisogno di un'avventura, di cambiare aria. New York mi stava opprimendo, anche se fino a ieri mi mancava da morire, e qui a Prettville penso di poter trovare un po' di libertà. Perciò sì, ho intenzione di accettare questo lavoro. Anche perché ho bisogno di soldi per mantenermi in modo autonomo.»
Avvertii una sincera fierezza nella sua voce, e una parte del mio cervello sorrise. Non mi ero sbagliato; c'era della stoffa, in quella ragazza, e il fatto che avesse deciso di accettare la mia offerta non faceva altro che incrementare quest'opinione.
Sorrisi, compiaciuto.
«Molto bene, allora. Sono felice che abbia preso questa decisione.»
Katherine si unì al mio sorriso.
«Anch'io.»
Mi sfregai le mani aggirando il tavolo.
«Vuoi fare colazione?» le domandai sollevando un sopracciglio.
Lei scosse il capo, dopo un attimo di stupore.
«Non faccio mai colazione. Mi accontento di una tazza di caffè.»
«E perché no?»
«Non lo so. Forse perché volevo mantenere la linea, quando ero a New York.»
Sollevai entrambe le sopracciglia.
«Fare una sana colazione non ti farà mai ingrassare, Katherine» risi. «E poi adesso non sei a New York. Lascia che prepari qualcosa. C'è uno stanzino, accanto allo studio, che uso per preparare il pranzo o la cena quando i pazienti sono troppi perché possa permettermi di tornare a casa.»
La vidi riflettere alzando gli occhi al cielo, poi lasciò andare un sospiro.
«Se prenderò due chili saprò a chi dare la colpa.»
«Puoi darmi la colpa di qualunque cosa, soprattutto perché ti devo ancora un pasto insieme, da ieri.»
«Giusto.» Fece una smorfia, contraendo le labbra. «E la tua cara Jessica non si arrabbiarà quando lo scoprirà? »
Mi strinsi nelle spalle.
«Può arrabbiarsi quanto vuole, ma io non infrangerò i miei principi di ospitalità solo perché lei è gelosa.»
Kaherine sospirò e incrociò le braccia al petto.
«Io non devo piacerle molto.»
«A Jessica non piace nessun esemplare femminile che mi rivolga la parola» chiarii aggrottando la fronte.
«Perciò non prendertela troppo per quello che dice. Ti chiedo scusa da parte sua. Okay?»
Lei sembrò rifletterci per qualche secondo, poi sorrise.
«Allora, questa colazione?»
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