7. Come la luna
C'era la Luna proprio sopra: e la città mi parve fragile, sospesa come una ragnatela, con tutti i suoi vetrini tintinnanti, i suoi filiformi ricami di luce, sotto quell'escrescenza che gonfiava il cielo.
Italo Calvino, Ti con zero
Marah
«Tesoro, tutto bene?» la domanda risuona accorata attraverso il mio cellulare, come se le importasse davvero qualcosa di me.
Perché solo adesso mi accorgo di quanto sia falsa?
«Ciao Betty, tutto okay!» le rispondo camuffando il più possibile lo scompiglio di emozioni e dubbi che al contrario invadono il mio cuore.
«Sei sicura? Ti sento un po' strana...»
Rimango qualche secondo disorientata dalla sua domanda, chiedendomi se abbia davvero intuito che qualcosa mi turba e se invece già sa...
Cerco di dirmi che è impossibile, ma tutte le circostanze e soprattutto qualcosa che sento dentro di me, chiamalo sesto senso, mi inducono a sospettare.
Ma cosa dovrei dirle? Tu sai che io so che tu sai?
«Ho qualche problema con Galen ultimamente, ma niente di irreparabile» ammetto, rimanendo in attesa per sondare la sua reazione.
«Sono sicura che si risolverà tutto!» ribatte con il suo solito ottimismo che un tempo le avrei invidiato, mentre adesso conferma solo il suo essere così superficiale.
Subito dopo glissa avvalorando ancora di più i miei sospetti, quanto meno sulla sua sensibilità nei miei confronti.
«Ma sai che è davvero un sacco di tempo che non andiamo a divertirci insieme solo io e te come ai vecchi tempi? Venerdì prossimo ci sarà una festa, perché non vieni? Ci saranno tutti, ma proprio tutti i ragazzi più fighi dell'università. L'ultima occasione di incontrarli prima delle vacanze di Natale...» si perde in inutili chiacchiere come se non sapesse che odio le feste, ancora di più le feste universitarie, per giunta a tema natalizio... Per me il Natale ha un altro significato oltre quello di scatenarsi e ubriacarsi come se non ci fosse un domani.
«Non credo sia il caso. Se Galen lo venisse a sapere...»
«Oh, invece è proprio quello che ci vuole! Mettiti un bel vestitino e vedi cosa succede...» rimarca convinta, come se un po' di gelosia bastasse a risolvere le cose, anche se mi viene anche da pensare che menta per fingersi la classica amica che dispensa consigli.
È tutto vano: da lei non otterrò nessuna informazione, nessuna verità, nessun conforto, niente di niente.
Fingo di ascoltare i suoi pettegolezzi privi di profondità per altri cinque minuti, chiedendomi il perché abbia deciso di chiamarla. Mi parla perfino di un nuovo ragazzo che le piace.
Salvata dal campanello del citofono, chiudo con sollievo quella conversazione per andare a rispondere, sperando e temendo allo stesso tempo che sia Galen.
Ma non è lui...
Leyla sale di corsa le scale e si presenta davanti alla soglia di casa tutta imbacuccata, con la sciarpa che le copre il viso fin sotto gli occhi e con in mano un vassoio incartato che emana un profumino invitante.
«Sorpresa!» esclama con una gioia così contagiosa da farmi sorridere di cuore.
L'abbraccio con trasporto, grata per essere venuta a trovarmi, nonostante i centimetri di neve che ancora ricoprono le strade.
«Ti ho portato gli halawt al-jibn!» continua cercando di salvarli dal mio slancio impetuoso verso di lei, mentre scoppiamo a ridere entrambe.
«Sono davvero felice che tu sia venuta oggi»... a riempire la casa di calore e di affetto: quel qualcosa che mi manca così tanto da quando mia madre non è più con me...
«Tu mi farai diventare grassa!» le dico, senza farle vedere quanto sia commossa. Le punto il dito contro con un'occhiataccia falsamente minacciosa e le prendo il pacchetto che mi porge con l'altra mano.
Passiamo il pomeriggio insieme rimpinzandoci con i suoi dolci alla crema di mascarpone e bevendo tè. Ed è così bello passare il tempo con lei che mi dimentico perfino del litigio con Galen, di suo fratello Ibrahim e di ciò che ho visto nel parco.
Ci penserò dopo: ora ho solo voglia di passare qualche ora spensierata con l'unica vera amica che ho e di cui posso davvero fidarmi.
Quando si fa sera e Leyla va via, rimango sola con i miei pensieri e il senso di vuoto mi assale di nuovo.
Prendo il mio cellulare per controllare se vi siano nuovi messaggi, ma nulla: Galen non si è ancora fatto vivo.
Scorro la rubrica; invece di cercare il suo nome, finisco su quello di Malak: mi basterebbe premere un tasto per scoprire chi si nasconde davvero dietro quel numero. La mia curiosità è forte, ma non ho il coraggio di fare quella chiamata.
Rimango lì per diversi minuti a fissare il mio telefono e mi chiedo perché sto lì a pensare a lui, invece di pensare a ricucire il rapporto con il mio ragazzo.
Finisco col sentirmi una grande egoista, per aver pensato di andarmene in Siria lontano dalla persona che amo.
Finisco per sentirmi profondamente in colpa, perché invece di chiamarlo per scusarmi con lui, sto qui a pensare di chiamare un altro ragazzo.
Cosa ho che non va?
Dovrei cercare di credere di più nel mio cuore e in me stessa invece di perdere tempo a rimproverarmi per i miei presunti atteggiamenti egoistici.
Riaccendo il mio pc e mi ricollego alla chat.
Lui è lì, ma questa volta lo ignoro e lui fa la stessa cosa: forse è deluso perché non l'ho ancora chiamato; forse non gli interesso nemmeno come amica.
Come biasimarlo? Questa mattina non ho fatto che tediarlo con tutti i miei problemi amorosi!
Io, fossi in lui, sarei scappato già a gambe levate.
Chiudo con stizza il mio portatile e mi butto sul letto, mentre una lacrima di rabbia o vergogna per me stessa scivola lungo il mio viso.
Questa notte a farmi compagnia c'è solo il mio cuscino.
***
Passano i giorni e non succede nulla.
È già venerdì e Galen sembra essere stato inghiottito come Gandalf nell'abisso sotto il ponte di Khazad-dûm.
Passata la bufera di neve, torno alle mie solite attività: università, danza... Mi metto una maglia di pizzo bianco, così magari stasera farò un salto alla festa di cui mi aveva parlato Betty.
Prima però passerò in ospedale per andare a trovare mia madre.
Devo sbrigarmi per non fare tardi, ma se non altro la clinica dove lei è ricoverata si trova a pochi isolati dalla Columbia University. Non passo a vederla da diversi giorni per via delle abbondanti nevicate e non vedo l'ora di riabbracciarla.
Appena finite le lezioni, mi dirigo a passo svelto per i corridoi che portano verso l'uscita, quando mi accorgo di aver lasciato un libro in aula.
Mi volto per tornare indietro e appena svolto l'angolo vado a sbattere contro un ragazzo appoggiato alla parete.
«Scusa!» esclamo prima ancora di vedere chi sia, ma quando alzo lo sguardo, sobbalzo leggermente non appena riconosco Ibrahim.
Lui mi fa un cenno di noncuranza con la testa per voi voltarsi e imboccare il corridoio senza neanche salutarmi.
Cosa ci faceva fermo lì dietro?
Devo ancora rivelare a Leyla di averlo scoperto mentre maneggiava una pistola. Non posso più rimandare: se commettesse qualche sciocchezza, non me lo perdonerei per tutta la vita.
Recuperato il mio libro, ripercorro lo stesso tragitto ripensando a quello che è successo nel parco qualche giorno fa.
Mi guardo in giro scrutando ogni ragazzo che incontro: ognuno di loro potrebbe essere coinvolto in qualcosa, ma io non saprei proprio che cosa fare. Nemmeno parlando con Malak sono riuscita a scoprire qualcosa su quelle terribili voci che circolano tra gli studenti.
Per raggiungere l'ospedale devo percorrere il viale che costeggia lo stesso parco che si trova vicino all'università. Nonostante cerchi di non farmi sopraffare dalla paura, ho come la sensazione perenne che qualcuno mi stia seguendo.
So che, dopo quello che è successo, mi sto solo lasciando suggestionare, ma ogni ogni volta che mi volto indietro, sospetto di chiunque si trovi per caso a passeggiare dietro di me: una signora anziana con un beagle al guinzaglio, una donna in tenuta da jogging, un uomo con il giornale sotto il braccio, un ragazzo con la testa coperta da un cappuccio...
Trattengo i brividi per tutto il tempo e solo quando sprofondo tra le braccia materne, finalmente riesco a respirare. Protetta dalle mura della stanza della clinica, guardando dentro i suoi occhi dolci, ritrovo parte della serenità che avevo perduto, nonostante mia madre non riesca più a parlare da quando è stata colpita da un'ischemia molto grave.
Le racconto della mia possibilità di andare in Siria, magari utilizzando il resto dei soldi che mi ha lasciato mio nonno (sebbene siano serviti in prevalenza per le sue cure, me n'è rimasta ancora una parte).
Lei mi stringe forte la mano e mi sorride dimostrandomi che approva, anche se non sono sicura che abbia capito tutto quello che le ho detto.
Dopo averla stretta a me, le do un bacio e vado via. Dovrei cercare di distrarmi, ma non ho nessuna voglia né di andare alla festa, né a lezione di danza, così rientro a casa e, quella sera stessa, decido di fare una donazione per finanziare il progetto in Siria, usando le coordinate bancarie del conto trovato sul dossier del professor Walton.
Mentre sono ancora collegata al mio pc, mi arriva la notifica di un messaggio.
Non ho la più pallida idea di come abbia fatto a finire nella chat: sono io che comincio a perdere colpi o è il mio pc a essere posseduto da qualche spiritello?
<[Hammurabi]> ciao Marah, come stai? ti ho aspettato tutte le sere, ma sei sparita...
<[Violet]> sto meglio, grazie, anche se non è cambiato nulla dall'ultima volta... scusami, ma non avevo voglia di parlare con nessuno...
<[Hammurabi]> capisco, scusami tu se ti disturbo... ero in pensiero per te, ma ti lascio se è questo che vuoi
Il mio cuore comincia a battere forte non appena leggo le sue parole.
Il semplice fatto di essersi preoccupato per la mia assenza mi sorprende, mentre la persona che sarebbe dovuta tornare da me sembra scomparsa dalla faccia della terra.
<[Violet]> grazie, apprezzo moltissimo le tue premure, non sai quanto
<[Hammurabi]> sono qui, se vuoi... e ricordati che non sei mai sola...
<[Violet]> Allah è con noi, sì, me lo hai già detto
La mia ultima frase suona un po' come un'offesa, perché in questo momento Dio mi sembra così lontano.
<[Hammurabi]> no, volevo dirti che ci sono io ☺
<[Violet]> ❤
<[Hammurabi]> lasciami spiegare... volevo ricordarti che è nei momenti in cui la terra su cui poggiamo i nostri piedi sembra venire meno che siamo più fragili alle tentazioni del male: come maledire Dio perché ha permesso tutto questo, o istituire processi alle nostre azioni e sentimenti e a quelli degli altri
<[Hammurabi]> così facendo però, bloccheremo i nostri sguardi sulla realtà, facendo vacillare la nostra fede; ma è in questi momenti che si deve fare forte la preghiera, la richiesta di aiuto perché Dio ci guidi a capire, secondo tempi e modi che a volte non sono i nostri
<[Violet]> tu sei stupendo, lo sai?
<[Hammurabi]> e invece no, sono molto incerto, perché non so quanto possano esserti utili queste mie parole... vorrei fare di più, ma non posso...
<[Violet]> perché non puoi? mi stai già aiutando tantissimo...
<[Hammurabi]> davvero non capisci? potrei fare di più, se tu volessi... ti ho dato il mio numero per un motivo...
Rimango spiazzata per qualche secondo con il cuore che pulsa nel mio petto come un forsennato: non capisco cosa mi stia succedendo. Si può provare qualcosa di così forte per uno sconosciuto, a cui non si sa dare un nome, senza averlo mai visto? Può il mio cuore battere così forte come se l'anima riconoscesse qualcuno che gli appartiene da sempre?
<[Violet]> grazie per le tue parole e per la tua disponibilità, ma... in questi giorni mi sento talmente inutile che...
<[Hammurabi]> no, Marah, non dirlo neppure per scherzo
Fa una pausa di qualche secondo, come se le mie parole l'avessero scosso.
<[Hammurabi]> habibi, vorrei che tu appoggiassi la tua mano sul mio petto per sentire il mio cuore...
<[Violet]> cosa hai detto?
<[Hammurabi]> quello che sento
<[Violet]> no, habibi che significa?
<[Hammurabi]> habibi, anti sadiqati wa jamilat mithli al-qamari... in arabo vuol dire: "mio cuore, sei mia amica e sei bella come la luna"
Confusa perché mi sembra tutto così incredibile, resto immobile per un tempo indefinito, secondi o minuti, del tutto sconvolta per come la dolcezza delle sue parole abbiano fatto breccia attraverso le mura altissime dietro cui avevo barricato il mio cuore.
Il mio corpo freme, come se non vedesse l'ora di ricongiungersi con quella parte che anelava da sempre, come l'incastro perfetto che mi facesse sentire del tutto completa.
E non m'importa più niente di niente, né che non conosca il volto di Malak, né che non sappia nemmeno se possa fidarmi di lui. Vorrei vederlo, capire se la mia anima non si sbaglia, perché è proprio questo: lo sento, nell'anima, nel cuore e il mio corpo lo reclama, non gli basta ciò che solo i miei occhi leggono, ma vuole di più...
<[Hammurabi]> ci sei ancora?
<[Violet]> sì, no... cioè, sono solo cascata per terra 🙃
Tento di scherzare per minimizzare quanto mi senta scombussolata, ma in realtà sto pensando di fare solo la figura della stupida, che magari ha capito male.
Perché ho capito male, vero? Lui non sta flirtando con me?
<[Hammurabi]> devo venire a raccoglierti? 😉
<[Violet]> non penso che sia una buona idea
<[Hammurabi]> ti sto offrendo solo una mano... da amico...
Questa volta cerco di inalare l'aria a più non posso, gonfio il petto, ma non riesco a respirare.
Poi seguo l'impulso e prima di ripensarci, lo faccio e basta:
<[Violet]> vorrei che mi ripetessi quello che hai detto guardandomi negli occhi
<[Hammurabi]> non devi neanche chiederlo...
Mi scrive l'indirizzo di un bar a pochi passi da una fermata della metro: lo conosco bene perché, manco a farlo apposta, è vicino al luogo dove ci sarà la festa.
È il posto perfetto e più sicuro perché sarà pieno di studenti.
Riesco ad arrivarci non capendo come: so solo che quando l'ho visto per la prima volta, in piedi davanti a quel bar, ci siamo riconosciuti subito.
È buio. Indossa un cappellino da baseball verde militare come mi aveva detto. La visiera m'impedisce di guardarlo negli occhi, ma so per certo che lui mi sta fissando.
Faccio un respiro per prendere coraggio e gli vado incontro. Nonostante l'emozione, sollevo lo sguardo e cerco di non vacillare sui miei passi, quando a un tratto i fari di un'auto di passaggio gli illuminano la parte inferiore del viso. Malgrado il suo volto rimanga ancora nascosto, noto una fossetta sul suo mento: un particolare che mi fa arrestare all'istante.
Non è possibile!
Non può essere una semplice coincidenza: non sarà mica lo stesso uomo che avevo visto nel parco?
Rimango immobile per capire cosa fare. Lui fa un solo passo in avanti verso di me, come se non capisca cosa mi abbia fatto bloccare e non voglia spaventarmi al tempo stesso.
Non riesco ancora a guardarlo negli occhi, ma i miei piedi rimangono fermi come se fossero incollati al suolo.
Sento il mio cellulare vibrare nella tasca del mio cappotto, ma lo ignoro.
Guardo Malak, le sue spalle muscolose e a un tratto la paura vince.
Una folata di vento gelido mi fa sussultare. Mi guardo intorno in cerca di una via di fuga o di qualcuno che possa sentirmi se mi metto a urlare, ma in quel momento la strada è deserta.
La luna appena sorta troneggia sinistra dietro i tetti delle case.
Il cellulare riprende a vibrare, scuotendomi dalla mia immobilità. Questa volta rispondo e dall'altra parte sento la voce di Leyla sconvolta dalle lacrime: «Marah, aiuto! Ibrahim...»
La sua voce mi strazia il cuore: deve essere successo qualcosa di grave.
«Leyla? Che succede?» le chiedo con voce tremula nel vano tentativo di farla calmare.
«Ibrahim... vuole... vuole uccidersi!»
Spazio Autrice
Con questo capitolo siamo ormai entrati nel vivo della storia: da questo momento in poi le cose si faranno molto movimentate. Sconsiglio la lettura ai deboli di cuore! 😂
I miei vecchi lettori forse ricorderanno che su questa parte avevo scritto un capitolo con il pov di Malak intitolato "Honey trap", ma poi l'ho rimosso perché conteneva degli indizi che erano dei veri e propri spoiler.
Prima o poi, lo ripubblicherò come capitolo extra 😀
Aspetto invece commenti e ipotesi dai nuovi lettori: cosa pensate di Malak? È davvero lo stesso uomo che Marah aveva incontrato nel parco?
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