5. Carpe diem
Dum loquimur fugerit invida
aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
Orazio, Odi
Marah
«Marah! Stai bene?» mi chiede il professor Walton scrutandomi negli occhi con un'intensità tale da farmi rimanere imbambolata per qualche secondo.
Dopo quello che ho appena visto nel parco di fronte all'università, devo avere un aspetto stravolto. Faccio un respiro profondo e cerco di nascondere la mia tensione.
Non devo permettere alle mie emozioni di farmi perdere il controllo in questo modo, soprattutto perché ho promesso alla mia amica Leyla che avrei cercato di impedire a suo fratello di commettere qualche pazzia o di mettersi in pericolo.
Devo comportarmi come una persona matura e non lasciarmi prendere dal panico.
«Professor Walton, sono davvero mortificata!» riesco a dire chinandomi a recuperare tutte le sue cose che sono cadute sul pavimento grazie alla mia sbadataggine.
Anche lui si abbassa per prendere uno dei libri che ho appena raccolto e nel farlo la sua mano sfiora la mia del tutto casualmente, o almeno così sembra...
Sollevo lo sguardo e il mio viso si ritrova vicinissimo al suo, con i suoi occhi verdi puntati nei miei.
Sono sicura di essere avvampata per l'imbarazzo, ma in qualche modo il professor Walton mette fine a quel momento spiacevole chiedendomi di accompagnarlo in aula per la prima ora di lezione.
Camminiamo in silenzio per i corridoi sotto gli sguardi di tutti... Ci mancava anche questa!
Quando arriviamo, per fortuna ci sono già i primi alunni, tra cui anche Leyla. Dopo aver appoggiato i libri del professore sulla cattedra, gli faccio un cenno col capo e mi dirigo verso il mio solito banco, mentre mi sussurra un "grazie, Marah".
Solo ora realizzo che oggi è già la seconda volta che mi chiama per nome.
Quando l'aula è ormai quasi piena, il professor Walton collega il suo pc allo schermo per iniziare la lezione, ma lo vedo parlottare tra sé. Capisco che qualcosa non va e sono sicura che sia colpa mia.
In quel momento vorrei sprofondare sottoterra: il suo portatile deve essersi rotto con la caduta...
Il professore mi cerca con lo sguardo e mi aspetto di vederlo furioso, ma al contrario appena ricambio la sua occhiata, mi sorride.
«Signorina Brody, venga subito qui!» mi ordina con un tono serioso, in netto contrasto con le sue maniere cordiali di poco prima. «A quanto pare abbiamo un problema con la lezione! Il mio pc sembra sia morto...» continua mentre tra i banchi sento sollevarsi un mormorio di voci.
Mi alzo e lo raggiungo camminando come un cane con la coda tra le gambe.
Sto per dirgli che lo risarcirò per il danno che ho accidentalmente provocato, ma lui non mi lascia parlare.
«Oggi come pegno farà lezione al posto mio» mi dice alzandosi e facendomi cenno di sedersi al suo posto.
Sul serio?
Lo guardo confusa, ma lui si dirige verso la prima fila di banchi e si siede di fronte alla cattedra.
«Professoressa Brody, quando è pronta, può cominciare!» proferisce facendomi l'occhiolino.
La classe scoppia in uno scroscio di risate, ma a quel punto, un moto di orgoglio mi assale: non permetterò di farmi deridere da nessuno... L'archeologia è la mia materia preferita e anche se non ho mai parlato in pubblico, farò finta di essere a un esame.
Mi schiarisco la voce e comincio con un po' di timidezza: «Oggi vi parlerò di un sito archeologico che rappresenta una fonte rarissima della storia della civiltà assira. Come primo approccio nel campo della ricerca scientifica...»
Dopo le prime frasi, sembra quasi che le parole vengano fuori da sole ed io stessa mi stupisco di quanto sia edificante per il mio ego parlare a una platea di studenti.
Parlo ininterrottamente per più di mezz'ora con tutta la mia passione per la materia ed è con vero orgoglio che noto l'interesse dipinto sui volti dei miei compagni e l'espressione soddisfatta del professor Walton.
Quando penso di aver detto a sufficienza, chiedo ai miei alunni se hanno domande da farmi: ormai mi sono completamente calata nel ruolo.
Il primo a sollevare la mano è il professor Walton con uno strano luccichio nello sguardo e un labbro sollevato in un mezzo sorriso.
«Come avviene la datazione di uno scavo stratigrafico?» mi chiede.
«Si individua l'unità stratigrafica più recente, per poi procedere in maniera progressiva con l'esportazione, secondo un ordine inverso rispetto alla deposizione originale. Tuttavia, individuare la successione temporale è meno semplice quando la lettura dei diversi strati debba essere svolta sul piano orizzontale, anziché su quello verticale» dico tutto d'un fiato per poi continuare a illustrare le varie fasi della datazione.
Per la mezz'ora successiva vengo bombardata da altre domande da parte dei miei compagni, alcune sembrano fatte apposta per mettermi in difficoltà, ma riesco a rispondere a tutto senza problemi, guadagnandomi la piena stima del professor Walton che mi guarda con profonda ammirazione.
Finita la lezione lo raggiungo per scusarmi ancora e per proporgli di procurargli un nuovo pc portatile, ma lui mi fa un cenno di non curanza con la mano.
«Tranquilla, era un vecchio catorcio...» mi dice per rincuorarmi, ma poi noto che guarda la mia borsa.
«Mi potresti prestare il tuo? Giusto il tempo di inviare dei documenti urgenti...»
Sembra a disagio nel farmi questa richiesta, ma nel suo sguardo noto un leggero lampo di malizia quando, appena acconsento, mi chiede di seguirlo nel suo ufficio.
Sono anch'io in difficoltà, ma dopo quello che ho combinato, mi sembra scortese rifiutare. Ci dirigiamo nella sua stanza, ma il professor Walton riesce a mettermi a mio agio.
Non dice nulla sulla mia lezione di archeologia, ma gli sono grata perché, ora che ci ripenso, mi sento morire dalla vergogna. Tutt'altro, mi parla dei suoi futuri progetti con grande entusiasmo, tanto da catturare del tutto la mia attenzione.
Sono completamente affascinata dal suo carisma e dalla padronanza della materia che insegna, al punto da cancellare dalla mia mente ciò che questa mattina mi aveva sconvolto.
La sua grazia e la sua sicurezza nell'esprimersi mi fanno pensare che il suo è un talento vero e non qualcosa di costruito per puro narcisismo: la sua missione è diffondere il suo sapere con umiltà, cosa che dovrei imitare anch'io. Quando ho tenuto la lezione poco fa, invece, una delle mie prime preoccupazioni è stata l'opinione degli altri alla ricerca di conferme o di autocompiacimento.
Ho molto ancora da imparare e forse il professor Walton può insegnarmi anche a superare le mie inutili insicurezze, la paura di fallire o di non essere apprezzata; può infondermi il coraggio di essere consapevole di ciò che sono e di ciò che voglio diventare.
Quando siamo nel suo ufficio sono ormai del tutto convinta che lui rappresenta un vero "modello", non solo da imitare, ma perché qualcosa in lui è riuscito a stimolare la consapevolezza che forse dovrei mettermi di più in gioco, avere più fiducia in me stessa e nelle mie capacità.
Oggi mi ha fatto tenere la lezione non per mettermi in difficoltà o alla prova, ma perché ha capito che avevo bisogno di liberare il mio potenziale e di risvegliare la mia vera "me".
Dopo avermi restituito il pc, mi congeda e lascio il suo ufficio per tornare a lezione.
Sono quasi dispiaciuta di non poter parlare con lui dei miei studi e degli argomenti che mi piacerebbe approfondire al punto che, per il resto della mattinata, rifletto sulla sua proposta di qualche giorno prima. Forse sono stata troppo frettolosa nel giudicarlo e pensare che fosse solo interessato al mio cognome o al conto in banca della mia famiglia.
Ora l'idea di partire per una campagna di scavi in Medio Oriente non mi fa più tanto paura, anzi è un'occasione che dovrei cogliere: se Galen mi ama davvero capirà le mie scelte e mi aspetterà.
Mi tornano in mente le parole scambiate con Malak: a volte per capire sé stessi bisogna allontanarsi dalle persone che abbiamo vicino o da cui dipendiamo.
Pensare a lui mi provoca uno strano senso di agitazione: non conosco chi sia, per me è uno sconosciuto che potrebbe nascondere le peggiori intenzioni, eppure quelle poche frasi che ci siamo scambiati mi hanno fatto sentire capita fino in fondo.
Ora che sto pensando seriamente di partire per la Siria, forse dovrei chiedermi cosa mi spinge a lasciare il mio porto sicuro: la voglia di scoprire l'ignoto, di cogliere l'attimo, di ritrovare me stessa o altro?
Parlerò con Galen non appena ne avrò l'occasione: lui potrà anche essere disposto ad aspettarmi, ma io voglio che lo faccia?
***
Torno a casa nel tardo pomeriggio. Mi getto sotto una doccia calda per togliermi di dosso la stanchezza e le immagini di quella mattina che sono tornate a tormentarmi la mente.
Ho chiesto a Galen di venire da me stasera, ma nell'attesa, accendo il mio pc, lo stesso che questa mattina ha usato il professor Walton. Ho una strana sensazione che guida le mie dita, come se mi aspettassi qualcosa, come se il destino mi guidasse...
E all'improvviso vedo sul desktop qualcosa che cattura la mia attenzione: il mio professore deve aver dimenticato di cancellare il suo file mentre utilizzava il mio computer.
Forse questo è un segno del fato, o forse no. In ogni caso non riesco a resistere e clicco sul file per aprirlo: è il progetto sullo scavo archeologico in Siria, pagine e pagine che analizzano l'intera programmazione degli interventi e c'è anche una sezione dedicata alla parte finanziaria e agli sponsor.
Il professor Walton non mentiva: purtroppo servono una marea di soldi per realizzare lo scavo e bisogna avere un cospicuo fondo monetario per concretizzarlo. C'è anche un conto a questo dedicato e ripensando a ciò che mi ha suggerito Leyla, sembra proprio una strana coincidenza: potrei fare una donazione anonima con l'eredità che mi ha lasciato mio nonno. Sono sicura che da lassù lui apprezzerebbe.
Ci penserò subito dopo aver parlato con Galen, che a momenti sarà da me.
Prima di spegnere il pc, non riesco a fare a meno di collegarmi alla chat dove ho incontrato Malak: è come un pensiero fisso e pur essendone consapevole, sento il bisogno di parlare con lui, confidargli il mio stato d'animo di oggi, come se solo lui fosse in grado di aiutarmi a comprendere cosa fare.
Non mi aspetto di trovarlo on-line a quell'ora, ma al contrario è lì: il suo nome compare nella lista degli utenti e solo questo provoca in me un'onda emotiva fortissima che mi spaventa.
Non capisco cosa significhi per me tutto questo, per cui rimango lì bloccata.
Passano diversi minuti e non ho il coraggio di contattarlo. Nemmeno lui lo fa e rimango quasi delusa, anche se non posso sapere se mi abbia vista o se mi stia ignorando anche lui.
Cosa mi succede?
Il suono del citofono mi fa sobbalzare: Galen è arrivato e, sapendo quello che sto per dirgli, a un tratto temo che non prenderà bene la mia decisione di partire, che non riuscirà a capire le mie motivazioni, anche se tra l'altro non sono neanche certa che questo scavo si farà.
Mi rendo anche conto che avrei preferito parlarne con Malak, piuttosto che con lui.
Spengo il pc e con un peso sul cuore, mi alzo per andare ad aprirgli la porta.
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