4. Fuoco nel ghiaccio

... dietro la maschera di ghiaccio che usano gli uomini, c'è un cuore di fuoco.
Perciò il guerriero rischia più degli altri.

Paulo Coelho, Manuale del guerriero della luce



Marah

Esco di casa senza nemmeno guardare dove metto i piedi e per poco rischio di ritrovarmi con il sedere per terra: il marciapiede è ricoperto di uno strato sottile di ghiaccio, formatosi per via delle temperature polari della scorsa notte.

Mi paralizzo un attimo e mi guardo intorno: ai bordi delle strade ci sono ammassi di neve e dai lampioni ancora accesi pendono piccole stalattiti.

Procedo con cautela badando questa volta di non scivolare. Oggi fa davvero un freddo cane: adoro New York, ma odio l'inverno. A volte penso che sarebbe stupendo vivere in un paese caldo, dove non nevica mai... La mia mente prende strade diverse portandomi in un luogo lontano, dove scenari inconsueti riempiono la mia immaginazione: distese desertiche immense dove il grigio non esiste, ma tutto sa di sole, sabbia e cieli tersi senza nuvole.

Nei miei pensieri si fa strada un nome che mi ha tenuta sveglia gran parte della notte: Malak...

Un colpo di clacson mi fa trasalire e mi riporta alla realtà.

Mi volto verso la strada e scorgo Galen all'interno del suo pick-up. Che ci fa qui davanti casa mia a quest'ora? Di rado mi fa queste improvvisate.

Mi dirigo verso di lui e quando mi fa cenno di entrare, salgo a bordo dell'auto e lo saluto squadrandolo in maniera interrogativa.

«Perché mi guardi così? Oggi fa davvero freddo e siccome sono di strada, sono passato per darti un passaggio!» mi sorride ricambiando il mio sguardo con i suoi stupendi occhi azzurri.

Gli sorrido di rimando pensando quanto sono fortunata ad avere un ragazzo così premuroso.

Una voce dentro di me, che lotta per venire fuori, mi sta urlando che il suo gesto è solo un riflesso inconscio per farsi perdonare qualcosa.

Soffoco quella voce e mentre Galen parte, rivolgo il mio sguardo verso le strade trafficate e grigie di New York. Gli spazzaneve hanno già ripulito l'asfalto dai cumuli di brina che giacciono ora ai bordi delle pareti dei palazzi.

«Grazie, amore! Oggi non sarei riuscita ad arrivare in orario con questo tempo!» dico pensando che non ho nessun motivo per dubitare di Galen: ci vogliamo bene ed è con lui che vorrei vivere la mia vita.

Dovrei apprezzare di più la quotidianità e gioire di questi piccoli momenti che la vita ci offre: non è forse questo il significato dello stare insieme?

Avvicino la mia mano alla sua e lui mi guarda di sottecchi, ma dopo qualche secondo, intreccia le dita con le mie e le stringe con vigore, rendendo quel contatto ancora più forte e denso di significato.

Arriviamo davanti alla mia università e Galen accosta per farmi scendere dalla macchina. Lo saluto con un bacio e gli auguro una buona giornata.

Mi volto a guardarlo mentre si allontana finché lo perdo di vista in mezzo alle altre vetture che percorrono veloci la Broadway Street. Quando ormai non lo vedo più, faccio per dirigermi verso l'ingresso dell'istituto, ma con un'occhiata veloce al mio orologio, mi accorgo che è ancora presto.

Il passaggio di Galen questa mattina mi ha fatto arrivare con largo anticipo; ho quindi tutto il tempo per andare a prendermi un caffè.

Faccio dietrofrónt e, mentre attraverso la strada per avviarmi verso il bar, da lontano mi sembra di intravedere la mia amica Betty: la sua chioma bionda e il suo inconfondibile cappotto rosso li riconoscerei tra mille.

«Betty! Betty!» urlo tra la folla, ma il frastuono del traffico ricopre la mia voce senza nessuna speranza che riesca a sentirmi.

La seguo a passo veloce per raggiungerla, ma lei procede spedita verso il parco di fronte. Non riesco a correre perché i marciapiedi e le aiuole sono piene di neve e quando mi addentro nel parco, la perdo di vista tra gli alberi. Ma dove diavolo sta andando? E soprattutto perché ho sempre questo dubbio che mi preme la bocca dello stomaco?

Anche se io e Betty frequentiamo la stessa università, è difficile incontrarci perché non abbiamo gli stessi orari e studiamo materie diverse. Mi sembra strano: il primo giorno in cui Galen mi dà un passaggio, appare anche lei. Questa coincidenza non mi convince... e uno strano tarlo si insinua nella mia mente.

Cammino nel parco deserto calpestando le foglie secche che ricoprono il terreno bagnato e a tratti ricoperto di bianco. Quel luogo mi sembra spettrale e m'incute quasi timore, ma sono curiosa di capire come mai Betty questa mattina sia venuta proprio qui: un luogo solitario e lontano da occhi indiscreti, ideale per un appuntamento romantico con qualcuno.

Sarà, ma per me quel luogo non ispira nessuna fiducia. Mi guardo in giro; non c'è anima viva. Ho quasi paura a stare lì, o forse ho quasi paura di quello che potrei scoprire, ma mentre i miei sospetti attanagliano il mio cuore, in lontananza scorgo un gruppetto di ragazzi.

Sembrano studenti e nel guardarli meglio, tra di loro noto un ragazzo magro e dinoccolato dall'aria vagamente familiare. Quando riesco ad avvicinarmi di più, riconosco Ibrahim, il fratello di Leyla.

Temendo di essere riconosciuta, mi nascondo dietro il tronco di un albero. Li osservo con circospezione come se mi aspettassi di scoprire qualcosa di scottante.

Ma che sto facendo? Cosa penso che possa succedere in un parco pubblico di primo mattino?

Mentre mi do della stupida mentalmente, decido di andarmene da lì al più presto. Li osservo un'ultima volta prima di lasciare quel posto e giusto in quel momento mi accorgo che uno di quei ragazzi sta frugando nel suo zaino alla ricerca di qualcosa. Trattengo il fiato quando mi rendo conto che si tratta di una pistola. Ibrahim la prende tra le sue mani per nasconderla sotto il suo giubbotto.

Scappa!

La mia voce interiore mi strilla di fuggire via da lì prima che mi scoprano, ma i miei piedi non vogliono saperne di muoversi. Sono davvero sbalordita! Cosa hanno in mente quei ragazzi? A cosa servirà quella pistola?

Ingoio un groppo di saliva che mi si era bloccato in gola e quando finalmente riesco un po' a riprendermi dal mio turbamento, indietreggio con lentezza sperando di non dare nell'occhio.

Continuo a guardare verso di loro per essere certa che non mi vedano, ma un'ombra poco distante attira la mia attenzione: c'è qualcun altro nascosto tra gli alberi. Poco lontano, un individuo sta osservando la stessa scena: è evidente che non sono l'unica spettatrice di questo scambio pericoloso di armi da fuoco a pochi passi dall'università, uno dei luoghi più affollati del quartiere.

Sperando di non essere notata, cerco di capire chi sia questo personaggio misterioso che indossa un cappuccio che gli nasconde gran parte del viso. Non mi sembra un ragazzo, ma un uomo alto e piuttosto muscoloso. Le sue spalle possenti mi fanno pensare che non sia un tipo raccomandabile. Mi guardo in giro con una rapida occhiata e mi rendo conto di essere del tutto sola: forse è il caso di andare via, così affretto il passo, ma inevitabilmente inciampo mettendo il piede sopra la radice sporgente di un albero.

Come una stupida non riesco a trattenere un piccolo urlo. Mi copro la bocca e mi volto per accertarmi che lo sconosciuto non mi abbia sentito, ma ahimè, mi rendo conto di essere stata colta in flagranza, perché è voltato verso di me e mi sta scrutando. Il panico non mi lascia il tempo di rendermi conto del pericolo che oggi sto correndo, ma nonostante tutto, non riesco a fare a meno di fissare il volto di quell'uomo fermo lì davanti a me. Non riesco a guardare i suoi occhi, ma sento lo stesso il suo sguardo glaciale che mi trafigge. Annaspo cercando di riprendere a respirare e costringere le mie gambe a muoversi per fuggire di lì, ma sono come paralizzata. Un tremore mi scuote le membra e indietreggio lanciandogli un ultimo sguardo. Il cappuccio ricopre il suo viso, ma riesco a notare un piccolo particolare: una fossetta sul mento.

Pochi secondi ancora e mi costringo a riprendere il controllo del mio corpo; mi volto e scappo via verso l'uscita finché ritorno sulla strada principale.

Senza più voltarmi corro finché raggiungo l'interno dell'università.

Ho il fiatone e il cuore che galoppa forsennato nel mio petto: non riesco a credere a quello che ho visto. Le immagini di quella pistola nelle mani di Ibrahim mi hanno sconvolta. Devo dirlo a Leyla? O forse farei meglio a tacere?

Non mi sento più al sicuro. Sento che qualcosa di brutto sta per succedere e vago per i corridoi senza sapere dove sto andando, guardandomi alle spalle per paura di essere inseguita.

Mi volto indietro per l'ennesima volta, quando mi scontro contro qualcosa di duro. O meglio contro qualcuno. Non ho il tempo di sollevare lo sguardo, che un tonfo sul pavimento mi fa sussultare.

Per terra finiscono un mucchio di libri e un pc portatile.

Ho combinato un disastro: alzo di scatto la testa per chiedere scusa e chiunque sia, ma rimango senza parole!

Professor Walton!

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