33. Senza scampo

Non c'è salvezza per i cuori teneri.

Dorothy Parker, Il mio mondo è qui



Marah

Da qualche parte, dentro di noi, c'è una zona che non è condivisibile con nessuno: è quel vestibolo segreto da cui si accede all'anima di una persona.

Nonostante il desiderio di voler fare del bene ci porti a voler valicare quel limite, non sempre è facile capire quanto invece possa far male avvicinarsi troppo a quella soglia nascosta.

È forse questo il motivo per cui, nonostante Leyla sia corsa ad abbracciarmi non appena mi abbia vista, non sono riuscita ad aprirle il cuore completamente.

Avrei voluto dirle che era tutto ok, ma ero come bloccata: non una sola parola, non una sola lacrima... Ci siamo solo abbracciate strette, eppure quel peso nel cuore è rimasto lì come un macigno.

È sbagliato pensare che nessuno, neppure lei, possa comprendere il dolore per la perdita di mia madre... è lì, incastonato dentro un anfratto dietro il quale è rinchiuso il mio cuore ancora sanguinante, ma anche Leyla deve aver passato dei mesi terribili e il dolore, di qualsiasi forma o intensità esso sia, è pur sempre dolore.

Eppure, nonostante questo immenso strazio, una sola misteriosa presenza è riuscita a guarire le mie ferite e a sostituire ogni sentimento negativo in perdono e speranza.

Non importa il modo con cui lo si chiama, Dio o Allah, quella presenza è come un battito lieve, ma al tempo stesso così incessante da riempire ogni cosa della sua pienezza.

Leyla, con la scusa di sistemarmi il velo sulla fronte, a modo suo mi fa capire di non essere più arrabbiata con me.

Mi scruta negli occhi, ma non mi chiede spiegazioni, anche se non deve esserle sfuggito il mio disagio ogni volta che sfioro con le dita le mie labbra.

Perché sento ancora il sapore di quel bacio?

Le mani mi tremano come se il ricordo di quell'emozione vibrasse e raggiungesse ogni singola cellula della mia pelle. Ogni volta che tiro fuori l'aria, mi sembra quasi di svuotarmi sempre di più, come se sentissi ancora dentro di me il respiro pieno di passione di Kam, mescolato alla sua rabbia che, come un'esplosione, mi ha inondato il petto.

È come se all'improvviso tutti i muri tra noi fossero crollati, perché non solo io, ma anche lui dentro di sé sembra portare un dolore profondo che niente e nessuno può lenire.

Ma quale sarà il motivo della sua sofferenza? Se è pentito di aver ucciso in passato, perché continua a stare qui con questi terroristi?

Cerco di tornare in me e per togliermi dalla testa il pensiero di lui e del suo bacio, mi concentro sulla mia amica e le chiedo di dirmi ciò che le ha rivelato suo fratello.

Leyla comincia a raccontare ed io rimando in silenzio con la gola serrata e gli occhi che non hanno ormai più lacrime.

«Marah, scusami tanto... io posso capire perché l'hai fatto...»

«A cosa ti riferisci?» le domando, anche se ho paura di sentire la versione di Ibrahim su ciò che è successo la scorsa notte.

«Lo avrei fatto anch'io per farmi prestare il cellulare... E anche con Kam, beh, non sono cieca... è un ragazzo bellissimo, solo... da te non mi sarei mai aspettata che arrivassi a tanto pur di...»

Divento rossa quando capisco che Leyla è convinta che abbia cercato di sedurre suo fratello per riuscire a chiamare la mia famiglia e che abbia una tresca anche con Kam, magari per farmi aiutare a fuggire da questo posto o chissà per quale altro motivo...

Anche se, pensandoci bene, forse lui è l'unico che potrebbe aiutarmi davvero a uscire da questa situazione orribile.

Sono così sconvolta che preferisco lasciar credere a Leyla ciò che le ha raccontato suo fratello, piuttosto che rivivere quella scena disgustosa nel fienile.

Come potrei dirle che in realtà Ibrahim era ossessionato da me da diversi anni e che quanto successo alla spiaggia mi ha traumatizzato per tutto il tempo in cui sono stata con Galen?

Il modo osceno con cui si è avvicinato a me l'altra notte mi rimarrà impresso nella mente per sempre.

Fingo di essere imbarazzata per cambiare discorso e le chiedo di raccontarmi tutto ciò che le è accaduto, a partire dalla notte in cui lei e suo fratello sono scappati.

Ritornare indietro al tragico momento dell'attentato a New York è penoso anche per lei, ma il desiderio di capire cosa sia successo è più forte di ogni cosa.

Ci sediamo vicine sul bordo del letto e quando si sente pronta, finalmente comincia.

«Ibrahim aveva scoperto che frequentavo la scuola di danza di Nahid. Quella sera mi ha raggiunta e quando mi ha vista senza l'hijab, mi ha riempita di botte e di insulti. Alcune ragazze hanno cercato di difendermi, ma poi lui ha tirato fuori una pistola e, da quel momento, ricordo solo le urla e il caos. Ho fatto di tutto per calmarlo, ma non capivo perché quella sera ha dato di matto quando si è accorto che tu non eri lì. È stato lui a dirmi di chiamarti. Solo che tu non rispondevi e così, quando ha sentito arrivare la polizia, si è chiuso in una stanza. Diceva di avere una bomba con sé nascosta sotto la giacca e farneticava di un piano per far saltare alcuni treni della metropolitana e di un'esplosione alla festa di Natale.»

Leyla s'interrompe quando io ricordo tutto ciò che Ibrahim mi ha confessato e cerco di obiettare.

«No, lui voleva salvarti... è per questo che sperava di trovarti a lezione...» spiega invece, facendo comparire sul mio viso un'espressione del tutto incredula.

Non può essere: Ibrahim mi ha raccontato piuttosto che quel piano era opera sua per liberarmi da Galen e dalla malattia che aveva devastato mia madre in maniera irreversibile.

L'unica cosa che però mi lascia perplessa è che lui era convinto che io sarei stata nella scuola di danza; quindi, non pensava che io invece avrei incontrato Galen e per poco sarei potuta essere anch'io una vittima dell'attentato.

«Leyla, ne sei sicura? Non è ciò che mi ha detto lui...» riesco a ribattere.

«Sì, aveva scoperto tutto. Lui sa chi è stato a inviare il piano terroristico tramite quella chat criptata... C'è un uomo dietro tutto questo che ha dei legami anche con il museo archeologico di Palmira...»

Scuoto la testa perché non riesco a credere che Leyla si sia lasciata manipolare in questo modo da suo fratello.

Chissà quante bugie le ha detto per convincerla a seguirlo qui in Siria o per gettare la colpa su qualcun altro.

Anche se, ripensandoci, forse c'era davvero una talpa al museo... forse l'uomo che è stato qui l'altra mattina.

Mentre cerco disperatamente un modo per dirle la verità senza ferirla, qualcuno bussa alla porta.

Senza neanche attendere risposta, una delle donne più anziane che sono nella casa apre la porta per chiamarci. Ci dice di prepararci e di scendere subito.

Io e Leyla ci guardiamo sorprese, ma non obiettiamo e, obbedendo, la raggiungiamo in fretta.

Ci porta all'ingresso dove ad attenderci ci sono alcuni uomini con il volto coperto dal passamontagna. Altri sono armati. Sobbalzo quando tra loro riconosco Kam con un fucile automatico tra le mani.

Lui mi guarda negli occhi facendomi mancare l'aria. Sembra un killer spietato e dopo ciò che è successo l'ultima volta che ci siamo visti, non riesco a reggere il suo sguardo.

L'imbarazzo scompare del tutto però, quando la sua voce dura ci intima di seguirli.

Vorrei sapere cosa sta succedendo, ma ho troppa paura per aprire bocca.

Quando passiamo per il cortile esterno, un ragazzo piuttosto giovane impugna una telecamera, mentre un uomo mi porge un biglietto e poi dice qualcosa a Leyla in arabo.

Lei annuisce e si avvicina per posizionarsi al mio fianco.

Questa volta capisco subito che vogliono riprendermi in un altro videomessaggio in cui compare anche la mia amica.

Sul biglietto c'è una frase molto breve, eppure balbetto quando me la fanno leggere.

Mi blocco dopo qualche parola, ma poi il tono minaccioso degli uomini che mi circondano mi fa ricominciare: «Ho deciso di mia spontanea volontà di unirmi a questi valorosi combattenti. Allah ha illuminato i miei passi e il mio cuore, mashallah! A noi coraggiose muhajirat e a tutte quelle donne che vorranno seguirci, sarà dato onore e gloria.»

Non ho il tempo di rimuginare su ciò che ho appena letto ad alta voce che, terminato il video, ci scortano fino a raggiungere un fuoristrada parcheggiato davanti al piazzale.

Prendo posto accanto alla mia amica sul sedile di dietro e con una sgommata, partiamo in fretta seguendo altre due macchine che ci precedono.

Non so cosa aspettarmi, né dove vogliano portarci, ma questa volta è diverso perché Leyla è con me.

Dopo un tragitto impervio di qualche ora, le strade si fanno meno sconnesse e desolate. Intuisco che ci stiamo avvicinando a una città nel momento in cui veniamo fermati a un posto di blocco.

Quando ero a Damasco o a Palmira, le forze di sicurezza controllavano le strade e svolgevano perquisizioni per stanare gli oppositori al regime.

Le notizie che trapelavano erano comunque piuttosto scarse, quindi non so se nelle città le rivolte ci siano ancora o se sono state del tutto represse.

La tensione sale perché io non ho con me i documenti, ma qualcosa mi lascia perplessa quando vedo l'uomo seduto al volante fare un gesto d'intesa a Kam che nasconde le armi sotto il sedile.

Non mi aspetto nulla di buono e mi volto verso Leyla che ha capito cosa sta succedendo e i suoi occhi sono terrorizzati.

Eppure, mi fa un piccolo sorriso per tranquillizzarmi: «Non temere, di solito non fanno problemi se le donne sono accompagnate».

Io le rivolgo un'occhiata perplessa perché il mio primo pensiero invece è stato quello di chiedere aiuto, ma la paura che la situazione possa degenerare in una carneficina mi fa stare ferma senza fiatare.

A quel punto, sospetto perfino che ci abbiano portate per non dare nell'occhio e sembrare una normale famiglia.

Una delle auto che ci precede viene fatta accostare sul ciglio della strada per i controlli di rito, mentre alla nostra, dopo un'attenta occhiata ai nostri volti, viene fatto cenno di attendere e di non proseguire.

Non ho neanche il tempo di capire se fare un sospiro di sollievo o di sconforto per aver sprecato l'occasione per chiedere aiuto alla polizia, che noto l'uomo che è alla guida impugnare qualcosa.

Non ne ho mai visto uno in vita mia, ma l'improvviso presentimento che si tratti un detonatore mi fa urlare disperata di non farlo.

Kam, impugnando l'arma che prima era sotto il sedile, si gira di colpo verso me e Leyla. «Presto, uscite dalla macchina!» ci ordina precedendoci.

In pochi secondi è già fuori per piazzarsi davanti a me e alla mia amica come per farci scudo.

Quando siamo entrambe fuori, prendo la mia amica per un braccio e la trascino con me cominciando a correre più lontano possibile dal posto di blocco.

Abbiamo a mala pena percorso un centinaio di metri quando un boato fortissimo alle nostre spalle mi fa saltare letteralmente dalla paura.

Nonostante tutto, mi volto a guardare indietro e rimango per qualche secondo ipnotizzata dalle fiamme che s'innalzano dall'auto da cui siamo uscite poco fa.

Non posso credere che abbia viaggiato per ore su un'auto piena di tritolo.

La prima auto invece, approfittando dell'esplosione, riparte con una sgommata riuscendo a superare il posto di blocco, mentre la seconda fa inversione di marcia con un testacoda improvviso e si dirige verso di noi.

«State giù!»

Un altro urlo mi riscuote dalla trance e subito dopo una pioggia di spari si abbatte su di noi, mentre io mi abbasso per ripararmi.

Stringo Leyla a me e mi sento morire perché sto rivivendo ancora una volta lo stesso incubo, solo che questa volta sono dall'altra parte della barricata.

È stato Kam a gridare e in quella piccola frazione di secondo prima di accasciarmi a terra per ripararmi, sono riuscita a vederlo impugnare il mitra per sparare in aria.

I colpi si susseguono fino a quando mi accorgo che l'auto che ha fatto inversione si è fermata davanti a noi. Qualcuno apre lo sportello e sia io che Leyla non perdiamo tempo a salire e accasciarci sul sedile posteriore.

Sono così spaventata che ci metto un po' a capire che è stato Ibrahim a farci salire sulla vettura.

Anche Leyla è così impaurita da urlare e piangere allo stesso tempo. Smette solo quando riconosce suo fratello e tra i singhiozzi non dice più nulla.

Nel frattempo, un secondo uomo si avventa sull'auto. Apre lo sportello anteriore per salire sul sedile lato passeggero nel momento stesso in cui l'auto riparte e si allontana di corsa dal luogo di quell'ennesimo attentato. Solo quando si gira per guardare verso di noi, sospiro nel riconoscere Kam.

L'uomo al volante gli rivolge una sfilza di parole in arabo che sembrano essere rimproveri.

Leyla, che sembra capire ora ciò che è successo, si volta verso Ibrahim.

«Tu lo sapevi che sulla nostra auto c'era dell'esplosivo?» gli chiede a bassa voce per non farsi udire.

Lui rimane in silenzio, ma Leyla non gli dà tregua: «Ibrahim, potevamo morire!»

Ibrahim in quel momento si gira con un'espressione furiosa: «Era quello il piano. Perché siete uscite dall'auto?»

Cosa?

Leyla e suo fratello continuano a parlare, ma io ormai non li ascolto più.

Guardo avanti per cercare di capire cosa si stanno dicendo Kam e l'uomo al volante che continuano a inveirsi contro.

Ormai riesco a capire qualche parola di arabo e intuisco che è stato Kam a salvarci facendoci uscire dall'auto.

Cosa gli succederà ora? Non credo che gliela faranno passare liscia.

Ora capisco anche il motivo per cui ci hanno fatto girare quel video: saremmo diventate due martiri da imitare.

Sono così sconvolta per quanto è successo, che mi volto verso Ibrahim perché non posso credere che lui fosse disposto a sacrificare sua sorella facendola saltare per aria in un'autobomba.

Il suo viso è insolitamente pallido e quando si accascia sul poggiatesta, mi accorgo che è stato colpito a una gamba.

Il sangue inzuppa i suoi pantaloni facendo diventare la stoffa verde militare sempre più rossastra.

Non so dove trovo le forze, ma mi avvicino al suo fianco per poterlo soccorrere, mentre avviso gli altri che Ibrahim ha bisogno di cure.

L'auto però non si ferma e continua la sua corsa per fuggire più lontano possibile dal luogo dell'attentato.

Leyla comincia di nuovo a urlare e a quel punto, con inaspettato coraggio, uso il mio hijab per tamponare la ferita di suo fratello. C'è tanto sangue dappertutto e perfino tra le mie mani, ma Ibrahim mi dice che non è grave. Dopo qualche minuto, l'emorragia infatti si ferma, così gli stringo una fascia improvvisata intorno alla gamba e poi mi risistemo sul sedile in silenzio, mentre l'auto continua a correre per ritornare alla base.

Abbraccio la mia amica e restiamo così per tutto il resto del tempo per farci coraggio a vicenda, finché riconosco il paesaggio che abbiamo fatto all'andata.

Manca poco al nostro covo, ma ora la strada sembra ancora più lunga. È in quegli interminabili minuti che mi rendo conto che, nonostante tutto ciò che Ibrahim mi ha fatto, non ci ho pensato due volte a prestargli il mio aiuto.

È Leyla a ringraziarmi al posto suo, mentre lui è rimasto a lungo in assoluto silenzio.

Quando rientriamo al casolare e l'auto si ferma, Leyla, che per tutto il tempo è rimasta accanto a me, scende per aiutare suo fratello a uscire.

Kam si volta a guardarmi senza tradire nessuna emozione, mentre io mi accascio sul sedile guardandomi le mani sporche di sangue. Mi ha salvata ed ora sono ancora più sicura che sia stato lui a sottrarmi dalla bomba che sarebbe dovuta esplodere nel museo.

Gli devo la vita, ma come si può sopravvivere a tutto questo?

Per l'ennesima volta mi chiudo in me stessa, mentre sento ancora lo sguardo di Kam addosso.

Siamo rimasti solo io e lui all'interno dell'auto, ma non riesco a guardarlo: se lo faccio, sono sicura di scoppiare a piangere perché lui è l'unico ormai che riesce a oltrepassare la mia corazza.

Non riesco a reagire e rimango in silenzio senza esternare ciò che sto provando. Di tutte le cose che sono successe in questi ultimi giorni, questa è la cosa più terribile: pensavo di aver ritrovato la forza e invece, per l'ennesima volta, l'unica cosa che riesco a fare è estraniarmi di nuovo da tutto per non soccombere.

Domino il groviglio di emozioni che sono dentro di me fino al punto che mi sembra che tutto sia accaduto in un sogno milioni di anni fa: l'attentato a New York, l'arrivo qui in Siria, il rapimento, le molestie di Ibrahim, il bacio di Kam...

Ogni scena appare in maniera sfocata nella mia mente e questa volta anche la mia anima tace, rinchiusa dietro quella soglia che mi permette di avvicinarmi a Dio.

«Marah?» mi sento chiamare con un sussurro rauco.

Sollevo il viso verso di lui, tremando lievemente, come se avessi paura che con quegli occhi neri riuscisse a leggermi dentro ed è proprio ciò che fa, non appena i nostri sguardi si incrociano.

Ora che siamo così vicini, mi sembra di non essere più sola e spaventata, ma nel momento in cui i miei occhi si posano sul mitra che lui ancora stringe tra le mani, tutto cambia.

"Sono le mani di un assassino": è stato proprio lui a dirmelo e oggi me lo ha dimostrato.

Quanti feriti o morti ci sono stati a quel posto di blocco? Sono riusciti a raggiungere il loro obiettivo?

Per quanto mi abbia salvata, non posso assolverlo ancora una volta, non adesso.

«No, maledizione, non guardami così!» mi supplica, mentre mi muovo in fretta per scendere dalla macchina.

Con un movimento repentino del braccio, blocca lo sportello e mi sovrasta con la sua fisicità dirompente. Senza volerlo trattengo il fiato.

Nonostante l'ennesimo episodio di violenza che è successo oggi, non riesco ancora a capacitarmi di come mi senta ogni volta che lui mi è vicino.

Mi perdo subito nel suo sguardo quando mi accorgo che per la prima volta ha lasciato cadere ogni maschera. Nei suoi occhi ora c'è tutto se stesso. Riesco a intravedere ciò che sente: odio, forse, o paura che lo giudichi per ciò che ha fatto, anche se fino a ieri era proprio ciò che voleva. Tra i mille sentimenti contrastanti che intravedo, c'è anche sollievo e dolcezza, quando tra noi si ristabilisce quel legame inspiegabile che ci rende vulnerabili.

È solo seduto al mio fianco, eppure, nonostante si sia spostato col busto verso di me per bloccarmi, quel suo gesto mi sembra la cosa più rincuorante che potesse fare per farmi sentire protetta dal resto del mondo.

Sprofondo col viso nell'incavo del suo collo, prima che le mie barriere s'infrangano e lui possa notare le mie lacrime. Non voglio che mi veda così debole, ma purtroppo è proprio quel mio gesto che gli dà il permesso di afferrarmi e spingermi verso di lui.

Sento la forza del suo abbraccio, il calore del suo corpo e la delicatezza delle sue mani reticenti che non osano affondare nei miei fianchi.

«Non devi tenerti tutto dentro. Piangi e sfogati, se è ciò che vuoi...»

Forse non è la prima volta che me lo dice. Sollevo il viso verso di lui e allora un marasma di ricordi dell'altra notte nel fienile mi travolgono.

"Con me sei al sicuro..."

Le sue labbra mi lambiscono la fronte, posandoci sopra piccoli e teneri baci che hanno il sapore del conforto ed io vorrei lasciarmi andare nuovamente, stingendomi al suo petto, questa volta senza l'effetto dell'hashish, ma con la piena percezione delle nostre anime che si ritrovano nonostante il dolore e il sangue che ricopre le nostre mani, perché non è la passione a unirci, ma qualcosa di più profondo.

Quest'ultimo pensiero arriva prepotente nel mio cuore ormai impazzito e spazza via ogni cosa.

Tremo quando i suoi occhi si posano sulla mia bocca spalancata per la sorpresa e sembrano aver capito ciò che ho appena scoperto: lo intuisco dal suo sgomento e da un luccichio che al tempo stesso riempie il suo sguardo di una gioia inattesa.

Il suo viso si avvicina al mio e basterebbe sporgermi un po' di più con la testa verso di lui per sentire nuovamente le sue labbra sulle mie, ma le parole che pronuncia la sua bocca troppo ravvicinata mi bloccano.

«Sono qui, non sei sola!» mi sussurra e in quell'istante le parole di un altro uomo, che fino all'altro ieri invadeva i miei pensieri, prendono il sopravvento scombussolandomi la mente.



Spazio autrice

Cosa ne pensate di questo nuovo capitolo pieno di adrenalina, ma anche con qualche indizio in più su un'ipotetica talpa che sembra essere colui che manovra i fili di tutto ciò che è successo a partire dall'attentato di New York? Chi pensiate possa essere?

Dai prossimi capitoli cominceranno a venire a galla tutti gli enigmi e i segreti finora celati.

A presto e commentate! 😘

D.J.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top