32. Occhio per occhio

Avete inteso che fu detto: "Occhio per occhio" e "dente per dente". Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l'altra.

Matteo 5, 38-39


Marah

"Oggi sarai libera!"

Con queste parole è come se Kam volesse dirmi di non fargli altre domande, nonostante il groviglio di dubbi che mi scombussola la testa: Lana, l'uomo misterioso e la mia inaspettata liberazione.

In tutto questo c'entra anche lui?

«Va' a prendere le tue cose» mi ordina. «Ti aspetto qui!»

Obbedisco senza replicare e, oltre a prendere le poche cose che ho, gli riporto anche la sua giacca.

Quando gliela porgo, ci guardiamo a lungo negli occhi e non posso fare a meno di chiedermi se anche lui stia pensando alla notte passata insieme.

Afferra quel pezzo di stoffa, ma non lo indossa ed io distolgo lo sguardo non appena ricordo che l'indumento che ora stringe tra le mani è stato a contatto con la mia pelle nuda.

Poi a un tratto si avvia verso la casa in fondo alla tenuta dove alloggiano gli uomini.

Lo seguo in silenzio e appena oltrepassiamo l'ingresso, mi ritrovo in una stanza molto grande, con pochi mobili, ma con il pavimento completamente ricoperto di tappeti.

Kam fa un cenno a una delle guardie che piantonano l'entrata, che sparisce oltre un lungo corridoio.

«Qualunque cosa dicano o facciano» mi apostrofa Kam con un inaspettato tono duro, «non dire una sola parola, chiaro?»

Gli rivolgo il mio sguardo interrogativo senza fiatare, ma lui si aspetta una risposta, per cui ripete ancora: «Mi hai capito?»

Il mio cuore comincia a tamburellare per il panico per quel che potrebbe succedere. Cerco di nascondere il mio nervosismo, ma lui, non so come, deve intuire il mio turbamento perché cambia espressione.

«Fa' come ti dico» mi sussurra questa volta, riportandomi indietro nel tempo alla notte appena trascorsa.

La sua voce è la stessa che è riuscita a infondermi calma e a farmi dimenticare tutte quelle notti piene di incubi. Nessuno ci era riuscito finora, nemmeno Galen che ero sicura mi amasse.

Ancora non riesco a crederci che fosse Ibrahim l'artefice di tutto, a partire da quella notte sulla spiaggia.

Chissà da quanto tempo ci pedinava?

Ricacciando indietro quei ricordi, annuisco appena con la testa e a Kam quel mio gesto sembra bastare, perché i suoi occhi smettono di ammonirmi.

Dopo pochi minuti, la guardia ritorna in compagnia di altri uomini, tra i quali riconosco il loro anziano capo e Saif, l'uomo che ha assassinato crudelmente Niklaus.

Non li vedevo dal giorno in cui mi hanno portato alla torre che hanno fatto esplodere dopo aver registrato il mio video messaggio.

Se oggi sarò libera, vorrà dire che hanno negoziato per il mio rilascio.

Non so perché, ma qualcosa mi dice che la mia liberazione sia collegata in qualche modo all'uomo che questa mattina ha portato quella cassa.

Non faccio domande e, ricordandomi delle raccomandazioni di Kam, abbasso lo sguardo per non sembrare sfrontata.

Insieme al capo, c'è anche un altro uomo anziano che non avevo mai visto prima: il suo aspetto sembra autorevole e fiero come quello di un leader importante, forse un capo religioso o un imām, a giudicare dalla sua barba molto lunga.

È lui, infatti, a parlare per primo, ma lo fa in arabo, per cui non comprendo nulla di ciò che dice.

Un paio di brutti ceffi armati di fucili, tra cui Saif, m'immobilizzano per le braccia e mi strattonano facendomi male.

C'è violenza nei loro gesti e nei loro cuori malvagi con l'animo macchiato da chissà quali atrocità.

Stringo i denti per non urlare mentre mi sollevano di peso per portarmi via. Nonostante le loro mani su di me mi disgustino, un moto di coraggio mi fa domandare che fine farà la mia amica Leyla.

Non appena pronuncio quelle parole, il loro capo mi osserva con disprezzo come se avessi osato parlare senza il suo consenso.

«Lei è sotto la custodia di suo fratello. Solo se lui vorrà o se un giorno raggiungerà le dolci colline del Janna, qui ci sono molti uomini valorosi che possono prenderla in sposa e occuparsi di lei, inshallah!»

«No!» urlo non appena ascolto quelle orribili parole. «Liberate anche lei!» supplico disperata. «Lasciatela tornare a casa con me...» continuo cercando di non piangere di fronte alla prospettiva di non rivedere più la mia amica.

«Come osi fare una richiesta del genere? Dovresti essere grata per essere stata trattata con rispetto!»

L'altro uomo anziano si avvicina per sovrastarmi e incutermi timore con la sua voce altisonante.

«Io non vado da nessuna parte senza Leyla» affermo temeraria facendo voltare tutti verso di me.

Come potevo rimanere in silenzio sapendo di lasciare la mia amica in balia di questi criminali?

Sento addosso gli occhi di Kam e non appena i nostri sguardi s'incrociano, ho la sensazione che voglia incenerirmi per aver parlato.

«Bene, bene, bene...» interviene nuovamente l'uomo anziano. «Ho sentito molto parlare di te...» mi dice avvinandosi di qualche passo.

«So che avevi anche chiesto di poter avere una copia del Corano...» continua mentre ricordo quella mia incosciente richiesta.

Quando l'uomo è ormai dinanzi a me, solleva una mano con cui mi mostra un libro. Sospetto si tratti proprio del loro testo sacro.

«Sai cosa devi fare se vuoi rimanere con la tua amica?»

Comprendo subito il senso di quella richiesta e se è necessario per non lasciare sola Leyla nel bene o nel male, non ci penso due volte.

Le parole fuoriescono dalla mia bocca come un'inconsapevole autocondanna: «Attesto che non v'è altro dio fuorché Allah e che Maometto è il suo inviato».

Sono le parole della shahādah, la professione di fede per essere riconosciuti come musulmani.

Le avevo lette centinaia di volte sul libro che mi aveva lasciato Malak.

La prima volta che pronuncio queste parole, sono più che un sussurro, ma poi inspiegabilmente le ripeto ad alta voce.

Tutti mi guardano, nell'assoluto silenzio. Anche Kam fa un passo verso di me, del tutto incredulo.

«Attesto che non v'è altro dio fuorché Allah e che Maometto è il suo inviato» ripeto ancora affinché tutti possano udirmi.

«Ben tornata all'islam! Allah akbar!» sento una voce distinta, poco lontano da me.

Guardo l'uomo che ha parlato e riconosco il vecchio capo.

«Allah akbar!» ripete avvicinandosi e un coro di voci si unisce a lui: «Allah akbar!» gridano tutti, qualcuno addirittura sollevando in aria il proprio kalašnikov.

Nel frattempo, infatti, si sono aggiunti altri uomini e tra questi c'è anche Ibrahim, con un grosso cerotto sul naso e un occhio gonfio che deve avergli procurato Kam.

Rivedere Ibrahim dopo ciò che è successo la scorsa notte mi fa sussultare, ma ora è troppo tardi per tornare indietro.

Ho rifiutato di essere liberata per diventare una di loro.

Non riesco a credere che l'abbia fatto davvero... ho mentito e rinnegato il mio Dio, così come fece San Pietro durante la passione di Cristo.

Che Dio abbia pietà di me!

***


Non appena si è sparsa la voce della mia conversione, sono stata accolta dalle donne che mi guardano ora con benevolenza, come se fossi una loro sorella.

Mi hanno ricevuta nella loro casa e, come in uno stato di trance, ho lasciato che mi lavassero, o meglio "purificassero", affinché diventassi degna agli occhi di Allah.

Sono stata sconsiderata in ciò che ho fatto, ma in cuor mio spero di riuscire a parlare con Leyla e di trovare insieme una soluzione, anche se solo ora mi rendo conto che sarà impossibile lasciare questo posto pieno di terroristi senza scrupoli.

Ma sono sicura che Dio mi perdonerà e, in qualche modo, farà andare tutto bene.

Non appena vedo la mia amica, la raggiungo per abbracciarla, ma lei mi respinge.

La seguo fin nella sua stanza, non capendo perché sia rammaricata con me.

«Come hai potuto farlo?» mi chiede Leyla appena siamo sole.

«Io l'ho fatto per te, per non lasciarti sola con questi criminali...» tento di spiegarle.

«Cosa? Che vuoi dire che anche mio fratello è un criminale?»

«Io...»

«È stato picchiato per colpa tua!»

«No, aspetta... tu sai quello che è successo ieri?»

«Certo! Me lo sono fatta raccontare da lui quando ho visto la sua faccia piena di sangue...»

Mentre Leyla continua a parlare, non mi capacito del motivo per cui sia così aggressiva con me.

«Non capisco, ti ha detto quello che è successo stanotte?»

«Sì, da te non mi aspettavo una cosa del genere...»

Comincio a pensare che Ibrahim le abbia raccontato un mare di frottole, ma la cosa che mi lascia più stranita è che Leyla gli abbia creduto.

«Ma di che parli? Cosa ti ha detto?» le chiedo con calma per cercare di capire.

«Non provare a negare perché ti ho vista!» ribatte furiosa.

«Leyla, spiegati... Cosa hai visto?»

«Tu e Kam!»

Rimango per un attimo impietrita e tanto basta per far esplodere Leyla che scambia il mio silenzio attonito per un'ammissione.

«Non volevo crederci all'inizio, ma poi sono riuscita a raggiungerti di nascosto per portarti la cena e vi ho visti nel fienile!»

«Oddio, non è...»

«Non è come penso? Marah, eravate sdraiati per terra e tu eri sopra di lui!»

Rimango senza parole e più cerco di aprire bocca per spiegare alla mia amica l'equivoco e più lei alza la voce per infierire su di me.

«Devi ringraziare sia me che Ibrahim per non aver detto niente a nessuno. Se vi scopriva qualcun altro, cento frustrate non te le avrebbero risparmiate, se non di peggio... Ed ora te ne esci anche con questa buffonata della shahādah! Se solo sapessero la verità, ti taglierebbero la testa senza pensarci. Non dirlo neanche per scherzo che l'hai fatto per me!» urla a più non posso.

Invano cerco di calmarla, ma lei comincia a spintonarmi.

«Vattene via, non voglio più vederti!» conclude sbattendo la porta non appena sono fuori dalla sua stanza.

Rimango ferma nel corridoio indecisa se bussare o meno, ma sono così sconvolta che decido di rimandare i chiarimenti a un altro momento, magari quando entrambe saremo più propense a discuterne con più calma.

Con la scusa di dover accudire gli animali, raggiungo il cortile per dar da mangiare alle galline, ma in realtà, per quanto mi costi farlo, spero di incontrare Ibrahim.

Non appena lo intravedo, gli vado incontro per potergli parlare. Lui affretta il passo non appena mi vede andare verso di lui, ma non ho nessuna intenzione di farmi ignorare dopo ciò che ha fatto.

«Ibrahim, aspetta!» lo chiamo mettendomi a correre per raggiugerlo.

«Cosa vuoi?» mi sbraita in cagnesco mentre si ferma.

Non appena si volta verso di me, rimango per un attimo spiazzata dal suo viso: i suoi occhi sono gonfi per le occhiaie, eppure ora che lo guardo dritto in faccia, mi sembra solo un ragazzino incapace di fare del male, un'anima piena di dolore e risentimento.

Non vi è nessuna traccia di crudeltà sul suo volto, al punto da far perfino fatica a pensare che sia la stessa persona che solo qualche ora fa mi ha molestata.

«Io... voglio solo sapere perché...»

«Perché cosa? Di che parli?»

Per la foga, gli esce del sangue dal naso, ma lui non se ne rende nemmeno conto.

Nonostante stia cercando di rinnegare tutto ciò che mi ha detto ieri, per lui provo solo una grande pena.

«Di quello che mi hai rivelato...» gli dico spalancando gli occhi per non piangere, pensando alla morte di mia madre.

Il ricordo del suo viso dolce entra con prepotenza nei miei pensieri. Per l'emozione non riesco più a reggermi in piedi. Cedo, sbattendo le ginocchia per terra. Mi sollevo a stento, ripensando alle storie che lei mi raccontava quando ero bambina per darmi coraggio e mi aggrappo istintivamente alla mano omicida di Ibrahim per rimettermi in piedi.

Il sangue gli cola fin sulle labbra, mentre un barlume di pentimento sembra adombrare il suo sguardo.

Tanto basta a illudermi che forse possa provare rimorso per quello che ha fatto e che nel suo cuore possa esserci la volontà di rimediare e mettere in salvo sia me che sua sorella.

«Perché hai mentito a Leyla?» gli chiedo, reprimendo la voglia di pulirgli il volto con un fazzoletto.

La mia domanda lo riporta alla realtà e quella piccola luce che avevo intravisto nei suoi occhi scompare, lasciando nuovamente il posto alla sua solita espressione corrucciata. 

«Ieri ero fatto... non so davvero di che parli...» mi ripete allontanandosi.

Sono così sconvolta e delusa che non ho la forza di fermarlo, o forse prendo coscienza che ormai niente e nessuno può far ritornare in vita mia madre.

Mi accascio di nuovo per terra e guardando il cielo, prego Dio di darmi la forza di perdonare Ibrahim e che possa farlo anche Lui. Rimango assorta per qualche minuto ed è nella preghiera che riesco a non sentirmi persa.

Mi sembra solo ieri, quando a Natale, ripensando a Malak, avevo raggiunto una nuova consapevolezza, una nuova speranza. Per guarire dal dolore bisogna amare anche chi ci ha fatto del male. È il gesto d'amore più grande che ci ha insegnato Gesù.

In silenzio rimetto nelle mani di Dio anche i miei peccati. Il perdono è l'unica strada che porta alla guarigione dell'anima.

Forse Ibrahim non si rende conto di ciò che ha fatto, forse è stato solo manipolato da qualcuno più crudele di lui. Non è tardi per pentirsi delle sue azioni.

Quando mi accorgo che si sta facendo buio, decido di rientrare. Mentre mi avvicino alla casa, qualcosa si muove nell'ombra, ma quando mi trovo Kam davanti, non sono per niente sorpresa di rivederlo.

I suoi occhi sono furiosi, ma non mi fanno paura.

«Perché l'hai fatto?»

La preghiera mi ha ridato pace: è come se mi sentissi in beatitudine, per cui quando comincio a parlargli, la mia voce è del tutto tranquilla.

«Io non voglio separarmi da Leyla...» cerco di giustificarmi pensando si riferisse alla mia conversione.

«Sto parlando di Ibrahim... dopo quello che ti ha fatto, sei andata da lui...»

«Oh!» esclamo, ma in fondo non mi stupisce affatto che mi stesse spiando già da un bel pezzo. «Non intendevi...»

Non mi lascia nemmeno finire che si scaglia contro di me: «Come riesci a farlo?»

La sua voce è bassa per non farsi sentire, ma da come contrae la mascella, sembra davvero fuori di sé per avermi vista parlare con Ibrahim.

«Cosa?» gli chiedo non riuscendo a capire.

«Ad accettare tutto così passivamente»

Non gli rispondo e lascio che il silenzio ci sovrasti.

Non so nemmeno io cosa dirgli: ormai sono arrivata a un punto in cui sembra che più niente riesca a scalfirmi. Non so se sia un meccanismo di difesa o se sia la forza e la serenità che derivano dalla mia fiducia in Dio nonostante tutto.

«Lo stai facendo di nuovo» ribadisce, avvicinandosi sempre di più.

Istintivamente sollevo una mano e l'appoggio su un suo braccio. Lui si blocca e in qualche modo sembra sia riuscita a spiazzarlo.

Come una lenta carezza, faccio scivolare le mie dita verso il basso. Quando arrivo all'altezza della sua mano, mi fermo e gliela stringo cercando di far combaciare i nostri palmi.

Non so perché lo faccio, ma se da un lato voglio fargli capire che non sono più bloccata emotivamente, nella mia testa forse mi chiedo anche perché lui non abbia più osato toccarmi dal nostro primo incontro.

Dura solo un attimo, perché non appena lo faccio, lui si divincola come se avesse sentito una scossa.

«Hai forse paura di sporcarmi con le tue mani?» gli chiedo cercando di nascondere un moto di delusione.

La mia voleva essere una sfida, ma nel momento stesso in cui guardo in fondo ai suoi occhi tormentati, mi rendo conto che è davvero ciò che pensa.

«Sono le mani di un assassino!» esclama sollevandole.

I suoi occhi ardono dalla collera ed è così furibondo che fa un passo indietro, come se volesse starmi lontano il più possibile.

Scruto ogni sua più piccola espressione per riuscire a leggere i suoi pensieri più nascosti e vi trovo la certezza che in fondo al suo animo ci sia del rincrescimento per ciò che deve aver fatto nel suo passato.

Sono talmente presa dal cercare di capire cosa abbia smosso in lui il mio gesto, che l'aver ammesso di essere un assassino passa in secondo piano.

In lui credo che ci sia ancora del buono, ne sono certa...

«Scusami, non intendevo...»

Non ho nemmeno il tempo di finire la frase che con uno scatto mi raggiunge per avventarsi sulle mie labbra. Le sue braccia mi circondano per imprigionarmi e spingermi verso la staccionata contro cui sbatto la schiena.

Mi bacia avidamente senza lasciarmi scampo, con bramosia e un impeto tale da lasciarmi senza fiato.

Non c'è passione in lui, ma la sua bocca mi divora con rabbia, o come se volesse più che altro suscitare odio o avversione nei suoi confronti.

Dovrei respingerlo: è quello che farebbe chiunque dopo un assalto del genere, ma io non mi ribello, al contrario soccombo alla pressione delle sue labbra sulle mie e lascio che la mia bocca accolga il suo bacio.

La sua lingua s'insinua con prepotenza, ma non appena tocca la mia, si ritira di colpo, sbalordito o addirittura più furioso di prima.

Mi guarda come se non riuscisse a capire come abbia potuto permetterglielo.

Ha ancora il fiatone quando la sua ira esplode: «Come puoi accettare qualunque cosa ti facciano?»

È questo ciò che pensa di me? Che non avrei dovuto concedergli di baciarmi?

Me lo chiedo anch'io... come riesco a vedere in lui solo del bene e non il male?

È un terrorista... Lo è lui, lo è Ibrahim, lo sono tutti... eppure io continuo a cercare una giustificazione per perdonarli, perché il mio cuore anela la pace e non l'avrà mai se alimento il fuoco della vendetta.

«Cosa dovrei fare? Farmi giustizia da sola? Come dite voi? "Occhio per occhio, dente per dente"?»

«E cosa c'è di tanto sbagliato in questo? Era perfino scritto nel codice di Hammurabi» tenta di giustificarsi. «Può sembrare crudele, ma era una legge giusta, perché serviva proprio per evitare una spirale di estrema rivalsa. A ogni torto doveva seguire un equo indennizzo.»

«Conosco bene quel codice, ma così nessuno avrà mai pace se si continua a spargere altro sangue. Ho visto la faccia di Ibrahim, lo hai pestato a sangue» lo rimprovero pensando che qualcosa di simile mi aveva detto anche Malak in una delle nostre prime chat.

«Hai mai letto l'Iliade?» gli chiedo a bruciapelo, sorprendendolo.

Senza nemmeno attendere la sua risposta, continuo: «Mentre parlavo con Ibrahim mi sono ricordata di quando ero piccola e mia madre, invece di leggermi le favole, mi raccontava le gesta di Achille».

Faccio una breve pausa, cercando di avvicinare nuovamente la mia mano alla sua, ma mi blocco di fronte al suo sguardo perplesso e al tempo stesso carico di interesse che m'invita a non fermarmi.

«Il passo che lei adorava di più era quello in cui Priamo, dopo la morte di suo figlio Ettore, si mette in ginocchio davanti al suo assassino e gli bacia la mano, pur di riavere il suo corpo. Io non posso riavere indietro mia madre, ma forse posso riportare Leyla a casa dai suoi genitori.»

«Hai un cuore troppo grande e meraviglioso, ma devi smetterla di dispiacerti per Ibrahim o di pensare che possa aiutarti. Ciò che ha fatto è davvero ripugnante.»

La mia mente si rifiuta di ascoltare tutto ciò che ha detto dopo il suo "ma" e si sofferma invece a quel suo inaspettato complimento sul mio cuore.

«Lui non è un eroe in cerca di gloria. Al contrario è un codardo che vorrebbe prendersi il merito di cose che vorrebbe aver fatto, ma che invece non è capace di affrontare. Ed io... ho fatto cose ignobili anche io. Nessuno di noi è Achille... nessuno di noi merita il tuo perdono...»

Mentre mi parla, Kam non ha mai smesso di tenermi ingabbiata tra le sue braccia contro la recinzione che preme contro la mia schiena facendomi male. Mi basta sollevare il viso per avvicinare nuovamente le mie labbra alle sue. Il suo respiro ancora trafelato mi attira verso di sé con una forza inspiegabile.

Le nostre bocche si sfiorano nuovamente, ma non oso baciarlo io per prima nonostante sia proprio ciò che la mia folle volontà anela a discapito di ogni più sano principio.

So che è sbagliato ed ora capisco tutto il disprezzo che leggo nei suoi occhi. Lui non sopporta di vedermi rassegnata di fronte a tutto questo male che ci circonda. Forse ora capisco anche perché qualche giorno fa si era steso su di me, mentre ero rinchiusa nella mia cella. Non solo non voleva che mi tenessi tutto dentro, ma voleva anche scatenare una mia reazione ed è per questo che perfino adesso pensa di maltrattarmi, di spaventarmi.

Ciò che non immaginava possibile, e nemmeno io, è che il lupo si è arreso cadendo nella trappola del più docile degli agnelli.

Ricordo la delicatezza delle sue parole sussurrate questa notte, il calore del suo petto contro il mio e per un attimo intravedo di nuovo quella dolcezza nel suo sguardo.

«Scusami» mormora facendo attenzione a non lambire le mie labbra a un soffio dalle sue.

«Per cosa?» riesco a chiedergli nonostante mi manchi l'aria.

«Per averti baciato» mi risponde perplesso, come se ancora si stesse chiedendo cosa ci sia che non vada in me, ed è proprio questa sua inaspettata incertezza che annienta l'ultima barriera rimasta, perché ora sono più che mai convinta che lui sia diverso dagli altri, che nonostante la sua scorza dura, non ha perso del tutto la sua umanità.

Mi sollevo appena sulle punte e nello stesso momento anche lui si china per baciarmi di nuovo, nonostante si sia appena scusato per averlo fatto, ed è solo allora che il mio cuore si lascia finalmente andare all'emozione di quel momento.

Le nostre labbra si uniscono e si assaporano davvero per la prima volta con uno slancio del tutto nuovo che ha il sapore della passione, del desiderio, ma anche di sogni proibiti che non si potranno mai realizzare.

I nostri pensieri devono andare nella stessa direzione perché lui smette di colpo di baciarmi per riprendere il controllo.

«Ritorna nella tua stanza» mi intima senza neanche guardarmi, mentre si distacca da me per appoggiare le mani sulla ringhiera. I suoi occhi sono puntati verso il panorama in lontananza, illuminato dagli ultimi raggi di sole.

Imprimo quell'immagine nella mia mente, incastonata in una cornice che sarebbe stata perfetta per ricordare quel bacio che invece sospetto sarà per sempre il mio rimpianto più grande.

Il mio corpo ormai libero dalle sue braccia fatica a muoversi, ma lui mi impone di andarmene per una seconda volta con ancora più freddezza.

Faccio qualche passo, ma prima di rientrare, mi giro a guardarlo. Lui stringe ancora le sue mani con forza sulla ringhiera senza voltarsi.

Forse è già pentito di questo momento di debolezza che non ci sarebbe mai dovuto essere ed è per questa ragione che scappo via, con le lacrime agli occhi.


Spazio autrice

Spero tanto che questo capitolo vi sia piaciuto: è stato davvero difficile arrivare a questo momento tanto atteso e vi confesso che non vedevo l'ora che accadesse.

Ora cosa succederà?

Sentitevi liberi di dirmi ogni vostra impressione. Come più volte detto, è molto importante per me capire se la mia storia vi sta arrivando al cuore così come vorrei e come la sento io.

Spero anche di non avervi scosso troppo con una tematica così delicata come quella del perdono di fronte a un qualcosa che è davvero inconcepibile da accettare per la maggior parte di noi.

Voi cosa ne pensate?

Grazie per chi è arrivato a leggere fin qui ❤

A presto

D.J.

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