30. Rivelazioni
Malus animus in secreto peius cogitat.
Un animo malvagio lo è ancor più nei suoi segreti pensieri.
Publilio Siro, Sententiae
Marah
Un raggio di sole mi colpisce dritto negli occhi quando mi sveglio. Mi guardo in giro frastornata, mentre cerco di capire che ore sono. Devo essermi addormentata tardissimo, perché di sotto c'è già l'anziano mandriano che dà da mangiare agli animali.
Per fortuna non dice nulla quando scendo, anzi, fa finta di non notarmi.
Impugno il primo forcone che trovo in un angolo della stalla e in silenzio comincio a riempire le mangiatoie di fieno per recuperare il tempo perduto.
Solo quando rimango sola, mi accorgo che su un tavolo di legno c'è un piccolo vassoio di cibo.
Quando mi avvicino, il profumo tipico degli halawt al-jibn, i dolci che preparava sempre Leyla, inondano le mie narici. Ne assaggio uno e ne riconosco il sapore: deve averli fatti lei per farmi sapere che è con me, anche se ancora non siamo riuscite a parlarci.
C'è anche un bicchiere di tè, ancora tiepido. Lo bevo un po' per volta, gustandomi appieno la bevanda come se fosse la cosa più squisita del mondo.
Mi stupisco, nonostante tutto, di riuscire ancora a godere anche di queste piccole cose, in mezzo a tutta quest'assurda situazione.
È il terzo giorno che sono qui e non so cosa aspettarmi, né se mi libereranno o se sarà la mia fine.
Ripenso a mio padre: non so cosa darei per potergli parlare anche solo per pochi secondi e fargli sapere che sto bene.
Mi pento di non aver tentato di tutto per recuperare il nostro rapporto nell'ultimo periodo e forse ora non avrò più modo di poterlo fare.
A mezzogiorno raggiungo la cascina dove ci sono le altre donne. Leyla è lì e, non appena si accorge della mia presenza, mi sorride. Mi avvicino per ringraziarla dei dolci, ma le donne più anziane ci riprendono con occhiatacce e parole che non comprendo.
Speravo di avere l'opportunità di poter parlare con la mia amica, ma anche oggi non ce lo lasciano fare.
Le ore scorrono in fretta e nel pomeriggio noto che c'è uno strano silenzio. Ci sono pochi uomini di guardia e la cosa m'insospettisce: oggi è anche l'ultimo giorno dell'ultimatum.
Mi fermo nel cortile per cercare di capire. So di non avere nessuna possibilità di fuga, ma il solo fatto di poter girare indisturbata tra le case del piccolo villaggio, mi dona un senso di libertà che non provavo da giorni.
Mi avvicino all'edificio dove alloggiano gli uomini, ma a eccezione di un paio di guardie che sorvegliano le uscite, non c'è nessuno altro.
Il cuore comincia a battere forte quando vedo uscire Ibrahim con un telefono in mano. Se fosse un satellitare, potrei chiedergli di farmi fare una telefonata a mio padre.
«Ehi, ciao!» mi avvicino salutandolo come se fossimo vecchi amici da sempre.
«Ciao», mi risponde lui guardandomi con un po' di perplessità.
Mostrando più naturalezza possibile, cerco di instaurare una conversazione, finché facendomi coraggio, gli chiedo se il telefono sia suo.
Lui mi fa un cenno affermativo, così gli faccio un sorriso un po' teso. Con tutta probabilità, mi vien fuori una smorfia.
«Me lo fai usare?» gli chiedo a bassa voce. «Ti prego, voglio solo parlare con mio padre, fargli sapere che sto bene...»
Cerco di usare un tono persuasivo, ma sono un disastro: se al mio posto ci fosse stata Lana, con qualche moina seducente sarebbe riuscita a far capitolare subito la sua preda. Io invece mi sento così sciocca, anche se Ibrahim sembra non avere sospetti.
Si guarda in giro per accertarsi che non ci sia nessuno e questo mi fa ben sperare.
«Ti concedo solo qualche secondo. Poche parole e riattacca subito, ok?»
Gli faccio un cenno affermativo col capo, non riuscendo a credere di avere finalmente questa possibilità.
Quando mi lascia il telefono tra le mani, inizio a tremare, ma senza perdere tempo, compongo il numero di mio padre e poi accosto l'apparecchio al mio orecchio.
Dopo un'attesa che sembra interminabile, la linea risulta occupata.
Riprovo di nuovo, ma sento lo stesso identico segnale acustico.
Riaggancio e quando Ibrahim mi fa un segno di protesta, gli supplico di farmi fare un altro tentativo.
Potrei chiamare Lucas, ma non so cosa mi giri per la testa quando le mie dita compongono in automatico il numero di Galen e questa volta la linea risulta libera.
«Sono Marah» sussurro con voce tremante quando dall'altro lato sento la sua voce. «Sì Galen, sono viva e sto bene. Per favore, avvisa mio padre che...»
Sto per dire qualcos'altro, ma Ibrahim mi strappa il telefono dalle mani.
«Galen? Sul serio?» mi chiede senza nascondere la sua irritazione. «Tra tutte le persone che potevi chiamare, giusto quel coglione?»
Già... me lo domando anch'io! Solo un genio chiamerebbe il suo ex in un simile frangente.
Rimango in silenzio, perché nonostante tutto sono contenta di essere riuscita ad avvisare qualcuno.
Per cambiare discorso, chiedo a Ibrahim se può dirmi dove sono gli altri, ma lui mi guarda in cagnesco e non mi risponde. Ha ancora la rabbia dipinta sul volto e non capisco perché abbia avuto questa reazione quando ha sentito il nome del mio ex.
Mi avvicino alla staccionata che rinchiude gli animali che pascolano all'aperto e appoggiando un piede sulla prima asse di legno, mi siedo per lasciarmi accarezzare dai raggi del sole che è ormai vicino al tramonto.
Chissà, forse questa è l'ultima sera che passerò in questo posto.
Il paesaggio rurale che ci circonda, nonostante tutto, riesce a infondermi un po' di pace.
Soffoco uno sbadiglio e con la coda dell'occhio mi accorgo che Ibrahim è ancora alle mie spalle che mi osserva.
«Hai già sonno?» mi chiede lui e questa volta il suo tono di voce sembra amichevole.
Mi volto verso di lui e in effetti ora mi sembra tornato tranquillo.
«Non ho dormito molto nelle ultime notti» ammetto e lui annuisce appena.
«Perché sei qui, Ibrahim? E perché hai coinvolto anche tua sorella?» gli chiedo a bruciapelo.
Non riesco a capire perché si sia fatto coinvolgere in tutto questo. Su di lui c'è un mandato di cattura per reati di terrorismo, nonostante sia ancora così giovane.
Mi rifiuto di credere che sia malvagio come loro: forse gli hanno fatto il lavaggio del cervello... forse è ancora in tempo per uscirne... forse potrebbe perfino aiutarmi...
Dopo qualche secondo, si decide a rispondermi.
«A New York non avevo amici... Non mi sentivo a casa. Solo perché frequentavo la moschea, mi evitavano tutti. Ho vissuto un momento davvero difficile...»
Lo ascolto in silenzio, stupendomi di come abbia deciso di aprirsi con me.
So quello che ha passato: Leyla me ne aveva parlato quando, nel vano tentativo di controllarlo, mi ero collegata a quella chat criptata in cui avevo conosciuto Malak.
Malak... sembra ieri quando è successo, ma sono trascorsi ormai parecchi mesi da quando ho avuto l'ultimo contatto con lui. Chissà dove sarà ora?
Chiudo gli occhi per qualche secondo, facendomi distrarre dai miei ricordi.
«Solo quando mi sono avvicinato a un gruppo di ragazzi, come dire, più "radicali", ho trovato il conforto di cui avevo bisogno. Mi sono sentito parte di un qualcosa che mi faceva sentire importante.»
Le parole di Ibrahim mi riportano alla realtà.
Forse ha bisogno di qualcuno che lo ascolti, qualcuno che come me non l'ha mai giudicato inferiore per il suo credo religioso, che non ha mai avuto nei confronti dell'islam l'intolleranza diffusa nel mondo occidentale, che ha sempre ammirato l'Oriente per la grandezza della sua storia e della sua cultura.
Non so come riesco a fargli un sorriso sincero per incoraggiarlo a continuare.
«Con la jihad, Allah ci chiede di combattere contro la corruzione e le ingiustizie. Qui in Siria, mentre gli studenti si illudono di poter cambiare le cose scendendo in piazza, noi ci stiamo mobilitando per portare la sua parola e proclamare uno stato islamico.»
Cerco di non mostrargli i brividi che le sue parole mi provocano e continuo a mostrarmi calma e interessata al suo discorso.
Come può pensare che solo con la guerra e con il terrorismo si possano sconfiggere le ingiustizie del suo popolo?
«Ero pronto a immolarmi a New York... e lo ero anche l'altro giorno al museo di Palmira, se non fosse stato per...» si blocca sull'ultima parola, guardandomi con sdegno, come se fosse colpa mia, come se io c'entrassi qualcosa.
Forse, si sarebbe davvero fatto esplodere se non fosse stato per me. Forse un giorno, le sue convinzioni distorte lo faranno succedere davvero se non ci sarà qualcuno a fermarlo.
L'angoscia mi pervade nuovamente quando ripenso a mia madre, a Betty, a Niklaus e a tutte le persone morte negli attentati terroristici.
Per scacciare il dolore e la paura, mi chiudo in me stessa sperando di estraniarmi ancora una volta da tutto e di non sentire più nulla.
Concentro il mio sguardo sull'astro di fuoco ancora visibile all'orizzonte e anche Ibrahim smette di parlare.
Rimaniamo entrambi assorti per qualche minuto, finché l'ultimo spicchio di sole scompare sotto il cielo sempre più blu.
Ibrahim tira fuori dal taschino una sigaretta e se l'accende.
L'osservo mentre fuma e quando i suoi occhi incrociano i miei, mi chiede se voglio fare un tiro.
Non ho mai fumato in vita mia e non sono tanto sicura di che cosa sia fatta la sua sigaretta.
«Questa ti aiuterà a rilassarti e dormire meglio» mi dice sorridendomi per la prima volta in modo strano.
Ora che me l'ha detto sono ancora più convinta che si tratti di erba.
Quando lui me la porge, tentenno per qualche secondo, ma poi, senza pensarci due volte, accetto.
Solo qualche tiro, mi dico: magari mi aiuta davvero a dormire e ad allontanare per qualche ora tutta la tensione di questi ultimi giorni.
Perdo il senso del tempo e in effetti, in quelli che sembrano una manciata di minuti, un senso di rilassamento mi pervade.
Anche Ibrahim sembra più sciolto. Mi guarda intensamente negli occhi senza vergogna e comincia a dire cose senza senso che mi fanno sbellicare dalle risa. Parla, parla... non l'ho mai sentito parlare così tanto, mentre io ormai mi piego in due a ogni sua battuta. Senza che me accorga si fa buio e dato che non ho fame, decido di andare a dormire senza cena.
Do la buonanotte a Ibrahim che mi dice qualcosa tipo "acqua" o "doccia", ma mi sento la testa così leggera che non gli do retta.
Oh, mio Dio! Mi gira tutto!
Quando entro nel fienile, mi dirigo verso gli abbeveratoi per sciacquarmi la faccia ed è allora che la noto: una tenda che fino a qualche ora prima non c'era. Curiosa, mi avvicino per guardare cosa nasconda sul retro. Noto solo un tubo più o meno alto quanto me, ma sollevando la testa verso l'alto, alla sua estremità, scorgo un soffione di quella che ha tutta l'aria di essere una doccia.
Non ci posso credere...
Batto le mani felice come una bambina e inizio subito a spogliarmi, completamente...
Getto i vestiti e la biancheria sudicia nella piccola vasca che viene usata per abbeverare gli animali.
Non vedo l'ora di togliermi di dosso tutta la sporcizia accumulata in questi giorni e l'odore di sterco dai capelli. Apro il rubinetto e non appena un getto d'acqua fredda mi arriva addosso, non trattengo un piccolo grido di sorpresa.
Nel frattempo, rido, rido e sono felice mentre l'acqua si porta via tutta la mia tristezza.
Chiudo gli occhi e per la prima volta da quando sono in questo inferno, riesco a rivivere solo bei ricordi.
Ripenso a mia madre e a quanto mi rendeva felice la sua presenza. Era il mio conforto e il mio sostegno.
Ripenso anche a Galen e a come mi sentivo nei giorni in cui ci siamo conosciuti: sembrava tutto così bello, forse perché vivevo tutto con l'ingenuità e l'entusiasmo del primo amore, o almeno, di ciò che pensavo fosse tale. Chissà cosa ha provato oggi nel risentire la mia voce?
Lo scroscio dell'acqua che scorre copre ogni rumore e ogni cosa. Non m'importa se allagherò tutto il pavimento, visto che non c'è un canale di scolo, ma voglio godermi questo momento finché ne avrò voglia.
Un rumore improvviso però mi fa sussultare.
«C'è qualcuno?» chiedo sbarrando gli occhi, sperando di riuscire a vedere qualcosa nella penombra in fondo al fienile.
Forse è solo qualche animale agitato, oppure, con quello che ho fumato, mi sto lasciando suggestionare dall'immaginazione.
Mi maledico per essere stata così stupida.
Resto immobile e in attesa, finché un suono di passi mi mette nuovamente in allerta. I miei sensi non sono molto lucidi, per cui quando scorgo la sagoma di un uomo che si avvicina sempre di più, spero con tutta me stessa che sia davvero solo un'allucinazione.
«Perché hai chiamato proprio lui?»
Ci metto qualche secondo per capire quella domanda.
Quando riconosco la voce di Ibrahim, vorrei urlare, o scappare, ma sono nuda e lui... lui è a un passo da me...
La sua voce è reale, si riferisce alla telefonata di qualche ora prima, ma io sono talmente sotto shock che non riesco a credere a quello che sta succedendo.
«Cosa ci trovavi in lui?» mi domanda strappando la tenda che ci separa e mostrandomi i suoi occhi iniettati di sangue.
«Vi ho osservati e seguiti tante di quelle volte, ma non sono mai riuscito a capire perché hai scelto lui e non ti sei mai accorta di me...»
Cosa?
«Ricordi quella volta in spiaggia?»
Capisco all'istante di cosa parla. Apro la bocca per chiedergli se fosse davvero lui, ma mi fermo sconvolta quando noto che si slaccia i pantaloni.
«Ricordi ora?» mi chiede con voce strozzata dalla smania dei suoi movimenti.
Non gli rispondo e volto la testa di lato per non guardarlo, mentre tira fuori il suo membro e comincia a toccarsi davanti a me.
Conosco quella scena perché l'ho già vissuta milioni di volte nella mia testa: le immagini di quell'uomo sulla spiaggia davanti a me e Galen hanno popolato i miei incubi per così tanto tempo che ora si sovrappongono alla realtà.
È tutto così folle, ma finalmente comprendo: era lui a spiarci quella notte; è sempre stato lui a insinuarsi tra me e Galen...
Come ho fatto a non capirlo prima? Nei suoi occhi ho sempre percepito qualcosa di strano, ma non immaginavo quanto malsano fosse il suo interesse per me.
«Lui non ti meritava. Voleva solo usarti per scoparti... Ti tradiva, eppure tu pensi ancora a lui...»
Quante volte invece ho pianto perché non riuscivo a togliermi dalla mente quella scena ripugnante?
Possibile che stia succedendo di nuovo?
«Cosa c'è? Non dirmi che non l'avevi capito? La bomba in ospedale e alla festa sono opera mia. Il piano era perfetto: lui doveva morire nell'attentato, così tu saresti stata libera...»
Soffoco un urlo di rabbia, ma il mio pensiero va anche a mia madre, morta per via dell'ordigno esploso nella clinica dove era ricoverata.
«Sì, vedo che ora cominci a collegare tutti i vari tasselli...» continua lui come se mi avesse letta nel pensiero. «Io volevo solo che non soffrissi più, né per la malattia di tua madre, né per quel maiale che non ti meritava e che ti ha marchiata per sempre.»
Le sue parole mi fanno venire da vomitare, ma non riesco a muovermi, né a reagire in nessun modo.
Con la coda dell'occhio percepisco il suo sguardo e il movimento delle sue mani che afferrano la sua erezione e si muovono, avanti e indietro, con un ritmo sempre più veloce.
Sto per svenire per il disgusto quando il suo respiro eccitato mi colpisce sul collo.
Impietrita dal terrore, lui continua a sussurrarmi di stare tranquilla. Io invece prego che questo incubo finisca presto.
I suoi gemiti si fanno sempre più forti, così l'unico modo che ho per non sentirlo è cercare di estraniarmi con tutto il mio essere.
Forse è davvero un'allucinazione. Me ne convinco e giuro su tutto ciò che ho di più caro che non fumerò più una canna in vita mia.
«Non devi avere paura di me, Marah... non ti farò nulla...» bisbiglia tra un rantolo e l'altro.
«Voglio solo guardarti...»
«Te lo scordi!»
Quelle ultime parole mi giungono ovattate, nonostante siano più simili a un ringhio che a una frase.
Sono così cariche di ira che riescono a risvegliarmi dal torpore e penetrare con forza attraverso il muro immaginario dietro cui mi sono rifugiata. Quella voce forse è l'unica che per me è allo stesso tempo tormento e speranza: la voce di Kam.
Come la sera prima, doveva essere appena arrivato per il suo turno di guardia intorno al fienile.
Poi tutto succede in fretta: imprecazioni, pugni e parole di cui non comprendo il significato, ma io continuo a rimanere chiusa dietro il mio guscio inesistente.
Osservo e ascolto tutto con distacco, come se stessi sognando.
"Presto mi sveglierò" continuo a ripetermi e allora potrò dire che è stato solo un incubo.
«Brutto figlio di puttana, cosa le volevi fare? Le hai dato dell'hashish?»
«Giuro su Allah che non volevo nemmeno toccarla!»
Ibrahim si difende e grazie al cielo posso confermare che non mi ha sfiorata una sola volta. Non so se lo penso o lo dico davvero, fatto sta che l'uomo arrivato per ultimo smette di dare pugni e spinge con forza Ibrahim verso l'uscita, facendolo rotolare per terra.
«Sparisci, o giuro che ti ammazzo!»
Ibrahim non se lo fa ripetere due volte e con uno scatto si rialza ed esce di corsa dal fienile reggendosi i pantaloni con le mani.
Kam si gira verso di me e lentamente si avvicina togliendosi la giacca.
Mi guarda fisso negli occhi come se volesse scrutare fin dentro la mia anima, ma non dice nulla.
Quando è ormai a un passo da me, solleva l'indumento per coprirmi ed è in quel momento che mi ricordo di essere ancora nuda dalla testa ai piedi.
La presa di coscienza di ciò che è successo è così rapida che faccio uno scatto per impedirgli di toccarmi, ma scivolo sul pavimento bagnato.
Non so cosa succede: un attimo prima ero ferma in piedi rigida per lo shock, quello successivo ero distesa su di lui in un groviglio di gambe e braccia che si dimenano.
«Ehi, per favore sta' ferma e non gridare!»
Annaspo in cerca d'aria, ma il suono della sua voce non ha nulla di minaccioso.
Sollevo lo sguardo verso di lui, convinta di trovare due occhi pieni di odio, ma al contrario per la prima volta mi guarda in modo rassicurante e sincero.
«Se ci trovano così, ci ammazzano entrambi!» mi sussurra cercando di tirare con le dita i lembi della sua giacca che a mala pena riesce a coprirmi.
Non so di chi parla e in preda alla confusione, riesco solo a guardarmi intorno impaurita per ciò che è appena successo.
Dov'è Ibrahim?
«Se n'è andato... non tornerà...»
Davvero?
«Sì, è tutto finito!»
Mi hai salvata?
«Sei al sicuro ora...»
Vorrei parlare, ma le mie labbra non si muovono, eppure sembra che i miei pensieri collimino con le parole che Kam continua a ripetermi sottovoce per calmarmi.
Cerco di allontanarmi da lui, ma qualsiasi movimento faccia, rischio di scoprirmi e peggiorare la situazione. Smetto di muovermi, ma il mio corpo comincia a essere scosso dai brividi per via di alcuni schizzi che continuano a pioverci addosso dal soffione sopra le nostre teste.
Anche Kam ha i capelli e i vestiti ormai del tutto fradici. Con un calcio allontana l'asta della doccia improvvisata, riuscendo a staccarla dal gancio che la teneva sospesa.
Dopo un paio di getti intermittenti, l'acqua smette del tutto di fuoriuscire.
Kam alza le ginocchia per sollevarmi dal pavimento umido e freddo. Ha delle gambe così lunghe che quasi mi arrivano fin dietro le spalle.
Cerca di sistemarmi la giacca per coprirmi meglio, ma poi ci rinuncia e lascia cadere le braccia ai lati del suo corpo. È come se volesse evitare di toccarmi, nonostante sia stesa su di lui.
In quel suo gesto ci vedo solo premura nei miei confronti e quando sollevo lo sguardo e i nostri sguardi si incrociano, non ho più forza e mi aggrappo a lui.
Chiudo gli occhi e senza che io possa evitarlo, la mia mente ritorna indietro nel tempo a quando mi ero appartata con Galen su quella spiaggia.
Non riesco ancora a crederci che fosse stato Ibrahim a violare quel nostro momento di intimità.
Io e Galen stavamo per fare l'amore per la prima volta, ma poi tutto era diventato un incubo. Mi aveva lasciata sola e mezza nuda dalla vergogna dopo ciò che era appena successo.
Avrei tanto voluto che Galen mi stringesse a sé per confortarmi, ma non l'aveva fatto.
Nemmeno Kam lo fa. Non mi tocca e continua a tenere le sue mani ancorate al pavimento. Sono nuda su di lui, ma non sento nessun disagio, anzi al contrario la sua vicinanza mi dà un senso di sicurezza e protezione.
Non so cosa stia provando lui, ma nonostante il contatto tra i nostri corpi, si muove con cautela, come se temesse che anche un suo piccolissimo gesto possa provocarmi una crisi isterica.
Vorrei davvero urlare per sfogare tutto l'orrore che ho provato negli ultimi istanti, ma l'ultimo briciolo di razionalità che ancora mi pervade mi blocca. Sono consapevole che le mie urla potrebbero attirare l'attenzione.
L'ultima cosa che voglio è rischiare di essere scoperta in una situazione compromettente con un uomo.
So che non si farebbero remore ad applicare le pene previste dalla Shari'a, la legge islamica.
«Ti avevo detto di non fidarti di nessuno...»
La voce di Kam è un bisbiglio che mi rassicura, anche se ha tutta l'aria di essere un rimprovero.
Nemmeno di te...
L'effetto allucinogeno del fumo ancora mi annebbia la testa. Alterno momenti di lucidità a stati di agitazione. Confondo le parole con i pensieri. In preda al delirium, il volto di Kam si sovrappone a quello di Galen. Mi sembra di rivivere la stessa scena centinaia di volte: Galen, Ibrahim, la spiaggia... e poi ancora Galen e Malak, la festa, l'attentato, i terroristi... Kam... e poi di nuovo Galen.
«Ricordati che non sei mai sola!»
Malak...
Tremo in maniera incontrollabile, ma trattengo con tutte le forze le mie lacrime.
«Marah, non devi tenerti tutto dentro...»
Kam...
Cosa sarebbe successo se non fosse arrivato lui?
«Con me sei al sicuro...» ripete ancora.
È la prima volta che mi parla in questo modo e solo ora capisco il perché di ogni suo gesto, soprattutto di quella volta in cui si è steso su di me per provocarmi.
Ora però, in queste parole vi trovo tutta la sua umanità, anche se dentro di me ho sempre saputo che lui non mi avrebbe mai fatto del male.
Il suo viso è così vicino che sento premere il suo mento sulla mia fronte. La sua barba mi dà leggermente fastidio, ma mi stringo di più a lui e nascondendo il viso nell'incavo del suo collo, con un singhiozzo mi lascio andare a un pianto liberatorio.
Rintanata sul suo petto, tutti i mostri piano piano iniziano a scomparire. Il sonno sopraggiunge e mi addormento come una bambina tra le sue braccia.
Spazio autrice.
Non so quali sensazioni susciterà in voi questo capitolo. È un momento forte, ma che segna l'inizio di un qualcosa che avvicinerà sempre di più Marah e Kamal, nonostante tutto.
Cercherò di aggiornare presto, ma per ora non so dirvi quando. Con la scrittura ho rinunciato a fare programmi ed ho deciso di non lasciarmi prendere dall'ansia di pubblicare.
Spero che avrete pazienza: settembre è sempre un mese pienissimo.
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui 😘
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