27. Fiducia
Non fidarti di tutti.
Talete
Marah
«Tu sei una miscredente! Come osi prenderti gioco di Allah, dei Suoi Segni e del Profeta? Il Corano è un libro sacro!»
A parlare è il vecchio, tornato di nuovo a un tono severo e spietato, dopo che mi era sembrato di intravedere nei suoi modi un briciolo di benevolenza.
«Non è forse vero che nasciamo tutti musulmani?» chiedo con gli occhi rivolti verso il pavimento, ma parlando con tono fermo. «Allah non è forse Clemente e Misericordioso con quanti vogliono tornare sul suo Sentiero?» cito a memoria quanto ho letto sul libro di preghiere che mi aveva lasciato Malak.
«Se stai mentendo sarò io stesso la Mano di Allah e ti farò vedere il Fuoco dell'Inferno!» mi minaccia, ma io devo avere un altro fuoco dentro di me, perché sono già all'inferno e non ho paura: far leva sul loro Dio è l'unico modo che ho per cercare di salvare sia me che Leyla.
«Non sta mentendo.»
Questa volta è Kam a intervenire. Sollevo lo sguardo e m'incastro nelle sue iridi accese di quella luce che irradiavano pochi istanti prima, in pieno contrasto con il suo volto del tutto privo di espressioni.
Non tradisce nessuna emozione, al contrario dei suoi occhi che però, non so come, sembrano lanciare uno sguardo d'intesa che parla direttamente alla mia anima.
«Con sé aveva questo» continua porgendomi il mio libro, proprio quello di Malak.
«L'ho ritrovato in un angolo nella sala grande e sono venuto per ridarglielo», si rivolge questa volta al suo capo. «Posso darle il mio Corano e questa sera, durante la preghiera, può starmi vicino così posso tradurle alcuni versi dall'arabo all'inglese...»
Si ferma, tornando a guardarmi dall'alto al basso, per poi finire il suo discorso dicendo: «ovviamente dopo che si sarà purificata».
«No!» urla il vecchio così forte che quasi non riesco a trattenere un sobbalzo. «Tu mi servi per i preparativi alla torre antica... Portala nel casolare per questa notte. A lei ci penserà Ibrahim» conclude categorico.
Kam gli fa un cenno affermativo con la testa e solo quando l'uomo anziano si allontana, torna a squadrarmi contrariato, incrociando le braccia al petto.
Stringo tra le mani il mio libro, come se fosse la cosa più cara che avessi al mondo, ma non apro bocca finché continua a fissarmi.
«Seguimi» mi ordina, incamminandosi verso l'uscita alla fine del corridoio.
Io mi volto a guardare la stanza logora in cui sono rimasta rinchiusa negli ultimi giorni e poi a fatica lo seguo sperando che le gambe mi sorreggano.
A metà strada lui si ferma e, notando il mio passo instabile, con mia sorpresa mi porge un braccio per aiutarmi.
Dopo quanto è successo, penso sia meglio stargli alla larga, ma ho proprio bisogno di sorreggermi a qualcuno per evitare di ritrovarmi a terra per davvero questa volta.
Con titubanza allungo la mano e, non appena lo sfioro, lui si volta con uno scatto così veloce che non riesco a capire nulla. Mi appoggio con le spalle al muro per non cadere, mentre lui fa la stessa cosa con il braccio libero, imprigionandomi tra lui e la parete.
È così vicino che non ho lo spazio per muovermi; tuttavia, fa di tutto per non toccarmi. Al contrario sono io che non mollo la presa e che mi aggrappo più forte al suo braccio.
«Ascoltami bene» mi dice abbassando il viso verso di me. «Te lo dirò solo una volta: non devi fidarti di nessuno!»
La sua voce è dura, eppure mi basta guardarlo negli occhi con più attenzione per scorgere ancora quella luce che mi rassicura. Se non fosse stato per lui, sono sicura che sarei già morta.
Annuisco appena e lui continua battendo un pugno al muro vicinissimo alla mia testa: «Ho detto nessuno!»
«Ho capito» riesco a dire raschiandomi la gola secca, ma lui mi guarda ancora con astio.
Forse non mi rendo conto in che guaio sono finita. Per ora sono ancora viva, ma questi terroristi potrebbero torturarmi e uccidermi in qualsiasi momento, o vendermi ad altre bande.
«Ti stai fidando di me» continua questa volta con un tono neutro, mentre con gli occhi indica la mia mano ancora aggrappata al suo braccio. «Con nessuno intendo anche me» sussurra questa volta, avvicinandosi ancora di più.
«Non dovrei?» gli chiedo ritrovando un po' di coraggio e stringendo ancora di più il suo braccio. È il mio modo per ringraziarlo per avermi restituito il libro di Malak. Vorrei chiedergli ancora una volta di ridarmi il mio diario, ma ora capisco che se lo trovasse qualcun altro potrebbe essere troppo pericoloso per me.
Lui mi sta proteggendo; lo ha sempre fatto... Anche se ancora non so in che legami sia con Lana, perché non dovrei fidarmi di lui?
Aspetto la sua risposta guardandolo dritto negli occhi, ma non riesco a leggere i suoi pensieri.
I nostri visi sono così vicini che m'irrigidisco. Ripenso a ciò che è successo poco fa sul letto. Schiudo le labbra per incamerare più aria nei polmoni e allora i miei sensi lo percepiscono, da come lui cerca di nasconderlo, da come tiene le distanze, dal suo respiro e dal suo odore che sta lottando contro se stesso. La sua vicinanza m'inquieta, ma non mi ripugna, forse perché provo anch'io la stessa cosa. Tutto questo è folle e irrazionale, ma il mio corpo non lo respinge, al contrario lo cerca senza sosta. È questa la ragione per cui non sono mai riuscita ad allontanarlo fin dal nostro primo incontro? O sono davvero una stupida?
«Ciò che è successo al tuo amico non ti è servito da lezione?» spezza quel momento allontanandosi.
Un pugno nello stomaco mi avrebbe fatto meno male: non ho ancora dimenticato come Niklaus è stato ucciso a sangue freddo davanti ai miei occhi.
Serro le labbra cercando di trattenere un singhiozzo, ma gli faccio un cenno di risposta.
Kam ha ragione, non so cosa sto facendo e non ho il minimo senso del pericolo: se non è stupidità questa?
«Ora andiamo, ti porto da Ibrahim!»
Una volta usciti dal piccolo edificio, ci basta percorrere un cortile per ritrovarci di fronte a un casolare protetto da delle mura che solo un atleta di parkour riuscirebbe a scavalcare.
Intorno alla casa, ho notato almeno quattro o cinque uomini di guardia.
Oltre i cancelli intravedo solo campi desolati. Siamo in mezzo al nulla, eppure Lana è riuscita a scappare.
Sul davanti della casa, Ibrahim ci aspetta già sulla soglia. Gli vado incontro sperando che con lui ci sia anche Leyla, ma appena mi fa entrare, mi accorgo che siamo del tutto soli.
Mi volto alla ricerca di Kam, ma solo in quel momento mi rendo conto che si è volatizzato chissà dove.
Ibrahim mi scorta al piano di sopra, in una stanza abbastanza pulita con un piccolo bagno adiacente.
Non dice neanche una parola, ma sul suo viso non c'è più l'odio nei miei confronti che c'era qualche giorno fa. Al contrario vi leggo qualcosa di inquietante che mi mette i brividi, ma non vi faccio troppo caso: Ibrahim è sempre stato piuttosto chiuso e di poche parole anche quando ci incontravamo a New York.
Gli chiedo di Leyla, ma lui mi dice che non mi è permesso vederla. Allora gli chiedo se sa dove mi porteranno e della torre antica di cui parlava il loro capo, ma questa volta non mi risponde.
Mi lascia sola, finché le stesse donne che avevo visto nei giorni precedenti mi portano qualcosa da mangiare. Presumo siano le figlie dell'anziano capo e quindi libere di girare per casa.
Non appena mi abbandono sul letto, il dolore per la morte di Niklaus si fa più forte di ogni cosa: tutte le emozioni più amare riaffiorano e per ora non voglio pensare più a nulla, né a Lana né a cosa ci sia tra lei e Kam.
Quando il pensiero ritorna a quest'ultimo, lo ricaccio indietro emettendo un sospiro.
Questa volta però è davvero difficile non rievocare il momento in cui si è steso su di me: ancora non capisco perché lo abbia fatto, ma nonostante tutto non riesco a dubitare di lui.
Chiudo gli occhi e prego che il mio sesto senso non si sbagli.
***
L'alba arriva presto e non appena riapro gli occhi e mi guardo intorno, non riesco a credere di essere riuscita a dormire per la prima volta per così tante ore di fila.
Provo ad alzarmi e stavolta la testa non mi gira. Il mio corpo stremato aveva proprio bisogno di riposo.
Infilo i vestiti puliti che mi hanno portato e sulla sedia trovo anche un hijab.
Lo indosso come meglio posso, dato che nella stanza non c'è nemmeno uno specchio.
Non ho nient'altro con me, a parte il libro di Malak. Lo prendo e lo metto in tasca come se fosse un talismano che mi proteggerà. Quando sono pronta, provo a girare la maniglia della porta, rimanendo sorpresa quando scopro che non mi hanno chiusa a chiave.
Esco dalla stanza e mi avventuro nel corridoio.
Sono sicurissima di trovare qualcuno di guardia prima o poi, ma il silenzio è così forte, che mi dirigo sicura giù per le scale.
Delle voci mi fanno sobbalzare, ma quando mi soffermo ad ascoltare, riconosco dalle frasi ripetute come in un rituale che si tratta di preghiere.
Continuo a camminare temeraria finché mi trovo in una sala comune.
La stanza è in penombra e il pavimento ricoperto di logori tappeti attutisce ancora di più i miei passi.
Nessuno mi sente entrare, ma mi fermo quando noto alcuni uomini chinati per terra e assorti nel recitare le loro invocazioni ad Allah.
L'atmosfera è davvero surreale.
Quando gli uomini sollevano il busto, riconosco tra di loro sia Ibrahim che Kam. Quest'ultimo mi colpisce in particolar modo: non avrei mai immaginato di vederlo scalzo e inginocchiato, mentre a occhi chiusi invoca il suo Dio. È strano, ma tutto questo mi colpisce proprio in pieno petto, suscitando un'emozione inspiegabile.
Rimango a osservarlo per tutto il tempo come rapita dal suono della sua voce e dalle sue spalle che si abbassano quando si prostra in avanti.
Trattengo il respiro più che posso, anche se sono convinta che mi abbia notata anche lui nonostante la penombra.
Ne ho la conferma quando a un tratto si solleva e si gira verso di me, traducendo in inglese la parte finale della preghiera: «Il saluto e la misericordia di Dio siano su di te».
Ci fissiamo per un solo attimo e il tempo sembra fermarsi come per magia a quel momento per sempre.
Forse me lo sto solo immaginando, ma i suoi occhi sembrano malinconici ed io mi perdo del tutto in quell'attimo infinito.
Mi ha detto di non fidarmi di lui, ma io, senza nessuna ragione logica, continuo a pensare che non mi farà del male.
Si rimette le scarpe per poi venire verso di me.
Sono così soggiogata dall'aura di sacralità che ci avvolge e dal suo sguardo intenso, che non mi accorgo nemmeno di cosa ha in mano.
Solo quando avverto dolore ai polsi, capisco che me li ha legati con una corda, senza che io riuscissi a impedirglielo.
Lo guardo interrogativa, ma nei suoi occhi ora c'è solo il gelo.
Non posso fare a meno di provare una profonda delusione: pensavo che dopo ciò che mi aveva detto ieri, sarebbe cambiato qualcosa, ma al contrario, ora sembra una persona spietata.
"Non devi fidarti di nessuno!"
E pensare che mi aveva persino avvisata...
Un colpo alla porta improvviso mi fa quasi saltare per aria.
Mi giro nella direzione da cui proviene il rumore e mi ritrovo circondata da tre uomini con il volto coperto e armati di kalašnikov.
Spazio autrice
Scusatemi tanto per la lunga attesa, ma non è stato per niente facile tornare a pubblicare. In questi giorni ho riletto le bozze dei capitoli finali e nonostante mi abbiano emozionato perché non li leggevo da tempo, ci sono molte cose da sistemare per far combaciare tutto e sono un po' frustrata perché pensavo di riuscire a finire questa storia entro questa estate.
Spero nel frattempo non vi siate scocciati di aspettarmi ☹
Cosa ne pensate di questo capitolo?
Dopo qualche giorno di tranquillità, per Marah sembrava esserci uno spiraglio di luce.
E invece, no... Sembra che le cose si stiano mettendo nuovamente molto male...
Cosa succederà?
E cosa pensate di Kam? Perché si comporta in modo così ambiguo?
Grazie a tutti coloro che vorranno lasciarmi le loro ipotesi e le loro sensazioni.
A presto, con un nuovo capitolo che si preannuncia al cardiopalma 😅
D.J.
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