Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini.
Kamal
Sulle sponde del Tigri, 26 novembre 2004
Il giorno dello scambio arriva presto.
Raggiungiamo il luogo dell'appuntamento in mezzo a una pianura spoglia e desolata che costeggia le acque del fiume Tigri, poco distante dalle rovine dell'antica Ninive.
Scendo dal fuoristrada con il mitra appoggiato sul mio petto, mentre da lontano vedo arrivare un SUV nero seguito da un furgone che presumo contenga il carico di armi.
Dopo un minuto, mi accorgo che alle mie spalle sta per arrivare un altro veicolo. Degli uomini armati fino ai denti scendono dall'auto e uno di loro fa uscire dalla parte posteriore una bambina.
Cosa significa? Questo non era previsto. Non ora.
Mi volto a cercare Charlie 14 per capire se lui lo sapesse.
La bambina piange in silenzio. I suoi occhi zuppi di lacrime devono aver visto atrocità indicibili che la segneranno per tutta la vita. La guardo meglio e mi accorgo che forse non è tanto piccola come sembra: deve avere una dozzina di anni o forse anche qualcuno in più.
Serdar si lancia in avanti, ma quando intuisco ciò che sta per fare è ormai troppo tardi per fermare quel suo passo falso.
Qualcuno gli punta contro il fucile.
Capisco subito che si tratta di una trappola per mettere alla prova la nostra fedeltà al loro leader, ma Serdar non si arresta finché non raggiunge la ragazzina, che non riuscendo a credere ai propri occhi, non può far a meno di urlare: «Papà!»
È il caos.
Urla e raffiche di spari echeggiano da ogni lato.
Serdar viene ferito a una spalla. Io e Charlie 14 immobilizzati e disarmati.
Uno degli uomini di Alwasit prende la ragazzina e la riporta al sicuro, mentre i venditori di armi si danno alla fuga.
La trattativa è sfumata sotto i colpi di arma da fuoco e in pochi minuti ci caricano in macchina per tornare alla base.
Guardo Charlie 14 nella speranza di leggere nei suoi occhi un messaggio di salvezza, ma ormai sono consapevole che l'imprudenza di Serdar ci ha messo in una situazione critica.
Eppure, non ho nulla da biasimargli. Sono anch'io sconvolto: ero pronto a sporcarmi le mani con traffici di ogni genere, ma non mi aspettavo che ciò comportasse anche lo scambio di merce umana, di una bambina per giunta.
Quando torniamo alla nostra base, decidiamo di non reagire per evitare una carneficina. Siamo solo in due contro una dozzina di uomini armati.
Serdar, privo ormai di energia per la ferita riportata durante la sparatoria, viene prelevato di forza.
Sua figlia viene affidata a una donna per essere accudita.
Io e Charlie 14 veniamo rinchiusi in una stanza comune per rimanere sotto sorveglianza.
Non ci parliamo, ma le nostre occhiate sono più che eloquenti. Dopo quello che è successo è già un miracolo se siamo ancora vivi.
Cosa faranno a Serdar? Lo tortureranno per farlo parlare?
Siamo fottuti.
Dopo ore di attesa, arriva il momento in cui ci fanno uscire.
È Alwasit in persona a venirci incontro con l'espressione furente di chi non ammette il tradimento.
Ha una pistola in mano e, non appena mi vede, me la punta alla fronte.
Non batto ciglio e sostengo il suo sguardo: morire non mi fa più paura da un pezzo ormai...
Rimango freddo e impassibile anche quando Alwasit invece di usare la pistola contro di me, me la porge.
«Sarai tu a punire Serdar e in cambio sua figlia sarà libera» sputa la sua sentenza con un ghigno sadico che deturpa la sua faccia.
Ancora sangue sulle mie mani.
Afferro la pistola e con una rapida occhiata esamino lo stato del caricatore e poi, con estrema precisione, faccio arretrare il carrello quanto basta per controllare il colpo in canna.
Un solo proiettile: c'era da aspettarselo!
La risata perversa di Alwasit farebbe accapponare la pelle a chiunque, ma io non reagisco.
Mi lascio trascinare dagli sgherri che ormai ci hanno circondato, mentre nella mia mente ripercorro all'indietro tutto ciò che è successo nell'ultimo anno fino ad arrivare a quella notte in cui avevo salvato Serdar da quell'attentato.
In quel preciso momento devo aver deviato la linea del destino ed ora sono io a dover riparare gli eventi.
Un sacrificio necessario. Una vita per un'altra vita.
Salvare sua figlia è la mia ultima missione.
Quando mi trovo al cospetto di Serdar, sono ormai consapevole che non c'è via di fuga per lei se non quella dell'esecuzione che mi hanno ordinato.
Il corpo immobile di Serdar è legato a una corda che pende dal soffitto e che lo fa rimanere in piedi. La sua faccia è ricoperta di sangue, uno zigomo gonfio, un labbro spaccato, i suoi occhi spalancati.
Mi tornano in mente gli occhi dei bambini che affollavano la piazza di Arbil.
Le mie dita fredde sul detonatore.
L'esplosione che ricopre ogni cosa.
Le mie mani che ora impugnano la pistola.
Un colpo che risuona potente tra le pareti bianche.
Sangue. Sangue ovunque che imbratta di rosso i muri e cola sul pavimento.
***
Questa sera le stelle sembrano più vive che mai, come se volessero spiccare un salto per scendere sulla terra.
Quando ero bambino e ancora non conoscevo il fenomeno della rifrazione, pensavo che gli angeli si avvicinassero alla terra per darci un assaggio del Paradiso.
A volte, ancora oggi, quando mi perdo a fissare il firmamento, penso che Allah voglia ricordarmi che c'è un compenso per ognuno di noi, sia nel male che nel bene.
Oggi però, guardando negli occhi la figlia di Serdar, non so bene se per ciò che ho fatto il mio sia un castigo o una ricompensa.
Prendo la borraccia dal mio zaino e le do da bere, mentre le cerco anche qualcosa da mangiare.
«Come ti chiami?» le chiedo in arabo, mentre il suo sguardo fissa il vuoto davanti a sé.
Mi guarda confusa, ma dopo qualche secondo di incertezza, mi risponde: «Hani».
Non riesco a fermarmi e sollevo una mano per farle una carezza sui capelli, sperando che non abbia paura di me.
Mi ritraggo subito, prima ancora di averla sfiorata.
Per nascondere la mia tensione, mi sporgo a raccogliere una pervinca selvatica di un viola acceso e gliela porgo sperando che le piacciano i fiori.
«Hani...» ripeto. «Hai un bellissimo nome!»
I suoi occhi diventano due fessure e gli angoli della bocca si sollevano fino a formare un piccolo sorriso. Nonostante tutto, il suo nome sembra voler dare significato a quelle lacrime che solcano il suo viso: Hani significa "gioia".
Ho fatto di tutto per riuscire a trovarla, ma non immaginavo che sarebbe finita così.
Se avessi un cuore, si sarebbe spezzato in questo preciso momento. Ma non ce l'ho. Non più.
Sono un assassino. L'assassino di suo padre.
Spazio autrice
So che questo capitolo vi lascerà sgomenti e confusi: ci sono tanti eventi che si susseguono rapidamente senza nessuna apparente logica, ma più avanti tutto verrà spiegato meglio.
Spero comunque vi sia piaciuto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top