18. Il primo sguardo

Incontriamo a volte persone che non conosciamo affatto, ma che destano in noi subito, fin dal primo sguardo e, per così dire, di colpo, un grande interessamento, sebbene non si sia scambiata ancora una sola parola.

Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo


Palmira


Marah


I colonnati del tempio si stagliano maestosi verso il cielo terso. Con la loro imponenza, interrompono un fascio di sole che si riflette sulla pietra arenaria, creando un prisma di luce vivida.

Con una mano sulla fronte, cerco di farmi ombra: devo comprare al più presto un cappello stile Indiana Jones per non rimanere accecata dal bagliore intenso del deserto che circonda l'oasi di Palmira.

Prima di raggiungere l'area di scavo, non potevo non passare tra i resti dei santuari del sito archeologico e dalla porta pretoria. Sono così emozionata di essere di fronte all'antica Tadmor, al punto che sento il mio cuore pulsare all'impazzata fin nelle orecchie e i miei occhi riempirsi di lacrime.

Per fortuna ci sono i miei occhiali da sole a nascondere la mia commozione dal resto dello staff. Il professor Walton e Artur Fischer, il responsabile della missione, stanno dando istruzioni alla manovalanza locale che si occuperà degli scavi più pesanti in superficie. Anche Lana è con loro, intenta a studiare una planimetria dei vari lotti.

Io fingo di mettere in ordine per l'ennesima volta gli attrezzi e solo quando sono riuscita a calmare la mia emotività, mi avvicino ai colleghi che sono già al lavoro nel loro quadrato di terra, armati di picconcino, spazzole e l'immancabile trowel, la cazzuola simbolo di ogni archeologo.

Sotto la sabbia, una strada romana di epoca imperiale si è perfettamente conservata per millenni. Un tempo, qui nel deserto siriano che circonda l'esterno dell'oasi, i Romani calpestavano questo suolo.

Ogni pietra ne testimonia la loro presenza, ai tempi degli imperatori e della regina Zenobia, ben prima del passaggio delle carovane islamiche che provenivano dalla Persia.

L'area archeologica si estende per diversi ettari: oltre all'antica strada romana, sono tornati alla luce anche i resti di un edificio monumentale risalente all'età del Bronzo.

Poco più avanti ci sono operai armati di piccone che rimuovono gli strati più duri della terra. Tra di loro c'è anche Niklaus che si è tolto la maglietta per asciugarsi il sudore.

Si ferma a fare una pausa per bere dell'acqua, mettendo in mostra i suoi pettorali. Forse non dovrei fissarlo troppo per non dargli modo di pensare che potrei essere attratta da lui: non voglio complicazioni di questo genere in questo momento.

Con indifferenza ritorno a occuparmi della mia parte di scavo e a riporre con cura in un contenitore i vari frammenti riaffiorati. Sono particolarmente affascinata da alcune impronte ritrovate sulle cretule di argilla.

Alcuni cocci sono ancora integri.

Tutto questo è davvero incredibile. Ancora non riesco a capacitarmi di essere qui, a toccare con mano tutto ciò che avevo visto solo sulle pagine dei miei libri di archeologia.

Lana continua a ignorarmi, ma ogni volta che ci incontriamo, mi torna in mente quell'incontro furtivo nel giardino del museo.

Chissà chi era quell'uomo che era con lei!

Da quando ho cominciato ad avere dei sospetti su di lei, non faccio che attendere il momento opportuno per scoprire cosa sta tramando. Dove avrà nascosto quella statuetta? E da dove proveniva?

Questo tarlo mi sta rodendo il cervello. Sono combattuta, perché non so se debba dirlo a qualcuno: non voglio ripetere lo stesso errore fatale che ho fatto quando ho scoperto che Ibrahim possedeva una pistola.

A chi potrei dirlo? Niklaus sembra un ragazzo affidabile, ma lo conosco appena.

Non mi rimane che il professor Walton.

Durante una sua ispezione, gli mostro i segni che ho notato sulle ceramiche.

«Sono delle sigillature applicate sui contenitori in cui venivano trasportate le merci: queste iscrizioni cuneiformi potrebbero farci risalire alla loro provenienza» mi spiega sfiorando una mia mano mentre gli passo uno dei reperti. «Sei stata bravissima a notarlo» continua, mentre nei suoi occhi si accende l'eccitazione per questa scoperta.

Ignoro del tutto quel contatto che ci è stato tra di noi e prendo coraggio per cogliere al volo quest'occasione per chiedergli se sa qualcosa su quella statuetta.

«Professore, le vorrei parlare. Quando ha un momento per me?»

Lui mi guarda e non appena percepisce la mia tensione, il suo labbro s'inclina con fare sornione.

Spero che non immagini chissà che cosa e non abbia scambiato il mio imbarazzo per un interesse per lui, non che non sia così: è probabile che si sia accorto fin dal primo momento che ero vittima del suo fascino, come tutte le sue studentesse del resto...

«Marah, ora devo tornare al museo per un appuntamento con il direttore. Ti va di accompagnarmi? Possiamo parlare durante il tragitto...»

«Certo, vengo volentieri con lei, professore» acconsento subito, mentre riprendo le mie avvincenti ipotesi su chissà quali cospirazioni o intrighi che riguardano Lana.

E se ne approfittassi per scoprire qualcosa mentre lei è ancora qui allo scavo? Tornando in anticipo, avrò un piccolo vantaggio, prima che rientri anche lei.

Il mio entusiasmo alla Sherlock Holmes si smorza non appena noto una smorfia sul viso abbronzato del mio insegnante.

«C'è qualche problema?» mi affretto a chiedergli abbassando lo sguardo sui reperti che stavo maneggiando, temendo di aver combinato qualcosa di irreparabile.

La sua risata attira nuovamente il mio sguardo verso di lui.
«L'unico problema, Marah, è che devi smetterla una buona volta di chiamarmi professore. Chiamami Lucas!»

Rimango senza parole, mentre lui si volta facendomi cenno con la mano di seguirlo.

Mentre ci allontaniamo dall'acropoli per rientrare in città con una jeep, noto con la coda dell'occhio che Lana è rimasta a fissarci senza preoccuparsi più di tanto di non darlo a vedere. Dà un'occhiata al suo orologio e sembra sulle spine. Sarà infastidita perché il professore ha chiesto a me e non a lei di accompagnarlo dal direttore?

Poi mi dico che devo smetterla di cercare secondi fini in ogni cosa che la riguarda. È più probabile che sia seccata che debba rimanere a supervisionare gli scavi, mentre la mia presenza non è indispensabile.

Salgo in macchina per prendere posto e una cartellina poggiata sul cruscotto attira la mia attenzione: la scritta Hammurabi sul frontespizio è davvero strana. Perché proprio il nome di quel sovrano babilonese?

Non posso fare a meno di pensare al nickname di Malak: una strana coincidenza...

Il professor Walton, o meglio Lucas, segue il mio sguardo e senza dire niente, afferra la cartellina e la lancia sul sedile di dietro.

Durante il tragitto in macchina, sono tentata di fargli mille domande, ma il pensiero che lui possa essere complice di Lana mi fa desistere. Penso di dover prima cercare delle prove per accusarla, così alla fine decido di non dir nulla e di parlare con lui di questioni di lavoro.

Arriviamo al museo che è già ora di chiusura, ma l'addetto alla sicurezza ci fa entrare senza chiedere spiegazioni.

Le sale sono ormai semideserte e il rumore dei nostri passi che rimbomba nei corridoi non passa inosservato.

Seguo il mio professore in religioso silenzio finché si volta per cedermi il passo con un cenno che scambio per semplice cavalleria. Non sono abituata a simili gesti, soprattutto da parte di un mio superiore, per cui tentenno cercando di nascondere con un sorriso il mio imbarazzo.

Lui, per nulla scoraggiato, mi appoggia una mano dietro la schiena per invitarmi a precederlo, ma non appena faccio un passo in avanti, mi ferma per avvicinarsi ancora di più.

«Di cosa volevi parlarmi?» mi chiede con uno spudorato tono sensuale, fingendo che si fosse ricordato all'improvviso della mia richiesta.

Rimango a bocca aperta senza sapere cosa dire, perché temo proprio che abbia davvero equivocato tutto.

Sono così sconvolta che sono incapace di muovermi e mentre lui accorcia sempre di più le distanze tra di noi, il frastuono di una porta che sbatte in fondo al corridoio mi toglie dall'impaccio appena in tempo.

Ringrazio silenziosamente chiunque sia stato e mi allontano dal professor Walton. «Ne parliamo dopo» gli dico simulando una disinvoltura che di solito non mi appartiene, «non voglio far aspettare il direttore».

L'oltrepasso tenendomi a debita distanza e mentre proseguiamo, mi giro un attimo per guardarmi alle spalle, attirata come da una sensazione strana, come se ci fosse qualcuno nell'ombra, ma lo sguardo allusivo che mi lancia il professore me ne fa pentire all'istante, per cui continuo a camminare senza più voltarmi.

Gli uffici della direzione sono ormai vuoti, ma ci dirigiamo verso l'unica stanza da cui filtra una luce accesa.

Lucas bussa alla porta e, senza nemmeno attendere risposta, gira la maniglia per aprire l'uscio ed entrare.

Io lo seguo sentendomi sempre più in soggezione.

In fondo alla stanza c'è un'enorme scrivania di legno pregiato a cui siede un uomo vestito in giacca e cravatta. Non appena solleva lo sguardo e ci vede, sorride bonariamente e ci saluta.

«Ben arrivati!» ci accoglie facendoci accomodare.

Lui e Lucas si scambiano qualche convenevole per poi passare subito a scambiarsi informazioni sull'andamento degli scavi, menzionando anche le cretule appena rinvenute.

Io dopo qualche minuto in cui fingo di essere interessata alla loro conversazione, passo a guardarmi intorno e mi soffermo a osservare affascinata gli scaffali pieni di libri sulla parete alla mia sinistra e poi alcuni oggetti chiaramente antichi, tra cui alcune statuette.

Mi torna in mente il mio intento di scoprire qualcosa in più su ciò che potrebbe nascondere Lana, così non appena ne ho l'occasione, invento una scusa per uscire e mi dirigo negli uffici che sono stati messi a disposizione per noi membri della spedizione.

I corridoi del museo sono ormai deserti e dalle finestre filtra solo la luce del sole ormai quasi tramontato.

Stranamente l'ufficio di Lana non è chiuso a chiave. Vi entro di soppiatto senza nemmeno accendere la luce. Mi basta il chiarore naturale che filtra dall'alto di un lucernaio e nella penombra, inizio a guardarmi intorno senza sapere nemmeno che cosa cercare.

Rimango per qualche istante ferma nella speranza che qualcosa di strano attiri la mia attenzione: dove potrebbe essere nascosta quella statuetta, o qualunque cosa fosse?

All'improvviso scorgo un'ombra muoversi alle mie spalle, ma rimango ferma come se il mio corpo si fosse congelato.

Essere sorpresa in quella stanza come una ladra mi fa sentire colpevole al punto da inibire qualsiasi mia reazione.

«Malýshka, sei qui!» bisbiglia la figura che incombe dietro di me.

Quel vezzeggiativo in russo mi fa tremare dentro, pur non capendone il significato.

La voce profonda di quell'uomo mi scuote fin dentro le viscere, ma continuo a rimanere immobile, del tutto incapace di reagire.

«Ti aspettavo» continua questa volta nella mia lingua.

Deve essere la stessa persona che avevo intravisto nel giardino con Lana: l'immagine di loro, all'ombra degli alberi come due amanti clandestini, mi paralizza. Quante altre volte si sono incontrati di nascosto?

Rimango di spalle nel tentativo che quell'estraneo si tradisca e mi sveli il loro segreto. Mi sono cacciata in un bel guaio e non so proprio come farò a uscirmene, ma forse è l'unico modo per scoprire se hanno rubato uno dei reperti del museo, perché è questo che ormai sospetto.

L'uomo si avvicina circondandomi le spalle con le sue braccia e appoggiando il suo mento tra i miei capelli.

Dovrei avere l'impulso di gridare e fuggire, ma al contrario rimango inerme e in silenzio: deve avermi scambiata per Lana, non c'è altra spiegazione. Io e lei siamo così simili che non mi meraviglio di questo scambio di persona. Per questo era nervosa prima che andassi via: doveva incontrarsi con quest'uomo?

«Non ho tempo per soddisfare le tue voglie. Mi serve subito la statuetta...» mi ordina la sua voce contro il mio orecchio. Mi basterebbe girare leggermente la testa per scorgere il suo viso, ma non voglio tradirmi.

Il suo abbraccio mi avvolge. Con una mano mi stringe un fianco e con l'altra comincia ad accarezzarmi il ventre in un movimento leggero che parte dal basso fino a salire fin sotto il mio seno.

Dovrei ritrarmi dal suo tocco, ma non lo faccio.

Finché crede che sia Lana, ogni parola potrebbe essere un indizio importante. Chiudo gli occhi, vergognandomi di me stessa per essere disposta a farmi palpeggiare, pur di scoprire cosa c'è dietro questo mistero.

«Anche se... tu sei meglio di quel pezzo di terracotta, malýshka!» mi sussurra continuando a far scorrere le sue mani su di me.

Come in un flash, ricordo le dita del professor Walton che sfioravano la raffigurazione della dea Ishtar che mi aveva mostrato tempo fa: sarà la stessa statuetta?

Trattengo il respiro nonostante abbia sentito una scossa attraversami tutto il corpo. Quelle sue carezze non dovrebbero sembrarmi così dolci e piacevoli, piuttosto dovebbrero disgustarmi. Ma tutto provo in quel momento, fuorché repulsione verso di lui.

Sono ancora distratta dai miei pensieri che hanno ricollegato quella foto della statua babilonese ritrovata ad al-Hilla e la cartellina con la scritta Hammurabi del mio professore.

L'uomo a un tratto ferma la mano e lo sento irrigidirsi contro la mia schiena: Lana di sicuro non sarebbe rimasta così impassibile a quel tocco così intimo. Deve ormai aver capito che la mia reazione è troppo strana per essere normale.

Non finisco nemmeno di pensarlo, che con un movimento brusco mi fa voltare verso di sé.

Mi ritrovo schiacciata contro il suo petto marmoreo e a quel punto non riesco a fare a meno di sussultare, ma la vista del volto dello sconosciuto che prima avevo alle mie spalle, mi prende così alla sprovvista da impedirmi di trovare da qualche parte l'ultimo brandello della mia lucidità per oppormi a quell'assalto.

L'uomo mi squadra attentamente, ma per tutto il tempo rimaniamo in silenzio, incapaci di proferire una sola parola. Il lampo di sorpresa che avevo intravisto nei suoi occhi all'inizio è scomparso così velocemente al punto che ho quasi la sensazione di essermelo immaginato. Costui deve avere dei riflessi talmente fulminei che sul suo viso non intravedo più nessuna incertezza.

Ormai è più che evidente che ha capito di aver fatto uno scambio di persona.

Il suo sguardo ora è intenso. Mi studia minuziosamente senza lasciar trapelare ciò che gli passa per la testa.

«E tu che ci fai qui?» mi domanda dopo quella che mi è sembrata una scena al rallentatore, anziché qualche manciata di secondi.

Avrebbe dovuto piuttosto chiedermi chi sono e non cosa ci faccio, ma le mie labbra rimangono dischiuse di fronte a quella situazione imbarazzante. Per trattenere tutte le domande che vorrebbero uscire sotto forma di parole, mi mordo il labbro inferiore.

È passato così tanto tempo dall'ultima volta che qualcuno mi ha abbracciata e stretta a sé. Come è riuscito quest'uomo a far abbassare le mie difese? Cos'ha di diverso dagli altri?

Forse non è la prima volta che ci incontriamo. Mi sforzo di ricordare se l'abbia già visto nei giorni precedenti, ma non mi sembra.

Non mi sono nemmeno accorta che si è allontanato da me di mezzo passo. Nonostante il distacco, percepisco ancora il calore del suo corpo sul mio.

È alto e i miei occhi arrivano all'altezza delle sue clavicole. Sollevo appena la testa nel tentativo di ostentare sicurezza, ma non ho il coraggio di guardarlo negli occhi. Il mio sguardo indugia su ogni particolare del suo viso, fino a essere attirato dal contorno della parte inferiore della sua bocca.

«Ci lavoro!» rispondo meravigliandomi di me stessa: come fa la mia voce a essere così sicura quando dentro di me sto tremando? E soprattutto perché anziché allontanarmi, mi muovo fino a coprire la distanza che ci separa, come se fossimo due calamite?

«Non dovresti... essere... qui...» scandisce ogni parola ed è così vicino da percepire il suo respiro che incombe sul mio viso come un inquietante monito, eppure tra tutte le sensazioni che provo, non sento nessuna paura.

È come se qualcosa fosse scattato dentro di me, come se avessi indossato un'armatura che mi rendesse capace di fare cose che non avrei mai pensato di poter fare.

Trovo infatti il coraggio di sollevare il mio sguardo e ne approfitto per imprimere il suo volto nella mia mente: ha dei profondi occhi scuri dal taglio mediorientale, così come i lineamenti che s'intravedono sotto una folta barba e delle labbra che spiccano nonostante siano parzialmente celate dalla peluria.

La situazione è così surreale che non riesco a fermare la mia mente che partorisce strani pensieri: è di una bellezza ammaliante... La delicatezza dei suoi lineamenti è in netto contrasto con la sua espressione dura e il resto del suo corpo, che appare possente come una roccia. Persino la sua presa ferrea di poco prima non aveva niente di rude. Ma non è questo che mi lascia lì incredula: con tutto ciò che ho passato, dovrei essere terrorizzata. Al contrario, è come se mi fossi spenta o dissociata dalla realtà.

Non temo nemmeno i suoi occhi scuri e penetranti che mi fissano senza tregua. Sembra che vogliano oltrepassarmi e analizzare ogni cosa di me con la massima precisione. Per un attimo tradiscono un'emozione che non riesco a definire, ma poi tornano a essere inaccessibili, nonostante alcune rughe che si accentuano sulla sua fronte.

Sembra quasi che si stia trattenendo dal dire o fare qualcosa, ma è difficile capire cosa provi: delusione, disprezzo, rabbia, o l'esatto opposto...

La sua espressione intimidatoria mi cattura e mi destabilizza, ma non mi sento minacciata.

«La statuetta...» gli dico guardandolo con fermezza, «perché la vuoi?»

«Non dovresti essere qui» ripete con un ghigno che per la prima volta mi fa desiderare di allontanarmi da lui, «e soprattutto non dovresti immischiarti».

Mi domina con la sua altezza e con la sua sfrontatezza. Reggo il suo sguardo, cercando qualcosa da dirgli per non dargli la soddisfazione di avermi zittita, ma istintivamente mi mordo le labbra con ancora più forza per non rispondergli e sfidare la sorte.

«Sei solo una ragazzina... Torna dal tuo professore» trionfa guardandomi con astio dall'alto in basso. «Anzi no, tornatene a casa!»

Io spalanco gli occhi, ma prima ancora che possa reagire alla sua provocazione e dirgli qualcosa, lui esce dalla stanza e sparisce sbattendo la porta.




Spazio autrice

Ci siamo! Finalmente c'è stato questo primo incontro tra Marah e quest'uomo misterioso 😁

Spero di essere riuscita a trasmettervi anche solo una parte dell'emozione che ho provato nello scrivere quest'ultima parte. Ditemi le vostre impressioni, ipotesi e qualsiasi cosa pensiate... 😉

Spero che abbiate colto tutti gli indizi disseminati qua e là: ogni cosa è importante per arrivare a comprendere gli enigmi che coinvolgono tutti i personaggi che ruotano intorno a Marah!

Come sempre, se volete scoprire i prestavolto dei miei protagonisti, potete andare sulla mia pagina Instagram @dany_joy_writer o su TikTok @dany_joy

Inoltre, vorrei ringraziare Amaranthinefp per il suo aiuto nel descrivere la prima parte relativa agli scavi archeologici: se ho scritto qualche castroneria, segnalamela pure 😅😘

A presto ❤

D.J.

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