16. Damasco
La prima notte o purificazione è amara e terribile per i sensi...
La seconda non ha confronto, perché è orrenda e spaventosa per lo spirito.
San Giovanni della Croce, Notte Oscura
Marah
Non vedevo l'ora che arrivasse questo momento ed ora, finalmente, dopo due mesi dal mio ultimo esame di archeologia, sono qui, a oltre cinquemila miglia lontana da casa.
Nonostante sia così stanca e assonnata per non aver chiuso occhio per più di venti ore, il pensiero di essere arrivata in Siria riesce a farmi dimenticare la fatica del viaggio e la calura che mi ha accolta appena messo piede fuori dall'aereo.
Sono così felice che tutto ciò non mi sembra ancora reale!
Persino la ripida rampa di scale che mi si para davanti non riesce a scalfire la mia forza d'animo e la mia eccitazione per essere finalmente arrivata.
Trascino senza lamentarmi il mio trolley da viaggio su per la gradinata che porta ai piani superiori della palazzina dove alloggerò. Starò con i membri della spedizione archeologica e ancora non riesco a credere che tutta la mia roba sia riuscita a entrare nel mio piccolo bagaglio a mano. Ringrazio il cielo per essere riuscita a chiuderlo senza dover ricorrere all'uso di arti marziali.
La dottoressa Svetlana Marchenko non mi ha degnata di uno sguardo per tutto il viaggio, al contrario di Lucas Walton, che da quando ha abbandonato il suo ruolo di professore per prendere i panni di archeologo, ha mostrato il suo vero carattere: oltre alla sua grandissima conoscenza per le antiche civiltà del vicino oriente, ha una personalità molto vivace e uno spiccato senso dell'ironia.
Più che una vera e propria missione, mi sembra quasi di essere in una gita scolastica.
Lo cerco con gli occhi per mostrargli ancora una volta tutta la mia gratitudine e lui ricambia facendomi un occhiolino.
Distolgo lo sguardo nella speranza che non si accorga del rossore che ha scatenato sulle mie guance e mi avvio per le scale sollevando di peso il trolley come se volessi percorrere una corsa a ostacoli.
Oltre ad altri archeologi, fanno parte della squadra anche diversi specialisti internazionali, tra cui restauratori, geofisici, informatici e studenti provenienti da ogni parte del mondo.
Per qualche giorno rimarremo qui a Damasco, per prepararci in seguito a raggiungere gli scavi in pieno deserto, dove un tempo monumentali palazzi reali sorgevano tra le vie carovaniere provenienti dall'Oriente.
Questo vecchio palazzo in cui alloggeremo, invece, non ha nulla di reale e forse non è mai stato ristrutturato da almeno un secolo. Eppure, sono così elettrizzata che non vorrei più svegliarmi da questo sogno!
Beh, non appena realizzo che non c'è l'ascensore e dovrò portare il mio bagaglio per altre tre rampe di scale, mi ridesto da tutte le mie fantasticherie a occhi aperti. Merda...
«Scheiße!»
Penso che qualcuno abbia appena letto nei miei pensieri e invece è solo la voce di un collega di Berlino, con ai suoi piedi due zaini che strabordano per quanto sono pieni. Porta con sé anche un pc portatile e varie attrezzature.
Sollevo lo sguardo e mi scontro con due occhi color acquamarina che illuminano il volto di un ragazzo biondo dai tratti somatici germanici.
Lo osservo per qualche secondo di troppo e non posso fare a meno di ridere quando mi guarda a sua volta, finché decidiamo di presentarci.
«Io sono Niklaus Opfern» mi annuncia mentre mi tende una mano che con prontezza stringo nella mia.
«Io mi chiamo Marah Brody» gli dico senza pensarci. Forse avrei dovuto rispondergli in tedesco, ma la conversazione finisce lì, poiché nel frattempo veniamo raggiunti da altri ragazzi.
Alcuni già li ho conosciuti durante il viaggio dall'aeroporto fino a qui. Ci presentiamo tutti e ci scambiamo sorrisi di circostanza: anch'io in realtà non ho molta voglia di socializzare e poi sono davvero stanca per il lungo viaggio.
A farci strada fino alle nostre camere è Raya, una signora robusta di mezza età, con un velo variopinto che le copre il capo e i capelli.
Parla poco l'inglese, ma conosco già un po' la lingua araba che ho studiato negli ultimi mesi e quindi non facciamo troppa fatica a capirci.
La dottoressa Marchenko ha la camera vicino alla mia, ma senza dire una parola si chiude la porta alle spalle con un tonfo.
Sospiro, non riuscendo a capire perché non si sforzi per niente di nascondere la sua antipatia nei miei confronti.
Cosa le ho fatto?
Mi barrico anch'io nella mia stanza cercando di non farci caso. Dopotutto non staremo qui per troppo tempo.
La camera è piuttosto piccola, ma accogliente e luminosa. La luce filtra attraverso una finestra ad arco, che si affaccia su un piccolo patio, tipico dei palazzi in stile orientale.
C'è anche un piccolo bagno con una vasca e la cosa mi dà un immenso piacere: la prima cosa che ho intenzione di fare dopo cena è proprio un rigenerante bagno che allontani tutto lo stress accumulato.
Il tempo di cambiarmi ed è già ora di scendere per raggiungere il resto della compagnia: ci sarà un incontro formale con tutti per festeggiare l'inizio della missione.
Sono emozionata dall'atmosfera della serata e ancora di più mi sento orgogliosa e felice di far parte di tutto questo, non appena ci viene annunciato che tra un paio di giorni raggiungeremo lo scavo vicino l'oasi di Palmira.
Non vedo l'ora di partire e di vivere questa bellissima esperienza, ma altrettanto faticosa e impegnativa.
Il professor Walton mi chiama a sé per presentarmi il suo collega dell'università di Berlino, il professor Artur Fischer e altri archeologi di cui riconosco qualche nome la cui fama li precede.
A fine serata mi sento davvero frastornata da tutte quelle persone, dal cibo e da quella nuova avvincente realtà, che mi rifugio nella mia stanza per cercare di fermare tutte le emozioni che mi avvincono e mi fanno sentire un po' spaesata.
Con un bagno e una bella dormita domani andrà di sicuro molto meglio.
Apro il rubinetto per riempire la piccola vasca, ma dopo qualche schizzo e degli strani gorgoglii che arrivano dalle tubature, mi accorgo con un'amara sorpresa che non c'è acqua.
Dopo diversi tentativi, mi arrendo e mi butto sul letto del tutto avvilita, sperando che tutto questo non sia di cattivo auspicio.
Come se non bastasse, un grido proveniente dall'altra parte della parete mi fa sobbalzare.
Che succede? Lana non si sente bene?
Sto per precipitarmi nella sua stanza per soccorrerla, quando mi accorgo che le sue urla sono più che altro gemiti di piacere e incitazioni inequivocabili, accompagnati da tonfi ritmati e molle del letto che cigolano.
Dopo diversi minuti, ai suoi mugolii, si aggiungono un ansimare maschile e un ultimo grugnito di apprezzamento che decretano la fine di questo imbarazzantissimo – per me – momento.
Non ci credo: Lana ha appena consumato un amplesso per nulla discreto proprio oltre il muro che divide la sua camera dalla mia.
Certo, non sono fatti miei e non dovrei essere turbata più di tanto... Ognuno è libero di fare quello che vuole, ma la curiosità è troppo forte: chi sarà mai il fortunato?
***
Quando si fa mattina, dopo aver dormito sì e no due ore, vado a cercare la signora Raya per dirle che il bagno non funziona.
A fatica provo a parlarle nella sua lingua e con altrettanta fatica riesco a capire che chiamerà un idraulico.
Ho però davvero bisogno di farmi una doccia, ma Raya alza le mani e gesticola per farmi capire che non sa proprio come risolvere il problema.
In quel momento Niklaus, il ragazzo tedesco con cui ho fatto conoscenza ieri, scende dalle scale e si ferma a parlare con la donna.
Si esprime in arabo così velocemente che non riesco a capire nulla, ma alla fine Niklaus si rivolge verso di me con un'occhiata d'intesa: «Se vuoi, puoi usare il mio bagno finché il tuo non sarà riparato. Che ne dici?»
«Ti ringrazio, ma non voglio essere di disturbo...» cerco di rifiutare, ma Niklaus insiste: «Tranquilla... stamattina mi sono alzato presto e stavo per uscire, per cui non farti nessun problema a usare la mia stanza».
«Oh, davvero? Non sai quanto mi stai risollevando l'umore... Grazie!» gli rispondo mentre mi invita con la mano a seguirlo e ignoro la signora Raya che continua a parlottare tra sé e sé, forse scandalizzata dalla promiscuità di noi occidentali.
Niklaus sembra avere qualche anno in più di me e parla un inglese con un forte accento tedesco, oltre a conoscere benissimo l'arabo: lui è già alla terza missione cui partecipa in Siria, mi spiega mentre saliamo insieme le scale per arrivare al suo appartamento, dopo essere passati a prendere le mie cose dalla mia stanza.
Due donne siriane si apprestano a uscire con i loro hijab che coprono le loro fronti e i capelli, ma non il loro fascino.
Io le trovo infatti di una bellezza unica: i loro occhi scuri emanano un non so che di misterioso, nonostante abbiano abbassato i loro sguardi quando Niklaus si è fermato con galanteria per farle passare.
Mi torna in mente la mia amica Leyla e un lampo di tristezza mi riconduce a diversi mesi fa.
«Non mi hai detto da dove vieni.»
La voce di Niklaus mi fa sussultare. Torno alla realtà e mi accorgo che il ragazzo biondo mi scruta attraverso i suoi occhi chiari come se avesse visto passare attraverso il mio viso quei tristi ricordi.
«Da New York» gli sorrido e anche lui mi ricambia per la prima volta, mentre penso "wow".
Sulla sua guancia sinistra si è formata una fossetta che rimango a fissare per tutto il tempo, mentre lui si gira mostrandomi il suo profilo per inserire la chiave nella serratura della sua stanza.
È un ragazzo molto carino, dall'atteggiamento riservato, oserei dire un po' tenebroso, ma il suo sorriso aperto mi fa pensare che sia un bravo ragazzo, uno di quelli di cui non avere sospetti.
Faccio fatica a trattenere i miei ricordi; non posso fare a meno di pensare a Malak, ma ora ho maturato dentro di me la consapevolezza di quanto sia stata ingenua lo scorso inverno.
Fidarsi di uno sconosciuto e non denunciare subito Ibrahim alla polizia sono state una grave negligenza da parte mia. A pagarne le conseguenze è stata soprattutto Leyla ed è la cosa che non riesco ancora a perdonarmi e per cui ogni giorno prego affinché sia ancora viva e venga ritrovata.
Niklaus mi guarda perplesso mentre sono ancora ferma davanti alla porta.
Forse ho fatto male ad accettare l'invito in camera sua: spero che non si faccia strane idee.
Ormai però è troppo tardi per rifiutare, così, per non sembrare scortese, entro e lui mi mostra il bagno.
«Io scappo a fare una commissione, ma puoi rimanere quanto tempo vuoi. Quando hai finito, lascia la chiave a Raya» mi dice uscendo, come se avesse intuito il mio imbarazzo di qualche momento prima.
Gli sorrido per mostrargli tutta la mia gratitudine, mentre lui è già fuori dalla soglia.
Lo seguo con lo sguardo finché sparisce dalla mia visuale: Nicklaus sembra davvero molto gentile, forse fin troppo formale. Sarà il modo di fare dei tedeschi, freddi e di poche parole, ma non voglio comunque giudicarlo senza prima conoscerlo.
Nella sua stanza, al contrario della mia, è già tutto in ordine. I vestini piegati su una sedia e il pc poggiato sulla piccola scrivania accanto alla parete.
In un angolo noto anche una vecchia tv col tubo catodico.
La accendo per farmi compagnia senza neanche guardare su che canale sia sintonizzata e un secondo dopo sono già in bagno. Apro il rubinetto per controllare la temperatura dell'acqua e la lascio scorrere mentre mi spoglio velocemente per gettarmi sotto quel getto ristoratore.
Vorrei rimanere qui a corroborarmi a lungo, ma non voglio abusare della gentilezza del mio nuovo amico.
Nuovo amico.
Queste due parole fanno ronzare nella mia testa strani pensieri: dopo tutto quello che mi è successo, dovrei avere paura, ma non è così.
In questi mesi, grazie alla mia fede, sono cambiata moltissimo. Ho sofferto, ma nulla è andato perduto: ho imparato a perdonare, ad avere più fiducia in me stessa e a donarmi senza egoismo.
Sono diventata una persona migliore.
Magari non dovrei fidarmi del primo uomo o ragazzo che si mostra gentile con me, ma non devo nemmeno pensare che ci siano pericoli ovunque. Ormai mi sono lasciata da diversi mesi il passato alle spalle.
Se continuo a tenere chiuso il mio cuore, non ci sarà mai spazio per far entrare tutte le cose belle che la vita ha in serbo per me. Non sono più quella ragazza triste e chiusa in se stessa di qualche mese fa.
Sono di nuovo io: forse non spensierata come quando ero bambina, ma la stessa ragazza ottimista che ero una volta, che non si lascia più scalfire dal dolore.
La mia notte oscura sembra ormai un lontano ricordo.
Esco dal bagno con indosso il mio accappatoio per prendere l'asciugacapelli, ma quando i miei occhi si soffermano sullo schermo della tv, rimango pietrificata e incredula.
Ibrahim.
Forse ho pensato troppo presto che la vita abbia in serbo per me cose belle.
Quando pensi di aver superato la prima notte oscura, è allora che arriva la seconda, ancor più terribile della prima.
La foto di Ibrahim compare durante il notiziario locale: non comprendo quello che dicono, se sia stato trovato o se abbiano diramato un'allerta.
Devo capire che cosa è successo, ma ho lasciato il cellulare nella mia camera. Esco di corsa dalla stanza di Niklaus senza curarmi di avere indosso solo l'accappatoio, ma mi scontro con Lana che, nonostante sia l'ultima persona che possa giudicarmi dopo ciò che ho sentito stanotte, mi squadra dalla testa ai piedi, notando la mia mise en déshabillé in una camera che non è la mia.
Oh, al diavolo! Pensasse quel che vuole...
Se Ibrahim è ancora vivo, forse lo è anche Leyla!
Spazio autrice
In questo capitolo conosciamo Niklaus: cosa ne pensate di lui? 😀
Per il suo prestavolto e il suo personaggio, mi sono ispirata a Joseph Morgan.
Dal nome, sono sicura che avrete già intuito di chi si tratta... e no, non è un Originale... e soprattutto spero che non lo state già shippando con Marah 😂😂😂
Fatemi sapere le vostre ipotesi.
Un bacio e a presto 😘
D.J.
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