14. Addio
Gli addii sono solo per coloro che amano con gli occhi. Per chi ama con il cuore e con l'anima, non esiste separazione.
Jalāl al-Dīn Rūmī
Marah
I battiti del mio cuore sembrano voler imitare i colpi ritmati che giungono dal cellulare che stringo in mano.
I secondi si dilatano all'infinito, finché un silenzio improvviso interrompe quel ronzio fastidioso che sentivo fino a un attimo prima. Forse il mio cuore ha smesso di battere, o forse... no, non è il mio cuore, ma qualcuno dall'altra parte ha aperto la comunicazione.
Sento le palpitazioni accelerare fino a risalirmi in gola, ma nessuna voce interrompe quel silenzio frustrante scandito da brevi interferenze.
Forse è caduta la linea, o forse Malak si trova in qualche posto sperduto dove non c'è campo.
"Ma dove diavolo si è nascosto?" penso, mentre premo più forte il telefono verso il mio orecchio nel vano tentativo di percepirne meglio le vibrazioni acustiche.
Respiro così forte al punto che sento l'eco del mio fiato rimbombare nel cellulare.
Dovrei dire qualcosa, ma le mie labbra non si muovono. Sto decisamente facendo la figura di una ragazzina patetica e insicura che non ha fatto altro per tutto il tempo che assillarlo con messaggi altrettanto patetici e che ora non sa cosa dire a sua discolpa.
Quando tra un fruscio e l'altro riesco a udire una voce maschile lontana e indecifrabile, il suono della sirena di un camion dei pompieri, che proprio in quel momento passa per strada, copre qualsiasi parola.
«Malak?» mi sfugge il suo nome come un sussurro che non sono nemmeno sicura di aver pronunciato. Forse l'ho solo pensato.
Dall'altra parte continuano a esserci interferenze o frasi mozzate di cui purtroppo non afferro il senso.
Mi ritorna l'eco della sirena che ora risuona in lontananza.
Aspetta! E se Malak fosse vicino? Forse non era un'eco... forse Malak è qui da qualche parte che mi osserva...
In un attimo scruto i volti di ogni passante alla ricerca di qualcuno che potrebbe essere lui.
Il batticuore non mi sta facendo capire più niente.
La pioggia continua a cadere copiosa sull'asfalto e un brivido di freddo mi pervade.
«Marah, stai bene?»
Sobbalzo nel sentirmi chiamare da qualcuno che è proprio dietro di me e il cellulare mi scivola dalle dita finendo dritto in una pozzanghera.
"No, no, no..." impreco nella mia mente. Mi chino in fretta a raccoglierlo nella speranza di salvare l'irreparabile, ignorando del tutto la figura che incombe dalle mie spalle.
«Oddio, Marah, scusami! Non volevo spaventarti!» sento ancora dietro di me.
Guardo il mio telefono tra le mani, senza nemmeno accertarmi se abbia ormai smesso di funzionare. Sono come in trance e devo fare un grandissimo sforzo per ritornare alla percezione di quella che è la realtà circostante.
«Sono davvero desolato».
Mi volto finalmente verso quell'uomo che ho ormai riconosciuto e che nel frattempo mi copre con il suo ombrello.
«Direi che adesso siamo pari, professore! Prima il suo portatile, ora il mio telefono!» gli dico cercando di smascherare la mia profonda irritazione, dopo aver perso l'occasione di parlare con Malak.
Ma in fondo, dovrei essergli riconoscente per avermi salvata da quella situazione.
«Non vorrai mica ammalarti stando sotto quest'acquazzone?» continua lui senza badare alla mia bizzarra risposta.
Do un'ultima occhiata ai passanti che affollano il piazzale dell'università, pensando ancora di scorgere Malak da qualche parte, ma poi mi riscuoto e mi volto verso il professor Walton che con il suo solito sorriso sfacciato, mi stringe per avvicinarmi a sé e fare in modo che il suo ombrello ci ripari entrambi dalla pioggia.
«Sicura di stare bene?» mi ripete osando posare una mano sulla mia spalla. Mi scruta negli occhi che invano cercano di nascondere il mio reale stato d'animo.
È già la seconda volta che mi sorprende in questo modo: la prima è stata subito dopo aver visto Malak nel parco e adesso dopo avergli telefonato.
Una strana coincidenza che mi fa venire un bizzarro sospetto in testa. Senza farmene accorgere scruto il suo volto alla ricerca di una fossetta sul mento che però non c'è... No, non può essere lui Malak e mi do della stupida solo per averlo pensato, eppure questo suo ulteriore agguato mi fa pensare alla mia costante percezione di essere seguita.
Ma che motivo avrebbe?
«Tutto bene, professore... ehm, grazie» balbetto senza riuscire a mettere insieme due parole di senso compiuto. Sono ancora troppo scossa perché ho appena realizzato che Malak per tutto questo tempo avrà di sicuro letto tutti i miei messaggi, o meglio sproloqui.
Come mi è saltato in mente di confidargli ogni cosa, ogni mia emozione, ogni mio segreto, ogni mio desiderio nascosto?
Complimenti, Marah, chissà cosa penserà di te!
«Sta diluviando! Sarà meglio andare... Ti va un caffè o qualsiasi cosa per festeggiare il tuo esame?» mi chiede il professore con un tono del tutto diverso da quello freddo e distaccato che aveva usato poche ore prima durante l'esame e sotto gli occhi attenti della sua assistente.
«Io... ehm, grazie, ma... non vorrei essere di disturbo. Sto bene, sul serio!» balbetto ancora nel vano tentativo di sfuggire a quella situazione troppo imbarazzante per me.
«Ma non dire sciocchezze! Basta formalismi: ormai sei entrata a far parte del mio team e devi abituarti all'idea. Tra qualche mese lavoreremo insieme in Siria e non devi assolutamente crearti problemi» mi dice mentre realizzo di essermi fatta trascinare nel bar dall'altra parte della strada.
«Scommetto che sei più per una cioccolata calda!» afferma convinto, mentre mi tiene la porta invitandomi a entrare e osservando la mia espressione mentre il profumo invitante della bevanda invade le mie narici.
Mi lascio andare con un sospiro e affrettando il passo, entro nella piccola caffetteria per ripararmi dalla pioggia.
Con una breve occhiata, ispeziono l'ambiente caldo e accogliente di quel piccolo bar a quell'ora deserto perché le lezioni non sono ancora finite. Malgrado ciò, non mi sento del tutto protetta e al sicuro: quella sensazione di incessante paura che possa succedere qualcosa in qualsiasi momento non mi ha mai abbandonata dal giorno dell'attentato.
Cerco di sfuggire da quei pensieri sinistri e nell'attesa che arrivino le nostre ordinazioni, seguo il professor Walton che mi fa strada in un angolo lontano dalla porta, dove gli spifferi di vento e gelo non possono raggiungerci. Ci accomodiamo a un tavolino, liberandoci delle nostre giacche fradice di pioggia.
Il professore non ha smesso un solo attimo di osservarmi con uno sguardo intenerito: se non fosse stato così giovane, avrei osato dire quasi paterno e rassicurante.
Ho ancora il cuore a mille per la telefonata di poco prima e non mi sento per nulla a mio agio.
Ho studiato tantissimo negli ultimi mesi per recuperare e il mio esame è andato bene, eppure le mie insicurezze latenti riaffiorano tutte, ora che sono qui davanti al mio insegnante e il mio mentore.
Quel momento imbarazzante viene interrotto dall'arrivo della cameriera che poggia sul tavolo la mia cioccolata fumante e il caffè espresso per il mio professore.
Appoggio le mie dita tremanti ai lati della tazza per riscaldarmi, poi con un colpo di tosse mi schiarisco la voce e alzo lo sguardo.
Due occhi verde scuro sono già lì intenti a esaminare ogni mio più piccolo gesto nel tentativo di leggere il tumulto che cerco di dissimulare senza successo: il loro riflesso oggi è più castano del solito per via del tempaccio che fuori sconvolge la grigia e fredda New York. Il marrone che riempie il centro delle iridi si mescola con sfumature di colore che ricordano i campi maturi di grano e le verdi praterie nordamericane.
La tentazione di abbassare gli occhi per sfuggire al suo sguardo così persistente e profondo è troppo forte. Bevo un sorso della mia cioccolata calda sperando che sciolga il groviglio che serra la mia gola.
Facendomi coraggio, decido di interrompere quel silenzio troppo pesante.
«Io... ecco, la ringrazio per l'opportunità che mi sta offrendo, ma non sono ancora sicura di essere la candidata più adatta per un'esperienza del genere. Sa, è un momento difficile... per me» mormoro per poi vacillare sulle ultime parole.
Ma perché mai sto mostrando le mie debolezze proprio ora? Al contrario dovrei mostrarmi entusiasta di essere nella squadra che prenderà parte a uno dei progetti archeologi più importanti a livello internazionale.
Sono una stupida ragazzina: ho accettato poco fa la sua proposta e già cerco di tirarmi indietro.
Con una mano il professor Walton mi fa cenno di non proseguire, ma il suo sorriso incoraggiante mi rincuora.
«Sei una ragazza giovane e sensibile... Avere delle paure è normale, ma credimi, il tuo valore non cambia. Nel mio team ho bisogno di persone appassionate della materia come te, che amano spasmodicamente quello che fanno e che ci mettono il cuore oltre alla testa. Tu sei la persona giusta e... so che è un brutto periodo...» s'interrompe per qualche secondo come a non voler toccare un tasto dolente. Oltre all'attentato, ciò che è successo a mia madre è noto a tutti e non c'è bisogno di aggiungere nulla.
«Insomma, sono certo che darai un importante contributo a questa missione. Ti faccio vedere una cosa...» continua a parlarmi mentre poggia un attimo la sua mano sulla mia, con un gesto naturale che sa di stima e d'incoraggiamento. Poi si china a prendere una cartellina rossa dalla sua borsa.
Apre sul tavolo un fascicolo per mostrarmi le foto di alcuni reperti rinvenuti in un recente scavo nel quartiere sud-ovest di Palmira.
I miei occhi s'illuminano e in un attimo tutte le mie insicurezze di poco prima svaniscono.
Voglio davvero perdermi quest'occasione? Quando mi ricapiterà più nella vita?
Sollevo appena lo sguardo, come rapita, ricordando con un leggero rimpianto le bellissime lezioni con cui il professor Walton ci ha deliziato durante l'anno.
Lo ascolto mentre s'infervora nel parlarmi delle scoperte dei suoi colleghi dell'Università di Berlino e di alcuni archeologi di fama mondiale che non vede l'ora di conoscere in campo.
Potrò davvero vedere da vicino le rovine di Tadmor, capitale dell'antico regno di Palmira?
Nella mia mente sono già lì, tra quelle testimonianze degli imperi che si sono alternati e a volte scontrati pur di dominare le rotte commerciali che univano oriente e occidente.
Le colonne corinzie del tempio di Baal, l'arco trionfale di Settimio Severo e il teatro romano spiccano dalle foto contenute nel dossier che il professore mi mostra senza celare la sua esaltazione.
«Guarda questa raffigurazione di Ishtar!» ammicca per riportare il mio sguardo sull'oggetto di suo interesse.
Arrossisco nel vedere l'indice del professor Walton poggiato sui seni nudi e sinuosi dell'antica divinità.
Il suo ardore trabocca da ogni più piccola espressione del suo viso, come se stesse parlando di una donna in carne e ossa.
Osservo paonazza i suoi lineamenti, la barba appena cresciuta che incornicia il suo volto; le labbra che si muovono mentre espone le tesi degli studiosi, con l'angolo sinistro sempre sollevato in maniera impertinente a formare un sorriso sbilenco che nasconde qualcosa di buono e genuino.
Mentre ripone la cartellina, una foto fuoriesce dal fascicolo finendo sul pavimento. Mi chino a raccoglierla e prima di restituirla al professore, la osservo con attenzione: è l'immagine di una statuetta di Ishtar, simile a quella che mi ha mostrato prima il mio professore, ma proveniente da uno scavo nei pressi di al-Hilla, dove un tempo sorgeva l'antica Babilonia.
«Posso tenerla?» gli chiedo senza nemmeno capirne il perché.
Il professor Walton sobbalza non appena riconosce la foto, per poi tornare alla sua solita espressione gioviale non appena lo guardo di nuovo negli occhi.
«Deve essere finita lì per sbaglio» farfuglia, ma poi si riprende subito. «Ma sì, puoi tenerla, se ti piace!» mi dice con il suo affascinante sorriso.
Avevo tanti dubbi su di lui, soprattutto all'inizio quando credevo fosse interessato solo a ottenere sovvenzionamenti per il progetto.
Forse questa è la mia occasione per ricominciare, per lasciarmi alle spalle il destino avverso e riscattarmi da tutto il dolore che la vita mi ha inferto fino a ieri.
Devo credere che d'ora in avanti andrà tutto bene...
Senza rendermene conto, sorrido anch'io. Era da tanto che non lo facevo.
***
Quando ritorno a casa, ho il cuore più leggero per aver superato l'esame e ricolmo di speranza per il futuro che mi aspetta.
Quasi non mi accorgo di un vaso di viole poggiate sul pavimento del pianerottolo.
Strano... non le avevo mai viste prima...
Forse le ha messe la mia vicina di casa... o forse...
In un lampo collego quei fiori al mio nickname Violet e alla violetta essiccata che ho trovato nel libro di Malak.
Sembra ieri quando io e lui passavamo ore a scriverci in chat come se ci conoscessimo da sempre. Mi sono fidata di un estraneo e solo ora mi rendo conto della mia pazzia.
Mi avvicino di più ai fiori per scorgervi un biglietto o una prova che sia stato proprio lui: c'è solo il logo di un negozio che spedisce fiori a domicilio.
È stato Malak, lo so per certo ormai, ma lascio lì i fiori e mi rintano di corsa dentro casa.
Per lo meno questa volta non ha osato entrare dalla finestra, ma si è limitato a ordinare dei fiori on-line.
Quindi, non è stato lui in persona a portarli qui? E perché sono delusa?
Chiudo la porta a chiave e prendo un forte respiro per calmarmi e scrollarmi di dosso quella strana eccitazione che urta contro la sensazione opposta di panico.
Appoggio le chiavi e i libri sul mobile davanti all'ingresso, poi mi tolgo le scarpe e il cappotto ancora umido di pioggia. Qualcosa di pesante nella mia tasca attira la mia attenzione: è il cellulare usa e getta che questa mattina è caduto nella pozzanghera.
Ancora Malak... sempre Malak...
Premo sul pulsante di accensione, ma niente: nessun segno di vita.
Certo, ora come farò a scrivergli "grazie dei fiori"?
Scuoto la testa, ma non riesco a impedirmi di andare nella mia stanza in cerca del mio caricabatteria. La camera ha bisogno di una ripulita e di una sistemata: ci sono libri e appunti ovunque.
Stacco tutti i Post-it disseminati su ogni anta, specchio e persino sulla spalliera del mio letto. Dovrebbero fare un monumento a chi ha inventato questi foglietti adesivi che sono la mia salvezza durante lo studio forsennato e che danno anche un tocco di colore alle giornate passate chiuse a ripetere fino allo sfinimento.
Ma cosa stavo cercando?
Il mio sguardo si poggia sul libricino appoggiato sul comodino. Mi blocco un attimo per poi sprofondare sul letto: riuscirò mai a togliermi dalla testa quel pensiero fisso che non accenna a voler andar via?
Non c'è bisogno che lo apra per ricordarmi di quelle parole scritte sulla prima pagina:
Addio Marah!
Il mio compito è finito.
Non smettere mai di pregare e ricordati che non sei mai sola!
Cosa mi stava dicendo al telefono? Era proprio lui?
E quei fiori? Che senso avevano se non ha mai risposto a miei messaggi?
Le violette sono il simbolo della mia estrema ingenuità: è più probabile che stia solo prendendomi in giro per aver pensato a lui per tutto questo tempo... E pensare che gli ho persino scritto che mi mancava!
Prendo il mio cuscino per abbracciarlo in cerca di sostegno e ciò che cercavo è lì. Afferro il caricabatteria come una furia e lo attacco al mio telefono: un piccolo oggetto che mi ha tenuta legata a lui per tutti questi mesi.
Cerco di accenderlo, ma ormai sembra definitivamente morto. Mentre un'ultima lacrima scende sulla mia guancia, lo scaravento contro il muro facendo cadere con un tonfo una delle mie foto appese alla parete.
Sembra come se una parte del mio cuore in frantumi si sia staccata per davvero.
Asciugo il mio viso con il dorso della mano e mi aggrappo con tutte le forze a ciò che mi resta.
Non permetterò più a nessuno di prendersi gioco di me.
Addio Malak! Non ho bisogno di te: il destino ha deciso per noi...
Spazio autrice
https://youtu.be/wVyggTKDcOE
Colonna sonora di questo capitolo che finisce con un addio: ma sarà davvero così? 😉
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Grazie a tutti ❤
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