11. Un nuovo inizio
Io ti conoscevo per sentito dire,
ma ora i miei occhi ti hanno veduto.
Giobbe 42, 5
Marah
Natale è arrivato: nonostante l'insistenza di mio padre di rimanere da lui a Trenton in New Jersey anche dopo le vacanze festive, sto rientrando a New York in treno per essere a casa prima che si faccia troppo tardi.
Il viaggio procede in maniera tranquilla e senza intoppi. Non riesco a staccare gli occhi dal finestrino, mentre scorrono le luci delle strade e dei paesini lontani che compongono il paesaggio circostante la ferrovia. Nonostante l'imbrunire, riesco ancora a scorgere bene ogni particolare delle colline spruzzate qua e là di bianco.
Viaggiare in treno mi è sempre piaciuto: è come se il tempo si fermasse, nonostante tutto intorno sfreccia via veloce.
Mi godo nuovamente la solitudine e, tornare in un luogo più familiare e alla vita che mi aspetta, nonostante tutto quello che è successo, non mi spaventa.
Stare con mio padre e la sua nuova moglie in questi giorni è stato come stare con degli estranei: nonostante siano le persone più vicine a una "famiglia" che mi siano rimaste, io e mio padre non riusciremo mai a recuperare il nostro rapporto. Dopo il divorzio da mia madre, si è rifatto la sua vita in un'altra città ed ora è troppo preso dalla sua carriera di docente universitario alla Princeton.
Rischierei di rimanere schiacciata dalla sua presenza severa e autoritaria che, per rispettare la tradizione di famiglia, mi vorrebbe insegnante di storia come lui e mio nonno.
Mio padre non mi ha mai incoraggiata a scegliere la mia strada, non è mai stato affettuoso come lo era mio nonno.
Non voglio essere un peso per lui, come quando ero piccola e mi sentivo uno sbaglio, una figlia nata da un matrimonio naufragato, cosa che invece non è mai successa con mia madre.
Solo quando lei ha avuto quel maledetto ictus, mio padre è diventato un po' più presente, quasi apprensivo ed ora, lo è diventato ancora di più.
Non posso credere che mi abbia persino quasi obbligato ad andare in terapia da una psicologa, pensando che avessi bisogno di aiuto per superare il trauma dell'attentato e della morte di mia madre.
Le sue parole mi risuonano ancora in testa: quando mi ha detto che vorrebbe addirittura che lasciassi la Columbia University per farmi iscrivere a uno dei corsi della Princeton pur di tenermi vicina, stavo quasi per urlargli di lasciarmi in pace.
In questi giorni mi è stato sempre addosso. Gli voglio bene, è pur sempre mio padre, ma non vedevo l'ora di tornare a New York perché mi mancava l'aria: volevo rivedere Nahid, tornare a danzare, studiare, vivere la mia vita... Volevo vivere... già, anche se, dopo tutto ciò che è accaduto, "vivere" è una parola grossa.
Piano piano, comunque, le cose stanno migliorando, anche se c'è sempre un pensiero fisso che non riesco a togliermi dalla mente: Malak!
Con il suo addio scritto sulla prima pagina di quel libro, c'è stato un taglio netto: è letteralmente sparito nel nulla. È sempre off-line e il suo numero risulta sempre irraggiungibile.
Forse ha preso il mio pc per non lasciare nessuna traccia di sé. Forse voleva proprio farmi capire di non cercarlo più.
Dopo la visita della polizia, per non dare sospetti in caso avessero messo il mio telefono sotto controllo, ho acquistato in contanti un cellulare usa e getta. Avevo paura di farlo, ma è stato abbastanza semplice: sono andata in un negozio sudamericano, uno di quelli che vende di tutto senza chiedere documenti.
Volevo scoprire la verità e il senso delle parole del suo messaggio lasciato su quel libro. Ma, soprattutto, volevo capire qual era il suo compito in tutta la vicenda: proteggermi o immolare la mia anima alla sua "causa"?
Ho scoperto che Malak in arabo significa "cherubino": un angelo della corte celeste, ma non tutti gli angeli hanno il compito di proteggere. Alcuni portano un messaggio, altri ancora hanno il compito più funesto di tutti, come i Malak al-Mawt, gli sterminatori, gli angeli della morte...
Eppure, le parole che ci eravamo scritti in quella chat su di me avevano avuto un effetto benefico: per la prima volta mi ero sentita libera di essere me stessa, perché in qualche modo mi ero sentita connessa a lui, capita nel profondo, esortata a non sentirmi sola, a farmi forza nella preghiera.
In quelle ore passate a scriverci, lo avevo conosciuto intimamente, o forse mi era sembrato di conoscerlo.
Mi aveva fatta sentire importante, come se tenesse a me davvero: mi aveva citato quei versi che erano stati capaci di accarezzare il mio cuore, di farlo battere forte...
Potevo essermi sbagliata di sana pianta su di lui? Potevo essermi ingannata su quella sensazione così simile all'attrazione? Potevo essermi lasciata abbindolare così facilmente?
Poteva il mio cuore essersi illuso? Ero stata davvero così stupida?
Cosa sarebbe successo se il nostro incontro quella sera non fosse stato interrotto dalla telefonata di Leyla?
Cosa sarebbe successo se non avessi notato quel suo segno particolare sul mento che me lo aveva fatto associare a quell'uomo che avevo incontrato per caso nel parco? Era davvero lo stesso uomo che spiava Ibrahim con quei ragazzi che forse avevano preso parte agli attentati che c'erano stati?
Quante domande... troppe... ed io volevo risposte per non impazzire!
Arrivata a destinazione, scendo dal treno, ma tutte quelle domande risuonano ancora nella mia testa.
Come un automa percorro la banchina fino ad arrivare al piazzale centrale della stazione attraverso numerose rampe e scale mobili.
L'aroma di caffè dei bar richiama la mia attenzione e mi riscuoto dai miei pensieri.
Sollevo lo sguardo e rimango per l'ennesima volta rapita dalla volta stellata del soffitto che ritrae il cielo al contrario così come lo vedrebbe Dio. Ho sempre adorato quell'affresco.
Mi domando se tutto ciò che mi è successo fosse già scritto nelle stelle, ma dubito che l'universo risponderà mai ai miei dubbi.
L'unico che potrebbe dare risposta alle mie domande è solo colui che non riesco a togliermi dalla testa.
Prendo il telefono usa e getta dalla mia tasca e scrivo un sms: "Perché sei sparito? Qual era il tuo compito, Hammurabi? Fare giustizia? In che modo? Perché io? Rispondimi. Violet".
Tentenno prima di premere il tasto di invio, ma dopo un respiro profondo, come se stessi buttandomi nel vuoto, lo faccio.
Non so se Malak leggerà mai questo messaggio, ma non sono ancora pronta per lasciar andare anche lui.
Mi affretto a prendere il primo taxi libero e dopo pochi minuti, sono a casa.
Non appena varco la soglia, appoggio la valigia sul letto e faccio una doccia veloce. Di colpo la stanchezza del viaggio mi avvolge, ma è ancora presto per mettermi a dormire.
È ancora Natale!
Attraverso i vetri delle finestre intravedo qualche fiocco di neve che danza nell'aria rendendo tutto così magico: non sarebbe Natale senza la neve!
Indosso i primi vestiti che trovo, un cappellino con due pom pom di pelliccia che mi fanno un po' bambina e proprio come quando ero piccola, scendo in strada per respirare quella magia così unica.
Le strade sono stranamente silenziose, i negozi chiusi dopo la frenesia dei giorni precedenti, ma, nonostante ciò, i marciapiedi sono pieni di gente e bambini.
Sono ancora in tempo per andare in chiesa a pregare e ritrovare un po' di serenità.
Natale! Oggi è nato Gesù!
Nella chiesa vicino casa mia c'è un piccolo presepe. Mi fermo a guardare quella scena così rappresentativa e carica di mistero. In nessun'altra religione del mondo un dio s'incarna in un essere così indifeso che racchiude in sé il senso della vita e della creazione: la sua umanità ci rende così simili a lui anche nelle nostre fragilità e al tempo stesso ci fa sentire amati oltre misura.
La nascita di un bambino è una gioia immensa: anche se ho ancora ventun anni, penso a come sarà diventare mamma. È un pensiero che faccio spesso e che non mi fa paura: al contrario delle mie coetanee, spero di non aspettare troppo. Mentre ero con Galen a volte ci pensavo, ma a lui non gliel'ho mai detto: di sicuro si sarebbe spaventato o mi avrebbe dato della matta.
Sorrido a quel pensiero: quante cose che lui non ha mai saputo di me e che adesso non saprà mai...
Quell'immagine davanti ai miei occhi di Gesù bambino nato in una mangiatoia mi riempie di pace e per un attimo dimentico tutto ciò che mi affligge: Dio che si fa carne, un dono così grande che mi fa pensare che solo amando incondizionatamente, come solo Lui ci ha insegnato, potrò un giorno vedere asciugate le mie lacrime. Vorrei solo che tutto questo accada ora.
Ripenso nuovamente a Galen e provo ancora tanta rabbia, confusione, in un continuo guardarmi dentro per fare chiarezza, anche se non riesco a raccapezzarmi e mi sento paralizzata dalle mie sensazioni e dai miei pensieri contraddittori.
Ho capito solo adesso di non averlo mai amato. Forse l'ho solo idealizzato, perché l'amore, quello vero, non può finire così.
Ho sempre creduto nell'Amore assoluto, nel continuo dono di sé.
Se davvero avessi amato Galen, mi sarei donata completamente a lui, ma il mio cuore lo ha sempre saputo che non era lui e che non c'era nemmeno reciprocità.
Solo ora me ne rendo conto: la verità è che con lui mi sentivo solo un oggetto e mai, mi sono sentita veramente amata e desiderata per ciò che sono.
Sappi che ciò che ti è mancato non ti era destinato
e ciò che hai avuto non poteva mancarti.
Sappi che la vittoria viene con la pazienza,
il sollievo dopo l'afflizione
e con la difficoltà la soluzione.
Mi tornano in mente questi versi che ho letto nel libro che mi ha lasciato Malak.
Quando ripenso a lui, nonostante le differenze della nostra religione, trovo tanti elementi in comune.
Malgrado tutta la sofferenza provata, è grazie a lui se ho ritrovato la forza di andare avanti, di non abbattermi e di trarre forza dalla fede, anche se delle volte, scorgo nel mio cuore dubbi e paure...
Forse sarebbe stato meglio avere un cuore duro come la pietra, per non sentire più nulla, per evitare che più niente avesse potuto romperlo in mille pezzi.
Malak avrebbe di sicuro capito il mio stato d'animo; avrebbe assorbito come una spugna le mie emozioni e avrebbe saputo trovare le parole giuste da dirmi in questo momento.
Non riesco a spiegarmelo, ma in qualche modo so che lui non voleva approfittare della mia vulnerabilità, ma al contrario voleva proteggermi. Il mio cuore mi dice che è stato sincero.
E se fosse davvero un angelo mandato da Dio che ora che ha esaurito il suo compito è volato via?
Forse sto vaneggiando e ho perso il senno.
Mi inginocchio a un banco e mi fermo a pregare. In qualche modo sento la consolazione che invade il mio essere.
Riesco a sgomberare la mente da tutte le insidie e solo allora trovo la risposta che cerco dentro di me, lì proprio dove si trova Dio.
Ci vorrà del tempo per perdonare. Tornerò spesso a oscillare sui miei passi, ma è l'unica strada.
Perdonare Galen, perdonare Betty e perdonare chi ha ucciso mia madre.
La mia finora non è stata una fede salda ed è proprio per questo che il Signore mi richiama a sé nei tempi e nei modi che conosce solo lui: come Giobbe, prima lo conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi lo hanno veduto.
È Natale nonostante i tradimenti, le ferite e il male subito.
È rinata la speranza, un nuovo inizio.
Spazio autrice
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! ❤
È un capitolo introspettivo di passaggio, ma ci tenevo a delineare bene il percorso di Marah attraverso la sua sofferenza fino a intravedere un po' di luce.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Nel prossimo capitolo si torna in azione con un pov di Kamal 😉
Tenetevi forti!
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