Il segreto tanto custodito
Silva si precipitò verso le scale della torre che conduceva agli alloggi dei professori. Prima di entrare si assicurò di non essere seguita e che nessuno fosse nei paraggi. Era proibrito anche solo avvicinarsi alle stanze senza un permesso scritto, ma stranamente, non c'era anima viva. Una volta aperto il grosso portone, davanti a lei si presentò una larga ed altissima scala a chiocciola in pietra bianca, che sembrava arrivare fino in cima. La ragazza, con cautela e senza fare troppo rumore, iniziò a salire gli scalini, accarezzando con la mano i mattoni ruvidi che componevano la parete e con l'altra la superfice liscia del corrimano delle scale. Ogni tanto sulla parete si presentavano dei grossi quadri rappresentanti vecchi professori che la scuola aveva avuto in passato o paesaggi di natura lussureggiante, con persone che correvano e giocavano sullo sfondo e tutti facevano finta di non notarla. Chissà come mai. Finalmente arrivò alla prima porta, ma non era quella che stava cercando. Così continuò a salire e salire, leggendo i nomi delle targhette sulle porte. Finalmente la trovò: la sesta targhetta in cui si imbatté portava il nome "Severus Snape" inciso su di essa, che brillava sotto le fiamme vive delle torce appese alle pareti. Silva lanciò intorno a sé l'ennesima veloce occhiata per controllare che non ci fosse nessuno. Che strano, non c'era nemmeno un professore lì. Ad ogni modo, la ragazzina afferrò il battiporta e suonò tre volte, seppur con un certo timore.
Dall'altra parte il professore era disteso nel suo letto in posizione supina, con lo sguardo poco lucido rivolto verso il caminetto caldo e accogliente, tenuto acceso e bello scoppiettante da un incantesimo. I suoi occhi si distraevano facilmente e seguivano il guizzare delle lingue di fuoco, mentre pensava a dove sarebbe dovuto trovarsi in quel momento: con Silva fuori dal castello. Forse era vero, si stava innamorando di una sua alunna con qualche strano problema sensoriale, ma non poteva farne a meno. La sua logica, il suo modo di pensare e di vedere ogni cosa erano qualcosa che gli ricordava sempre più Lily. Il suo amore per lei era rimasto vivido per tutto quel tempo ma ultimamente era come se se ne fosse già dimenticato. Si domandava dove fosse ora, se fosse uscita da sola dal castello o se avesse fatto pace con la sua amica. Pensava a tutte le volte che le aveva sfiorato il volto sentendolo prima gelido, poi d'improvviso farsi caldo e roseo, sostituendo quel pallore che di solito l'accompagnava. Era l'unico gesto che si azzardava a fare nei suoi confronti, perché fare altro sarebbe stato inopportuno o sbagliato.
Sbagliato.
Il risuonare di quella parola nella sua mente lo faceva sudare freddo, più di quanto non facesse già per colpa della febbre. Era giusto quello che stava succedendo? Era giusto che si stesse affezionando così tanto ad una sua alunna?
L'udire di quel suono ritmico, ripetuto per ben tre volte di seguito, bloccò l'arrovellarsi delle sue meningi e si chiese chi potesse mai essere a disturbarlo a quell'ora. Il Preside forse? O Remus per una delle sue pozioni contro la luna piena? Dopo una seconda, veloce analisi, si fece un'idea più veritiera su chi potesse essere a bussare alla sua porta: Silva Shiverspine.
Poteva farla entrare? Insomma, era comunque il suo alloggio quello, gli alunni non avevano il permesso di entrare nella torre, figuriamoci le stanze, la sua stanza. Ed poi era malato, avrebbe potuto mischiarle la febbre e sarebbe finita dritta in infermeria, cosa contraria per il professore che aveva preferito starsene nel suo letto, indisturbato. E tutto il discorso di prima, poi ... Dunque che fare? Farla entrare o lasciarla fuori?
"P-Professore?" - una voce timida, come quella di una bambina, risuonò dall'altra parte della porta - "Sono Silva Shiverspine ... è in camera?".
"Dove potrebbe essere altrimenti?!" - pensò la ragazzina, già col sentore che stesse bussando alla porta di una stanza vuota.
Il tempo per pensare era poco ed il professore rispose d'istinto, seppur con qualche difficoltà data la voce roca che non usava da quando aveva parlato con Silente quella mattina stessa - "Si!" - e prima che potesse aggiungere altro, ebbe un colpo di tosse talmente forte, che Silva riuscì a sentire anche quello dall'altra parte della porta.
"Entri pure ..." - disse poi l'uomo, una volta ripresosi dalla tosse.
La porta scattò, probabilmente era sigillata con la magia e il consenso del professore l'aveva fatta magicamente aprire. Silva la spinse lentamente, incerta su che cosa si sarebbe ritrovata davanti. Per sicurezza tenne lo sguardo basso mentre richiudeva la porta e una volta fatto si voltò, alzando finalmente gli occhi.
Davanti a se vedeva un grosso camino dal fuoco vampante addossato alla parete, fatto di mattoni neri, così come le pareti della stanza decorate da quadri tranquilli o arazzi in verde smeraldo con rifiniture in color oro. A sinistra aveva una libreria che prendeva tutta la parete, se non per la parte centrale, che era vuota e lasciava spazio ad una scrivania anch'essa sommersa di scartoffie e libri di ogni dimensione. Sotto i suoi piedi c'era un bellissimo tappeto, anche questo verde con varie decorazioni in oro e arancio. Alla sua destra, invece, c'era il motivo per cui si trovava lì: adagiato su un letto a baldacchino in ebano e avvolto in coperte di color avorio c'era il professor Piton, che in quel momento era rivolto verso il camino e stava dando le spalle a Silva che era appena entrata.
"Professore ... come sta?" - nonostante la domanda che risuonava preoccupata e sincera, Silva non aveva il coraggio di avanzare per raggiungere il letto.
"Non bene - coff coff - come vede ..." - Severus già si chiedeva perché non fosse corsa davanti a lui per controllare la situazione, così la incitò ad avvicinarsi - "Venga qui ...".
Due parole bastarono a far venire il batticuore alla ragazza. Non erano più fuori nel boschetto, all'aperto e da soli. Erano in camera del professore e da soli.
Ma comunque, Silva si fece coraggio e con le gambe un po' tremolanti andò verso il lato del letto sul quale si affacciava il professore, vedendolo finalmente in viso: aveva un'aria stanca, distrutta, più del solito. Tremava un po' nonostante la grossa fiamma che ospitava il camino a pochi passi da loro.
"Come ha - coff - fatto ad arrivare fin qui?" - domandò lui, sforzandosi di parlare.
"Ehm ... non c'era nessuno ... e poi il preside aveva detto che- ..." - nel pensarci, Silva comprese. C'era lo zampino di Silente. E a ruota ci arrivò anche il professore, senza il bisogno di una spiegazione completa e dettagliata.
"Ho capito, il preside - coff coff - ..."
"Ma perché poi? ...
Possibile che sappia qualcosa?!"
"Ebbene ... ora che è qui ... che spera di fare? ... Non ci sono nuvole da disegnare - coff - ...".
"Lo so ... " - rispose lei, sentendosi sempre più in colpa nel vederlo conciato a quel modo - "Ma ... speravo almeno di poterle fare un po' compagnia. Lei è stato fuori con in queste ultime settimane e si è ammalato per colpa mia così- " - Silva fu interrotta dalla voce roca del professore - "Non si faccia carico di responsabilità che - coff coff - non sono sue ... è chiaro?" - disse in tono severo.
"S-Si ma ... io resto comunque" - ribatté lei, decisa.
"Di certo non posso sbatterla fuori a calci ..." - ammise infine l'altro, facendosi scappare un raro sorrisetto sarcastico. Silva non poté fare a meno di sorridere insieme a lui.
"Si sieda ...".
"Oh ... certo" - proprio accanto letto c'era un comodino ed una sedia, anch'essa in ebano con rifiniture perfette ed eleganti ma dall'aria poco usata, dato il cuscino bianco immacolato senza piega o sgualcitura. La spostò verso il bordo del letto, arrivando a sedersi proprio davanti a lui.
E cadde il silenzio, come ogni pomeriggio che passavano a quel modo.
Il professore teneva per la maggior parte del tempo gli occhi chiusi, ogni tanto li apriva per guardare il camino e la ragazza seduta accanto a lui, qualche colpo di tosse e tornava a chiuderli, troppo stanchi per sopportare la luce. Però non perse occasione di riflettere su Silva e quella sua caratteristica di non sentire il freddo. C'era qualcosa che non andava ed era da un po' che si era deciso a volerla aiutare, ma non sapeva come. Intanto, data la situazione, aveva escogitato un modo per assicurarsi cosa percepisse esattamente la ragazza e nel caso avesse fallito, l'avrebbe costretta a parlare, per quanto la sua posizione potesse permetterglielo.
"Shiverspine ...".
"Si?" - si sorprese di sentirsi chiamare, pensava sarebbero rimasti in silenzio fino ad ora di cena.
"Avrei un favore da chiederle ...".
"Che favore??" - domandò lei incuriosita.
"Potrebbe ... controllarmi la febbre? Sa come si fa - coff coff - no?"- dentro di se il professore sentiva un lieve imbarazzo, ma non riusciva ad ammetterlo, nemmeno a se stesso.
"A-Ah ..." - la ragazzina dagli occhi di ghiaccio fu colta alla sprovvista. E non aveva altra scelta che agire come se fosse una cosa naturale - "C-Certo ...".
Esitando alzò il braccio e lo tese verso il volto dell'uomo, che teneva lo sguardo fisso in quello della ragazzina, quasi ipnotizzata da quelle iridi scure. La mano gelida di lei si posò sulla fronte di lui, che esalò un piccolo sospiro di sollievo, trovando piacere nel sentire qualcosa di fresco a contatto con la testa che sembrava volergli scoppiare.
"Allora?" - domandò ancora l'uomo disteso nel letto.
"U-Uhm ..." - Silva non sapeva cosa dire. Non sentiva nulla. Né caldo né freddo. Solo la sensazione della pelle sotto il palmo della sua mano. Non ebbe altra scelta che mentire.
"Ce l'ha ancora ... " - disse velocemente, ritirando la mano e abbassando lo sguardo.
"Ne è sicura, Shiverspine?" - l'ennesima domanda da parte del professore seguita da uno strano silenzio.
Un silenzio che il professore non tollerava. Aveva bisogno di risposte - "Lei ... non percepisce né il caldo né il freddo - coff coff - ho ragione?" - ammise finalmente lui, vedendo l'espressione della ragazzina mutare da preoccupata a quasi terrorizzata.
"N-No ... ma che sta dicendo?" - negazione, il primo passo che fa una persona quando è nel panico e non vuole dire la verità.
"Può parlarne con me ... lo sa ... - coff coff - ...".
Silva non rispose, rimase silenziosa come solo lei sapeva fare, guardando la sua sagoma con alle spalle il fuoco che divampava negli occhi castani del professore. Poteva davvero fidarsi fino a questo punto? Dirgli qualcosa che non aveva mai nemmeno raccontato alla sua migliore amica Valery? ... Certo, lei forse avrebbe potuto capire di più, così come il professore, ma non avrebbe potuto aiutarla ... nessuno avrebbe potuto ... ma magari, lui che era un adulto, il suo professore ...
"Va bene ..." - tirò un sospiro carico d'ansia, semi-consapevole di ciò a cui stava andando incontro.
"La ascolto ...".
"Io ... non sento davvero il caldo o il freddo ... ma non so il perché" - cominciò lei con la voce tremolante.
"Come sarebbe non sa perché?"- chiese l'altro sempre più incuriosito - "è sempre stato così?".
"No ... prima che cominciassi a frequentare Hogwarts era tutto normale ... sentivo il calore del sole e le fredde brezze invernali, ma ora ... non so perché ma non sento più niente ..." - la voce si tramutò presto in pianto. Silva odiava piangere, perché anche di questo, ne risentiva solo in mal di testa e guance bagnate da lacrime che non sapeva riconoscere.
La voce singhiozzante e la vista di Silva col viso rigato dalle lacrime fece provare un tonfo al cuore all'uomo disteso nel letto. Eppure era da tanto che non si sentiva così per una ragazza ed era sicuro che la sensazione non fosse dovuta alla febbre.
"E ... nessuno lo sa?" - domandò lui.
"No ... solo lei lo sa ora ... nemmeno i miei genitori ne sono a conoscenza ..." - la ragazzina cercava di asciugarsi le lacrime con la manica della tunica che indossava: un tentativo alquanto carino quanto controproducente. Il professore sapeva bene che quella stoffa finiva sempre con l'irritare la pelle se si tentava di asciugarsi il viso con essa, era meglio usare qualcos'altro. Così allungò una mano sul suo comodino, tirando fuori dal cassetto un fazzoletto di stoffa con sopra le proprie iniziali, che infine passò alla giovane.
"Ecco ...".
"G-Grazie ..." - lei accettò il fazzoletto e lo usò per asciugarsi le lacrime, non prima di notare le lettere "S. S." incise in nero sulla stoffa bianca.
"E la causa?".
"N-Non lo so ... so solo che no-n sentire ciò che mi circonda ... mi a-allontana da tutto ..." - rispose lei, sforzandosi di non singhiozzare e rendere la frase comprensibile.
Ora che Severus sapeva quel che sapeva, doveva arrivarci da solo alla soluzione: al motivo che l'aveva ridotta in quelle condizioni e a una possibile cura, ammesso che ci fosse.
{N.d.A.}
:33 > Nel caso ve lo stiate chiedendo, S. S. sta per Severus Snape, ovviamente. Perché non Severus Piton? Beh, è di Silva Shiverspine che stiamo parlando, o sbaglio? ;P
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