Una forma inaspettata.
<<Bene, bene, bene! Quindi sarebbe questo il massimo che può offrire il famoso "Ordine della Fenice" ?
È così che si spengono i vostri sogni di gloria?
Beh... non pensavo che sarebbe stato così facile!>>
Nessuno osava proferire parola. Gli sguardi cupi aumentavano in maniera esponenziale fra i membri dell'Ordine. Lasciando ben poco spazio a ogni sorta di remota speranza, Veronica si stava godendo il momento della vittoria. Stava gioendo per quella situazione che ai suoi occhi, non poteva che essere idilliaca.
<<Cessate ogni ostilità e, forse, vi lascerò vivere!>> proprio in quel momento, anche quei pochi reticenti alla disfatta, abbassarono le bacchette, pregando come non mai, che quel forse di Veronica, divenisse una realtà.
<<Meglio morta! Meglio morta, che vivire in un mondo in cui colei che più di tutti dovrebbe essere superpartes, decide di scendere in battaglia per una guerra che lei stessa ha iniziato>>
<<Preside Mcgranitt, suvvia, non mettere alla prova la mia pazienza, né tanto meno la mia capacità di resistere ai miei impulsi. Credimi! Fremo all'idea di uccidervi tutti, di spedirvi lì dov'è ora il vostro caro amichetto... Harry... Potter!>>
<<Fallo e basta!>> la voce, secca e scandita di Draco echeggiò nella stanza, lasciando impietriti Kingsley e Scipius, in piedi accanto a lui.
<<Anche tu, Malfoy? Anche tu, con questo atteggiamento? Ma guardate che se ci tenete tanto, io vi accontento. Mi basta poco, davvero poco!>>
Nello sconcerto generale, in mezzo ai vari seguaci e membri dell'Ordine, con passo deciso, fiero e scandito, come il ticchettio delle lancette di un orologio svizzero, Ginny si diresse verso Veronica. Aveva le braccia lungo i fianchi, la mano destra impugnava la bacchetta, rivolta però verso terra e il capo fisso verso il pavimento. I capelli, che nonostante la battaglia sembravano essere appena stati acconciati da un parrucchiere, le cadevano fluenti sulle spalle. La guardarono tutti, sbalorditi. Davanti a chiunque passasse, aumentavano i mormorii e si creava uno stato di incertezza.
La sua avanzata giunse al termine solo quando fu a pochi centimetri da Veronica.
<<Uh, la mogliettina inutile! Sentiamo, cosa vorresti dire o fare ora?>>
Ginny sembrò quasi non avesse sentito le parole della donna. Si chinò sul corpo di Harry, a cui Veronica si era avvicinata in precedenza e sempre senza fiatare, spostò il ciuffo ribelle dalla fronte del marito. Era un gesto a cui era abituata, lo faceva con una frequenza tale che oramai era diventata una routine, quasi un tic. Gli accarezzò la guancia e con estrema dolcezza, passo la mano fino al punto in cui era stato colpito dall'incantesimo che lo aveva ucciso. La mano si fermò proprio sul cuore e per un attimo, sperò di sentire un battito, un impercettibile moto di quel muscolo inanimato.
Si piegò ancora di più, arrivando a pochi centimetri da lui, baciandolo fugacemente. Aveva gli occhi chiusi e quando li riaprì, quelle lacrime, trattenute a forza per non dare soddisfazione al nemico, fecero brillare ancor di più i suoi occhi alla luce soffusa nella stanza. Ancor più lucidi per il disperato tentativo di trattanere il pianto, parlavano da soli, dicendo forse, anche più di quanto avrebbe potuto dire la ragazza parlando.
<<Allora? Non mi rispondi? Tua madre non ti ha insegnato che è da maleducati non rispondere ad una domanda?
No! Certo che no. Come avrebbe mai potuto. Dovrebbe averlo saputo lei. Cosa che dubito fortemente>>
Ginny si alzò lentamente, continuando a fissare il corpo di Harry giacere inerme sul pavimento. Solo quando le sue gambe furono completamente distese, degnò Veronica del suo sguardo, rivolgendole la parola: <<Quello che non hai capito e forse non capirai mai, è che noi non siamo Harry Potter, noi non siamo una persona sola. No! Noi siamo quello che tu neanche puoi immaginare. Noi viviamo per gli altri, viviamo e respiriamo perché le persone che amiamo lo fanno con noi, e per noi. Vedi, quando tu stessa mi hai portato via Fred, io ho smesso di respirare, mangiare, bere, di vivere>> per un attimo la voce tentennò, abbassandosi di parecchi toni, fino a sparire, celata oltre un respiro affannato ed un vano tentativo di non crollare in un pianto disperato.
Dopo che quel nodo alla gola giunse bruscamente, Ginny riuscì, usando ogni brociolo di energia rimasta, a riprendersi e iniziò nuovamente a parlare, con voce bassa ma senza indecisione, <<l'unica cosa che mi ha, anzi, ci ha tenuto in vita, è stata la presenza di chi ci vuole bene. E ogni volta che prendi la vita di qualcuno a noi caro, questo legame si fortifica sempre più. E così sarà sempre. Ecco perché tu non puoi capire, ecco perché io stessa, ora, giuro che porrò fine al tuo regno di morte. Tu, più di tutti, dovresti essere imparziale e giusta. La morte non si immischia nel mondo dei vivi, se non per portare a sé chi ha terminato il suo percorso, lungo o corto che sia stato. Tu non l'hai fatto, hai agito solo nel tuo interesse, per paura che il mio, anzi, nostro Harry, ponesse fine al tuo gioco al massacro.
Non so come farò, ma anche e soprattutto per Harry, ti ucciderò>>
Veronica non intervenne durante il discorso di Ginny, solo quando la ragazza smise definitivamente di parlare, con un ghigno disegnato in volto, portò i dorsi delle mani agli occhi, fingendo di asciugare delle lacrime, palesemente inesistenti, poi ridendo, quasi in modo isterico, si rivolse ai suoi seguaci sparsi per tutta la stanza: <<Avete sentito la signorina? Lei lo ha giurato, "qui ed ora, mi ucciderà!">>
Una risata di scherno si alzò, come fa una nuvola di fumo dopo un incendio, coinvolgendo i seguaci in toto, per poi fermarsi quando Veronica prese nuovamente la parola.
Sistemandosi i capelli e assumendo una espressione molto più seria di quella avuta fino a quel momento, si rivolse a Ginny, con tono tanto alto da rasentare delle urla: <<Adesso mi avete davvero stancato!>> la voce della ragazza iniziò a cambiare diventando sempre più roca e per quanto si stesse alzando come intensità, diveniva sempre più grave. <<Sono stufa di voi! Se è vero che le promesse vanno rispettate, è altrettanto vero che bisogna portare rispetto a chi ha in mano la tua vita, come si può avere in mano una bacchetta! Io farò a voi quello che farei ad una qualsiasi bacchetta inutile: vi spezzerò, in più parti, lasciando di voi solo un ricordo sbiadito>>
Alzò le mani al cielo, seguendo il movimento anche con lo sguardo. In poco meno di un battito di ciglia, fu l'inferno in terra.
L'intera stanza venne avvolta in una nube nera, scalfita solo dai lampi di luce che ad intermittenza la invadevano.
Quando pochi secondi dopo, la luce, per quanto fioca, tornò nuovamente padrona della tenuta, uno spettacolo tanto orrido quanto improbabile ed inatteso, si mostrò agli occhi dei presenti.
Gli occhi di Ginny si sgranarono, le iridi della ragazza si dilatarono per lo spavento e il viso, che fino a pochi momenti prima era livido per la rabbia, divenne candido, come la schiuma che si crea quando l'acqua marina si infrange sugli scogli.
Veronica aveva assunto la sua forma originale, naturale, quella che tutti conoscono ma che nessuno ha mai potuto raccontare, perché una volta vista, non ti rimane nulla, se non una vita eterna, nell'aldilà.
Alta più di due metri, di nero vestita, avvolta in una tunica che la copriva completamente. La figura della triste mietitrice si mostrò in tutta la sua mostruosa e maestosa bellezza. I tratti bellissimi e delicati del volto di Veronica erano spariti dietro un velo nero, oscuro, che rendeva priva di volto la "vecchia signora". Tale assenza, congiunta alla falce che brandiva nella mano destra, la resero ancor più terrificante. Come se non bastasse, ad aggravare il tutto, rendendola ancor più traumatizzante, dalle maniche della tunica spuntavano delle mani scheletriche, prive di ogni genere di copertura: solo ossa, e nient'altro.
Veronica non c'era più, al suo posto, al posto di quella donna fantastica, dalle curve sinuose ma mai volgari, ora si stagliava in tutta la sua immensa prepotenza, colei che toglie senza chiedere, colei che prende indisturbata, colei che mai grazia: "La Morte".
☆☆☆☆☆
<<Devo correre! Dobbiamo andare. Cosa devo fare? Dimmelo!>>
Harry, dopo aver avuto la notizia della sua possibile paternità, fu preso dalla frenesia, ma anche e soprattutto da una violenza che raramente gli era appartenuta. Infatti, proprio mentre chiedeva cosa avesse dovuto fare per tornare indietro, dopo essersi finalmente deciso e convinto, anche e soprattutto per salvare quella vita che rischiava di essere spezzata ancor prima di inspirare per la prima volta, afferrò per la giacca Tonks, strattonandola veementemente.
L'indumento color marrone chiaro, che copriva la maglia di un rosso acceso, indossata dalla defunta moglie di Remus, fu sul punto di strapparsi, tanto fu l'impeto del ragazzo. Fu Hagrid ad intervenire, staccando il ragazzo, prendendolo di peso dalle spalle e spostandolo più in là di mezzo metro.
<<Harry, calmati!>>intervenne con la sua solita pacatezza Silente, <<Devi solo volerlo. La regola è questa. Se lo desideri davvero, allora riuscirai a tornare>>
La risposta di Harry fu ancor più rabbiosa, coadiuvata da una serie di spasmodici movimenti delle braccia, che oscillavano decise <<Ma io lo voglio, devo tornare, devo salvarli>>
<<Harry, figliolo->> intervenne con tono caldo, dolce e rassicurante il padre James, è proprio questo il tuo errore. <<Lo hai sempre fatto. Non devi volervo perché sei convinto di "doverlo fare", deve essere una cosa che vuoi e basta, senza che il tuo cervello ti dica il perché. Fino a che non sarà così... Resterai intrappolato qui, con noi>>
Le parole del padre scalfirono la corazza creata da Harry, fortificata negli anni ed eretta affinché nessuno gli spezzasse più il cuore. Aveva deciso lui stesso di morire, di sacrificare la sua vita, proprio perché pensava fosse suo dovere. Ora invece, con poco più di una frase, suo padre aveva mandato in frantumi le sue certezze. Se c'era una cosa di cui ormai si era convinto, era proprio di dover essere l'unico a poter salvare il mondo con la sua morte. Adesso, invece? doveva essere egoista? Doveva pensare solo a se stesso? Al suo mero piacere?
Nulla di tutto ciò faceva parte di lui, del suo modo di esistere, di stare al mondo. Era sempre stato generoso, altruista. Il suo unico interesse era sempre stato quello di proteggere i propri cari.
Il ragazzo riuscì finalmente a calmarsi.
Non parlò, si limitò a chiudere gli occhi ed a inspirare profondamente, quasi prendesse aria per la prima volta.
Calò nuovamente il silenzio nella stazione di King Cross, tornando al muto e sbiadito candore che aveva accolto Harry e Silente poco prima.
I presenti rimasero immobili, in attesa che qualcosa succedesse, e con molto meno stupore di quanto ci si potesse aspettare, tutti quanti sorrisero, mostrando buona parte delle loro dentature, quando in lontananza giunse a loro il suono distinto di un treno.
Harry ci era riuscito, aveva finalmente accetta l'idea di non dover essere il salvatore di un mondo che altrimenti, non gli sarebbe più potuto appartenere. Ora non bastava altro che aprire gli occhi e balzare sul treno che lo avrebbe riportato, senza più fermate, dritto alla sua destinazione.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top