𝑪𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝟏: 𝑹𝒊𝒕𝒐𝒓𝒏𝒐 𝒂 𝒄𝒂𝒔𝒂
''Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta.''
-T.S Eliot

Soundtrack: Ocean – Elsa&Emilie

Sono passati cinque anni dall'ultima volta che ho visto Londra, e la sua magia riesce sempre a stupirmi.
Cinque anni da quando sono andata via di casa, verso qualcosa di nuovo.
Circa sessanta mesi lontana da tutto ciò che mi ricordava qualcosa che ho perso.
Sono scappata. Alla ricerca della cura a un cuore spezzato.
Spoiler: non l'ho trovata.
Sarebbe stato più semplice trovare le Gemme dell'Infinito.

Sono ancora a pezzi, ma improvviso un sorriso e spero che nessuno si accorga di quanto sono rotta.
Nonostante ogni mio tentativo, non sono riuscita a restare lontana da casa. Tornare mi è sembrato necessario.
Forse potrò ricominciare, e sperare in un finale migliore.
Una nuova possibilità. Una nuova vita.

Questo è quello di cui mi sono convinta quando ho vinto quel concorso, che ha ripagato anni di pianti, sforzi e sacrifici.
Per la prima volta, mi sono sentita brava in qualcosa.
Dovrei sentirmi al settimo cielo, piena di speranza e voglia di darmi da fare.
Invece non sento nulla. Solo grigio attorno a me. Uno stato di torpore in cui nulla ferisce, ma niente mi emoziona. Come se vivessi in una bolla, tenendo tutto a distanza di sicurezza dal mio cuore.
Una volta non ero così, però quella persona ormai sembra più un riflesso lontano, il ricordo di una ragazza che si fidava troppo, e nutriva tanti sogni.
Provo pena per lei.

«Il volo 404 diretto a Londra atterrerà tra pochi minuti, raccomandiamo ai passeggeri di allacciare le cinture di sicurezza.»

La voce metallica dell'altoparlante dell'aereo mi riporta alla realtà, e io mi stiracchio, cercando di risvegliare i miei muscoli intorpiditi.
Sette ore di volo sono davvero pesanti, e sono certa che il fuso orario mi manderà KO.
Sono partita circa alle sette di sera da New York, e guardando il fuso orario di Londra, qui sono le sette del mattino.

Per fortuna ho dormito qualche ora durante il volo, così non sarò troppo spossata. Non che avessi molto altro da fare.
Avverto Daisy, una ragazza conosciuta al college in America, che manca poco all'arrivo, e lei annuisce, stiracchiandosi.

«Sei pronta a questo grande rientro? Come ti senti?» mi domanda con un sorriso curioso sul volto.

«Normale. Sto ancora decidendo se sia stata o meno la decisione giusta» sospiro con una scrollata di spalle.

Lei mi guarda per qualche istante, posando una mano sulla mia spalla.

«Maisie, hai avuto una grande opportunità, sfruttala. Non lasciarti intimorire.»
Se solo sapesse tutta la storia.

Mi sfilo le cuffie dalle orecchie, e le ripongo nella borsa, assicurandomi di non lasciare nulla.
L'atterraggio per fortuna non è troppo brusco, e io aspetto che l'aereo si sfolli prima di alzarmi e recuperare le mie cose, avviandomi poi al ritiro bagagli.
L'air tag smi rassicura e mi segnala che per fortuna la mia valigia è arrivata sana e salva, e quando riaccendo la connessione del mio telefono, scorro velocemente per vedere le notifiche che mi sono arrivate.

Papà: Tesoro, sei arrivata? Io sono dovuto scappare a lavoro, ma Candice ha detto che sarebbe passata lei a prenderti. Non vedo l'ora di riabbracciarti, mi sei mancata.

Candice: Sono già qui da mezz'ora. Non vedo l'ora di riabbracciare la mia stilista preferita! Mi sei mancata tantissimo!

Candice: Ti conosco abbastanza da sapere che stai già rimuginando sul tuo ritorno. Non ci pensare neanche a scappare di nuovo, o ti ammazzo.

Papà: Puoi tranquillizzare Candice sul fatto che non scapperai via dopo una settimana? Mi sembra un tantino preoccupata. So che avevi i tuoi motivi per andare via... ma siamo tutti contenti che tu sia qui. Mi mancava la mia ''co-pilota.''

Sorrido a quei messaggi, e rispondo a entrambi che sono arrivata, in modo che possano tranquillizzarsi, precisando che non scapperò. Anche se il pensiero mi ha sfiorato un paio di volte.
Questa città porta troppi ricordi. Troppe ferite. Volti che dovrei dimenticare, ma non credo di esserci mai riuscita.

«Sai già dove alloggerai?» domando a Daisy, per smorzare la tensione del momento.
Distrarmi mi aiuta a tenere sotto controllo la mia ansia, e al momento concentrarmi su di lei è la cosa migliore che possa fare. Lei alza i suoi occhiali da sole per guardarmi, e li posa sopra la sua chioma rossa di capelli, che alla luce del sole sembrano quasi ramati.

«Ho prenotato un hotel al centro. Mi vedrò con qualche mia vecchia conoscenza, sistemerò quello che devo e poi riparto. Lo stage inizierà a inizio mese prossimo, e voglio essere pronta. Sicura che non ti serva un posto dove stare?»

Io scuoto la testa, rivolgendole un sorriso timido.
«Starò dalla mia migliore amica, Candice. Lei è spesso fuori a causa dei campionati di pattinaggio e gli allenamenti, quindi nel frattempo che aspetto le chiavi del mio appartamento, mi appoggerò da lei.»

Daisy annuisce, recuperando la sua valigia prima di avviarsi verso l'uscita del gate, dove suppongo l'attenda un Uber. Sono grata che abbia accettato di fare il viaggio con me, perché dubito che da sola sarei stata in grado di gestirlo.

«Becchiamoci però prima che riparto, non sparire» mi ammonisce, ridacchiando.

«Certo, appena possibile ci organizziamo. Ti devo almeno un drink per aver accettato di accompagnarmi fin qui.»

Lei ride, cercando di scorgere il suo Uber. «Non mi dispiace affatto questa piccola vacanza. Non ho mai visto Londra» si ferma, come se avesse avuto un'illuminazione. «A proposito, che sbadata! Un amico mi ha mandato un biglietto in più di un evento che si terrà stasera a Londra al Palladium. Se vuoi, te lo regalo.»

Un brivido mi percorre la schiena. Ho quasi il terrore di chiedere chi sia l'ospite.
Non ho avuto neanche il coraggio di aprire le sue storie, e controllare se fosse a Londra.
Non che l'abbia mai fatto.
Anche se in alcuni giorni la tentazione è stata forte.

«Chi è il cantante?» domando, con un filo di voce.

Lei fa spallucce. «Non si sa. L'evento è: ''Guess the Singer'', quindi nessuno sa chi salirà sul palco. Il mio amico mi ha detto che si tratterà di più di un cantante, sono nomi importanti e alcuni emergenti.»

Santo cielo.
Non se ne parla. Non correrò il rischio.
«Grazie del pensiero, ci penserò» replico, per non sembrare scortese, o peggio, pazza.

Una persona normale, coglierebbe al volo l'occasione, eppure io non ho nessuna intenzione di sfidare la sorte.
Inoltre, sono stremata dal viaggio e con mille cose da sistemare, un concerto è l'ultima cosa che mi ci vuole.
Una volta che mi passa i biglietti tramite email, ci salutiamo all'uscita, e prima ancora che io possa voltare la testa, un paio di braccia mi stringono in un abbraccio, assieme a una delle mie voci preferite al mondo.

«Isie! Mi sei mancata da morire, sei ancora più figa di quanto ricordavo!»

La voce esaltata della mia migliore amica mi fa sentire subito a casa, e mi sento sollevata. Ricambio l'abbraccio senza esitare oltre, perdendomi nel suo profumo fin troppo familiare.
Senza di lei, sarei finita in pezzi più volte di quanto voglia ammettere.
C'è stata sempre, anche quando la distanza era difficile da sopportare, e i chilometri tra di noi erano tanti. Per noi erano soltanto numeri, non abbastanza grandi da dividerci.

«Candy, mi sei mancata anche tu» sussurro, senza lasciare la presa.
Ho bisogno di questo abbraccio.

Lei mi stritola ancora, poi mi lascia andare, sistemandosi i suoi capelli mossi e neri dietro le spalle. È più alta di me di qualche centimetro, e i suoi occhi verde cristallino risplendono nella mattinata, come fossero pietre di giada.
«Com'è stato il volo? Sopraffatta dal fuso orario?»

«Non troppo. Ho seguito il tuo consiglio di dormire circa due ore dopo essere partiti, così non ho sentito molto lo sbalzo d'orario. Partire di sera è stata la scelta migliore» le rispondo, facendole l'occhiolino.

«Brava ragazza. I miei consigli sono i migliori» ridacchia, scompigliandomi i capelli già in disordine.

Rispetto a lei, il mio aspetto è tutt'altro che perfetto: i miei capelli biondi sono avvolti in uno chignon ormai disfatto, i miei vestiti stropicciati a causa delle ore che ho passato seduta, e sono abbastanza sicura che neanche la mia faccia sia granché. Infatti indosso gli occhiali, nella speranza di nascondere perlomeno le occhiaie.

«Dammi pure la valigia, la carico nella macchina di mio padre. Ce l'ha gentilmente concessa per venirti a recuperare» mi avvisa Candice, indicandomi il grande Lange Rover che ci attende.

«Alla fine sei riuscita a convincerlo» sogghigno, aiutandola a caricare i miei bagagli, che principalmente sono una valigia grande, un bagaglio a mano e un piccolo zaino.

«Come sempre» alza le spalle, imputando un sorrisetto prima di salire al lato del guidatore, e io al suo fianco.

Candice fa partire l'auto, e automaticamente si accende anche la radio, collegata al suo telefono.
Vedo la mia amica sgranare gli occhi, e cerca di smanettare col volante per interrompere la canzone prima che parta, fallendo miseramente.
Riconosco quelle note come se fossero parte di me.

Le odio, e al tempo stesso sono le mie preferite.
Fanno male. Mi ricordano troppe cose.
Dopo anni avrei dovuto superarlo, e andare oltre. Eppure eccomi qua.
Io mi limito a serrare le labbra, e tra di noi piomba un silenzio imbarazzante.
«Pensavo che dopo tutti questi anni-»

«L'ho dimenticato, Candy. Ormai è passato»
improvviso un sorriso, alzando le spalle.
L'ho davvero fatto? Ho i miei dubbi.

Come è possibile dimenticare qualcosa che mi ha dato così tanto?
Come potevo dimenticare il suo sorriso? La sua voce, e i pomeriggi passati insieme a comporre le note di quello che è diventato il suo sogno, e poi la mia tortura?
Non ci sono riuscita, cazzo. E mi sento patetica.
Riconosco ancora gli accordi. La sua voce. La melodia.
Sento Candice sospirare al mio fianco, e parte senza aggiungere altro, impostando il navigatore verso casa.

«Allora, che mi racconti dell'America? Non me ne parli mai» sorride, cercando di cambiare discorso.

Apprezzo il tentativo, eppure non ho molto da dire neanche su questo. Mi sono limitata ad andare avanti, cercando di raggiungere un obiettivo a volte inafferrabile.
«Caotica, rumorosa, e veramente immensa» ridacchio, fissandola con la coda dell'occhio.
«Nonostante tutto, preferisco Londra.»

Lei curva le labbra in un piccolo sorriso. «A me è piaciuta, quando ti sono venuta a trovare per Natale non mi è sembrata male. Una volta ho anche gareggiato da qualche parte nel Maine, vicino Portland.»

Lo ricordo, sono andata a vederla. Per lei percorrerei anche tutti gli Stati Uniti.

«Io c'ero, ti ricordo» ridacchio, fissandola divertita.

«Beh, la mia opinione non cambia.»

La conversazione va avanti per tutto il viaggio, ma non riesce a portarmi via dai miei pensieri, e dai ricordi che mi hanno assalito non appena ho rimesso piede in città.
A volte vorrei poter dimenticare e basta, saper andare avanti con la mia vita, senza che mi si sgretoli tra le mani.

Qui, mi sento ancora la regina dei cuori spezzati. Quel soprannome mi ha tormentato fino alla mia partenza per l'America.

«Sei ancora tra i vivi, Isie?» mi domanda Candice, quando vede che per l'ennesima volta non rispondo alle sue domande.
Dio, dovrei riprendermi.

«Viva e vegeta. Colpa del jet lag» la butto lì, scendendo poi dalla macchina.
Candice mi lancia uno sguardo scettico, ma non commenta oltre, e mi segue a ruota, lasciando che i suoi domestici pensino ai miei bagagli.

«Hai programmi per stasera?» mi domanda, con un sorrisetto complice, lo stesso che fa quando cospira qualcosa.

Per me vuol dire soltanto una cosa: guai in vista.
«Mh, fammi pensare» faccio finta di rifletterci, portandomi due dita sul mento. «Disfare i bagagli, farmi una maschera al viso, pigiama e Netflix. Direi perfetto.»

Candice mi lancia uno sguardo contrariato, sbuffando. «Normalmente, ti darei ragione. Ma dobbiamo festeggiare il tuo ritorno, e tu hai decisamente bisogno di uscire, ragazza. Sembri morta.»

Forse lo sono.
«Beh, grazie per il complimento. Lo aggiungerò alla mia tacca di autostima» sbuffo, recuperando la mia borsa.

Lei si ferma per un attimo, con le mani sui fianchi.
«Quello che voglio dire, è che non sei più la Maisie che ricordo. E se continuerai a seguire la scia della tua autocommiserazione, non ne uscirai mai. Va bene essere triste, va bene avere il cuore spezzato, va bene anche lasciare i problemi chiusi in una scatola e fuggire via. Ma non puoi nasconderti dalla vita per sempre.»

La dannata verità sbattuta in faccia. Forse ne avevo bisogno.
Eppure mi fa arrabbiare lo stesso.

«Non è... soltanto per lui» sbotto, alzando gli occhi al cielo.

«Lo so, ma non cambia il fatto che devi ritrovare te stessa, Isie. Non sei più tu.»

Altra verità.
Non so chi sono diventata, so soltanto che non mi piace l'immagine che vedo riflessa nello specchio.
In questo periodo più del solito.
Resto in silenzio per qualche istante, e poi sospiro, arrendendomi al fatto che purtroppo, la mia migliore amica ha ragione. Devo ripartire.

«Che hai in mente, peste?»
Candice mi sorride, e quella sua espressione maligna è l'inizio dei miei guai.

«Ho due biglietti per ''Guess the Singer'', un live che si terrà stasera al Palladium. Io dico che dobbiamo andarci, cantare a squarciagola e divertirci.»

Pare proprio che non abbia scelta.
Io improvviso il mio miglior sorriso, e alzo il telefono, per mostrare alla mia migliore amica il biglietto che mi ha girato Daisy.

«Anche io ne ho uno» sospiro, arresa al mio destino.

Lei scoppia a ridere, ancora più esaltata.
«Benissimo! Giro l'altro mio biglietto a qualche mia amica. Noi stasera andremo lì, non si discute. Andiamo a prepararci.»

Senza poter replicare, mi trascina dentro casa, e per qualche istante, mi pare di essere tornata la ragazza adolescente che viveva per momenti come questo.
Forse è arrivato il momento di riprendermi la mia vita.
Basta restare fermi.
Poche ore dopo, siamo entrambe pronte per uscire.
Candice indossa un semplice pantaloncino di ecopelle nera, e un top di merletto bianco, che fa risaltare ancora di più i suoi capelli neri e la carnagione chiara. Sotto mio consiglio, ci ha abbinato un blazer di ecopelle nera, preso direttamente dalla mia valigia, e una piccola pochette in cui riporre tutto.
Io, invece, mi sono sentita più trasgressiva.
I vestiti sono sempre stati la mia armatura, una specie di porto sicuro, il modo per esprimere me stessa. Per questo ho deciso di osare, e provare a muovermi in avanti.

Ho messo una gonna rossa drappeggiata sul davanti, che arriva poco sopra il ginocchio, e un corsetto nero con un generoso scollo, a cui ho abbinato due collane d'argento. Sopra ho messo una semplice giacca in ecopelle nera, che fa risaltare di più i miei capelli biondi, piastrati e leggermente rialzati con due fermagli.
Entrambe abbiamo optato per stivaletti bassi e comodi, dato che si tratta comunque di un concerto.

«Cazzo, Isie. Sei uno schianto» ridacchia Candice, sistemandomi il rossetto sulle labbra.

«Sei fantastica anche tu» replico, con un occhiolino.

«Seguo i consigli della mia stilista preferita.»
Questa cosa mi fa sempre sorridere.
Mi ricorda che valgo qualcosa. Che non sono così misera.

«Andiamo, o troveremo fila» roteo gli occhi al cielo, avviandomi fuori.

«I nostri dovrebbero essere dei biglietti VIP. Abbiamo un ingresso prioritario» mi spiega, andando verso la macchina.

Il viaggio verso il Palladium non dura molto, la vera impresa è trovare un parcheggio libero, ma dopo infiniti giri finalmente riusciamo a elemosinarne uno abbastanza sicuro, e non troppo lontano dal teatro.

Mostriamo i nostri biglietti all'entrata, e ci fanno passare senza troppi problemi, dopo essersi assicurati che non avessimo armi o altro con noi.

«Non ricordo quando è stato il mio ultimo concerto!» mi dice, saltellando verso l'entrata.

«I Coldplay, l'anno scorso» le ricordo, con un sorrisetto.

«Giusto, la mia memoria non mi aiuta» scherza, trascinandomi in un angolo verso le prime file, da cui riusciamo ad avere un'ampia visione del palco.

È assurdo da pensare, ma la parte più malata di me è contenta che lui sia riuscito a salire su un palco importante.

''Ci pensi, Isie? Un giorno potrei arrivare a esibirmi al Wembley Stadium, e tutti sarebbero lì per me. Ti dedicherei ogni canzone.''

Dannati ricordi.
Li scaccio via prima che possano rovinarmi il trucco, e preferisco gettarmi sul drink che mi porge Candice, senza fare domande su dove l'abbia rimediato.
Ogni tanto mi sono chiesta se lui ripensa a me.
Se di me si ricorda.
Se ricorda che in quelle canzoni c'eravamo noi due, apparentemente innamorati.
Io, almeno, lo ero.
Fisso il palco con aria assente, e rinsavisco solo quando Candice mi passa le mani davanti agli occhi più di una volta.

«Pensavo ti stessi sentendo male» sbuffa, fissandomi preoccupata.

Io e lei siamo telepatiche, o così ci piace pensare.
So che sa che direzione hanno preso i miei pensieri. Mi conosce fin troppo bene.

«Dovresti dimenticarlo, Isie.»

«L'ho fatto» replico, secca.

Lei alza un sopracciglio, bevendo un sorso del suo drink. «Ah sì? Allora come fai a sapere a chi mi riferisco?»

Mi ha fregata.
«Touché» sospiro, arresa.

Prima di quanto ci aspettassimo, la sala inizia a riempirsi, e inizia quella scomoda lotta per cui rimanere nella nostra posizione è difficile. Infatti lasciamo perdere i nostri drink, sbracciando e sgomitando contro chiunque cerchi di sorpassare. L'odore del sudore e dell'alcol mi da la nausea, ma cerco di non pensarci troppo, e godermi la musica.
Sento vociferare almeno una decina di nomi, tutte supposizioni di chi potrà essere a salire sul palco.
Sono curiosa anche io.
Le luci si spengono, e la folla urla, come se non aspettasse altro.
Per qualche minuto, c'è solo silenzio.
Poi parte la base, e il primo cantante esce fuori. Credo di non averlo mai sentito.
Candice però sembra entusiasta, perché conosce ogni canzone a memoria, e mi coinvolge a ballare con lei. I problemi sembrano lontani in questo momento.

C'è solo la musica e la mia migliore amica, sempre pronta a tirarmi via dal fondo.
Sono a casa.
La prossima cantante la conosco, e sia io che Candice ci lanciamo uno sguardo d'intesa, cantando a squarciagola le canzoni della nostra infanzia.

«Grazie per essere stata maledettamente insistente!» le urlo, tra le risate.

«Non c'è di che, è il mio lavoro!» ride, ondeggiando i fianchi al ritmo della musica.
La serata tutto sommato si rivela essere un successo, e mi sento persino allegra. Sollevata.
Prima che possa finire, le luci si abbassano di nuovo, e una voce metallica pompa dalle casse.

«Le sorprese non sono finite qui! Ecco a voi, l'ultimo ospite della serata! Accoglietelo con un applauso!»

Ho a malapena il tempo di sorridere, e realizzare ciò che ho davanti agli occhi.
Mi paralizzo. Il mio battito si ferma. Il bicchiere mi cade di mano.
Tutto si blocca, come se fossi congelata, e il mondo davanti a me si muovesse al rallentatore.
Non sento la musica, né le parole di Candice, né l'urlo della folla.

Ci sono soltanto i suoi occhi, più verdi dello smeraldo stesso. Quello sguardo intenso, di chi ha voglia di mangiarsi il mondo. I suoi tratti duri e la mascella squadrata, e i capelli marroni perennemente in disordine, eppure bellissimi.
Quegli accordi che ricordo troppo bene.

La sua voce.
Non dovrei essere qui. Non con lui. Non in prima fila.

Cinque anni dall'ultima volta che l'ho visto, e continua a perseguitarmi.
Davanti a me c'è Davian Harthley. Il ragazzo che mi ha spezzato il cuore.
Ora un cantante internazionale.

Vecchie ferite si riaprono, forse mai del tutto rimarginate, e tutto ciò che riesco a fare è restare lì a guardarlo, in un misto di shock e rabbia.
Lo odio con tutta me stessa.
O almeno, è quello a cui mi aggrappo per non crollare di nuovo in mille pezzi.
Come si esce da qui?