''Non sai che quello che ti tocca una volta si ripete? Che come si è reagito una volta, si reagisce sempre? Non è mica per caso che ti metti nei guai. Poi ci ricaschi. Si chiama il destino.''
-Katherine Pancol

Soundtrack: I Knew You Were Trouble – Taylor Swift

Davian passa a prendermi alle otto in punto, e ancor prima che possa bussare al mio campanello, sento il rombo della sua moto che si ferma proprio fuori al mio portone.

Spaccone.

Mi assicuro di avere in borsa tutto il necessario, e mi guardo per l'ultima volta allo specchio, sistemandomi i capelli.
Ho scelto un outfit abbastanza semplice: un maglioncino aderente rosa glitterato e una gonna a pieghe nera, con delle calze nere e degli stivali alti che mi arrivano fino al ginocchio. Indosso la mia giacca di pelle, e dopo essermi spruzzata due gocce di profumo, sono pronta per uscire.

Di questi tempi, l'aria non è eccessivamente fredda, e dopo il caldo torrido dell'estate, il vento fresco che mi sfiora le guance è piacevole, e per nulla fastidioso.

«Pensavo che avrei aspettato qui fuori almeno un'altra ora».

La voce profonda di Davian mi fa subito alzare lo sguardo verso di lui, e un sorriso maligno mi incornicia il volto.

«Sono stata fin troppo buona. Potevo farti aspettare per almeno altri dieci minuti» sogghigno, avvicinandomi a lui.

Davian mi aspetta a braccia incrociate vicino la sua moto, col bacino poggiato vicino al sedile, e un casco agganciato all'altezza del gomito.

Nonostante il suo sia uno stile semplice, riesce comunque a farsi notare. È dannatamente sexy, e che io sia maledetta se lo dirò mai a voce alta. Stasera indossa una T-shirt nera che gli fascia perfettamente il busto, mettendo in risalto l'addome scolpito, e dei jeans chiari, a cui ha abbinato delle scarpe sportive alte e una giacca di pelle nera, con delle borchie sui risvolti, assieme ai suoi mancabili anelli neri e argentati, e le collane che porta sempre al collo.
Il diavolo tentatore in persona.

«Sei perfida» mormora con un sorrisetto divertito.

«Solo con chi lo merita».

Lui si porta una mano sul petto, fingendo di essersi offeso, ma la farsa dura meno di qualche secondo, perché poi scoppia a ridere.

«Forza, salta su o faremo tardi» mi fa l'occhiolino, e con un movimento agile si rimette in sella, battendo la mano sulla parte posteriore.

Io lo fulmino con lo sguardo, e cerco di sistemarmi la gonna prima di salire, attenta a non poggiarmi contro di lui. Stringo le mani ai miei fianchi, dove ci sono due prese, e tengo la mia schiena dritta, in modo da mettere distanza tra di noi.
Davian mi guarda dallo specchietto, e mi passa il casco che teneva sotto al braccio, e lo allaccio velocemente.

«Puoi reggerti a me, ti assicuro che non mordo».

«Sono a posto così» brontolo, distogliendo lo sguardo.

L'ultima cosa di cui ho bisogno è ricordarmi quanto adorassi abbracciarlo mentre eravamo insieme sulla sua moto, o sentire la sua pelle calda a contatto con le mie mani.

«Magari hai solo bisogno di un piccolo incoraggiamento» ridacchia, e prima che io possa controbattere, fa partire la moto con uno scatto improvviso, che mi spinge contro di lui.

Stronzo.

D'istinto, gli avvolgo le braccia attorno al busto per evitare di perdere l'equilibrio, e i nostri corpi si ritrovano uno addosso all'altro, senza neanche un millimetro di spazio. Percepisco il calore della sua schiena imponente, che mi offre un comodo riparo, e il suo profumo mi riempie le narici.

«Ora va meglio» mormora soddisfatto, accelerando subito per mettersi in strada.

«Sei un bastardo!» gli urlo, cercando di sovrastare il vento.

Lo sento ridere da sotto il casco, e più aumenta la velocità, più io sono costretta a stringermi a lui, sforzandomi di ignorare la sensazione che mette in subbuglio il mio stomaco, con un pensiero impossibile da ignorare.

Mi era mancato.

Correre verso una destinazione comune, stringersi fino a diventare una cosa soltanto, come se non volessimo mai separarci. Usare la sua schiena come riparo contro il vento e contro il mondo, e godermi le luci della città che appaiono come dei puntini sfocati attorno a noi.
Mi era mancata la sensazione di sentirmi al sicuro, persino a tutta velocità su una motocicletta.

Mi perdo nei miei pensieri per tutto il viaggio, e neanche mi rendo conto che Davian ha allontanato una mano dal manubrio per sfiorare la mia gamba in una carezza leggera, fermando poi la moto davanti a un locale che non conosco, ma che all'apparenza pare sia un comunissimo pub con delle sgarzanti luci al neon di ogni colore.
Davian sbuffa per la presenza di alcuni paparazzi, e per un istante mi paralizzo.

Odio le foto, e non mi aspettavo di trovare una folla di persone e giornalisti pronti a immortalare ogni nostro passo, puntandoci addosso flash e microfoni. Elemosinano foto, esclusive, o persino due parole riguardo il suo album e la nostra relazione.
Io non capisco niente, ed è come se il mondo diventasse ovattato e confuso davanti ai miei occhi. I flash mi stordiscono, e a malapena mi rendo conto della mano di Davian stretta alla mia, mentre mi tiene stretta contro il suo fianco nel tentativo di ripararmi.

«Tranquilla, Isie. Dentro non sono autorizzati a entrare, ce ne liberiamo subito» mi sussurra, rassicurante, e non si allontana da me fino a quando non siamo dentro.

Probabilmente sono bianca come un cadavere, perché lui si volta verso di me, alzandomi il mento con due dita.

«Stai bene?»

Non molto.
Nonostante tutto, annuisco, e gli faccio segno di raggiungere gli altri, senza commentare oltre. Davian mi aveva avvertito che l'impatto con la stampa e i paparazzi non sarebbe stato semplice, e suppongo che mi ci dovrò abituare.
Per fortuna la tensione viene subito smorzata quando Eris corre verso di me, accompagnata da Lottie.

«May, sei qui!» strilla Lottie, stringendomi in un abbraccio che scaccia via tutte le sensazioni opprimenti di poco prima.

«Non potevo mancare» sorrido sincera, ricambiando la stretta.

«Non era festa senza di te» aggiunge Eris, facendomi l'occhiolino, e mi porge una birra tra le mani, senza aggiungere altro.

Ne ho decisamente bisogno.
Fanculo le calorie, la linea e tutte le altre cazzate che di solito mi tormentano. Se voglio affrontare questa serata, ho bisogno di qualcosa di più di un paio di bicchieri d'acqua.
Bevo dei sorsi veloci dalla mia pinta, e mi siedo sui divanetti con gli altri, dove Mason e altri ragazzi che non conosco sono già riuniti.

«Ehi, bellezza. Ti stavamo aspettando» Mason mi fa l'occhiolino, e mi saluta con un veloce bacio sulla guancia.

Vicino a lui c'è anche Asher, che mi fa un veloce gesto con la mano, prima di tornare a guardare il cellulare.

«C'è anche Mister Simpatia» ridacchio, indicando Asher.

Lui alza un sopracciglio, fissandomi, e scuote la testa, brontolando qualcosa sottovoce.

«Non spaventarti, fa così con tutti» mi tranquillizza Davian, facendomi sedere accanto a lui.

Io però mi oppongo, e approfitto della folla per spostarmi di qualche centimetro, avvicinandomi a Eris.
Ho bisogno di aria, dannazione. Stargli così vicina complica soltanto le cose, e voglio limitare i contatti al minimo necessario.

Davian pare contrariato, ma quell'espressione sul suo viso dura meno di qualche secondo, perché poi si volta verso Mason, con il solito sorrisetto impertinente.

«Spero che ci sia un motivo valido per questo festino improvvisato» ridacchia, ordinando alla cameriera un analcolico.

La ragazza lo fissa con gli occhi sgranati, e annuisce più volte mentre lui le parla, guardandolo come fosse una divinità.

«Ti porto tutto quello che vuoi, non c'è problema» ammicca, cercando di farsi notare.

Davian ne è consapevole, perché soffoca una risata, e anche se non dovrei, nel mio stomaco si scatena una sensazione di acido.

Nessuna fa gli occhi dolci al mio fidanzato davanti a me. Anche se finto.

Mi sporgo verso di loro, e sfioro l'orecchio di Davian con le labbra, ottenendo subito la sua attenzione. Con la mano gli accarezzo il fianco, portandolo più vicino a me, e alzo poi lo sguardo verso la cameriera, che ci fissa a bocca aperta.

«Tesoro, a me prendi un Gin Lemon, grazie mille.»

Davian mi guarda con un sorrisetto, e si volta poi verso la cameriera.

«Hai sentito la mia ragazza? Portale quello che ha chiesto, per favore».

La ragazza annuisce, rossa come un peperone, e fugge via in pochi secondi.

Davian si volta di nuovo verso di me con un'espressione intrigata e divertita al tempo stesso, scrutandomi con quelle sue iridi verdi smeraldo.

«Mi piace quando tiri fuori gli artigli» ridacchia, tenendo il viso pericolosamente vicino al mio.

«Era necessario che capisse la situazione».

«Quale situazione?» mi provoca lui, posando una mano sul mio fianco, in modo che non possa sfuggirgli.

«Quella in cui agli occhi della gente, tu sei mio» bisbiglio al suo orecchio, prima di bere qualche altro sorso di birra.

Non reggerò questa serata da sobria, ne sono certa.

Sento Davian trattenere il respiro, e l'espressione con cui mi guarda mette in subbuglio il mio stomaco, come se avessi uno stormo di farfalle che vola in ogni direzione, e improvvisamente nella stanza facesse più caldo di almeno un paio di gradi. Non scolla gli occhi da me, e io mi sento nuda e indifesa davanti a lui, priva dell'armatura che mi sono cucita addosso con la forza.
Lui mi annienta, riducendo a brandelli la mia volontà di restargli lontana.

«Che leonessa grintosa» mormora, accarezzandomi la guancia col dorso delle dita, prima di prendere qualche centimetro di distanza, in modo che io possa tornare a respirare.

Una volta che arrivano le nostre ordinazioni, io ho già finito la mia birra, e Mason attira la nostra attenzione facendo tintinnare dei bicchieri.

«Per quanto io ami le feste, oggi ho un motivo in particolare per avervi riuniti qui» ammette, mentre sorride entusiasta, e si alza in piedi. «Da oggi in poi, avete l'onore di parlare con uno dei capo redattori del Daily Star!»

Non ci credo!
La notizia coglie di sorpresa tutti, perché sapevo che Mason avesse un posto importante in una delle testate giornalistiche più importanti di Londra, ma non credevo che avesse fatto così tanta strada. In effetti, ha sempre avuto un talento incredibile nello scovare e creare storie, ricercare fatti di cronaca e riportare i fatti.
Ci congratuliamo con lui, e afferriamo i nostri drink, tra risate, scherzi e battute.
Non c'è competizione tra di noi, nessun desiderio di voler scavalcare l'altro, o aspirare a fare meglio. Festeggiamo i successi di un amico, e ne siamo sinceramente felici.
Questo io lo considero sentirsi in famiglia, e non mi ero resa conto di quanto mi fosse mancato fino a questo momento. A New York era l'esatto opposto.

«Un brindisi ai successi, e ai sogni che si realizzano!» urla Davian, facendoci alzare ancora i bicchieri.

Anche io vorrei realizzare i miei, e mi chiedo se sarà mai possibile.

«E ora, si festeggia!» aggiunge Mason, buttando giù uno shottino con un solo sorso.
E diamine se abbiamo festeggiato.

Verso metà serata, credo di essere allegramente brilla, ed è colpa del secondo giro di Gin Lemon che mi sono concessa, e i due bicchieri di champagne a cui Eris mi ha detto che non potevo rinunciare.
Mi sento la testa leggera, e rido con molta semplicità alla minima battuta, preoccuparmi troppo di quello che mi circonda.
Mi sono liberata di ogni freno, e la prova lampante è che in questo momento mi trovo con la schiena appoggiata contro il petto di Davian, che gioca con i miei capelli, e io glielo lascio fare.

Quanto cazzo adoro le sue mani su di me.

«Leonessa, ricordo bene quanto ti piacciono» mi sussurra all'orecchio, accennando una risata.

Merda, l'ho detto ad alta voce.

Divento rossa come un peperone, e nello stesso istante recupero quel barlume di lucidità che mi permette di allontanarmi da lui.

«Stai zitto, superstar» brontolo, buttando giù gli ultimi sorsi di champagne, prima di alzarmi in piedi.

Fisso il piccolo palco che si trova poco distante da lui, e mi serve qualche istante per capire che si tratta di un karaoke, adibito lì per chiunque voglia cantare o divertirsi.

Non so perché, ma ne ho una dannata voglia.

«Chi si unisce con me al karaoke?» strillo, con una voce fin troppo acuta.

Lottie annuisce, e mi segue allegra, fino a quando non mi ritrovo davanti al piccolo schermo del pc, e scrollo tra le canzoni scaricate.
Non ho bisogno di cercare oltre, noto subito quella perfetta, e sembra calzarmi a pennello in questo momento.

I Knew You Were Trouble di Taylor Swift.

Non ho una voce melodiosa, né credo di essere intonata, ma l'alcool in circolo nel mio sangue mi spinge a essere intraprendente abbastanza da tentare, e poco mi importa degli sguardi curiosi della gente. Che si godano lo spettacolo.

«Buonasera gente. Ho voglia di cantare, quindi beh, beccatevi questa!» annuncio dal microfono, e aspetto che la base parta prima di partire.

Mi sono cacciata nei guai fin dal momento in cui ho messo piede a Londra, e non ho fatto niente per tirarmene fuori. Ho accettato di avere un finto fidanzato, una relazione con l'uomo che mi ha spezzato il cuore, senza mai darmi una spiegazione.

Guai, guai e soltanto guai.

Sapevo fin dall'inizio cosa avrebbe comportato farmi coinvolgere di nuovo nella vita di Davian, e ora ci sto affogando dentro, senza alcuna intenzione di risalire.
Non importa quanto male mi abbia fatto, io sono di nuovo qui, rischiando che accada di nuovo.

''I knew you were trouble when you walked in
So shame on me now
Flew me to places I'd never been
'Til you put me down, oh
I knew you were trouble when you walked in
So, shame on me now
Flew me to places I'd never been
Now I'm lyin' on the cold hard ground''

Canto quel ritornello come se sentissi il peso di ogni nota, ogni parola e ogni fottuta sensazione, e mi si attaccano addosso come un tatuaggio, che filtra sottopelle e lascia un segno permanente.
Per tutto il tempo io guardo soltanto Davian, e lui guarda me.
Si tiene sul lato del locale, con le braccia conserte, e un'espressione che non riesco a decifrare, ma che scatena in me un miliardo di sensazioni. È talmente intensa da colpirmi a pieno, pur non dicendo una singola parola.

Ogni tanto mi chiedo se abbia mai provato qualcosa per me, se ci abbia davvero tenuto, o se sia stata soltanto un passatempo durante il liceo, nient'altro che un'avventura passata.
Mi domando se abbia pensato a me come io ho pensato a lui.

Sinceramente, credo di aver gran parte della canzone, che Taylor mi perdoni.

In compenso, l'emozione che ci ho messo riesce a sollevare un boato di applausi quando finisco l'ultima strofa, e altrettanti fischi. Qualcuno chiede persino un bis, ma prima che possa deliziarli con un'altra performance, due braccia forti mi stringono la vita, rialzandomi da terra.
Un profumo familiare mi inebria i sensi, facendomi sospirare pesantemente.

«Fine dello spettacolo» brontola una voce, che metto a fuoco in pochi secondi.

Davian.

Provo a dimenarmi inutilmente, perché lui mi stringe sui fianchi, e cammina con un passo deciso fino a quando non ci troviamo in un corridoio buio e semi deserto, dove non ci siamo altro che noi. Mi poggia contro il muro, e ho a malapena il tempo di controbattere, che mi ritrovo la sua figura imponente di fronte a me, che occupa tutto il mio campo visivo. Mi tiene bloccata contro la parete, con le mani ai lati del mio viso, e un'espressione indecifrabile.

Non saprei dire se sia arrabbiato o intrigato. Probabilmente entrambe le cose.

«Cosa avevi intenzione di fare?» sussurra, con un tono basso e roco che mi scuote fin dentro le viscere, provocandomi una reazione che dovrebbe essere proibita.

Mio Dio.

Reggere il suo sguardo è impossibile, però lui non mi lascia scelta, mentre aspetta una risposta.

«Cantare un'altra canzone, prima che tu mi portassi via come un cavernicolo» protesto, fulminandolo con un'occhiata gelida.

«Non scherzare con me, Maisie. Sei brilla e totalmente fuori controllo».

«E da quando è un tuo cazzo di problema quello che faccio?» sbotto, con un tono più aspro di quello che vorrei, mentre gli batto una mano sul petto.

Lui però non si smuove in un centimetro, e io mi sento impazzire per il modo in cui i nostri corpi combaciano, come se fossero destinati a fondersi in un incastro perfetto. Come se fossero fatti per appartenersi.

«Da quando hai firmato quel dannato contratto, e hai bisogno di ubriacarti per reggere una serata insieme a me» ringhia, come se il pensiero lo ferisse.

«Non si tratta solo di questo. Per una sera... volevo soltanto spegnere la testa» sospiro, avvertendo un pizzico di rimorso.

Siamo sotto i riflettori, e dedicargli una canzone tutt'altro che romantica non è stato il massimo quando dovremmo apparire innamorati e indivisibili.
Non so cosa avessi in mente, forse soltanto trovare uno sfogo nella musica, quando mi è difficile farlo con le parole. Lui più di ogni altro dovrebbe capire.

«Lo pensi sul serio?»

«Cosa?»

«Che io sia una disgrazia per te. È così che mi vedi?»

Qualcosa nel suo tono di voce, e nel modo in cui mi guarda, mi fa sussultare. Non è la solita voce spavalda, o quella arrabbiata. È tremendamente simile al ragazzo che conoscevo, che non aveva né filtri né maschere. È colui che mi mostra le sue fragilità, e non il personaggio che si è costruito in questi anni.
Lui è tante cose per me, e per la maggior parte di esse non riesco a trovare una definizione.

Davian è pericolo e adrenalina, rischio e avventura, montagne russe al buio, piene di salite e ripide discese. È sentirsi in Paradiso, e il secondo dopo in picchiata verso l'Inferno. È desiderare di averne di più, e il terrore di non saper più tornare indietro.
È senza dubbio un guaio, ma uno di quelli dentro cui sono felice di perdermi.

Le parole scivolano sulla mia lingua, senza che io sia in grado di fermarle.

«Un tremendo, colossale, attraente e pericoloso guaio».

Niente giochi, niente allusioni. La semplice e pura verità.

Davian sospira a un palmo dalla mia pelle, e sento la sua mano sfiorarmi la guancia, prima che mi afferri il mento, incastrando di nuovo i nostri occhi.
Ci sono mille emozioni nascoste nella sua espressione, e vorrei essere in grado di decifrarle.

«Allora perché sei ancora qui?»

«Perché quando si tratta di te, sono più che felice di trovarmi nei guai».

Davian abbozza un sorrisetto, e poggia la fronte sulla mia, in un attimo in cui entrambi dimentichiamo le nostre divergenze, e torniamo a essere i liceali di un tempo.

«Non sei l'unica, Isie. Nuoterei in un mare di guai per te, e non mi lamenterei».

Il mio cuore sobbalza, e comincia una corsa che non sono in grado di fermare, tanto che ho il timore che possa rompermi le ossa della gabbia toracica.
Le sue labbra sono troppo vicine. Il suo profumo è troppo invitante. I suoi occhi maledettamente magnetici.

«Davian...»

«Dimmi cosa vuoi, Maisie».

In questo momento, ho paura di cosa potrei rispondere.

Mi limito a fissarlo col cuore in gola, e il respiro irregolare, tremando come una foglia tra le sue braccia.
Devo allontanarmi da lui, e smaltire l'alcool che rende le mie decisioni molto più impulsive del solito.

Non posso caderci di nuovo.
Devo ricordarmi le regole.
Devo ritrovare il controllo.

«Voglio tornare a casa, credo che per stasera ne abbia avuto abbastanza».

Non è ciò che voglio sul serio, però preferisco chiudere i miei desideri in un angolo remoto del mio cuore, e poi buttare la chiave.
Se cedessi adesso, non sarei in grado di fermarmi.

Davian pare deluso dalla mia risposta, e si passa la lingua sulle labbra, provocandomi l'ennesima fitta al ventre, prima di annuire lentamente.

«Ti accompagno a casa, se è quello che vuoi».

Solo se resti anche tu.

Vorrei dirglielo, ma mi mordo le labbra affinché la mia bocca resti chiusa, e mi limito ad annuire.
Sono nei guai fino al collo.

La testa pare che stia per scoppiarmi, e credo di aver a malapena accennato un rapido saluto agli altri, biascicando parole confuse. So soltanto che a un certo punto Davian deve avermi preso in braccio, camminando veloce verso la moto. Mi fa sedere avanti, blaterando qualcosa a proposito del fatto che sia più sicuro per me, e parte poi veloce come un razzo.

Da questa posizione, il viaggio ancora più bello, e mi sembra che sia io a guidare, godendomi a pieno la sensazione del vento tra i capelli, e la strada che si apre davanti a noi, nonostante ai miei occhi sia leggermente movimentata.
Davian mi fa tenere le mani sul manubrio, e io sorrido d'istinto, sfiorando la mano con la sua in un gesto involontario, ma dolorosamente familiare.

«Un giorno me la farai guidare?» gli domando, alzando la voce per farmi sentire.

«Sicuramente non in queste condizioni» brontola, sterzando verso il viale che conduce alla mia umile dimora.

«Sono lucida, più o meno» sbuffo, ridacchiando subito dopo. «Così lucida che quasi mi sono dimenticata che ti odio».

«Sono lusingato, ma se devo scegliere, preferisco la versione sobria di te che mi detesta» mi dice, fermando poi la moto.

Le sue parole mi stordiscono, e mi fanno immaginare scenari in cui le cose avrebbero potuto essere diverse tra di noi, senza rancori e vecchie cicatrici a tormentarci. Una realtà alternativa in cui io e lui abbiamo una reale possibilità, e non un contratto scritto.
In questo momento, voglio solo entrare a casa e dimenticarmi di tutto.

Provo a muovere un passo, ma Davian mi blocca l'istante dopo, posando il suo braccio possente davanti al busto.

«Maisie, hai lasciato le luci di casa accese?»

Io sgrano gli occhi per il tono che usa, sinceramente preoccupato e serio, e la mia sbornia svanisce in pochi secondi, come se avessi ricevuto una secchiata d'acqua gelida in faccia.

«Non lo faccio mai».

Alzo gli occhi verso il mio appartamento, e noto che le luci sono accese, e so per certo che non è a causa di Candice, dato che si trova fuori città per passare un weekend con la sua famiglia.
La porta mi pare sia socchiusa, e il cuore quasi rischia di esplodermi, mentre le mani iniziano a tremare senza sosta.

Qualcuno è entrato a casa mia.

«Chiamo Asher e la polizia».

La voce di Davian non ammette repliche, e non mi permette neanche di avvicinarmi all'entrata. Mi stringe tra le braccia, e io non controbatto, perché la paura che provo non ha precedenti, e azzera ogni mia facoltà.

«Le mie cose... se hanno preso qualcosa...» balbetto, cercando di creare frasi di senso compiuto.

Davian mi prende il volto tra le mani, e io riesco a trovare pace soltanto quando le sue iridi verdi come la foresta incontrano le mie, e l'ansia si placa. «Maisie, ci sono io qui con te. Non me ne vado».

Non riesco a ragionare, quindi mi limito ad annuire, mentre lui cerca di parlarmi, nonostante io non pronunci neanche una parola. Mi sento come se fossi chiusa in una bolla, incapace di percepire il mondo attorno a me, con le orecchie che fischiano e il panico che blocca le mie vie respiratorie, gettandomi in un limbo che conoscono fin troppo bene.
Hanno frugato tra le mie cose. Hanno violato la mia privacy. Avrò mai un posto dove mi sentirò al sicuro?

«Maisie, mi hai sentito?»

La voce di Davian mi fa rinsavire, e io sbatto più volte le palpebre, fissandolo confusa.

«Cosa?» sussurro con un filo di voce.

Lui sospira, e mi abbraccia più forte, tanto che per un attimo, mi piace vederlo come il mio scudo contro il mondo.

«Ti aiuto a prendere il necessario, poi vieni a casa mia. Col cazzo che ti faccio dormire qui da sola».

✨Spazio Autrice✨
Lo ammetto, questa volta sono stata un po' cattiva col finale, ma non può essere tutto sempre tranquillo, o almeno non nelle mie storie.

Cosa pensate che accadrà adesso?🌝
Ricordatevi, in questa storia nulla è un caso, o una congettura. E siamo soltanto all'inizio.

Ci vediamo al prossimo capitolo🌝