Uno
La fame era tanta. In tempi di guerra, il cibo vero passava quasi in secondo piano; la sbobba, invece, era ciò che i cuochi riuscivano a preparare in poco tempo e in tante porzioni. Ovviamente, a turni, i cuochi non erano altro che i soldati stessi. Non avevamo le risorse umane per possedere un personale per ciascun compito all'interno di una base. Le pulizie, tra le proprie camere, le sale comuni, le palestre, erano tutte a carico nostro.
Per cui, quando arrivai alla mensa con il mio stomaco che chiedeva pietà, la sbobba mi parve come il miglior cibo dell'universo. Non mangiavo qualcosa che non fossero insetti essiccati da circa dieci ore.
Appena arrivammo all'interno della base, Liria ci portò direttamente in mensa, dicendoci che l'incontro con il Generale non sarebbe stato facile da affrontare a stomaco vuoto. Per cui, come potevo rifiutare?
Mi sono seduta a un tavolo con Hein. Erano circa le ventuno di sera ed erano pochi i soldati a cena. L'orario per la cena solitamente era alle venti. I pochi presenti, però, mi guardarono come se già mi conoscessero, chi studiandomi, chi con disprezzo. Non sarei stata accettata nemmeno lì, tra quelle montagne che tanto mi sembravano la mia salvezza.
Hein non mi parlò. Anzi, notai una certa incertezza nei suoi gesti quando si sedette davanti a me. Dal mio canto, mangiai piano il mio pasto per riempire lo stomaco il più lentamente possibile, in modo tale da sentire la fame il più tardi possibile. Trucchi del mestiere.
Dopo qualche minuto, il tenente davanti a me alzò lo sguardo e guardò alle mie spalle. Poi, lanciandomi un'occhiata fiacca, si alzò lentamente dalla sua sedia. Mi girai giusto in tempo per trovarmi davanti al naso lo stemma del Generale. Mi alzai a mia volta, puntando il mio sguardo su quegli occhi per me familiari.
L'arrivo di Nikola Tiers in mensa, come quello di un leone nel suo territorio, portò il silenzio assoluto tra quelle mura. Gli occhi glaciali, fissi sulla mia figura, mi studiavano attentamente. I capelli leggermente brizzolati e con dei ricci che scendevano morbidi sulle tempie, il naso aquilino e l'espressione arcigna. Ecco chi era Tiers: l'uomo che non perdeva mai, che aveva visto e commesso gli orrori che in guerra venivano ammessi e giustificati. Conosciuto come il terrore delle montagne.
Portai la mano sulla tempia, in segno di "rispetto" e saluto. Dietro di me, ero sicura che anche Hein l'avesse fatto.
"Riposo, soldati. Perdonatemi l'avventatezza, ma non potevo resistere oltre: volevo a tutti i costi accogliervi tra queste montagne con il dovuto rispetto," enunciò così. La sua voce tranquilla, sicura, come solo un uomo potente come lui poteva mostrarsi.
"Nessun disturbo, Generale, anzi siamo lieti della sua visita e della sua accortezza." Lecchino, Hein il Lecchino.
"Spero abbiate finito di mangiare. Vorrei potervi parlare il prima possibile di questioni di rilevante importanza. Per lei, soprattutto," i suoi occhi mi trafissero. Mi sentii nuda, esposta ed estremamente vulnerabile. E soprattutto, in pericolo.
Avrei voluto dirgli che no, non avevamo finito, che stavo ancora morendo di fame ed ero stanca per il viaggio. Volevo andare a dormire e sentirlo parlare domani, tanto era pur sempre sera. Ma Hein, purtroppo, esisteva.
"Sì, signore, siamo al suo servizio."
Io mi limitai ad annuire, giusto per non passare per soldato senza disciplina.
Spesso mi capitava di non rispondere, non per altro ma semplicemente perché non lo ritenevo necessario. Mi nascondevo, mi rendevo invisibile anche in mezzo alle conversazioni. Era un po' la mia comfort zone.
Il Generale, però, non smise di guardarmi, come se studiandomi stesse cercando di capire qualcosa a me ignoto. Spero che trovi interessante solo la stanchezza leggibile dalle mie occhiaie e che ci lasci andare subito.
"Seguitemi, andremo a parlare nel mio ufficio." Girò le spalle e si incamminò fuori dalla mensa.
Lanciai un ultimo sguardo al mio cibo, a della sbobba che sicuramente nemmeno i più sfortunati mangiavano ma che per me era oro colato. Dopodiché, mi inoltrai nella fitta rete di corridoi che componevano la base, seguendo le spalle larghe del Generale e quel animale del mio supervisore di viaggio. Sperai con tutte le mie forze che inciampasse, e quasi risi quando vidi che stava per cadere. L'unica cosa a trattenermi fu l'arrivo davanti all'ufficio del Generale.
Sinceramente, non penso mi sarei ricordata subito dei corridoi che ci fece percorrere. Destra, sinistra, poi sinistra e... forse destra? Non lo ricordavo, ma sicuramente si capiva di esserci arrivati vedendo una lastrina con su scritto il nome del Generale. Nikola Tiers. Mancava un "Benvenuti all'inferno," a mio parere, che rendeva più realistico ciò che aspettava chiunque vi si inoltrasse.
Tiers aprì il portone in acciaio battuto. Sembrava ben resistente a qualsiasi cosa, magari anche per le rivolte che potevano avvenire all'interno di una base. Io e il mio "compagno" di avventure entrammo.
"Prego, sedetevi," ci disse con un tono che non ammetteva repliche. Subito seguì il Tenente che senza farsi problemi si sedette.
Mi guardai attorno, notando che fosse una saletta abbastanza grande, con un'estesa libreria che occupava due pareti, sia quella di destra che di sinistra rispetto al tavolo da conferenza, davanti al quale ci eravamo seduti. Dritto per dritto, quindi alle spalle del Generale, vi erano svariati liquori interposti all'interno di un armadio a vetro. Quei liquori tutti messi insieme, costavano quanto un rene nel mercato nero. Il che era tutto dire.
Il caldo che ci accolse mi fece distendere un po' i nervi. Era da tanto che non sentivo questo lieve tepore avvolgermi le spalle, come a coprirmi dai pericoli della base stessa.
Il Generale si sedette davanti a noi e sentii il mio istinto prepararsi all'inevitabile. C'era qualcosa che non mi tornava da quando eravamo arrivati: l'aria diffidente e stanca dei soldati in mensa sembrava dovermi suggerire qualcosa, e a confermarmelo erano gli occhi fiammeggianti di Tiers.
"Finalmente possiamo discutere di una questione molto importante e di rilevante importanza anche per il vostro accampamento. La montagna ha subito un attacco a un plotone che era di ricognizione a valle, nella zona ovest, tra il bosco e il fiume Gjuk," disse mentre con la mano destra indicava sul tavolo, su cui era intagliata la mappa dell'isola, la zona attaccata.
"Il plotone era composto da dodici soldati, di cui due erano caporali. Solo un soldato è sopravvissuto all'attacco ed è ancora sotto l'osservazione dei nostri medici. Ora, sapete anche della battaglia di un mese fa: venticinque soldati morti, altri dieci sono rimasti gravemente feriti e tre sono dispersi. Questi ultimi, ormai, possiamo contarli come morti. Sono dodici giorni che non subiamo attacchi, che c'è fin troppo silenzio nella radura, e sono fin troppo convinto che i nostri nemici si siano spostati, ma c'è qualcosa che non mi quadra. Siete i primi, dopo gli avvenimenti successi, ad essere arrivati senza intoppi nella nostra base, e ciò mi fa pensare che hanno voluto loro che voi arrivaste fin qui," fece una pausa, mentre i suoi occhi tornarono potentemente fissi su di me.
"Ciò che penso, di cui sono fermamente convinto, è che l'interesse dei mutanti sia nei confronti di Adiri. Il soldato rimasto ferito nell'ultimo attacco, prima di svenire ed entrare in coma alle porte della montagna, ha detto il suo nome, soldato. Sapevo però che lei non potesse essere a conoscenza di niente, e che è esterna ai fatti accaduti nell'ultimo periodo. Però mi chiedo perché questo improvviso interesse nei suoi confronti."
Il mio sangue si gelò. Non era possibile tutto ciò. Circa quaranta morti nell'ultimo mese, e speravo di non esserne io la causa. Io, che ho solo conosciuto guerra, dolore e morte, ero contraria alle azioni di violenza sia da parte dello stato che dei nostri nemici. Io, loro, li odiavo. Era per colpa della loro esistenza se sono cresciuta troppo in fretta.
"Signore, sono estranea a tutti gli avvenimenti. Sarei curiosa anche io di capire perché questo loro interesse, ma sinceramente è qualcosa che non voglio sapere, mi fa rabbrividire. È inaccettabile, però, che abbiano causato tutto ciò," la mia voce, fortunatamente, uscì più sicura di quanto fossi. Avevo paura. Temevo che pensassero fossi io la causa di tutto ciò, quando è da quando sono nata che sono innocente a qualsiasi avvenimento. Ed ero stanca di sentirmi accusata ogni volta.
"Sì, credo a ciò che dice. Nell'ultimo periodo, il caporale Finner del vostro accampamento l'ha tenuta sotto sorveglianza per conto mio, non ha rilevato nessun atteggiamento sospetto. Per questo l'ho fatta venire qui. Ma ora, tenente Hein, che notizie mi porta dalla capitale?"
Caporale Finner. Vivien Finner. Nelle ultime due settimane si era finta mia amica, quindi. Guardai Tiers con freddezza, nonostante dentro di me una rabbia cieca stesse nascendo nelle viscere. Sotto sorveglianza, davvero? Non potevo credere che qualsiasi cosa accadesse io, sempre e solo io, venivo sospettata e presa di mira solo perché la mia famiglia è stata accusata in passato. Io, poi, cosa avevo fatto di male da quando ero nata? Niente, accondiscendente, il fantasma di me stessa dall'età di sei anni. Io che non creo problemi, io che ho seguito il mio destino seguendo le indicazioni del Re. Io che volevo solo vivere in pace.
"Il colonnello Markus Clarke, del nostro accampamento, mi ha detto di consegnarle una lettera proveniente dalla base di Ujman; le scrive il Generale Aimo Vickers," Hein tirò fuori dal giacchetto termico una lettera che consegnò al Generale, il quale sembrò ridestarsi dopo aver sentito il nome del Generale del nord, soprannominato il 'Cavaliere Sanguinario'.
"Bene, la lasci pure qui. La leggerò più tardi. Ora, se non le dispiace, tenente, la inviterei a lasciarmi solo con la cadetta," e finalmente capii che dell'altro c'era e che non mi sbagliavo sul mio istinto.
Hein si alzò subito, lo ringraziò per la disponibilità e per averlo accolto nella base. Dopodiché notai i suoi occhi fermarsi sulla mia figura, come a chiedersi cosa volesse da me il Generale. Ma non si fece tanti scrupoli, girò le spalle ed uscì con educazione dall'ufficio.
Quando mi girai per non dare più le spalle al Generale, trovai subito i suoi occhi su di me. Mi studiavano attentamente e con freddezza. È da quando ci siamo trovati faccia a faccia, in mensa, che sembrava volesse entrare nella mia testa e capire qualcosa. Ma cosa?
"Finalmente ho l'onore della sua presenza, Adiri. Sa? È da quando ha iniziato l'addestramento che richiedo lei qui, nella mia base," il tono beffardo, di chi sa che non può essere sconfitto in alcun modo, "ma c'era sempre qualcosa che ostacolava il suo trasferimento, nemmeno il più alto funzionario della milizia può scontrarsi con il volere del Re, dopotutto. Fortunatamente, questi ultimi avvenimenti sono stati a mio favore, nonostante la sconfitta che brucia sotto il mio nome."
Megalomane. Lui non pensava ai soldati persi in battaglia, lui, dopotutto, credeva di poter giocare a scacchi con la vita di chi lo circondava. Era così che vinceva le sue battaglie. Ma, ancora, non capivo cosa volesse da me.
"Ora sono qui, però," dissi a voce bassa e senza voglia di parlargli.
"Sì, finalmente!" Si alzò dalla sedia e si girò verso la teca di vetro, dove teneva i suoi liquori.
Prese due bicchierini e dopodiché tirò fuori una bottiglia all'apparenza costosa. Poi, versò il liquido verdastro in entrambi i bicchieri. Li lasciò sul tavolo e poi si sedette di nuovo.
"Prego," mi disse, porgendomi la bevanda, "è un liquore prodotto a Zuí, uno dei più preziosi e uno dei miei preferiti. Ha un sapore particolare, lo definirei quasi floreale, è a base di diverse spezie di cui la capitale è produttrice da secoli. Salvia, menta, cannella, lavanda e molte altre. È particolare, avanti, lo assaggi."
Guardai prima il suo viso, e poi abbassai lo sguardo verso il bicchiere. Non avevo mai bevuto alcolici in vita mia, per cui ero restia a prenderne un solo sorso. Ma il Generale mi guardava con il suo sguardo inquisitorio, come a volermi mettere alla prova.
Presi il bicchiere in mano e, dopo avergli lanciato un ultimo sguardo, poggiai le labbra sul vetro. Presi un sorso. Era incredibilmente buono, il sapore era strano. Sembrava una medicina di erbe, ma aveva un retrogusto che solleticava dolcemente le mie papille gustative.
"Vedo che le piace," prese un sorso anche lui, "ora, possiamo discutere di cose importanti." Sorrise.
"Ovvero?" chiesi nella mia beata ignoranza.
"Ovvero della sua storia, Uma Adiri."
Ecco qua, vi presento l'Isola Pragati e l'Isola Parjev.
Devo dire che sono molto fiera di questo lavoro, non potete nemmeno immaginare quanto sono stata dietro a siti strani per realizzare una cosa del genere.
Secondo me, era necessario fare una mappa, almeno potete effettivamente capire di cosa sto parlando e la collocazione.
I fiumi sono disegnati a mano, infatti lasciano un po' a desiderare.😅
Ed infine, come immagino la nostra Base.
Con questo vi saluto, ciao ciao. ^^
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top