32
Ero sospesa a mezz'aria, galleggiando su nuvole di confusione colme di odio.
Era come se mille bolle di rabbia mi avessero toccata, esplodendo sulla mia pelle, con la stessa facilità con cui si rompono le bolle di sapone, entrando nel mio corpo, immergendosi nel sangue.
Sentivo il nervoso scorrermi dentro, rendermi acida e scontrosa.
Mi spostai, allontanandomi a passo spedito da quel ragazzo insopportabile, che si limitava solamente a pesare gli sbagli altrui in un modo così ottuso, come se avesse una bilancia d'argento tutta sua, lo immaginavo mettere sul piatto a suo favore una semplice e leggera piuma bianca, e riempire, ingiustamente, di piombo il mio... ostentando una falsa ragione.
Non lo volevo vicino a me.
La sua sola presenza mi disturbava, irritandomi, infastidendomi.
La voce urlante dell'altoparlante continuava a strillare, stordendomi.
Assottigliai lo sguardo e notai il braccio di Dave in lontananza, alzato mentre sventolava in aria, chiamandomi tra la folla; mi diressi verso di lui, impiegandoci più tempo del previsto.
<< Meg ci ho pensato... e hai ragione, avrei dovuto parlartene prima... non ti posso obbligare, se non te la senti ti capisco, tranquilla >> sussurrò, abbassandosi alla mia altezza, parlandomi nell'orecchio per sovrastare il frastuono delle persone,
<< Corro. >> dichiarai, diretta, senza mezzi termini.
Espirai frustrazione.
Non lo facevo per nessuno, né per rendere felice Dave, né per Ethan... solo per me.
<< Grazie Meg! >> esclamò abbracciandomi, circondandomi con le sue grandi braccia muscolose.
Intrecciò le nostre mani, e senza darmi il tempo per ripensarci mi guidò sicuro, portandomi davanti ad uno stand; una di quelle tende bianche, quelle che riempiono le strade delle fiere o delle feste dei paesi, dove, all'interno, c'era un semplice banco coperto da una tovaglia di un colore acceso.
Una ragazza, facendomi sobbalzare, apparve all'improvviso da sotto il banco, ed impugnò sorridente una penna abbandonata tristemente sul tavolo.
Dave, ricambiando il suo allegro sorriso, pronunciò con tono solenne il mio nome, come se fossi una criminale catturata e portata direttamente in prigione; lei, di risposta, annuì decisa, smuovendo i suoi lunghi capelli selvaggi, per poi far scorrere la punta della penna su un lungo elenco di nomi. Insoddisfatta, girò il foglio, fermandosi poco prima della metà, ed enunciò orgogliosa il mio nome ad alta voce, esultando vittoriosa, per poi fare un segno incomprensibile sulla stessa riga e alzarsi.
Si allontanò di alcuni passi, avvicinandosi ad un'alta pila di fogli, mentre io silenziosa, osservavo confusa e curiosa la scena; tornò subito, con uno di quei rettangoli bianchi in mano e la sua felicità a decorarle il viso.
<< Ecco a te Megan >> disse gentilmente, porgendomi una targa personale da attaccare alla mia divisa.
Fui sorpresa per un istante, poi, come una bambina sorrisi, ma lo feci davvero, mi decorai con un sorriso, uno di quelli che brillano di una sostanza pura ed incontaminata,
<< Grazie... >> risposi, afferrandola delicatamente; portava stampati quattro banali numeri, simboli e frasi di sponsor casuali.
Ora, che possedevo anche il mio numero personale, avevo tutto per essere paragonata ad una di quelle tante persone atletiche, che erano lì per il mio stesso scopo.
Dave mi condusse in fila, posizionandoci in quell'affollato gruppo variopinto, e notai sorpresa come, un semplice evento quale una maratona, potesse unire senza difficoltà colori, persone, generazioni e caratteri diversi, unendoli tutti, in un'unica corrente.
<< Pronta? Ti voglio agguerrita Meg! >> affermò, producendo in me una fragorosa risata che mi fece vibrare la gola,
<< Non aspettarti niente, arriverò ultima! >> dissi, consapevole del futuro risultato,
<<Beh, questo significa che io sarò il penultimo >> rispose, ammiccandomi; poi cogliendomi di sorpresa scattò un selfie, chiedendomi di sorridere e di fare smorfie strane,
<< Lo invio a Chase, gli farà piacere, ci tiene molto a questa maratona sai... >> spiegò, con la nostra foto davanti al viso, risolvendo, inconsapevolmente, ogni mio dubbio.
E, mentre il conto alla rovescia per la partenza si avvicinava sempre più alla fine, mi voltai ansiosa, cercandolo palpitante, sperando di intravederlo tra la folla, illudendomi di avvistarlo in lontananza, ad incoraggiarmi con il suo sguardo confortevole.
Ma dovevo ammettere a me stessa la verità, Ethan probabilmente era già in auto, con una di quelle dannate sigarette stretta tra le sue labbra carnose, ed il nervosismo seduto al suo fianco, sul sedile del passeggero a tenergli amichevolmente compagnia.
Lo strillo improvviso della partenza mi rubò dai miei pensieri, trascinandomi in una corsa folle e sfrenata.
Balzai in avanti, spinta dal suono delle grida piene di vita, dai versi selvaggi, dalle urla animali di persone divertite.
Inizialmente fu l'euforia a colpirmi, come una folata di vento mi scivolò sul corpo, inondandomi di una carica infinita.
Ero felice.
Le persone iniziavano a raggrupparsi a secondo della velocità che seguivano, altre, sole, percorrevano l'asfalto a grandi falcate, agili come gazzelle.
Io e Dave, continuammo ad avanzare l'uno al fianco dell'altro per non so quanto tempo, ma lo vedevo sofferente, intravedevo i suoi muscoli scalpitare sotto la pelle, desiderosi di ottenere di più, desiderosi di mostrare le loro reali capacità; come le scintille di un piccolo fuoco, propenso a dirompere in un mostruoso incendio.
<< Vai Dave, vai avanti e conquista il primo posto! >> dissi, incoraggiandolo sinceramente,
<< Sei sicura? >> domandò, indeciso,
<< Vai! >> replicai con più convinzione.
Pochi minuti, ed il corpo arancione di Dave era scomparso in lontananza; rallentai pigramente, continuando quella corsa in totale tranquillità.
Il fiato, autonomamente aveva assunto un ritmo regolare, simultaneamente alle gambe, che sembravano procedere in autonomia, come se io non le controllassi più.
Sentivo il cuore battere ferocemente, martellare la pelle, spingendo per uscire dal petto, come impazzito.
Non pensavo a niente, la mia testa era completamente vuota, riempita solamente dal rombo incessante del cuore, che rimbalzava sulle pareti, divulgandosi testardamente.
Quando raggiunsi il traguardo non fui certo la prima, ma fui sicuramente la più stupita, mi ero posizionata nel mezzo senza troppa difficoltà, ed ora guardavo le persone accalcarsi intorno a me.
Senza rendermene conto mi ritrovai circondata, ingabbiata da corpi umani, li osservavo girando su me stessa, volti totalmente sconosciuti, volti che non avevo mai visto prima.
Ne cercavo uno da riconoscere, uno che mi tranquillizzasse salutandomi, eppure non c'era nessuno.
In quel mare di persone, io mi sentivo sola.
Mentre tutti nuotavano spensierati sulla superficie dell'acqua, io ne ero sommersa, e mentre mi agitavo sul fondo, urlando e dimenandomi, nessuno riusciva a sentirmi, nessuno si accorgeva, che io stessi affogando.
Eppure, mi ripetevo, Dave doveva essere lì, doveva essere da qualche parte, dovevo solamente riuscire a vederlo.
Se solo fossi stata più alta, se solo le punte dei miei piedi, distese al massimo, avessero potuto allungarsi un altro po'... se solo i tendini tesi del collo avessero potuto essere più elastici, permettendomi di intravedere quel ragazzo dagli occhi castani oltre le teste degli sconosciuti.
Ma io vedevo solo schiene, alti busti, maglie fosforescenti, e corpi che mi spingevano, sballottandomi in tutte le direzioni.
Muri, pareti umane mi stringevano, schiacciandomi, soffocandomi al loro interno.
E poi il cuore ricominciò a battere, tornò a martellarmi, vorace e aggressivo, come se fossi una pialla da assottigliare; insieme ad una pungente fitta che mi stringeva entrambe le tempie, costringendomi a socchiudere dolorosamente gli occhi, ad annaspare aria, boccheggiando come un pesce morente sulla riva.
Ma quel cuore, adesso, non era stato gonfiato dalla gioia e dalla vita, al contrario, nelle vene scorreva la paura e nelle arterie il panico, ed erano distribuiti in tutto il corpo, in ogni parte, in ogni organo, in ogni muscolo, in ogni singola cellula.
Mi invasero, e io volevo cacciarli, io volevo strapparli via, estrarli dal mio sangue e gettarli lontano.
Io volevo liberarmene, lo volevo con così tanto ardore, che stavo per impazzire.
Ma più volevo tornare a stare bene, più desideravo raggiungere la superficie per vedere il cielo, e più veniva coperta dal mare.
E mi sentivo impossibilitata, come se la consapevolezza aumentasse per deridermi, per vedermi disperare...
E quando anche la mia vista si bloccò, quando
i miei occhi smisero di vagare impauriti, arrestandosi, immobilizzandosi anche loro... solo allora capii che stavo perdendo, capii che mi stavo arrendendo a quell'indomabile distesa d'acqua salata.
Solo quelle spirali bionde, quei cerchi arrotolati su sé stessi, solo quelli vedevo, solo i capelli ricci di una ragazza davanti a me.
Non so spiegarmi come divennero verdi, il giallo dell'oro si tramutò in un verde, strano, magico... unico.
Ne ero immersa.
L'acqua, nella quale nuotavo, si tinse di quel colore, ed io, delle sue sfumature.
Mi sforzai di non chiudere le palpebre, mi sforzai di restare aggrappata a quell'illusione... e poi, mi aggrappai alle sue braccia, come se fossero le pareti di uno strapiombo.
Mi lasciai avvolgere da quegli arti, che per me erano ali piumate, morbide, soffici piume, ali che mi coprivano come un mantello, che mi proteggevano, che mi difendevano da me stessa.
Mi portò via, si scavò una galleria tra le persone, facendoci uscire, liberandomi.
Mi liberai da quella gabbia umana, ma non da lui.
Non mi allontanai dal suo petto, dal suo busto, dal suo corpo.
Credevo che fosse un'allucinazione, credevo di sognare.
E invece Ethan era lì, che mi stringeva impaurito, imprecando bestemmie e parolacce contro sé stesso; ed io, terrorizzata, non volevo alzare le palpebre, non volevo, perché temevo non fosse reale.
<< Oh principessa... >> sussurrò melodioso, ed io stritolai le palpebre ancora di più, accartocciando la pelle delicata in numerose pieghe.
<< Hai raggiunto il traguardo principessa, ce l'hai fatta... >> affermò, congratulandosi, con l'orgoglio ad impreziosirgli le parole, e solo allora trovai il coraggio di alzare gli occhi su di lui, solo allora.
Ethan era lì, che mi guardava apprensivo, che mi abbracciava affettuoso.
<< E guarda come sono finita Eth >> soffiai, delusa dal mio atteggiamento, incredula, tremante, scossa da singulti acuti,
<< Ho sempre creduto in te principessa, ci credo sempre... ti prego, fallo anche tu... >> disse, implorante, disse, addolorato.
<< Non sei andato via? >> domandai, nonostante la risposta fosse ovvia,
<< No >> confessò sorpreso,
<< Ti ho cercato, io... >> io speravo che tu fossi qui, speravo di trovarti a sostenermi... dissero le parole che morirono sulle mie labbra.
Non mi ero mai resa conto, di quanto fossi codarda, mai, fino a quel momento, quando Ethan stava confessando i suoi sentimenti ed io, stupidamente non riuscivo.
Le sue dolci labbra si posarono sulla mia fronte, in un gesto colmo di sentimenti, carico, per entrambi, di valore.
Poi, con ancora la mente imperlata da quei sentimenti tormentati, cercammo Dave.
Lui era lì che stringeva allegro le mani di sconosciuti; lui era felice.
Si era posizionato sul podio, il terzo posto precisamente.
Saltò quando mi vide, come un cerbiatto venne da me, e mi abbracciò, sollevandomi in aria, facendomi piroettare come una bambola di pezza, ed io strinsi le braccia intorno al suo collo affettuosamente.
Non fu sorpreso quando notò Ethan, non fece battute stupide, si scambiarono qualche frase a bassa voce mentre si stringevano in uno strano abbraccio maschile, e poi Dave tornò a raccogliere complimenti, collezionandoli come fossero fiori rari.
Alzai gli occhi a destra, in una diagonale precisa, che arrivava diretta nelle sue iridi, nelle quali mi ci tuffai, afferrata dalla sua attenzione.
Finché non aprii la portiera, finché non mi sedetti in auto, finché non dovette accendere il motore, le mie dita restarono intrecciate alle sue.
E poi, finalmente, quelle porte viste troppe volte si aprirono dinanzi a me, e mi affacciai su quelle pareti, su quei mattoni, su quel letto ordinato e preciso, ora vuoto.
Attraversai il parcheggio con serenità, libera dai veli di preoccupazione che mi avevano avvolta poco prima, consapevole, che fosse una tranquillità solo apparente, consapevole che quel dolore che mi tormentava, persisteva ancora, c'era sempre, lì, annodato nel mio petto, arrotolato intorno alle costole, attorcigliato ai polmoni, stretto al cuore.
Procedevo, affiancata da un ragazzo improvvisamente silenzioso, che mi sfiorava la spalla con la sua, donandomi un sollievo timido, e, dall'altro lato, un altro ragazzo, caratterialmente diverso, emotivamente fragile, che stava camminando con un atteggiamento normale, con la sua postura retta e composta, ma, sotto il tessuto di quei vestiti, sotto gli strati di epidermide, sotto le ossa, nascondeva esplosioni di paura, di terrore e di panico.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top