20
Avevo appena iniziato a ripulire il pavimento, raccogliendo i resti degli elementi decorativi della mia camera che qualcuno bussò alla porta. Sussurrai un "avanti" alzando lo sguardo dal pavimento e rividi nuovamente la sua figura.
Ethan varcò la soglia con un sorriso sul volto, che scomparve in un istante appena si guardò intorno.
<< Si? >> gli chiesi, alludendo al motivo della sua presenza, ma lui non rispose,
<< Jette? >> sussurrò nonostante sapesse già la risposta.
Si arrotolò le maniche della maglia sulle braccia, per non ostacolarlo e, senza aggiungere altro si inchinò al mio fianco iniziando ad aiutarmi.
<< Avevo notato fosse un po' scossa quando l'abbiamo incontrata questa mattina, ma non ne capivo e non ne capisco tutt'ora il motivo di questo suo comportamento... perché ha reagito così? >> commentai seduta sul pavimento, con una gamba allungata e l'altra piegata, con la coscia vicino al petto per poterla cingere con le braccia distese,
<< È sempre stata sensibile, troppo... avrà influito anche il fatto che sia successo a Chase, a cui è molto legata.
Probabilmente non ha retto lo stress degli ultimi giorni >> rispose pensieroso,
<< Spero solo che tutto questo non la porti a commettere... altri sbagli >> affermai visibilmente preoccupata per le sue azioni,
<< Non sperarci troppo, lei è così. Non riflette, agisce impulsivamente guidata dall'emozioni che la divorano voraci >> replicò quasi crudele,
<< Ha solo bisogno di persone che le stiano accanto >> ribattei sicura.
Mi guardò intensamente, come colpito dalle mie parole, per poi scuotere la testa serio,
<< Non si tratta di questo. Il problema per lei, non è ciò che le sta intorno, non è il mondo esterno bensì la realtà interiore.
È come se le emozioni dentro di lei si manifestassero troppo violentemente, come se fossero fuochi d'artificio! Così forti da scaturire delle esplosioni, che non è in grado di controllare, poiché nessuno glielo ha mai insegnato... >> spiegò lasciando parlare il cuore,
<< E... e quindi? Cosa possiamo fare per aiutarla? >> domandai come incantata da quel racconto che sembrava essere una storia inventata,
<< Noi? Noi un bel niente, solo uno psicologo può aiutarla, sono problemi psichici penso. Ci abbiamo provato in tutti modi, ma è stato inutile... >> rispose con un'alzata di spalle.
Insieme finimmo velocemente, chiusi l'ultimo sacchetto azzurro con un fiocco veloce e riproposi di nuovo la mia curiosità ad Ethan,
<< Non mi hai detto che ti serviva >> affermai guardandolo interrogativa, mentre mi lasciavo cadere pesantemente sul mio letto morbido, come quando i bambini impersonificano gli angioletti sulla neve.
Ethan copiò i miei movimenti, sdraiandosi senza permesso al mio fianco, il che mi lasciò alquanto sorpresa.
<< Avevo sonno anch'io >> spiegò allungando agilmente il braccio all'indietro per premere l'interruttore, con l'intento di spegnere la luce, che al contrario si accese, perciò dovette ripetere l'azione.
<< Dovresti spegnere il sole allora >> commentai riferendomi alla sua distrazione.
Si girò in modo da stare solo ad un palmo dal mio viso.
<< A te invece come ti si spegne? >> domandò beffandosi di me, piegando il sopracciglio sinistro,
<< Uscendo dalla stanza >> ribattei inarcando le sopracciglia a mia volta,
<< Troppo difficile >> ammise arricciando il labbro superiore in una smorfia che attirò tutta la mia attenzione. Restai un secondo di troppo ad osservare le sue labbra carnose, purtroppo senza passare inosservata, quando alzai lo sguardo incontrai i suoi occhi divertiti... e percepii il rossore tingermi il viso.
<< Stupido >> brontolai imbarazzata mentre lui non nascondeva minimamente il sorriso sul volto,
<< Vuoi toglierti quel sorriso dalla faccia?! >> replicai spingendolo al centro del busto bisognosa improvvisamente di spazio.
Si girò nuovamente e con movimenti improvvisi si portò con la schiena completamente distesa sul materasso, per poi attirarmi a sé con forza.
Mi trovai spiaccicata sul suo torace marmoreo, dove un martello batteva impazzito.
<< Ora si che sono comodo principessa >> affermò riflettendo. E lì sorrisi come una bambina, rassicurata dai suoi occhi chiusi, convinta che non mi potesse vedere,
<< Tanto lo so che stai sorridendo >> aggiunse senza alzare le palpebre, tirando un angolo della bocca per dar forma ad un sorriso furbo.
Non passò molto prima che il petto di Ethan iniziò ad alzarsi e ad abbassarsi secondo movimenti regolari.
Nonostante la stanchezza il sonno non voleva portarmi con sé, al contrario si divertiva a torturarmi, rinfacciandomi le parole di Beth riguardo Ethan, le quali si accodavano ad altri pensieri, formando lunghi treni che viaggiavano ad alta velocità su binari immaginari del mio cervello. E, come se non bastasse l'ansia si era impadronita di un altro treno, ancora più ingombrante, che sbuffando fumo nero tagliava di continuo la strada ai miei pensieri.
Non ero mai stata capace di interpretare me stessa, i miei sentimenti contorti, le mie paure oppresse o banalmente i miei desideri, troppo impegnata a nasconderli a tutti, me compresa.
Ero lacerata interamente, ma non come troppo spesso si legge nei romanzi o nei film, tra corpo e mente... sarebbe stato troppo facile per la mia mente perversa.
Era la mente ad essere divisa, sentivo le miliardi di rotelle che giravano rumorosamente cercando quella mancante, analizzando fin troppo razionalmente ogni sfaccettatura della realtà.
Qualcosa in Ethan non quadrava e di questo ne ero pienamente consapevole... tuttavia Beth era così difficile da definire, sorridente e gioiosa e a tratti schiva e malefica.
Mi domandavo, perché mai dovrebbe mentirmi?
A quale fine architettare bugie inutili?
Il mio cervello, era indeciso, combattuto se seguire i suoi consigli, fidandomi di quella ragazza dai capelli colorati come la distesa salata che tanto minacciava di affogarmi, o ignorarli spudoratamente, convincendomi che si trattasse di semplice cattiverie celate fintamente da buone intenzioni.
Il mio corpo invece non aveva dubbi, come un magnete mi sentivo attratta da lui, dalla sua mente contorta, dalla sua gentilezza nascosta nel suo essere scontroso, da ogni singolo dettaglio lo caratterizzasse, rendendolo unico, rendendolo Ethan.
Ma, come tutti i magneti, eravamo capaci di attrarci l'un l'altro in un battito di ciglia e respingerci ancora più velocemente.
Di accarezzarci delicatamente o scontrarci ferocemente come animali selvaggi.
E il cuore? Il cuore in tutto ciò sembrava impazzito.
Un organo tanto particolare da avere sempre una voce propria, capace di opporsi, di mantenere la determinazione restando indifferente ad ogni evento o catastrofe.
Mentre il vorticare dei pensieri non sembrava voler smettere, i miei occhi si arresero esausti, socchiudendosi con una lentezza mortale, la mano si posò meccanicamente su quel torace in continuo movimento e, finalmente, l'incessante tormento si fermò, giovandomi di un po' di tranquillità dopo ore di tanti problemi.
Mi svegliai per colpa del suono assillante della sveglia, quel suono odioso che distruggeva i miei timpani.
La stanza era poco illuminata, cercai le ciabatte sotto il letto, ricordandomi di come le avevo scalciate in preda alla stanchezza.
Il telefono sulla scrivania in legno continuava ad illuminarsi creando bagliori ad intermittenza, lo afferrai leggendo con spensieratezza le notifiche e rabbrividii notando l'orario, constatando il mio imminente ritardo.
Con gli occhi ancora semichiusi per il sonno, scelsi un vestito dal grande armadio capiente, per poi correre letteralmente in bagno a prepararmi per la serata.
Scesi le scale ricontrollando distrattamente il contenuto nella borsa, mentre mi congratulavo mentalmente per essere riuscita a prepararmi in tempo record.
Salii in macchina dove tutti i ragazzi mi aspettavano, mi sedetti comoda sui sedili posteriori scandendo un bacio sulla guancia alla mia amica, e preparandomi a subire le sue lamentele per i miei frequenti ritardi.
Mi sentivo spensierata, nel posto giusto.
Raggiungemmo la nostra meta in poco tempo, era una villa spaziosa decorata da numerose finestre argento, un insieme di eleganza e modernità, salimmo alcuni scalini per poterci imbattere nel centro della discoteca dove le luci multicolore dipingevano ogni parete.
Mi bloccai, paralizzandomi come una statua quando vidi un'alta finestra che presagiva una veranda esterna totalmente deserta, probabilmente molti non erano a conoscenza di quello spazio.
Sbattei le palpebre ripetutamente guardandomi intorno, una sensazione di déjà vu mi rimbombava dentro.
Ero convinta di aver già visto quel posto, di aver già ballato tra quelle pareti, di aver già vissuto in quell'atmosfera... ma tutto ciò era impossibile, scacciai quel pensiero con un gesto della mano lasciandomi rassicurare dalla musica.
Andai al piano bar, sperando di poter intravedere Amber e i suoi amici tra la folla caotica al centro della pista.
Tutto successe fin troppo velocemente e in modo confuso; un ragazzo mi si avvicinò amichevolmente, intavolando una conversazione cordiale, mi offrì un drink e mi chiese sorridente di ballare.
Accettai dubbiosa, nonostante tutto in lui esprimesse tranquillità i suoi occhi, così scuri, erano capaci di raggelarmi il sangue.
Mentre ballavamo continuavo a cercare la chioma bionda di Amber, iniziando a preoccuparmi.
Vagai il mio sguardo notando Dave, Chase, Jette e Alfred ridere serenamente insieme, ogni tanto il loro sguardo si posava su di me e questo gli scaturiva altre fragranti risate.
Poi, mi voltai a destra, d'impulso, e vidi la figura imponente di Ethan osservarmi.
Il cuore si fermò terrorizzato e da lì furono solo attimi.
Come flash di fotografie, le immagini si ripetevano al rallentatore, il ballo iniziava ad essere sempre più esplicito, un bacio casto che diventava profondamente passionale, dolci frasi si trasformavano in intimazioni minacciate nelle orecchie.
E le mani, le mani voraci di quel ragazzo sul mio corpo che mi toglievano il respiro.
La gola mi bruciava per le urla infuocate come le calde lacrime che sgorgavano sugli zigomi.
E lui, lui era lì, immobile con uno sguardo disgustato che mi osservava, mentre i suoi occhi verdi si sbiadivano sempre più.
Spalancai gli occhi ancora con il respiro affannato,
<< Megan! Fermati Megan! >> delle grida ondeggiavano nella stanza in semi ombra dove mi risvegliai.
Ethan sconvolto mi teneva le braccia difendendosi dai miei movimenti irrequieti comandati dalle azioni svolte nel sogno.
La stanza era caduta in un silenzio tombale e le lacrime non smettevano di scendere sulle mie guance impaurite.
Nonostante il mio sguardo fosse puntato su Ethan, uno schermo mi riportava davanti il ragazzo in discoteca.
Ero tornata a quella sera. Di nuovo.
Ethan mi abbracciò, stringendomi forte a sé,
<< E-ero di nuovo lì, q-quella sera... >> balbettai interrotta dal suono dei miei stessi singhiozzi che tagliavano dolorosi il silenzio, incapace di continuare ad esprimere quei ricordi,
<< Era solo un sogno principessa. Soltanto un brutto sogno >> sussurrò dolcemente Ethan, mentre la mia pelle si copriva di brividi e dalla sensazione invadente di quelle mani pressanti.
<< C'eri anche tu... c-che mi guardavi, c-come se, se fossi... io, >> non terminai la frase interrotta dalle sue parole,
<< No... cancella tutto da questa testolina. Guardami, >> affermò deciso costringendomi a fissare i suoi occhi verdi, mentre dolcemente mi abbracciava sempre più forte, come per farmi sentire la sua presenza, farmi realizzare di non essere sola,
<< Niente di tutto ciò era reale. Tu non eri proprio da nessuna parte se non qui, al mio fianco a riscaldarmi peggio di una stufa... >> ribadì costruendo un sorriso pallido sul mio viso, prese il mio volto tra le mani con estrema delicatezza,
<< Capito principessa? >> replicò accarezzandomi la guancia con la sua mano calda.
Annuii un po' titubante, mantenendo lo sguardo fisso nelle sue iridi, creando un legane, che come un nodo non sembrava intenzionato a sciogliersi.
E solo in quel momento, capii che non era il suo caldo abbraccio a donarmi sollievo, non era il suo corpo che stringeva il mio, proteggendomi come un'armatura d'acciaio, erano gli occhi, quei dannati e benedetti occhi crepati, capaci di capovolgere ogni certezza, di stravolgere il mondo. Nella scarsa luce di quella stanza splendevano come fari argentati, come pietre preziose che al loro interno, dietro duri strati di barriere nascondevano il più variopinto ed originale caos.
Intravedevo dentro di essi una scala chiocciola, in ferro nero, nascosta dalle fitte sfumature delle sue iridi. Era formata da un numero esagerato di gradini, tanto da non riuscirli a contare né a vederne la fine.
Non potevo sporgermi troppo, poiché la caduta sarebbe stata fatale, e di tornare indietro non se ne parlava, avevo solo voglia di continuare a scoprire.
Respiravo la sensazione che Ethan mi avesse permesso di iniziare a scenderne alcuni, come se fosse stato lui ad aprirmi la porta per quella scala, e nonostante percepissi di essere solo all'inizio di quell'infinita discesa, la gioia mi esplodeva nel petto.
Ed io avrei provato a mostrarmi impavida difronte al suo caos, perché consapevole che se solo mi fossi fidata, lasciandolo combaciare col mio, messi insieme erano capaci di formare un universo intero.
Mi stava aprendo il suo mondo, lasciandosi conoscere, lasciandosi attraversare l'anima.
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