12
Distolsi la mia attenzione dall'orsacchiotto per riporla in Ethan. Stava cercando qualcosa nell'armadio lasciandomi la possibilità di osservare le sue ampie spalle e i suoi muscoli tendersi ad ogni movimento.
Si voltò di scatto nella mia direzione tirandomi un qualcosa di rosso addosso.
Mi colpì in pieno volto e sobbalzai per l'improvviso contatto. Era una delle sue tante magliette, << Ehi! >> dissi fingendo di essermi fatta male e mettendo il broncio come una bambina. Teneva su un braccio due asciugamani e dei pantaloncini bianchi. Lui sorrise per la mia smorfia e si avvicinò al letto, << Tieni indossa questi. Dovrebbero starti, o almeno penso... >> disse sistemandosi i capelli in imbarazzo, << Non serve... non voglio essere un peso, vado nella mia stanza tranquillo. >> dissi appoggiando la maglietta sul letto ed alzandomi, ma lui mi precedette alla porta.
<< Non sei un peso. Io esco tu cambiati con calma. >>
Non aspettò risposta, uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle. La sicurezza con cui aveva parlato mi lasciò spiazzata.
Me lo immaginai in corridoio appoggiato al muro ad attendere. Scossi la testa cacciando quel pensiero e sbuffando mi svestii.
Presi l'asciugamano più grande e mi ci avvolsi completamente, con l'altro mi ci legai i capelli creando un turbante.
Indossai i pantaloncini bianchi che mi arrivavano alle ginocchia e la maglietta rossa che mi copriva fino a metà coscia. Non avevo idea di come potessi apparire ma mi sentivo decisamente goffa.
<< Ethan puoi entrare. >> affermai con una tonalità di voce abbastanza alta da farmi sentire da lui.
Appena aprì la porta e mi vide sorrise beffardamente, << Che c'è? >>
Per riposta aprì l'anta dell'armadio mostrandomi una superficie a specchio nella quale potermi osservare.
Sembravo una di quelle ragazze vestita in stile Hip Hop... Ethan anticipandomi mi mise un cappello grigio con la visiera larga,
<< Mi servirebbero alcune catene d'orate di alcuni chili per completare il look e sarei perfetta. >> affermai seria facendo alcune mosse che non ricordavano nemmeno lontanamente quello stile.
<< Mi dispiace deluderla ma abbiamo terminato codesto articolo signorina. >> pronunciò con voce tipica di un commesso altolocato. Sbuffai sorridendo e guardai la sua immagine riflessa nello specchio dietro la mia. I nostri sguardi si incontrarono e senza un motivo preciso potei notare il colore della mia pelle, solitamente pallida come latte, arrossarsi lievemente.
Distolsi lo sguardo spostandomi di lato mentre facevo un nodo veloce sul lato della maglia sentendola troppo ingombrante.
<< Ecco, la prossima volta puoi andarci vestita così in discoteca invece di indossare quei vestiti che non possono nemmeno essere considerati come tali. >> affermò serio appoggiandosi ad una finestra ed incrociando le braccia al petto.
<< Dici? >> domandai fingendo di rifletterci,
<< Non scherzare, dico seriamente. Smetti di metterti quegli stracci. >> e notando il mio silenzio lo interpretò come un incitamento a continuare, << Stai meglio vestita così invece di evidenziare ogni curva con vestiti
attillati. >> << Quindi mi stai dicendo che i vestiti mi stanno male... >> << Non ho detto questo. >> << Non l'hai detto ma lo
intendevi. >> replicai osservando attentamente le sue reazioni, tuttavia rimase impassibile con le spalle alla finestra, << No, vedi che devi sempre fraintendere tutto. >>
A quest'affermazione scoppiai a ridere,
<< Seriamente, >> dissi iniziando il discorso
<< Se tu andassi in discoteca, ti avvicineresti ad una ragazza con la tuta e la felpa o ad una che indossa un vestito scollato, o anche un semplice vestito che evidenzia la sua figura e le sue forme? >> domandai appoggiandomi leggermente alla scrivania, non aspettò a rispondere, << A quella che indossa la tuta. >>
affermò serio. Ed io sorrisi, un sorriso ampio e strafottente prese strada sul mio viso.
<< Che bugiardo che sei! Allora perché stai sempre appiccicato a Sharon?! Non mi sembra che lei sia il tipo di ragazza che hai appena descritto. >> dissi additandolo, << Le ragazze indossano vestiti invece di tute perchè voi vi basate solo sull'apparenza fisica. >> continuai << Certo voi indossate vestiti da puttane e ora la colpa sarebbe nostra?! >>
Spalancai la bocca oltraggiata ma mi ricomposi subito, << Mi stai dicendo che l'altra sera sembravo una puttana?! >> << No. >> affermò e notai che digrignò per un attimo i denti mentre con la mente tornava alla sera precedente, << E allora stai facendo di tutta l'erba un fascio. >> << Anche tu se per
questo. >> e per risposta sbuffai gettando gli occhi al cielo.
<< Scommettiamo, >> disse sorridendo e lasciando la frase incompleta. Feci un gesto con il mento per farlo continuare, << Anche se la prossima volta che andiamo a ballare vai vestita sportiva ci proveranno comunque con te. >> affermò serio, sbuffai nuovamente scuotendo la testa, << Per me no. >>
Si avvicinò e mi strinse la mano sigillando la scommessa, << Che ci giochiamo? >> domandò << Quello che vuoi tanto vinco. >> replicai guardandolo fisso << Devi comunque ballare come sempre, non puoi startene seduta in un angolo da sola, altrimenti non vale. >>
<< Certo certo, ma vincerò ugualmente. >>
<< Chi perde offre da bere. >> replicò lui dopo averci pensato un attimo << Va bene. >>
<< I bambini? >> chiesi ad Ethan guardandolo aprire la finestra per rinfrescare la stanza
<< Mentre ti sei cambiata li ho messi a dormire. >>
Annuii riflettendo, << Ora vieni con me. >> disse senza lasciarmi il tempo di oppormi e prendendomi il polso. La sua mano copriva facilmente la mia pelle, le sue dita lunghe e fini riuscivano a procurarmi una scarica di brividi senza paragone.
Uscimmo dalla stanza e lui mi lasciò andare.
Di fronte alla porta della sua camera, due passi verso destra c'era un'altra porta apparentemente identica a tutte le altre del corridoio.
Ethan mise la mano in tasca cercando qualcosa ed estrasse una chiava più grande delle altre con vari disegni sul dorso.
L'infilò nella toppa e girandola con difficoltà fece scattare più volte la serratura.
Delle scale a chiocciola, in legno scuro tendente al nero si mostrarono davanti a noi.
Ethan richiuse silenziosamente la porta alle nostre spalle ed iniziammo a salire.
Gli scalini, sopratutto al centro, presentavano parti in cui il legno a causa del tempo si era rovinato, perdendo il suo colore originale e la lucidità che gli appartenevano.
Erano alti e sottili, le pareti invece erano ricoperte da semplice cemento.
Salimmo un po' di gradini finché non raggiungemmo un'altra porta, questa di ferro si aprì senza bisogno di alcuna chiave.
Ethan aprì la porta, poi si spostò lasciandomi passare per prima.
La brezza serale mi investì rinfrescandomi, avanzai di alcuni passi e mi bloccai fermandomi sul posto ad ammirare il tutto.
Ethan mi aveva portato in terrazza.
Sulla destra accanto al muro del collegio scendeva una tettoia in legno bianco, abbastanza ampia da ospitare un tavolo in vimini accompagnato da alcune poltrone. Ma la parte più stupefacente si trovava nella parte opposta, dove sulla sinistra degli archi in legno di diverse altezze, apparentemente posti casualmente, senza un motivo preciso, incorniciavano il confine della zona.
Sentii Ethan alle mie spalle premere alcuni interruttori, e gli archi si illuminarono.
Tra le aperture del legno erano poste vari luci, e pendevano alcune lanterne, le stesse che erano poste ai quattro angoli della tettoia.
Fiori e piante coloravano ovunque la terrazza, erano piante tropicali di mille colori, variavano dall'azzurro tenue ai colori più accesi del rosso e dell'arancio. Al centro era posto una sorta di letto circolare circondato da teli che svolazzavano dolcemente e ricoperto da cuscini che richiamavano lo stile del luogo.
Sembrava una sorta di giardino segreto, un luogo speciale di cui pochi erano a conoscenza.
Ethan aveva veramente creato tutto ciò da solo? E perché mi aveva portato lì? Si fidava forse di me?
<< Insomma che ne pensi? >> domandò risvegliandomi dai miei pensieri che avevano preso il sopravvento.
Mi voltai nella sua direzione. Era illuminato dalla moltitudine di lampadine che percorrevano la terrazza, i capelli castani avevano assunto riflessi dorati e gli occhi verdi splendevano particolarmente mentre cercava di leggere le mie espressioni facciali.
Gli sorrisi sinceramente, << È bellissimo... ma come hai fatto? >> << Diciamo che ho avuto parecchi anni per curare tutto. >>
Ogni volta che si riferiva al suo passato in quel collegio, il mio cuore subiva una fitta di dolore, al pensiero dei sensi di colpa e della solitudine che avesse potuto provare costantemente.
E poi pensavo a come fosse adesso.
Al bambino che era cresciuto senza il sostegno dei genitori, ma che era riuscito a trovare la forza per diventare un punto di riferimento per tutti gli altri ragazzi, che dopo lui sarebbero passati sui suoi stessi passi.
Ed ora lo vedevo mentre i suoi occhi emanavano scintille, vedevo la sicurezza che tutti gli riponevano nelle mani, senza paura, fiduciosi della sua persona. E vedevo anche la mia, la mia anima che titubante si stava avvicinando troppo alla sua, tanto da sentirla vibrare, tanto da ammirare tutte le sue insicurezze e poterle accarezzare con il mio cuore. Lo sapevo che era rischioso fidarmi ancora di qualcuno, e lo sapeva anche lui.
Lo potevo notare nel suo sguardo, mentre lottava con se stesso per lasciarsi andare nonostante la paura della perdita, la stessa che mi bloccava il respiro.
Ethan non aggiunse altro, mi prese per mano e mi portò dolcemente su quel letto al centro di quel paradiso.
Si sdraiò, e dopo un attimo di indecisione lo seguii copiando i suoi movimenti.
Invidiavo le ragazze che riuscivano ad essere affettuose con tutti. Non che io non provassi affetto, ma faticavo a dimostrarlo, non amavo il contatto fisico, reagivo irrigidendomi e scansandomi. Solo mentre ballavo riuscivo a sciogliermi un po', ma non andavo mai oltre un bacio, era come se vedessi il confine e volutamente non lo superassi mai.
<< Ti piace davvero? >> domandò mentre appoggiavo la testa sul suo petto lasciandomi abbracciare. << Si. Dovresti sfruttare questa tua capacità, hai talento. Potresti continuare gli studi... non ti piacerebbe? >> << Certo che mi piacerebbe ma per diventare cosa? Vorrei essere un ingegnere, ma chi mai assumerebbe un orfano senza esperienza né soldi? >>
<< Cosa c'entra, sei bravo e sei intelligente, se ti impegni puoi arrivare ovunque.
Quando uscirai da qui potrai raggiungere tutti i tuoi obbiettivi. >>
Ero convinta di quelle parole, lo pensavo veramente, << Forse, non è facile come lo fai apparire tu... >> affermò mentre delicatamente mi accarezzava i capelli, facendoli scivolare tra le dita come acqua.
Percepivo la tensione che quel discorso gli procurava così cambiai argomento.
<< Ci fate le feste qui? >> lui sbuffò ridendo,
<< Nessuno è mai venuto qui, sei la prima. >> invece di rendermi felice quest'affermazione mi spiazzò un attimo, cosa significava?
<< Perché? >> domandai senza guardarlo, lo sentii alzare le spalle, nonostante non potessi vederlo, << Non ero pronto a condividerlo con nessun altro forse. >>
E solo allora sorrisi felice. Alzai lo sguardo verso la distesa nera da cui tanto amavo farmi coprire. La luna era coperta da alcune nuvole, ma si poteva vedere comunque il suo bagliore offuscato, al contrario le stelle erano cucite un po' ovunque, anche negli occhi di Ethan che come me le osservava assorto.
<< Parlami di Jette. Non avrai pensato che mi fossi dimenticata... >> dissi rattristandomi un poco al pensiero della mia compagna di stanza, << Non c'è molto da dire. >> << Dai Ethan. >> lui sbuffò più per la frustrazione che per il nervoso, << Allora preparati, perchè è una lunga storia. Se ci tieni così tanto a conoscerla... >>
Aumentò la sua presa su di me, come per assicurarsi che non gli potessi fuggire dalle braccia, ed iniziò a parlare mentre il mio cuore batteva all'impazzata terrorizzato.
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