The story of Ciak

Pov Ciak

Sei anni prima.

Sono un ragazzo semplice,capelli marroni, e occhi di una gradazione differente. Celesti.

Sono il ragazzo che viene spesso messo da parte, la seconda scelta. Sono un ragazzo che preferisce disegnare piuttosto che uscire.
Riesco a disegnare parole che per me hanno un senso, l'arte riesce a salvarmi. Non ne conosco il motivo.

La campanella dell'ora di pranzo suona. Mi affretto a mettere in spalla lo zaino e ad uscire. Non mangio mai in mensa, tutti mi isolano. Non sopporto nessuno, anche a casa mi sento un estraneo, stare solo mi viene spontaneo.

Mi siedo su una piccola panchina nel cortile.
È dicembre quindi la temperatura non è molto gradevole. I ciliegi sono stupendi. Spogli.
Oggi non ho fame, quindi decido di buttare il panino che avevo comperato al bar.
Invece di prendere chili, li perdo.

Lascio che chiunque mi stia attorno mi aggredisca.
Mi stringo nel mio parka, prendo la matita tra le mani ed un notebook per disegnare.

Amo l'arte. Amo il disegno.

In questo piccolo quaderno disegno tutto ciò che i miei occhi rubano.
Volti.
Fiori.
Case.
Murales.
Tatuaggi. Già questi ultimi sono i miei soggetti preferiti.
Scorro velocemente le pagine, mi soffermo principalmente su un disegno.
Un volto.
È un ragazzo dell'ultimo anno.
Mi ha colpito per la sue eleganza, per il suo modo di strafare.

Oggi sarà capodanno. Speriamo in un anno migliore.
Imposto la posizione ideale per il mio disegno ed inizio.
Dapprima sono solo semplici scarabocchi, ma infine, ve lo lascio immaginare a voi.
È così che spendo le mie ore di pranzo.
La campanella suona.
Torno in classe.

Le ora sembrano non finire mai.
Mancano venti minuti.
Alterno lo sguardo dalla porta all'orologio.
Altri dieci minuti.
Mi appoggio con la testa sul banco.
Altri cinque minuti.
Dopo i continui richiami da parte del professore, la campanella suona. Grazie a dio posso finalmente uscire da questo incubo.

Oltrepasso il cancello e trovo una macchina nera ad aspettarmi.
Oscar. Pensai.
È il mio maggiordomo.
-"Bentornato signorino"-
Apre la portiera.
-"Grazie"-
Dopo dieci minuti di viaggio, arriviamo alla villa. E non scherzo quando dico villa.
-"I miei genitori?"-
-"La signora non è ancora rientrata dal suo viaggio d'affari, mentre il signore è in casa"-
-"Perfetto"- sussurrai saracatico.
Siamo un famiglia benestante. Ma che dico. Ricca. Mio padre è un imprenditore e gestisce un'azienda di Sydney. Mentre mia madre è a capo di un'agenzia d'affari. Viaggia molto.

Attraverso il corridoio che porta al soggiorno. Mio padre è seduto sul divano con alcuni colleghi, filo dritto.
-"Non si saluta?"- una voce blocca la mia strada.
La villa è enorme. Al piano terra si può trovare di tutto e di più. Chi più ne ha più ne metta.  Il soggiorno è un openspace collegato alla cucina. Le vetrate trasparenti avvolgono il soggiorno. Quest'ultimo è composto da quattro divani in pelle nera. La cucina è formata da un tavolo in vetro molto lungo. Al piano inferiore sono collocate la piscina ed una palestra.
Le scale su cui mi trovo sono collegate ad un corrimano rosso acceso, come la gradazione delle scale.
Al primo piano invece ci sono cinque camere da letto e cinque bagni.
-"Non volevo disturbarti"-
-"Torna indietro e saluta"-
Scesi i due gradini e raggiunsi mio padre.
-"Buonasera"- salutai girando gli occhi al cielo.
-"Che ragazzo maleducato"- disse un uomo in giacca e cravatta con la barba da Babbo Natale.
-"Beh spero di non diventare come te da grande"-
-"Ciak!"- mi rimproverò mio padre.
-"Sali in camera tua!"-
-"Con piacere"-

Non abbiamo mai avuto un bel rapporto.
Non siamo identici.
Lui ha un carattere forte, io ho il cuore di burro.
Non mi ha mai detto " prova, rischia, sbaglia, sii disposto a perdere".
Ho imparato da lui che il silenzio ci libera dal superfluo.
Non mi ha mai insegnato ad andare in bicicletta tenendomi il sellino da dietro per non farmi cadere.
Mamma non mi ha mai letto una storia per far sì che io riucissi a dormire. Quando la notte mi svegliavo perché fuori c'era un temporale e io avevo paura, non salivo nel lettone di mamma, mi coprivo la testa con le mie copertine e piangevo.
Sono sempre stati assenti, tutt'ora.
Ho imparato ad arrangiarmi da solo.
-"Cresci!"- mi grida mio padre.
E più grida meno lo sento. Lui non ha capito niente di me.
Alza la voce e punta il dito. Non sa fare il padre. Giudica Sempre.
Sono sempre solo e a volte fa male.
Fa male da non respirare.
Chiudo la porta e mi precipito alla scrivania.
Ho capito di essere al limite perché mi metto a piangere per cose insignificanti come questa.
Ho così tanta paura che un giorno possa perdere totalmente il controllo di me stesso.
Mi sento fuori posto, sono bloccato in un mondo che odio.
Prendo la lametta tra le dita. È pungente. L'appoggio sul polso e taglio. Uno. Due. Tre volte.

Perché lo faccio?

Per far uscire tutto quel sangue, tutto quel dolore.
Quando finisco sento la mia anima più pulita. Nuova.
Il sangue gocciola.
Domani sarà un nuovo giorno.
Si, spera e credici.

Guardo l'ora sul telefono sono le cinque di pomeriggio.
Ho dormito così tanto?
Mi alzo faccio una doccia e indosso una maglia larga e un pantalone di una tuta.
Scendo le scale.
A quest'ora non c'è nessuno.
Apro il frigo e mi verso un bicchiere di succo d'arancia.
Sblocco il cellulare e navigo sui social. Nessuna notifica.

Torno in camera afferro un paio di riviste e inizio a sfogliarle.
Sono delle riviste gay.
Ho scoperto di esserlo due anni fa, quando per la prima volta provai attrazione verso un mio amico.
Cos'è la cosa peggiore di essere gay? Avere dei genitori omofobi.
Le riviste le tengo nascoste in un cassetto sotto il letto.
Non voglio neanche pensare cosa succederebbe se
-"Ciak!"- cazzo mio padre è tornato.
-"Muoviti"- con la fretta dimentico le riviste sulla scrivania.
-"Che c'è?"-  urlo più forte di lui.
-"Abbassa i toni moccioso"-
-"Cosa vuoi?"- chiedo stavolta più calmo.
-"Io e tua madre stasera usciamo a cena"-
-"Dille che poteva venire anche a salutare invece di restare in quella cazzo di macchina!"- sbottai.
Non ci vedevamo da quanto? Due mesi? Neanche si degna di salutare il figlio.
Salii le scale e chiusi la porta sbattendola.
Mi buttai sul letto.
Caddi nelle braccia di Morfeo.
Non l'avessi mai fatto.

-"Che cazzo sono queste?"-
Sentii delle urla.
Avevo gli occhi assonnati.
Ero sotto le coperte.
Le 23:40.
Una mano strattonò i miei capelli facendomi sbattere la schiena contro l'armadio.
Il respiro mi mancò per qualche istante.
Mia madre rimase ferma sulla soglia.
Mio padre iniziò a stringere il collo con una mano e con l'altra sorreggeva e sventolava le... riviste. Merda.
-"Ciak cosa sono?"-
-"Riviste?"-
Uno schiaffo si poggiò sulla mia guancia. Bruciava.
Il labbro iniziò a sanguinare.
Ma che potevo farci? Ero abituato al sangue. Non mi impressionava più.
-"Sei frocio?"-
-"No papà, sono gay!"- urlai.
-"Dio mio cosa abbiamo fatto per meritarci un figlio così?!"-
La tristezza che sentivo era immensa.
Mi sentivo solo, vuoto, triste. Avevo una rabbia dentro di me, ma non trovavo il modo per sfogarmi.
-"Mi fai schifo, come puoi essere mio figlio?"-
-"E tu come puoi essere mio padre?"- gridai con le lacrime agli occhi.
-"Perché non volete che io sia felice? Perché? Non sono un ladro, non sono uno stronzo, non sono un drogato. Sono solo un ragazzo che ama altri ragazzi. È tanto sbagliato? Siete degli omofobi di merda!"-
Mio padre sfilò le mani dal mio collo, uscì dalla stanza e dopo qualche secondo rientrò con una pistola in mano.
-"Tesoro fermati"- urlò mia madre.
Sbiancai.
Sparò un colpo al lampadario che andò in frantumi poi puntò la pistola sul mio petto.
-"Prima che prema il grilletto, vattene da questa casa!"-
-"Ma.."-
-"Niente ma. Vattene o ti ammazzo!"-
Caricò la pistola. Scattai velocemente e raccolsi le mie cose.
-"Lascia qui i vestiti. Li hai comprati con i miei soldi. Sono miei."-
Rimasi spiazzato. Uscii di corsa da quella casa. Ormai non più mia. Tremai. Gurdaii il cellulare che ero riuscito a tenere nascosto tra i pantaloni.

Erano le 0:00 am. del primo gennaio.
Spero veramente che questo anno possa essere migliore. So che nessun anno è perfetto, nessun anno sarà solo bianco o nero. Tra il bianco e il nero ci sono infinite sfumature.
Vorrei passare questo giorno con delle persone speciali, invece vago per la strada senza meta.



Dopo qualche anno mi trasferii ad Orange nello Stato di New York.
Decisi di studiare arte. Trovai un piccolo lavoro part-time per pagarmi gli studi. Affiattai un appartamento a buon prezzo.
Non sento più i miei genitori. Nemmeno lo voglio.
La mia vita è migliorata. Dovrei ringraziarli da questa parte.
Ora ho sedici anni e una vita davanti.
Mi feci alcuni amici, pochi ma buoni.
Accettai la domanda all'accademia militare.
Ed ora sono come mi conoscete.

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