13. STRIPE LETALE
Nel fitto buio del bosco, il nostro gruppo avanzava in silenzio zigzagando tra i possenti pini rossi. Ogni passo era eseguito con cura per non turbare la serenità della notte. Le luci infrarosse ci permettevano di orientarci senza svelare troppo la nostra presenza agli occhi curiosi dei piccoli predatori notturni che si muovevano tra i cespugli.
«Oh Dio!» si lamentò Louise, schiaffeggiando frenetica l'aria.
«Cosa ti succede?» chiesi.
«Ci sono dei cosi che mi stanno volando in faccia».
«Sono farfalline e moscerini notturni. Sono attirati dalle luci a infrarossi».
«E come posso fare per tenerli lontani?»
«Spengi le luci o ci convivi. Ti consiglio di tener chiusa la bocca».
«Perc... Ah! Che schifo ne ho ingoiata una!» si lamentò, sputacchiando disgustata.
«Per questo motivo» dissi ridendo.
«Accendo Ovilus. Magari, la strega è già qua e sta parlando». Sembrava davvero convinta di ciò che diceva.
La vidi armeggiare con lo zaino ed estrarre con cura un dispositivo rettangolare di plastica nera. Ovilus era illuminato da piccole luci LED lungo il bordo ed emanava una tenue luce blu. Le lettere dell'alfabeto erano visibili sulla parte superiore e alcuni numeri lungo i lati. Era un oggetto strano, un incrocio tra alta tecnologia e un giocattolo made in China, ma dovevo ammettere che possedeva un'aura di mistero, accentuata anche dal contesto in cui stavamo per usarlo. Con un gesto risoluto, Louise affondò il pollice sul pulsante laterale dell'Ovilus. Un paio di luci presero vita, alternandosi in un gioco ipnotico di bagliori blu e verdi. Louise iniziò a camminare, mantenendo lo strumento stretto nella mano, come se stesse cercando una connessione invisibile con il mondo soprannaturale.
Le lucette colorate si illuminarono progressivamente, emettendo un sibilo basso e costante. All'improvviso, voci metalliche si fecero strada nell'aria, sussurri elettronici che sembravano rispondere alle domande invisibili dell'ambiente circostante. Era come se quello strano congegno fungesse da ponte tra due mondi, il nostro e quello oltre il velo dell'ignoto. Mentre avanzavamo nel bosco, l'Ovilus continuò a emettere suoni e luci, creando un'atmosfera surreale. Le lettere e i numeri si illuminavano in sequenza, come se stessero formando messaggi in codice.
«Allora?» chiesi, fremente di curiosità.
«Sta elaborando. Ci vuole pazienza».
Appena notai che si stavano formando le prime parole di senso compiuto, mi precipitai a leggere il display, testa a testa con Louise.
Lessi, «La cacca è oscura. Cosa significa?»
«Non lo so, forse è un presagio».
«Sta scrivendo ancora» feci notare.
«Una rosa... nel culo... di Louise» lessi ad alta voce, ignorando il fatto che la mia amica arrossiva sempre di più, parola dopo parola.
«Non ha senso» concluse, spengendo frettolosa l'apparecchio «C'avrà armeggiato Frank per farmi uno scherzo».
Proprio in quel momento, il presunto burlone ci affiancò con aria preoccupata per poi superarci senza degnarci di uno sguardo. Lo vidi andare avanti tra gli alberi con movimenti furtivi. Avevo notato già da un po' che era irrequieto e scrutava spesso la vegetazione con circospezione.
«Cosa succede?», mi decisi a chiedergli, «Hai visto qualcosa di strano?»
«No, no niente» rispose evasivo, però continuava a muoversi frenetico con espressione quasi disperata.
«Non mi sembra che vada tutto bene. Cosa succede?» insistetti.
«Gli scappa» intervenne laconico Ethan.
«Cosa?» chiese Louise.
Mi voltai a fissarla. A volte non capivo se era davvero ingenua o se fingesse di esserlo.
«A occhio sembra sia la pipì, ma potrei sbagliare» rispose ridendo Ethan.
Frank, rosso come un pomodoro maturo, annuì.
«Non riesco più a trattenerla» ammise.
«Va dietro un cespuglio» gli suggerì Ethan. «Cosa aspetti? Che ti diamo il permesso? Non sei a scuola. Va dietro un cespuglio e liberati».
«Ok, voi aspettatemi qua».
«Ovvio, mica vogliamo farti da assistenti» ribatté Ethan.
«Meno acido» gli sussurrai all'orecchio.
«Mi hanno allattato con succo di limone, lo sai» rispose lui.
Il ragazzo nel frattempo si era allontanato, saltellando dietro un albero per sbrigare la sua faccenda. Lo sentimmo camminare ancora.
«Perché va così lontano? Già lì non lo avremo visto» osservai seccata.
Ethan fece le spallucce e Louise era troppo impegnata a lottare contro le falene per ascoltarmi.
L'oscurità era palpabile e il solo suono udibile era il fruscio del vento tra gli alberi e il leggero scricchiolio dei rami sotto i loro piedi.
Mentre Frank si liberava dalla tensione accumulata, noi rimanemmo immobili ad aspettarlo. Vigili e impazienti. La notte era ancora giovane e l'eccitazione saliva dentro di me nella speranza di poter vedere qualcosa che fosse anche un minimo sovrannaturale.
Poi, all'improvviso, echeggiò un urlo agghiacciante provenire dal punto dove era sparito Frank. Uno, due urli acuti.
Ethan si lanciò correndo in quella direzione e io lo seguii, lasciando indietro una Louise atterrita e pietrificata.
Mentre correvamo a perdifiato, udimmo altri strilli disperati. Sembravano carichi di dolore. Ero certa che fosse la voce di Frank.
«Dove sei?!» gridò Ethan rivolto all'oscurità. «Dove cazzo sei?» mormorò quasi tra sé.
«Non lo vedo! Non lo vedo!» gli feci eco con il fiato corto, perlustrando frenetica la zona. I miei occhi, ormai, si erano abituati all'oscurità.
Un altro urlo ci colpì in pieno volto.
«A destra!» gridò Ethan correndo nella direzione che aveva appena individuato. Cercai di stargli dietro, ma ero meno veloce di lui.
A un tratto, scorsi una sagoma accanto a un albero. Mentre mi avvicinavo, ansimando e con una mano premuta sul fianco dolente, la figura si faceva sempre più nitida. Era Frank appoggiato a un tronco, piegato su se stesso, testa china e mani a coprire la parte bassa dei pantaloni.
«Cosa succede?» gli chiese Ethan. «Stai bene?»
«Mi ha morso! Accidenti che male!» rispose lui con una smorfia di dolore che trasfigurava il volto.
«Cosa ti ha morso? E dove?» chiesi.
«Uno... schifoso scoiattolo» rispose lui a fatica.
Ethan scoppiò a ridere ricevendo le nostre occhiate di rimprovero. «Vuoi dire che mentre pisciavi ti ha morso uno scoiattolo proprio lì?» chiese incredulo.
«Sì! Ahhhh!» urlò contorcendosi e lamentandosi. «Sì, cazzo! Un maledetto roditore!»
«E dov'è ora?» chiese Ethan guardandosi intorno.
Cercai di non ridere perché Frank era davvero sofferente, però la situazione in sé era assurda.
«È sempre attaccato, però fa tanto male» rispose l'altro sofferente.
«Hai lo scoiattolo dentro i pantaloni attaccato al cazzo?!» chiese Ethan.
Riuscii a intravedere nel buio i suoi occhi che si sbarravano dallo stupore.
«Sì! Aiutami!» lo supplicò.
«Emma, va da Louise. Non puoi assistere» mi ordinò Ethan.
I nostri sguardi si incrociarono un attimo prima che voltassi loro le spalle. Stavamo entrambi facendo uno sforzo disumano per non scoppiare a ridere.
Corsi via e sentii altre urla, dei rumori di fruscii e poco altro ancora.
Trovai Louise proprio dove l'avevamo lasciata, seduta tra i cespugli con le mani in mano e un espressione disperata dipinta in volto. Mi sembrò che avesse anche versato un paio di lacrime.
«È morto? La strega l'ha ucciso?» mi chiese con un filo di voce.
«No, ma è ferito» risposi vaga.
«Aveva la telecamera con sé? Ha ripreso la strega, mentre lo attaccava?»
«Non lo so. Forse è riuscito a riprendere qualcosa di più piccolo, ma abbastanza energico».
«Cosa?» mi chiese, alzandosi di scatto e afferrandomi per le spalle con gli occhi sbarrati.
«Uno scoiattolo».
«Cosa?»
«Uno scoiattolo» ripetei, incredula almeno quanto lei.
«L'ha attaccato uno... »
Non riuscì a finire la frase perché fummo interrotte dai ragazzi che stavano tornando. Ethan portava a braccio Frank sporco di sangue e dolorante.
«Niente di grave. Però, va portato all'ospedale di zona per una medicazione e per un'antitetanica».
«Ok, raggiungiamo il pick up e andiamo» dissi, cercando di nascondere la delusione. Sapevo che era giusto farlo, ma veder sfumare in quel modo la prima spedizione era davvero frustrante.
«Louise, tu hai la patente?» chiese Ethan.
«Sì, certo».
«Allora, lo porti tu. Io rimango qua con Emma e finiamo questa esplorazione. Penso che stasera non incontreremo nessuno più pericoloso dello scoiattolo».
Louise annuì e prese Frank sottobraccio, allontanandosi in fretta. Si vedeva che ne avevano entrambi abbastanza.
Restammo a fissarli, mentre se ne andavano. Poi non riuscendo più a trattenermi esclamai incredula, «Mi sembra ancora impossibile che sia accaduto».
«Una volta il mio scrittore preferito, Joe Lansdale, ha descritto una scena simile. Se ricordo bene uno dei protagonisti della storia, Hap, veniva morso proprio da uno scoiattolo rabbioso» raccontò Ethan mantenendo lo sguardo fisso sul sentiero appena percorso dagli youtuber. «Fu una scena memorabile e divertentissima. All'epoca, pensai che una situazione del genere potesse verificarsi solo nella fantasia di un genio letterario come lui. Però, da stasera, tutto sarà diverso per me. Sapere che può accadere davvero mi sconcerta. Non piscerò più tra i boschi con la stessa tranquillità di prima».
«Per motivi diversi, ma benvenuto nel mondo femminile. Fare pipì quando si è in giro può essere una vera sfida».
Lo sentii sospirare e poi lo vidi allontanarsi.
«Dove stai andando?»
«A pisciare» rispose senza voltarsi.
«Ma non hai appena detto che non lo farai più all'aperto dopo ciò che è accaduto a Frank?» chiesi allibita.
«Lui è un coglione. Io non piscio dentro le insenature per giocare a far centro. Gli è andata bene che era solo uno scoiattolo».
Dallo scroscio che sentii dopo quella frase compresi che non si era allontanato molto.
«Potevi anche andare un po' più distante. Si è sentito tutto» mormorai appena ricomparve.
«E ti ho messa a disagio?»
«Ti sembra strano? Solo un troglodita potrebbe farsi sentire urinare da una ragazza, dai» ribattei.
«Come se la ragazza in questione non si fosse mai abbassata, neppure una volta, a pisciare. Lei è una Dea e non fa queste cose fisiologiche umane, giusto?» mi punzecchiò divertito.
«Non è questo il punto. È una cosa... intima. Non si fa sentire il rumore della propria pipì che esce, insomma».
«Anche se è normale e che fanno tutti?»
«Sì, ovvio» confermai.
«Tu con me hai fatto cose ben più intime dell'ascoltare il rumore della pipì. Non ricordi?»
Arrossii violentemente e mormorai: «Me lo ricordo bene. Sei stato il primo».
«Infatti» confermò lui con una punta di orgoglio che non aveva voluto celare. «Quindi, non dovresti sentirti a disagio per questo».
«È una cosa diversa, Ethan. Non sono paragonabili».
«Ti ho vista nuda. Sono stato il primo che ti ha toccato e con cui hai fatto sesso. Ripeto, sono cose ben più intime del suono della mia pipì che esce, no?» chiese con una voce che sembrò farsi, per un attimo, roca.
«Ok, sì» risposi tagliando corto. «Proseguiamo a camminare in questa zona ancora un po'».
Feci alcuni passi avanti senza guardarlo. Lo sentii seguirmi. Rimasi in silenzio.
Pensai a ciò che mi aveva appena detto. Era passato tanto tempo da allora. Avevo perso la verginità proprio tra le sue braccia. All'epoca, mi aveva detto che era stata la prima volta anche per lui, ma avevo sempre pensato che mi avesse mentito. Ricordai che, mentre io tremavo come una foglia e non sapevo cosa fare o dire, lui era perfettamente a suo agio e aveva saputo prendere in mano la situazione sin da subito.
Con la coda dell'occhio, notai che stava sorridendo. Camminava al mio fianco e sembrava perso nei suoi pensieri. Temevo di farmi del male da sola facendogli delle domande in quel momento. Avevo paura che potesse rispondermi che stava pensando a lei, ad Ava. Tuttavia, la curiosità stava esplodendo dentro di me.
«Perché sorridi?» chiesi alla fine.
«No, niente. Pensavo e basta».
Una morsa d'acciaio mi stritolò il cuore.
«A cosa?» chiesi ancora.
Voglio farmi proprio male, riflettei.
«A niente».
«Sorridi così di rado che mi piacerebbe saperlo. Non è proprio possibile?»
«Le urla di Frank, ripensandoci a mente fredda, erano acute e isteriche come le tue».
«E quando mai ho urlato io?» domandai stupita.
«La prima volta che lo abbiamo fatto».
«Ancora a quello stavi pensando?!»
«Eri terrorizzata. Ti chiedevo "ti senti pronta? Sei sicura?" e tu rispondevi "sì, sì". Poi mi aprivo la cerniera dei pantaloni e urlavi "Ahi!" e io dicevo "Non ti ho neanche toccato". Te lo ricordi?» mi chiese, ridendo come un matto.
Sorrisi, mio malgrado. Non ci stavo facendo proprio una bella figura, ma era un momento dolce.
«Temevo il dolore fisico» ammisi.
«Poi mi spogliai e tu dicesti "non mi guardare e spengi la luce". E io, lì, al buio che non riuscivo a trovare neanche un tuo braccio, figurati tutto il resto del corpo» continuò.
Si ricorda ogni singola parola, osservai stupita.
«Mi vergognavo».
«Di me?» chiese con una voce così tenera, una dolcezza che non gli avevo mai sentito prima.
«Beh sì, ovvio. Devo ammettere che se c'è una cosa che ti ho sempre invidiato», esclamai senza neanche accorgermi che lo stavo dicendo, «è questa sicurezza che mostri in ogni momento. Anche in situazioni che sono nuove per te, tu sai cosa fare e sei molto disinvolto».
«Non è vero. Non sono sicuro di me in ogni occasione. Ci sono stati momenti in cui sono andato davvero nel panico» confessò tranquillo.
«Non ci credo!» esclamai sorpresa.
«Verissimo, invece. Se vuoi ti faccio mille esempi» disse ridendo «Quando abbiamo avuto il nostro primo rapporto sessuale... »
«Per me fu la prima volta, non per te» lo interruppi.
«Lo fu anche per me. Avevo più esperienza di te ma, senza scendere nei dettagli, però ti assicuro che sono andato fino in fondo solo con te. E non fu facile per me fingere di essere calmo e rassicurante».
«Fingere?» chiesi, aggrottando la fronte.
«Mica è semplice avere il primo rapporto sessuale con un tipetto come te. Dovevo per forza fingere che sapevo cosa stavo facendo. Ti rendi conto che ogni volta che mi muovevo, ti guardavo o mi avvicinavo gridavi allarmata?»
«Sì, ma accidenti è normale che fossi tesa», mi misi sulla difensiva.
«Sarebbe stato normale esserlo anche per me, ma non potevo manifestarlo altrimenti non avremo combinato niente».
«Sì, questo è vero» ammisi, mordendomi il labbro.
«Eri un pezzo di legno» ricordò ancora ridendo.
«Insomma, non è stato certo memorabile farlo con me» osservai in un soffio.
«Se me lo ricordo vuol dire che lo è stato».
«Per riderci sopra, mica perché è stato bello».
«La prima volta, Emma. È stata fantastica anche se nei momenti migliori urlavi "Fa piano!", "Se mi fai male, te lo taglio!" o "Piano! Se no ci beccano!" tutte frasi che non aiutavano molto» citò scimmiottandomi.
Risi mio malgrado. «È un miracolo se sei andato fino in fondo».
«Temevo di farti troppo male e traumatizzarti. Questo mi terrorizzava».
«No, sei stato bravo».
«Anche tu».
«In cosa lo sono stata, se ero isterica e rigida come un pezzo di legno?» chiesi ridendo.
«Eri adorabile. E bellissima» sussurrò Ethan.
I suoi occhi blu profondi si inchiodarono nei miei. Ci guardammo come se stessimo cercando di comunicarci ciò che non riuscivamo dirci con le parole. Il nostro respiro si mescolava e potevo sentire il calore del suo corpo avvicinarsi sempre di più al mio. Le mie labbra si schiusero involontariamente, mentre Ethan mi attirava verso di sé, trassi il respiro tremante e cercai di controllare quella mia reazione.
All'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, fummo colpiti con violenza da una serie interminabile di terribili rumori e urla spaventose che ci strapparono dal nostro incantesimo. Un brivido di terrore ci attraversò, mentre ci allontanammo, l'uno dall'altra, come se fossimo stati attraversati da una scintilla elettrica. Le sensazioni di calore e di desiderio furono sostituite da una glaciale paura che ci catturò entrambi.
Mentre cercavamo di capire da dove provenissero quei suoni agghiaccianti, i nostri occhi si scontrarono ancora, ma questa volta erano pieni di terrore mista a un'insana eccitazione per l'azione estrema.
Riconobbi in quel momento il mio Ethan e il suo impeto avventuroso e selvaggio.
Avanzammo circospetti, benché la ragione ci suggerisse di voltare i tacchi e fuggire nella direzione opposta.
A un tratto, giungemmo in una radura dove l'erba era stata rasata e alcuni moncherini di tronchi erano tutto ciò che rimaneva. Un gruppo di cinque individui era disposto in cerchio con le spalle rivolte nella nostra direzione. Ci abbassammo dietro i cespugli, cercando di rimanere il più possibile nascosti, mentre li osservavamo con attenzione. La scarsa illuminazione non ci consentiva una visione nitida, poiché avevamo spento le luci infrarosse ed eravamo avvolti dall'oscurità.
Dopo una frazione di assoluto, inquietante silenzio presero tutti insieme a urlare. Mi tappai le orecchie terrorizzata, Ethan mi intimò con un gesto della mano di rimanere calma e di stare ferma.
Vidi che si acquattava sempre di più e, strisciando, si avvicinava all'altro lato della macchia, più vicino al gruppo. Lo seguii riluttante.
In prossimità, e con la complicità della luna piena, notai con orrore che i membri di questo terrificante coro avevano tutti le ossa rotte che spuntavano dalle carni. Da profondi squarci della pelle fuoriuscivano sgocciolanti e abbondanti rigagnoli di sangue che bagnavano il terreno. Dalle bocche distolte in un smorfia disumana si intravedevano denti rotti e frastagliati.
Mi misi una mano sulla bocca per impedirmi di gridare. Distolsi lo sguardo e cercai di allontanarmi, Ethan mi trattenne con una leggera pressione della mano sul braccio. Il gruppo si era azzittito. Era rimasto immobile. Trattenni il respiro.
Sembravano pietrificati. Ethan fece un passo laterale e poi si fermò di scatto. Nessuna loro reazione. Allora, ne fece un altro e un altro ancora. Loro non muovevano un muscolo. Questo ci incoraggiò a spostarci sempre di più per allontanarci dalla radura. Cercammo di non emettere alcun suono per non farci scoprire. Sembravano congelati in quella scomoda posizione, vicini uno all'altro, e con le teste ripiegate sul tronco. Appena fummo sicuri di aver messo un po' di distanza dal gruppetto, iniziammo a correre veloci. Solo in quel momento, mi resi conto che eravamo rimasti a piedi. L'auto l'aveva presa Louise per portare Frank all'ospedale.
Ethan intuì dal mio sguardo, lo sgomento.
«Non preoccuparti. Percorrendo a ritroso il sentiero che abbiamo fatto all'andata, sbucheremo sulla statale. Da lì, potremo raggiungere il parcheggio del supermercato dove ci avevano portato i narcotrafficanti. In quella zona il cellulare prende bene e potremo chiamare Louise per farci venire a prendere».
«E se non ritroviamo la strada?» chiesi spaventata.
«Emma, sappiamo muoverci nelle boscaglie. Lo sai bene, no? Tranquilla».
**********************ANGOLINO QUATTRO CIANCE**********************
Ho citato il mio scrittore preferito in assoluto, Joe Lansdale, che tra l'altro ho anche avuto occasione di conoscere una volta che venne in Italia, durante un firmacopie. Un emozione indescrivibile per una persona che, oltre essere un grandissimo autore, è meravigliosamente umile e simpatica.
Ho pensato di rendergli omaggio proprio ispirandomi a questo episodio descritto in un suo libro dell'incontro tra uno dei suoi personaggi e uno scoiattolo particolarmente aggressivo. Il riferimento letterario è alla saga di Leonard & Hape, che rammento anche durante il capitolo attraverso le parole di Ethan.
Non penso che leggerà mai questa storia, ovviamente, però volevo farvelo conoscere perché ho sempre amato leggere e scrivere fin da piccola, ma lui per me è davvero IL Maestro. Ed è uno dei pochi grandi scrittori ancora vivi XD!
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