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"Oh!, lasciate che faccia un po' il sentimentale, per una volta. Sono così stanco di fare il cinico."
Invio l'ennesimo messaggio sciocco ad Andrea, ridendo in maniera ebete e tento di riportare la mia concentrazione allo studio stancante che attanaglia il mio pomeriggio.
Ma il dito continua a scorrere lungo la schermata, il piede a penzolare dalla sedia e gli occhi viaggiano ovunque non sia il libro che è ben aperto davanti a me.
-In culo la chimica.- sussurro, ridendo tra me e me e notando che sono appena le quattro del pomeriggio. Chiudo in una mossa fugace le pagine che tenevo dinanzi la sfuggente attenzione e mi stiracchio, tornandomene sui social.
L'orologio fa rumore, il ticchettio è persino fastidioso e l'irruenza con cui batto il palmo al tavolo, dopo un certo numero di attimi disturbati, mi fa concepire che stia per arrivare ancora una volta quel dannato periodo del mese.
Arriva un nuovo messaggio di Andrea, con la sua foto profilo a contornare il tutto. Sembra che il ragazzino col gatto sulle gambe e dalla faccia disinteressata ed euforica si prenda gioco di me. Rido.
Dico sul serio. Mia madre dice che ingrasserò.
Se continui a mangiare dal MCDonalds ogni giorno ci metto la mano sul fuoco.
Invio.
Sì, okay! Ma lo hanno inventato per un cazzo di motivo. Sembra che quel panino mi tenta. PRENDIMI. PRENDIMI.
Ritorce.
Se ingrassi, solo Federica.
Novità? C'è già solo federica.
Povera mano amica.
Battibecchiamo così, io e lui. Non ha davvero un senso compiuto, il nostro parlarci. Avviene per casualità, cominciamo a chiacchierare del più e del meno, dei quarantenni depressi del bar e tutto ciò che ci viene in mente sopraggiunge, accalappiandosi la nostra misera volontà.
Diviene quasi sincero montare questo castello fatto e tenuto su da idiozie e sciocchezze. Probabilmente neppure ci stiamo pensando, mentre lo facciamo. Ridere è conseguente e non ha davvero compimento concreto sulla realtà.
Anche ora, che sto a dondolare le gambe dalla sedia e riporto alla bocca il succo vitaminico che zia dice faccia bene alla salute. Se lo dice lei, ci credo.
Ed ora, mi concentro, sto perdendo con leggerezza il mio pomeriggio dietro stronzate senza fini, con l'insolenza a ricordarmi che domani potrei essere interrogata.
Non è che Andrea, ogni tanto, non mi dica che gli sono cambiata sotto agli occhi. Sì, che me lo dice. Mi tartassa, a volte. E la mia Celeste, dov'è?
Sapesse che la sua Celeste si sta arrovellando con nuove sensazioni che le irretiscono lo spirito e che ci deve fare anche i conti, con questi sentimenti speciali.
Non ho di certo capito di cosa diavolo si tratti. Prevedo i miei ormoni a mille tutte le volte che vengono a galla con mancante parsimonia. Prevedo occhioni aperti (me lo dice anche Claudia, che ho gli occhi spalancati nell'ultimo periodo), sorriso che è combustibile per l'avvenire e guance che, inspiegabilmente, vengono travolte da un accendersi altalenante che non controllo.
Posseggo un battito accelerato, quando capita, e sono, restandoci, una semplice ragazzina a cui tremano le mani per le cose più ovvie.
Mi ci scapoccio su, mi scervello e nulla arriva alla conclusione, piuttosto si brucia prima di venire inteso.
Mi dico che passerà, il momento brilla e mi pare di star spiando la piccola Celeste ballare in camera sua in maniera differente. Si muove la ragazzina, ma è più spasmodica e cauta al medesimo tempo.
Il buttare a terra tutta l'iperattività immagazzinata non è il rimanente scopo. Anzi!, nemmeno ci penso più, che potrei non dormire se non mi sfreno un pochino.
Necessito di capacitarmi, così immagino e mi sposto per mancata grazia. Sento mio l'attimo e colgo qualche fantasia nuova --- quasi, positiva.
Stai studiando? Risponde a dei miei precedenti messaggi, riportandomi alla realtà dei fatti e rabbrividisco, dal ritorno, prendendo nuovamente il telefono fra le mani, digitando quello che Andrea, dalla sua Celeste, non si aspetterebbe.
Vieni qui, se ti annoi. Nemmeno mi va di studiare
Invio. Non poso l'affare; noto come le stanghette diventano immediatamente azzurre e compare un Sta registrando.
E io rimbecco me stessa a vagare fra ricordi di incessante importanza. Mi ritrovo a starmene seduta in camera mia -- che sarà stato qualche giorno prima di un mese fa -- e sorrido ingenua ad un ragazzo che mi racconta una storia sulle rondini per farmi addormentare.
E vibra, il cellulare, per il vocale di qualche secondo del mio migliore amico, probabilmente già pronto e in cerca di un eventuale passaggio.
In verità, -- come se non conoscessi il suo inesistente modo di introdurre un discorso. È scarso di dialettica, Andrea. Si perde in voli pindarici nel mezzo, si dimentica momentaneamente dei congiuntivi ed io mi assopisco ad ascoltarlo -- tu, stronza, hai bisogno solo di qualcuno che ti occupa il tempo. E io sono libero! Insomma, mi libero solo per te, non perché non ho un cavolo da fare.
-A furia di lamentarti solo Federica.- registro, divertita, mentre mi sollevo con spontaneità e mi muovo verso il frigorifero per bere qualcosa oltre quest'aspra spremuta d'arancia.
Hai rotto le palle ;). Risponde immediatamente ed io sorrido spensierata allo schermo luminoso, scegliendo di lasciare sul bancone quest'ultimo e darmi alla pulizia della casa prima che quel ragazzo dai capelli neri vi venga.
Spazzo per terra, sistemo i piatti ancora in lavastoviglie negli appositi scompartimenti ed aggiusto i vari tappeti che zia si ostina a tenere in questa casa perché danno colore.
Nel frattempo, prendo la chiamata di Claudia che mi informa del suo uscire questo pomeriggio con un ragazzo, chiedendomi se sia meglio un trucco semplice o leggermente più elaborato.
-In culo il trucco.- le dico, tranquilla, prendendo i panni sporchi dal pavimento del bagno e posandoli nella cesta bianca un po' rovinata. Tengo la chiamata in viva voce e lei suole, ogni volta che esce dall'ordinario, chiedermi se mi appare ingrassata.
Claudia, di sua conformazione, si porta di eccessiva magrezza, con le gambe snelle e lunghe. I tacchi, poi, che pretende di indossare incessantemente, fanno sì che la sua figura venga slanciata con scalpore.
-Ti stai dedicando alla rilettura di Novecento? No, perché ti dico che non sei simpatica.-
-Punti di vista.- la schernisco, ponendomi davanti allo specchio della stanzetta bianca per lavarmi i denti. L'ascolto lamentarsi e riempirsi di paranoie appena abbozzate su ciò che dovrà dire e ciò che, invece, dovrà tacere.
-Sii te stessa, perdio.- mi divincolo, con falsa noncuranza, e persisto a tenere lo spazzolino in bocca anche mentre dovrei toglierlo per permetterle di capirmi.
-E se non gli va bene che mangio la pizza con la forchetta?- ripete, probabilmente gettando un ennesimo vestito a terra, seduta fra le tende rosa di camera sua. Avrà aperto la finestra, me la immagino così, soltanto per lasciare defluire le incertezze incredule, un po' di alienarsi discreto. Starà appoggiata coi gomiti ai ginocchi, le mani a fare da mezzo di sostegno al mento e il telefono accanto a lei.
-Quello non va bene neppure a me, ma ti tengo lo stesso.- volgo questa conversazione disarmante ad uno scetticismo ironico e paradossale. Le mostro quel lato predisposto delle persone ad afferrare e tenere con sé altri individui differenti. È che se Claudia teme qualcosa, questo si palesa nelle barricate che gli uomini piantano attorno ai propri pregiudizi, sventolando, nell'umana falsità, bandiere che dovrebbero dimostrare l'accrescersi a vicenda.
È che l'uomo è una creatura bisognosa. L'uomo, --- anzi, l'umanità, perviene come una cricca marcia e pronta ad agguantare la speranza, dimenticandosi di ciò che sorregge le loro gambe deboli. Non si tratta di essere mal fatti, si prostra come l'involontario essere uomini. Essere umani che voltano le spalle ed abbracciano a propria innocua convenienza.
-La prassi mi dà fastidio.- si confida ed io sento il suono del citofono rotto eccheggiare nell'appartamento, ricordandomi l'arrivo di un ragazzo che ne sa quanto noi due.
-È arrivato Andrea.- svio l'argomentazione, posso giurare che potrebbe stare sorridendo indecifrabilmente, con semplicità. Ora, ci metterei su la mia esistenza, si calmerà e mi ricorderà di quando ha conosciuto Jane.
-Anche Jane era strano, io me ne sono innamorata.- annuisco, borbottando dei suoni di assenso ed apro ad Andrea che già fischia nel microfono come suo solito. Tolgo il chiavistello dalla maniglia ed apro la porta, spostandomi in salotto.
-Quindi, dici che ci stanno bene i tacchi senape con il maglioncino dello stesso colore?-
-Non ne capisco niente, io.- affermo, facendo un cenno disattento all'entrante ragazzo in casa mia, mentre si volta per chiudere la porta dietro di lui e si reca velocemente (subito dopo) in cucina.
-In culo la moda.- sottoscrive cordiale e mi dice di salutarle Andrea. Mi lascia con la promessa di raccontarmi ogni dettaglio stanotte e io le ricordo che può risparmiarselo.
-Ti chiamo io. Ciao, Celeste!- strilla, entusiasta.
-Ciao.- alzo gli occhi al cielo, buttando il telefono senza grazia sul divanetto e guardando stordita Andrea passarsi una mano nei capelli neri per riordinarli dopo la camminata nel vento.
-Sei venuto a piedi?- lo raggiungo in cucina e mi informo con rapidità dell'orario, facendo poi cenno a ciò che ha appoggiato sul tavolo.
-No, mi ha accompagnato papà.- si toglie il giubbotto freneticamente e lo appende al consono posto, prima di -Avevo voglia di pizza.-
-Non sono nemmeno le sei.-
-Chi ha stabilito il tempo per cenare.- si muove verso i cassetti delle posate e ne tira fuori delle forbici, ritornando accanto a me.
Storco il naso, alzando un sopracciglio e tengo la sedia fra le mani, notando come ha persino spostato i miei libri.
-Se non ti va, la mangerò da solo.- si siede, rialzandosi l'attimo seguente, non appena si ricorda della mancanza dei tovaglioli. Poi, torna assiso e mi dedica un sorriso provocatorio, tagliando velocemente la pizza margherita e poi apre l'altro sacchetto per afferrare i due crocché.
Poi, -In culo la prassi.- e mi siedo, afferrando un fettina di pizza e cominciando a mangiarla, ridendo nel mentre per le sue affermazioni.
-Era Claudia?- fa riferimento, un momento dopo allo sbando delle regole, ancora masticando i rimasugli della prima fettina. Ha il brutto vizio di parlare quando sta mangiando ed è inutile che la madre tenti di risanare questo rischio che corre ogni benedetta volta, continuerà a non prestare ascolto.
Annuisco, posando il cornicione nello scatolo e pulendo la bocca con un tovagliolo. Mi verso una bottiglia d'acqua e lui mi segue, strofinando, a sua volta, la carta sulle labbra.
Bevo e lo ascolto, -Ti ha detto che deve uscire con un ragazzo?-
-Immagino lo abbia detto a tutti.- rido, lui con me.
-Sì, Alessandra mi ha chiamato disperata. Ieri, a lavoro, glielo ha ripetuto tutta la sera non appena lui, seduto al tavolo, gliel'ha chiesto.- prende l'altra fettina e ne mangia un altro pezzo, disinvolto.
-Suppongo sia ovvio.- scrollo le spalle e permetto alla conversazione di assumere pieghe disinibite e di irretirci in meandri argutamente frivoli. Permettiamo, insomma, che tutto possegga un'insegna tipica del suo tempo e mi sembra di ritrovarmi a guardare due semplici adolescenti, nonostante la combustione che ci accende nella restante parte dell'esistenza: adesso, meravigliosamente, io ed Andrea appariamo due ragazzi effimeri e ricchi di voglia di scoprire.
Improvvisamente, io ed Andrea appariamo semplicemente normali e potrebbe risultare noioso se non avessimo bisogno, noi, di staccare la presa.
Quindi, decido di vivere la normalità come la scelta di staccare la spina ed agglomerarsi; una deformazione, però, destinata ad annullarsi minuti dopo.
Non importa che ho posseduto il deciso interrogarmi sul mio tormentarmi, costante, del perché quella sensazione, con il mio Andrea, non esploda e non mi mangi viva.
Non ho quel staccarsi dall'amalgamato corpo neutro e ballare al suono di una melodia propria. Manca il sentimento nuovo, la voglia di avvicinarmi maggiormente --- c'è il solito affetto, ma, diversamente, scarseggia il bisogno impellente.
Sono le sette ed un quarto, zia mi ha informata che è assieme ad una collega, questa sera, e che dovrò arrangiarmi. Io fingo sia questo ad affliggere il mio pensare, non altro, ed allontano il confusionario pervenire di epopee scomode.
Non ho posto resistenza, dato il fatto che, comunque, questa sera, prevedo di starmene seduta a studiare ciò che avrei dovuto nel pomeriggio passato a dedicarmi alla nullafacenza riflettuta.
Abbiamo riso questo pomeriggio, guardato Quattro matrimoni e tifato per la sposa più graziosa, ricevute notizie di Claudia desiderosa di poterci, per lo meno, parlare.
Ora stiamo andando in camera, potranno essere le otto, e lui fra non molto andrà via.
Stavamo, prima, parlottando del più e del meno, ripulendo la disordinata cucina e decidendo di essere stati bene, in un modo nostro.
-Non mi piace più quel ragazzo.- mi ha informata, buttando i contenitori della pizza ed io mi sollevo, appoggiandomi con i fianchi al ripiano dei fornelli. Tengo la scopa fra le mani sottili e lo guardo per trasmettergli l'attenzione proficua.
-Non era gay, comunque, e non sono pronto per una relazione. Devo innanzitutto capire chi diavolo sono.- mi ha sorriso, però, porgendomi una mano perché gli porgessi la mazza e continuasse quello che sapeva non mi andava di fare.
-Dammi il tuo coraggio.-
-Ce l'hai anche tu,- ha afferrato la scopa e ha cominciato a spazzare, divertito dalla situazione. Mi ha guardato di sottecchi, negli attimi in cui pensava non me ne accorgessi. -Solo che preferisci non vederlo.- ha aggiunto; non vi ho dato importanza.
Non presto mai attenzione a ciò che dovrei, è più confortevole e rassicurante rinchiuderme nelle mie già scelte possibilità, esiliando tutto quello che di diverso incontro.
Ma ora sto entrando in camera mia, assorbo una parte delle parole pronunciate da Andrea; il mio sguardo corrompe il volto nuovo di camera mia, so già a chi appartengono le converse che i miei occhi --- che accompagnano la testa rivolta a terra, incontrano gradualmente.
Andrea non se ne accorge subito, continua a raccontarmi le vicende della sua pessima interrogazione in religione ed io, da ipocrita, annuisco pure. Con l'attenzione e la conseguente concentrazione mi trovo già lungo le gambe snelle di Jacopo, salgo fino alle mani serrate in pugni sconfortanti (una delle due regge qualcosa) e mi sposto, velocemente, al suo volto sorpreso e vissuto da sfrenata voglia di urlare quanto gli altri siano migliori, educati, perfetti: quanto lui percepisce di aver fatto cilecca questa volta.
Le mie mani raggiungono il polso di Andrea che, con una passata repentina di ripresa, si irrigidisce e tenta un sorriso, salutandolo cordialmente.
Jacopo fa un cenno, tenta di rivolgergli il saluto come meglio riesce, ma io so che vorrebbe farlo, soltanto non c'ha le forze, ora, mentre decade e si frantuma e diviene liquido qui per terra.
-Ciao,- sussurra il ragazzo accanto a me, io sono ferma, inerme, in posizione eretta ed attenta, trasalendo anche quando compie un passo e fa per sedersi sul mio letto, ignorandoci ed abbassando il capo.
Adesso, i miei lineamenti si induriscono, contraggo la mascella e mi volgo verso Andrea. Lui, di sua sponte, sorride alla sera che già è erta fuori e mi rassicura con un vacillare di postura ed un gesticolare. Va tutto bene, aspetterò giù. Sta cercando di comunicarmi e si sporge a baciarmi la guancia, permettendomi di stringerlo appena ed i suoi occhi cristallini sono di un meraviglioso color accuratezza, tolleranza. I suoi occhi, pur sempre cristallini, vedono qualcosa che ancora sfugge ai miei.
La porta si chiude alle spalle del ragazzo dai capelli corvini e io mi muovo per abbassare la tapparella, indecisa sul da farsi del vetro. La preferisco arieggiante, ora. So che sta per scoppiare nei disinteressi di quest'età meschina, aspetto solamente che sia pronto a implodere e ad avviluppare una nuova parte di Jacopo, emergente proprio qui.
Non esplode, non rigetta insulti o non dà al modo della cricca di marci. Inizia a piangere, si tiene la testa fra i palmi coperti dai guanti ed io schiudo le labbra, stringendomi nelle mie insicurezze, in piedi, in una felpa larga, in attesa che voglia donarsi un po' a me.
I capelli mi ricadono sul petto, tengo il messo leggermente inclinato e sento la bocca tremarmi assieme alle altre membra, quando, nel silenzio provocatore di casa mia, lui si strugge e singhiozza insulti verso se stesso.
-Cosa posso fare?- lo sussurro, temendo una sua reazione eccessiva. Già paro le mani davanti a me, pronta ad insinuarle nel mio apprendimento, dolente che le sue cicatrici tormentate possano ripercuotersi su di me.
Ma -Niente.- stride questa parola al suo palato, la caccia con una voce disintegrata, spezzata alla società e desidera un abbraccio, ma sono codarda, io, e resto inerme e a tremare.
-Resto qui finché non ti calmi, allora.- caccia, quindi, il fazzoletto dalla tasca della sua giacca nera ed unisce le gambe ricoperte dai jeans chiari, soffiandosi nel mentre il naso ed asciugandosi gli occhi.
Si osserva attorno e -Sono tranquillo.-
-Non funziona, Jacopo.- mi avvicino e mi accovaccio ai piedi del letto, le mie dita scavano nelle sue ginocchia e persisto a voler ascoltare il battito del suo fragile cuore che pare coincidere miseramente col mio.
Stringe le mani a sé, quella che tiene una bustina, la porta in tasca, l'altra la lascia cedere al calore dei miei capelli. Ci guardiamo con eterna inquietudine, risospinti erroneamente nel flebile disconnetterci di noi giovani.
-Raccontami, per favore. Lasciami entrare, Jacopo.- adagio il mio collo al suo tocco spaventato, con leggiadria cauto. Punta le sue iridi nelle mie, gioca con quello che siamo e appare come se non temesse, improvvisamente, nel calare di una notte ancora curiosa della piena fragilità artistica ed umana.
Avrà l'età dell'eternità, la notte, ma ancora non sa abbastanza. Ogni sera ritorna, ricca di curiosità, e prova a capirci un po' di più. Avrà l'età dell'esistenza e neppure sa che forma essa ha, vi si ripiega per antonomasia, la notte.
-Ero con Tiziana.- il battito cede. Il mio battito, cede. Lo sprono a continuare, disegno con le unghie figure sulla stoffa dei suoi abiti, le ginocchia mi dolgono.
-Dovevamo, sai -- muoio un po' di più alla consapevolezza che domani, se non fosse stato all'imperfetto, il suo racconto, me ne avrebbe potuto parlare con maggiore serenità. Chissà!, magari avrebbe apportato nuovi accrescimenti al suo ideale di felicità.
Il silenzio un pochino ci percuote, io accovacciata, lui infimo e tremante.
-Ma mi ha chiesto di togliermi i guanti.- così quasi ride, gli occhi si illuminano di una presuntuosa conoscenza maggiore di una ragazza che sa poco di lui. Le labbra gli si increspano, l'immaginazione viaggia in posti che avrebbe voluto visitare con quest'esperienza a cui, con apparenza, era pronto.
-E tu?- si irrigidisce, poi tira su col naso.
-Le ho detto: in culo il sesso.- e me ne sono andato. Trattengo una risata, lui no. Sta ancora piangendo, ma ride sommessamente.
-E lei?-
-Mi ha detto che sarebbe finita.- mi blocca prima che possa fargli qualsivoglia altra domanda, prende un respiro e si smuove leggermente, fa qualche discorso sottovoce e -A me lei non piace. Mi sono convinto mi piacesse, ma non è così. Io non voglio lei, Cele.- con mia inopportuna ignoranza, recupero i battiti perduti e questi si rimescolano nel mio intimo egoismo che traspare, ma lui si è calmato. Sta piangendo, ma è calmo.
-È un preservativo quello che hai in mano?- smorzo la tensione, lui ride e io con lui. Cauti, lo guardiamo mentre tira fuori la mano.
-Lei ha detto che sono uno stronzo e ha aggiunto che ha capito perché sono tuo amico. Io l'ho mandata a 'fanculo: non è come me l'aspettavo. Anzi, forse ho cercato soltanto altro. Io non voglio lei.- annuisco ancora, stringendo le dita al suo ginocchio, lui posa il preservativo sulle mie coperte grigie ed aspetta che io lo conforti con parsimonia, lealtà, con l'affetto che sa nutro nei suoi riguardi.
-In culo Tiziana, allora.- ride, di nuovo. Tira indietro il capo, pare quasi venga trascinato dall'euforia e batte una mano al lenzuolo, cominciando a raccontarmi della sua giornata.
Poi, lo suggerisce a sé, sorprendendoci entrambi. -Non ho sensi di colpa e nemmeno mi manca. È che non voglio lei. Lei non è te, Cele.-
È che!, . . . Che io non ho idea di cosa stia accadendo all'interno del mio rimuginato organismo, le cellule vibrano, i mille allarmi rimbombano e le sensazioni indiscrete si moltiplicano. Ignoro ogni dettaglio, ogni accurata segnalazione. Ignoro ogni decisione razionale. Sono donna, adesso, mi ci sento con ogni fibra, ed agisco di istinto.
Schiudo le labbra, tremo con leggerezza, lui con me. Mi sollevo gradualmente dalle ginocchia, fino a starmene in piedi, accovacciata, sui talloni, a guardare i suoi meravigliosi occhi color cacca di cane e succede.
Ignoro ogni altro indisciplinato sentimento, sto baciando Jacopo con una delicatezza inaudita e lui non mi ha respinta, piuttosto preme le sue labbra sottili e decise alle mie. Il contatto persiste, chiudo i miei occhioni e so che fa altrettanto, mi sollevo maggiormente e mi tengo con i palmi alle sue ginocchia e percepisco le sue mani raggiungere la mia vita.
È terminato l'autocontrollo, la sua lingua divide con irruenza discriminante le mie labbra già gonfie e rosse, mi sporgo e porto le mani lungo il suo petto, poi al suo collo e sono in piedi fra le sue gambe a baciarlo.
Cessano di esistere i freni inibitori, cessano di essere veri gli errori e tutto prende un posto magico e nuovo.
Lo stringo a me, fa altrimenti. Petto contro petto, respiro su respiro, schiocco dopo schiocco, le nostre bocche si corrompono e corrodono a vicenda. Ho l'euforia a pomparmi nelle vene, quella di un bacio reale e desiderato, non metabolizzato, quasi puro.
La stanza promette ancora più silenzio mentre si alza e mi trascina per la strada, bacio dopo bacio, tenendomi stretta a sé con egoismo pieno e vissuto. Ci porta verso la porta, attendendo che io la chiuda a chiave (completamente assorta e confusa dalle sue carezze in ogni parte del mio corpo eccitato) e ci trascina, camminando all'indietro, verso il materasso, sul quale cadiamo con mancata disciplina.
Sono sopra di lui, le gambe ai lati dei suoi fianchi e mi piego affinché le nostre labbra non interrompano il necessitato contatto, attutendo la sensazione che da giorni mi attanaglia bramosa. Ha ottenuto la soddisfazione ne vuole di più, persino quando lui mi toglie la felpa e prende a baciarmi al di sotto del reggiseno bianco.
Si solleva sui gomiti, la sua bocca lascia scie languide lungo il mio addome, la mia testa viene come tirata indietro e le mie unghie si incastrano nel suo giubbotto, armeggiando per toglierlo, così la maglietta e i jeans.
Fa altrettanto con i miei leggins, accarezzandomi ovunque riesce. -Ho visto in un porno che funziona.- sto lasciando baci lungo la sua linea alba e scoppio in una risata soffocata, guardandolo negli occhi in cerca di una dannata conferma alla nostra mancante presenza di autocontrollo.
-Nessuno è te, Cele. Ed io voglio che sia con te.- E lo voglio disperatamente anche io, Jacopo.
-Nessuno è te.- gli sussurro ad un passo dalla bocca, il suo ginocchio mi preme all'inguine ed io mi sporgo per afferrare il preservativo ed aprire la busta, non interrompendo il meraviglioso contatto visivo.
In una mossa veloce, apre il gancio del mio reggiseno e mi porta a lui per marchiare le zone che desidera del mio corpo. Io conficco con avidità e desiderio le unghie nella sua pelle più scura della mia, ansimante per il contatto ed eccentrica, alienata dalla razionalità.
-Non eri tu quello che preferiva le tette grandi?- lo schernisco, mi appoggio sul cavallo dei suoi boxer e sento il sesso premere lì, senza che lui me la faccia notare. Mi supplica con lo sguardo di rendermi sua.
-Rovini il mio momento di mascolinità.-
-Ieri ti ho battuto nella gara di rutti.- lo schernisco, sollevando il mio bacino con voracità e armeggiando con i boxer, tirandoli giù ed infilando il preservativo lungo la sua virilità prorompente.
-Non voglio farti il discorso sull'imene, ma --
-Mi togli i guanti?- mi blocca, si alza e mi sostiene occhi negli occhi, nella stanza leggermente fredda e accaldata dal nostro amarci prepotente.
Mi mordo il labbro superiore, guardo come mi porge le mani ed aspetta che io lo spogli di una sicurezza che ha necessitato fino ad ora per proteggersi.
Con cautela, accuratezza, un po' di ardore, lascio che vengano via dalle sue mani e gli sussurro di toccarmi realmente, perché mi sto stringendo a lui.
Come animali, ma concretamente affascinati, ci perdiamo l'uno nell'altro dopo la rimozione delle mie mutandine bianche.
Entra in me con gentilezza, si lamenta leggermente e sposta di lato la testa, permettendomi di restare impellente sul suo corpo, con segni evidenti, e di stringermi a lui con le unghie. Siamo animali, stanotte, ma sento me stessa una donna e non una puttana mentre faccio l'amore con questo ragazzo.
Alzo ed abbasso il mio bacino, mi concedo i suoni vispi e deboli che penetrano le mie corde vocali e schiacciano le tonsille, tengo alto il mio controllare e lui mi fa fare l'amore a modo nostro.
Le sue labbra si increspano, ricerca le mie e mi trova pronta ad accoglierlo nel nostro incanto, nell'incastrarsi frastornante dei bacini amanti per una notte.
Facciamo l'amore come un richiamo, in diciassette anni di esistenza, e il percepirmi sfiorata da tutto Jacopo mi rende Celeste.
Il sudore si mischia, i gemiti si intonano gli uni con gli altri, perviene un'intimità plasmata e neutra, persino unica.
Conosco adesso la vera bellezza del sesso, --- anzi, del fare l'amore!, sebbene lui raggiunga il coito quasi subito e gli tocca soddisfarmi con le dita. Sfiora il mio centro bisognoso, mi permette di creare l'amore con la sua mano sinistra ed è quando raggiungo l'apice che non mi divincolo ed infilo le mani nei suoi capelli, aggrappandomi a lui.
Ci copriamo, tremiamo con naturalezza, nudi ed abbracciati.
-Stai tremando tanto.- gli dico, lui mi bacia un'ultima volta, posando la testa al mio petto ancora dal movimento sfrenato.
-È che ho un po' paura.- mi ammette.
-Allora, stringimi le mani.- e mi concede di stringerle e di fare un tutt'uno con uno dei suoi difetti. Ci addormentiamo così, stretti l'uno all'altra, alienati e senza posa.
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