19
"Incontriamo a volte persone che non conosciamo affatto, ma che destano in noi subito, fin dal primo e, per così dire, di colpo, un grande , sebbene non si sia scambiata ancora una sola ."
-Quindi ha messo incinta la sua attuale compagna? - Jacopo trattiene una risata divertita ed irrispettosa, prima di -Certo che è strano, il tuo capo.-
Continuo a camminare per la strada, scrollando le spalle e tenendo le mani strette alle cinghie dello zaino. -È fatto a modo suo.-
-Non ho detto il contrario.- afferma, spensierato e salta qualche passo, con le mani nel giubbotto scuro e lo zaino a penzolargli da una spalla.
-Sai che ti spezzerai la schiena un giorno o un altro, portandolo così?- accenno alla cartella nera che ostina a tenere su una sola spalla, anche se pesa notevolmente.
-Ti chiamerò per ridere,- scrolla ancora le spalle ed io rido, scuotendo la testa. La strada è leggermente bagnata dal freddo che l'avvolta la scorsa notte. Alberi che poco intimoriscono spogliati dalla maggior parte delle loro foglie.
Qualche macchina che tiene compagnia passando ogni tanto e pochi chiacchiericci; lo spogliarsi nasce dal non viversi.
Questa città mi intimorisce per il vuoto che persiste nel tormentarla, alcune zone tutte da rafforzarsi il silenzio, altre che nemmeno si sente che stiano esistendo.
Qualcosa che inquieta è il futuro, come sarà sì che fa paura ed allora la si lascia a se stessa, la città, la si lascia a se stessa, la vita, che tanto passerà, ma non dovrò accertarmi che avrà un futuro. Non dipenderà da me, da noi.
-Questa città è fatta di quelle persone.- sussurro, infilando le mani nel cappotto grigio regalatomi da zia per il Natale scorso, arricciando il naso per le temperature basse. I miei stivaletti continuano a battere il cemento sfregiato della strada.
-Di quali parli, esattamente?- si interessa, avvicinandosi un po' di più e voltando il capo nella mia direzione, che si vedono anche meglio le sue lentiggini decise e che gli intrappolano il viso in una smorfia di innocenza e che non diresti mai che potrebbe crescere.
-Di quelle che se non è colpa loro, il futuro, stanno meglio. Quelle persone, Jacopo, sono le peggiori.-
-Il mondo è fatto così, lo sai?-
-Lo so,-
-Abbiamo diciassette anni a testa,-
-So anche questo.-
-Siamo anche noi, di quelle persone.- mi richiama, il suo braccio tocca il mio ed io sorrido, annuendo, mentre rimetto i piedi sul marciapiede, dopo che da un'auto arriva un suono di clacson piuttosto deciso per il mio camminare tranquillamente in strada.
-Siamo anche i più esilaranti.-
-Ne riparleremo quando avrai quaranta anni. Dubito che ti troverai esilarante, Cele.- scimmiotta, facendosi scappare una risata e le sue guance sono colorate del tono giusto di rosso che, seppur la pelle non sia chiarissima, è distinto sul suo volto che dà di già, di proprio conto, al timido.
Poi, dà lo spunto allo sguardo tipico di uno Jacopo pronto a ridere parecchio. Tira fuori un cappello dalla tasca e lo mette, poi -Osa fare una sola battuta sul ponpon che c'è sulla mia testa e ti denuncio.-
-Non sono denunciabile per questo,- rimarco, cacciando la lingua e prendendolo per il braccio, cerco di salire sulle punte per capire quali figure ci siano disegnate sul suo berretto blu stile natalizio.
-Sono pupazzi di neve?- stringo gli occhi, grattandomi il naso per il fastidio e lui scuote la testa, ridendo -Vedi che devi mettere un paio di occhiali? Sono orsi polari.- dice fiero.
-Cambia la situazione, allora! - poi mi dà una spinta ed io ricambio, -Oops,- inarco le sopracciglia, sfidandolo con lo sguardo e le labbra contorte in un ghigno beffardo, mentre riaccende quel suo rossore sulle guance e riporta il vispo nello sguardo, e -Sai che una ragazza stufa è scappata di casa?-
-Ti prego, no.- biascico, alzando le mani in segno di resa davanti al suo petto, ma -I genitori sono morti dal freddo.-
-Jacopo, no.- si intravede la scuola e lo ammonisco quando già le urla degli studenti sono ben udibili e il silenzio nel quale questo luogo è avvolto si spegne, dando vita a chiasso ipocrita.
-Un dino, due dini, tre dini, quattro dini, . . Qinque dini- li conta sulle mani, storcendo il naso e provando a trattenere il divertimento.
-No,- sibilo, indicandolo ben bene in segno di avvertimento, lui mi guarda con semplicità e -Che lavoro faccio?-
-Non dirlo, ti prego.- sorride sconsiderato ed ovviamente -Il contadino!- batte anche le mani fra loro come se fosse la battuta più esilarante al mondo.
-Sei una freddura nel mondo.-
-Cosa fa una mucca con un fucile?-
-Vaccaccia.- dico io, annoiata, guardandomi le mani ed ignorando i suoi sbuffi.
-Non sei divertente quando mi smonti il passatempo.-
-Io, invece, non trovo il tuo passatempo divertente.- gli lancio un'occhiata che ricambia in pieno, che camminiamo come se nulla fosse nel cortile della mia scuola, gremito di persone con sigarette tra le mani e dizionari ad appesantire lo zaino.
-È che hai una pessima ironia.-
-Parli tu.- siamo uno di fronte all'altra a ridere sul più ed il meno davanti a quelli che sono i compagni di una vita di prese in giro e di frasi scritte con la bomboletta sulle mura della scuola.
Noto, con la coda dell'occhio, Andrea fissarci stupito e nascosto dai pregiudizi. Non penso a cosa possa apparire, io ci sto bene e mi basta, per una volta, senza che stia a dirmi che possano pensare che sia un altro ragazzo ad aggiungersi alla discreta quantità, per una diciassettenne, che mi sono portata a letto.
-Non guardare.- stride trai denti e faccio per girarmi quando intercetto la traiettoria del suo sguardo, ma -Ti ho detto di non guardare!- ridiamo.
-Quella ragazza bionda che sta poco avanti al tuo amico strano, -
-Anche tu sei strano.-
-Per fortuna non sono tuo amico, sennò sarei messo male.- alzo gli occhi al cielo, lui se la sorride tutto entusiasta, prima di riabbassare la testa alla mia altezza, poi -Mi ha mandato la richiesta di amicizia su facebook dopo avermi visto davanti scuola.-
-Com'è che sa come ti chiami?- nemmeno ho idea di chi sta parlando, lo osservo solo stringere le labbra ed arrossarsi in un modo nuovo in volto, e sono curiosa di qualcosa che mi dia davvero Jacopo, e non solo quella maschera che è diventata lui senza che se ne accorgesse.
-Penso abbia cercato fra i tuoi amici, ha detto che siete compagne di classe.- poi guarda ancora, ritornando a me con le guance con ancora più sangue a colorarle.
-Ha le tette grandi.-
Scoppio a ridere e lui mi ammonisce, nonostante sia più divertito di me. Porto una mano alla bocca e mi lascio riavvicinare a lui, mentre mi aggiusta la treccia che ricade sulla spalla destra e sento la campanella suonare. -Non ridere del fatto che abbia notato le sue tette, è normale che ho guardato quelle, sai! Sono un ragazzo.-
-Pensavo ti piacessero quelle intelligenti.- schernisco.
-Se hanno le tette, è meglio!- poi abbassa lo sguardo, storcendo il naso, pronto a puntare l'ennesima battuta sul mio seno poco prosperoso.
-Osa e ti castro, qui, davanti a tutti.- ora è lui a portarsi le mani al viso, per coprirsi mentre ride esilarato e le persone ci passano accanto senza toccarci per davvero, perché certe cose o sono in un modo, o in un altro. Se è curiosità, non ti arriva a toccare, ti osserva e basta.
Se è invadenza, altrimenti. Penso sia una concatenazione naturale dei fatti che vanno. Siamo tutti un po' adulti per certe cose, troppo grandi per lasciarci infatuare da altre situazioni che non sono propriamente nostre; troppo piccoli ed infantili, quando la nostra vita smette di darci fino a star buoni ed allora siamo in cerca di qualcosa che faccia parlare. Prima di altri, noi, che di stare zitti proprio non ne abbiamo voglia. Buttiamo giù parole se siamo soli in una stanza, facendo qualche passo ad accompagnarci, negando tutto davanti a coloro che potrebbero non capire, che non dar a parlare di qualcosa che non è noi è troppo frivolo per dire di no.
Piuttosto contorto anche ad elaborarsi che fingo di lasciarmelo alle spalle subito dopo che ha vissuto per bene il modellabile cervello.
-Ci sei?- il cortile è quasi vuoto che suona la seconda campanella e gli faccio cenno di sì, che ci sono e sì fa male, ma non capisco cosa. Forse solo pensarci fa male ed allora non rifletterci lo fa un po' di più, intendo, male.
Ci avviamo verso l'entrata.
-Si chiama Tiziana, è tua compagna, quindi?-
-Certo,- sorrido, ritornando alla realtà, fingendo che non ci penso, a tutto quello che è, ma ancora non l'ho ben capito, cosa realmente fosse.
Gli si illumina il volto in un sorriso allegro e -Cos'è, hai guardato le sue foto tutta la notte?-
-Non ne hai idea ! Anche all'alba,- alzo gli occhi al cielo e gli lancio un bacio che stringe, immaginario, fra le mani e butta a terra poco dopo, richiamandosi un dito medio.
-Vai a scuola.- gli urlo dal cancello, camminando all'indietro. Lui fa lo stesso, prima di -Cosa dice un bagnoschiuma che sta scappando quando arriva ad un vicolo cieco? - alzo la testa, aprendo la bocca in uno sbuffo soffocato e lo sento solo strillare -Non ho via di shampoo. Ciao, Cele!-
Ritorno a guardare davanti a me, avviandomi verso il portone dell'edificio prima che ci sia lo squillo della terza ed ultima campanella e saltello sulla rampa di scale, con le mani in tasca, ed i pensieri a fomentarmi la mancanza di noia in testa.
Se è qualcosa che non sai, anche se questi è un pensiero incerto, stai pur certa che ci stai sopra per un bel po', anche mentre qualche ragazzo ti lancia occhiate e fa qualche commento sgarbato.
-Rossi.- mi volto di scatto, sento una figura affiancarmi, ma la mia attenzione è al ragazzo col giubbotto verde e lungo fino alle ginocchia, le nike al piede, jeans strappati ed occhiali sul naso ad aquilino. Capelli di un nero acceso, pelle abbastanza scura ed un ghigno ruffiano che attira la mia voglia di andare dal preside -- che in questo mese ancora non gli ho fatto, stranamente, visita.
-Cosa.- neppure domando, già immagino. Sento una mano toccare il mio braccio per fermarmi mentre mi avvio verso il ragazzo circondato da altri tre studenti con altezza e poco sale nella zucca.
-Dai Cele, andiamo dentro.- so che Andrea mi ha aspettata qui fuori troppo intimorito dal giudizio, per avvicinarsi a me e a Jacopo intenti a ridere di tutto.
In piedi davanti all'ingresso e la terza campanella risuona nelle orecchie, mentre lui butta la cicca, che teneva fra le dita lunghe, a terra e si avvicina un po'.
-Quindi hai un nuovo ragazzo?- ha il tono caldo e deciso, un po' roco e le percepisco le risate dei suoi amichetti.
-Ci conosciamo?- sorrido innocente, come se non avessi voglia di capire il motivo di tanto divertimento scostato.
-Mi piacerebbe,- finge di inchinarsi.
Ed eccoli, che ridono ancora. Il petto a morirmi dalla voglia di sputare qualche insulto che li rimetta al loro posto, ma Andrea mi ritira a sé -So che usi bene la bocca.-
-Mi sono data al voto di castità, a dirtela tutta. E poi, andavo da certe misure in su- fingo di dare un'occhiata accurata al cavallo dei suoi pantaloni, poi -Non credo potesse essere, in ogni modo, il caso.-
Andrea trattiene le risate, mentre riprendo a camminare, ammettendomi quanto lo abbia lasciato di stucco. -La figa di legno non ce l'hai da un po', puttana.-
Lascio la presa stretta del mio amico e mi volto, sorridendo di rimando e facendo passi all'indietro -Non sarà di legno, ma il tuo amico lì dietro- faccio un cenno al biondino più basso della restante parte del gruppetto di idioti, e quello, Gianluca, mi pare, schiude le labbra -Sa che sono stata la migliore scopata della sua vita. Ma, fidati, che sono sicura troverai di meglio- gli schiaccio l'occhiolino, approfittando dell'attimo di silenzio che segue, per trascinare dentro l'edificio grigio Andrea, tutto abbindolato dalla discussione.
Attraversiamo il portone a cancellate nere e ci troviamo nell'ingresso, poi sulle scale ancora percorse di corsa dagli studenti ritardatari, come ogni giorno.
Le mura sono tutte sporche ed il pavimento come se non venisse pulito da tanto tempo. Ci ritroviamo in aula magna, col busto del primo preside della scuola, ed i soliti professori logorroici a parlare fra di loro.
Prima che andiamo ognuno nella propria classe, lui fa -Non parlare di te come se fossi una puttana solo per metterli a tacere, Cele. Non è giusto.-
Lo guardo per bene, poi volto l'angolo, in silenzio e non gli do risposta. -Ma lo sono,- un po' di lacrime ad infatuarmi gli occhi, scelgo di tenerle lì. Piangere, qualche volta, rende forti.
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-C'è questo tizio che mi fa morire, ti giuro!- Andrea sta qui, sul suo divano, a straparlare su quanto questo ragazzo che fa cover, sia sorprendente. Io nemmeno lo ascolto, sto solo seduta a braccia incrociate e permetto all'indifferenza di far di me quello che le pare.
Muso imbronciato, lacrime già abbandonate nel bagno di scuola, occhi solo leggermente vuoti, non di più -- non lo noterà.
Ed invece, -Sembri un'ameba, che succede?-
-È andata male l'interrogazione.-
-Invece no, staresti già a battere la testa su quei mattoni che hai per libri, se fosse così!- gesticola, si alza in piedi e si pone davanti a me, a magnificare quanto io sia perfettamente vuota, talvolta, senza che lo faccia di proposito.
-È per quello che hanno detto?- si strugge le mani, poi gratta il collo, ripassandosi le mani sui pantaloni di velluto che ama indossare.
-Sono solo stanca.- la casa di Andrea è rumorosa e vissuta, con la madre che passa l'aspirapolvere al piano superiore ed il cane che abbaia dalla sua cuccia solamente perché vorrebbe sempre dormire, dopo tutto quello che, un esserino come un chihuahua, è in grado di ingurgitare.
Aggancia le braccia fra di loro, stringendo la presa dei polpastrelli sul maglioncino, proprio ad altezza del mio sguardo, prima che, mossa da dentro, che troppo ipocrita so di non essere !-- -A volte mi sento solo inetta, Andrea. Nemmeno te lo so spiegare. Ho della merda inconsistente addosso e me la butto con le mie stesse forze, dopo che elaboro pensieri abbastanza complessi da farmi schifo da sola.-
Lui prende a provare a capirmi; sorprendentemente, ogni volta, non demorde davanti alle stronzate che gli pongo per considerazioni personali e si siede di fianco a me, accarezzandomi il braccio.
-Anche io mi sento inutile la maggior parte del tempo che trascorro sveglio. Non è che lo siamo -- in parte, forse, ma semplicemente è età, è che non abbiamo davvero qualcosa con cui misurarci. Stiamo qui, viviamo una vita monotona e se ci pensi troppo, Cele, finisci per consumarti.- muove le mani, concentrato nel suo incomincio. Io mi sollevo alla sua altezza e mi soffio il naso, prima di ritornare a prestargli la dovuta attenzione -Se mi vesto di rosa, qualcuno farà qualche commento, che però, attenzione, non sarà dovuto al fatto che io sia fatto a modo mio, solo che mi sono vestito di rosa ed allora sono frocio ! Le persone, noi, siamo totalmente sconvenienti che è inevitabile non sentirsi offuscati da questa inettitudine, sarebbe anomalo il contrario !, e sai quando l'ho capito? Quando, te lo dico subito, e non ridere perché mi farai ammattire, - sorride - vivevo e non capivo che dovevo farmi sentire. Non è mica facile, farlo ! Ed allora indulgiamo e diciamo che non possiamo, che non siamo capaci, ma sta tutto qui - mi tocca la tempia -ed è davvero divertente quando, dice mamma, capiremo che un posto dobbiamo ricavarcelo e quindi non ci sarà più spazio per sentirsi in frantumi!-
-Hai capito tutto, tu.- non sono ironica. Questo ragazzo ha così tanto dentro di sé che ignorarlo farà solo perdere al mondo un'occasione per capirsi.
-È questo il punto, vedi!- porta i palmi in avanti, balzando in piedi, e poi si passa una mano nei capelli, prendendo un respiro, -Pensi ad altri, pensi che loro facciano e speri di essere loro d'aiuto. Ma tu, tu dov'è che ti metti? Non so se te l'hanno mai detto, ma c'è tanto altro dietro la bella protagonista a cui va tutto male, ma poi tutto torna a suo favore !, c'è un universo intero che nessuno si preoccupa di raccontare ed allora che fa da solo. Hai tanto anche tu, sai, ma non lo capisci perché sei tu. Ma gli uomini sono fatti così, anche Dio se n'è reso conto al momento giusto, intendo, che gli uomini fossero fatti per compatirsi.-
Ci penso per un po'. Non è propriamente esatto darmi della poco attenta a se stessa, perché mi perdo spesso in pensieri che mi vedono protagonista nel combinare guai ad ogni passo che faccio, ma non è, altrettanto, propriamente esatto, dirmi che lo faccio, perché a me, ci penso, solo se è per fomentarmi nell'odiarmi. Ed è esilarante, anche quando avrò quaranta anni lo sarà, perché, in effettiva, non avrò possibilità di starci su per tanto tempo.
-Come è che farei senza di te?-
-Faresti diversamente, ora dammi un abbraccio, che sono stanco della tua mancanza di affetto.- lo tirò giù verso di me, stringendolo per bene e, ovviamente, ottenendo che entrambi abbiamo il sedere a terra, completamente presi dalle risate.
Stiamo così per qualche minuto, abbracciati come terresti a te solo un fratello, una famiglia e lo sento sussurrare -Sono stanco delle canzoni tristi.-
-Allora basta canzoni tristi.- dico, lui si allontana e ci sediamo con la schiena al divano, lo sguardo alla stanza piena di giochi di casa di Andrea, dove ho passato molti dei giorni pieni di risate della mia vita. Non è che non abbia avuti prima, ma a volte le risate vere arrivano solo quando hai la persona con cui dividerle equamente.
-Lo vuoi vedere quel tizio che fa cover?-
-Come si chiama, hai detto?-
-Jon Sudano.- ride nel pronunciare il nome, mantenendosi la pancia con le mani.
-Cosa fa?-
-Mette la canzone di Shrek ovunque, ti interessa?-
-Ovunque, ovunque?- mi avvicino mentre prende il cellulare dalla tasca.
-Anche su Adele ammazza gioia.-
-Metti questo tizio, mi attizza troppo.- e finiamo per ridere di un uomo che canta All star su ogni base che ha a disposizione e ci buttiamo alle spalle che sia mediocre, perché è da noi.
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