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"Uno di quei rari sorrisi dotati di eterna rassicurazione, che s'incontrano quattro o cinque volte nella vita. Fronteggiava – o sembrava fronteggiare – l'intero mondo esteriore per un istante, e poi si concentrava su di te con un irresistibile pregiudizio a tuo favore."
Una settimana e passa che non rivolgo la parola né a zia né ho provato a contattare Jacopo.
Inutile specificarlo che mi sento un'assoluta merda e che tutto ciò che mi circonda mi avvilisce e disgusta col senso di vergogna alla gola. Che tanto non ti mollo, pare dirmi.
Continuo a disegnare sul quaderno mentre la prof straparla su quanto, secondo la sua opinione, Dante sia stato un genio. Non mi disturbo neppure ad alzare lo sguardo per fingere di star prestando attenzione, disegno semplicemente figure strambe sulla pagina che dovrebbe contenere degli appunti.
Gioco un po' col maglioncino blu e con i miei capelli, che forse dovrei farli spuntare, le doppie punte ne hanno altre. Rido, coprendomi la bocca con le mani.
Il telefono nella tasca vibra, una volta e poi qualcuna in più; afferro l'aggeggio e lo nascondo nel porta pastelli, storcendo il naso.
Ho la febbre :c
Lo hai già detto sette volte nelle ultime ventiquattro ore. Rimarco semplicemente, facendomi scappare un sorriso.
Sì, ma... HO LA FEBBRE!
Ho capito e io cosa posso farci?
Sei sempre così stronza? Io!
Tu hai la febbre.
Stacco la connessione dati e riposo l'aggeggio nella tasca, riprendendo a disegnare. Vibra ancora.
Non ignorarmi.
Andrea, sei un finocchio.
Offendermi non mi placherà :).
Smettila di usare faccine.
Acida.
Finocchio.
Ah-ah, sono ancora qui :) :) :) :).
Uh! Rido ed anche in maniera piuttosto evidente, cercando di nascondere il mento nel collo ampio della felpa.
-Rossi, qualcosa di divertente?- la voce della donna si inarca nel fastidio, mentre mi fissa con le mani ai fianchi e il vestito per metà leopardato e per l'altra zebrato, aspettandosi un tacere accordante al richiamo.
-Assolutamente, no.- sbuffa troppo apertamente e mi guarda inviperita, contrariamente a quella che è la sua facciata materna e buona. Avrà litigato col marito, sono sposati da trentadue anni e lui le porta sempre il caffè in classe; oggi non è venuto. Le sorrido, scrollando le spalle ed allungando le gambe sotto al banco per sgranchirmi, lei riprende a spiegare alcune cantiche del purgatorio.
Purgatorio, dove si seminano un po' di peccati per finire in paradiso o se ne raccolgono altri per ritrovarsi all'inferno. Certo è che nel paradiso dovrà esserci aria più fresca, ma mi ritrovo a prediligere la compagnia di dannati dell'inferno.
Potrei trattarmi meglio, meglio di così e finirci nel mio piccolo paradiso terrestre costituito dal semplice star bene con quel che ho.
Alzo la mano senza neppure rifletterci e -Posso uscire?- annuisce e non mi preoccupo di badare alla sua impressione che cammino lontano da quella gabbia e cerco un po' di sano star in tranquillità.
Apro la porta e la chiudo di scatto dietro di me e respiro aria non pesante, appoggiandomi con le spalle all'anta di plastica gialla e nera.
Cara mamma, sappi che tua figlia ha un bel casino in testa. Sempre dalla famosa lettera di una scapestrata, ad un'altra anche peggio della prima, mi domando cosa mi stia prendendo. Rimorsi, io, non li ho mai avuti, un po' perché era sempre un piegarsi, mai uno scegliere razionale. Cammino a passi leggeri, ricordando che ho lasciato le sigarette nello zaino e mi morderei le mani per la fretta stretta che continuo ad indossare.
Dondolo da un lato all'altro del corridoio e mi guardo attorno, per negligenza e poca volontà questa scuola cade a pezzi, nonostante è una delle più prestigiose.
Sembro io che mi dico costantemente di essere resistente e di non dover arrendermi, ma che la forza per essere la migliore non so dove l'ho messa.
Mi avvicino alla bidella Rosa, sorridendo menefreghista e sedendomi accanto a lei su una sedia tutta piena di disegni e l'ascolto che si lamenta di alcune professoresse ed altri suoi collaboratori.
-Quando andavo io a scuola, Celeste, i bagni ed i corridoi, sì che erano puliti. Mica tutti grigi come adesso!- si lamenta, prendendo dal taschino bianco il pacchetto di sigarette e sporgendosi per afferrare nella borsa tutta rovinata l'accendino con sopra della maria. -Per non parlare che adesso- cerco di non ridere, mentre si burla della pessima educazione degli studenti e della mancanza di esempi validi, tutta bella seduta a fumarsi la sigaretta, che le impedisce anche un dialogo per bene, e le gambe accavallate -E poi, solo bacheche ci sono in questa scuola!-
Mi offre, poi, una sigaretta tanto a rammentarmi, ancora una volta, che quelli che si adoperano moralisti sono i peggiori. Un'apologia, lei, manco ce l'ha e mi arrogo la presunzione di definirmi più compiaciuta di una donna che giudica tanto e nulla conclude.
-Vedi, poi, oggigiorno, a me i ragazzi mi sembrano tutti senza la voglia di studiare! Che ci stanno a fare, qui, se non hanno la voglia?- ripetitiva e con la sregolatezza nel filo logico stesso del discorso, mi chiedo, mentre gioco con le dita ed il labbro inferiore, se questa donna abbia avuto o meno un percorso scolastico.
La bidella Rosa, sempre tutta truccata nell'eccesso e con le ciabatte al piede perché -La sciatica, ragazza mia!- ancheggia tra un corridoio ed un altro fingendosi interessata nel controllare se nei bagni si fumi o meno. Coi boccoli fatti coi bigodini e la mascella gentilmente delineata, è quella donna che ti darà sempre da parlare, se solo tu ne avessi la voglia.
-Lei come andava a scuola?- mi appoggio alle ginocchia coi gomiti e, il mento, lo tengo fra i due palmi; la guardo, curiosa.
Lei spegne la cicca nel posacenere sulla cattedra messa lì appositamente per lei. Nei cassetti scassati ci sono tutti le circolari da consegnare. Chiamerà il signor Peppino quando le toccherà farlo, perché a lei farà male la schiena. -Una cima di rapa, la maestra mi batteva sempre quella sua riga di legno spesso spesso sulle mani. Gesù e se faceva male.- e batte le mani sulle cosce, ridendo per il ricordo ed aggiustandosi i capelli subito dopo.
-Non tutti sono intelligenti come te, ma questo tu lo sai.- no, Rosa, io non ne ho la minima idea. Me lo spieghi, la prego, perché, questa mia arguzia, proprio non la vedo e un po' mi piacerebbe giovarne.
-Legge, lei?- le pongo la domanda, divincolandomi dal precedente discorso sottilmente e lei, mentre si tira su le calze spesse, nemmeno sembra accorgersene.
-I romanzi, quelli là che c'è passione. Come il torero che vuole la ragazza, ma lei è innamorata dell'uomo gentile.- sospira, prendendo fra le mani la borsa e tirandone fuori le sue solite pillole e la bottiglietta di acqua, poi una mela perché, dice, altrimenti non può assumerle. -Lo dessero a me, il bel torero, ti farei vedere cosa gli faccio!- e porta la bottiglia alla bocca, per ingoiare la pillola di un giallo pallido.
Mi scappa un sorriso, a vederla, e mi spingo a non farle presente come diavolo parla, perché mi risponderebbe, come le prime volte, che lei è anziana ed io non troppo grande per una sculacciata.
Ah e se le piace avere ragione! Pure mentre mi riferisce che posso starmene ferma qui a parlare di ciò che le passa per la testa che -Ci parlo io con quella lì, se ti rimprovera!- mi metto a ridere ed aspetto che suoni l'ora. Nemmeno fumo, quale era la mia prima intenzione. Rido solo, dietro ai suoi discorsi senza una vera logica.
-Mi sarebbe piaciuto fare la commessa.- ammette, alla fine, che mi sto alzando e tornando in classe, mettendo un'altra sigaretta fra le labbra.
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-E quindi, ti dicevo, stasera c'è questa cena e ti ho preso un vestito da indossare; i tacchi, li hai già.- no, no che non me lo aveva detto. In realtà sono entrata in casa e mi ha ignorato, come tutti i giorni da un bel po'. Me ne sono stata zitta senza mangiare in camera, perché io a non rivolgere la parola, anche se comporta ferirmi ancora, proprio non ci riesco.
E siccome di umiliazione trabocco fino ai capelli, ho studiato latino e fisica in camera, poi, da che mi ero detta che avrei fatto merenda dopo di quelle, mi ero accorta che lei era ancora lì e ho finito tutti i compiti per domani.
E poi, tanto per sganciare la bomba, come se fosse d'obbligo, per lei, farlo, mi ha bloccata che sono le sei in cucina, mentre stavo uscendo, e lei era, anche, impegnata in una telefonata.
-Angela, ti richiamo domani.- ha staccato e boom, bomba per una nipote per bene, educata e rispettosa lasciata toccare il terreno, senza la flessibilità del tono o una sorta di probabilità che di essere mostrata, per una sera, non mi andasse.
-Ho da studiare.- mi gioco il tassello della menzogna, l'esibizionismo di questa donna, per quanto buona di cuore possa essere, mi urta il sistema nervoso e non tollero quel suo bastardo ed infido modo di fare.
Ed allora si gira, stringe le dita al suo grembiule a fiori e la maschera verde in faccia, che s'è fatta per le rughe, la fa apparire più indiavolata di quanto sia.
Afferro una banana e mi siedo sullo sgabello vicino all'isola della cucina, che tanto evitare il suo rinfacciare non mi porterà ad altro se non a rimandare la sua sfuriata.
Che la conosco, lei prima grida, poi aspetta che si calmino le acque e non ci siano più testimoni a suo sfavore, che siano i vicini o altro, e riprende ad urlare più forte di prima.
-Hai studiato tutto il pomeriggio.-
-È esatto.- alza gli occhi al cielo ed io sbuccio il frutto, assaporandone il sapore, mentre la donna dai capelli scuri metabolizza ciò che le ho detto.
-Tu verrai Celeste.- nient'altro, impone solamente. Ci sta proprio perdendo le forze con me e mi ritrovo a desiderare che mi parli ancora, perché l'indifferenza, che verrà rimpiazzata durante la cena con finta soddisfazione, mi ferirà abbastanza da ritrovarmi col mio stesso respiro che mi va di traverso.
-Ma. . .- che poi non so esattamente come ribattere, cerco di perfezionare questo senso di imbarazzo e situazione scomoda che sta prendendo largo nella stanza.
-Cos'altro?- solo un tono tagliato dalla stanchezza e si siede, massaggiandosi le tempie. Neppure me la dà, l'attenzione che necessito. Necessitare, poi, che non so cosa io desideri, solo che mi parli, forse.
Ridicola ed insolitamente in cerca di attenzioni, zia mi lascia sola in cucina, con la banana ancora intera in mano, o quasi, che ancora rifletto su come contestarla. --- Non è mica scema, Celeste, guarda che l'ha capito che prendevi tempo.
Non mi va più di mangiare, o anche solo camminare. Quindi me ne sto zitta, coi capelli davanti agli occhi e gioco con le mie unghie, gettando il frutto nella pattumiera, rimpiangendo il gesto poco dopo.
Sono stata programmata per pentirmi pure del mio respirare -- programmata per l'autodistruzione.
Mi alzo, non badando allo stridere dello sgabello sul pavimento già vecchio e me ne vado in bagno, non ho nemmeno la voglia di fumare.
Mi metto solo lì, col culo sulla tavoletta e un po' di pensieri nel piccolo spazio. La rivista di Donna Moderna sulle cosce e qualche risata per quello che definiscono giornalismo, addirittura. Eufemismo alla stato puro, 'sta società.
Qualche articolo su Barbara D'Urso o Valeria Marini e mi scoccio di questo affumicarmi il cervello con della spazzatura che vende.
Poso la rivista dalla copertina arancione sulla cesta accanto al gabinetto e mi spoglio, cercando un po' di libertà.
Nuda, mi osservo per un po', coi capelli scuri che mi cadono in avanti. Che poi credo che tutti lo abbiano fatto, una volta o due, osservarsi così per quello che sono. Io l'ho fatto più di qualche volta, ma decido di non rifletterci, per ora.
E con movimenti meccanici, la testa tra le nuvole e i brividi lungo il corpo, entro in doccia, lasciando che l'acqua porti via delle false speranze di troppo.
Dal diario di una che meriterebbe più di una scapocciata, ricordarsi di essere meno delle delusioni. Che fa male, a te e, magari, anche a quelli di cui ti sei circondata.
L'acqua mi prende e porta via, per qualche secondo, e poi sono ancora nella doccia quando apro gli occhi.
Il vapore fa salire nettamente la temperatura e ci sto per quella che sembra un'eternità fra quelle quattro mura. Me ne infischio addirittura del tempo irretente che passa, che tanto nemmeno mi aspetta.
-Celeste, hai fatto?- sarà il quarto, che mi fa, di richiamo. E niente. Mi sto ancora insaponando, io. Per la settima volta, ma lo sto facendo.
Che per avere diciassette anni, ho un bel casino inopportuno in testa.
-Celeste!- sarà il decimo; la sento, la punta di nervosismo che duole per trapelare dalle sue parole gettate lì, ed allora giro la manopola e metto piede fuori dalla doccia, indossando l'accappatoio ed asciugando, alla meglio, i capelli con un asciugamano. Apro la porta e la sorpasso, coi piedi scalzi e l'indispettire di una che della ancora deve capire troppo, se non tutto.
Batto la porta di camera mia e mi impegno per infilarmi il vestito che ha scelto, troppo scollato sul seno, avrà pensato di aver capito la natura della nipote.
Asciugo i capelli che hanno bagnato le spalle dell'abito nero e mi trucco appena, non volendo risultare troppo volgare. Non si vorrebbe che la povera Maddalena sfiguri per la nipote negligente.
Dal consueto diario, che tanto l'antifona è chiara, stai attenta al comportamento -- alle idee, cazzo. Che sei le hai diverse, allora sì che hai dei problemi seri. Allora sì che sei un guaio.
Che tanto la migliore, io, col cavolo che la sarò mai. Una ragazzina troppo consumata che cerca attenzioni anche nella voce di chi le rivolge parola.
Sto attenta a non esagerare col trucco, che tanto persino io ho un ideale, cerco di non smontarlo troppo. Fallace o plausibile, sono l'esempio di quello che non è e neppure andrebbe considerato.
Indosso gli orecchini più lunghi e mi preparo al mio bel venerdì sera. Infilo i tacchi alti, neppure ci so camminare, ed il giubbotto di pelle -- sembro schifosamente normale.
Prendo borsa e telefono, che per giunta è scarico, ed esco dalla camera, sedendomi in attesa sul divano che saranno le sette e un quarto.
Alle otto meno cinque, zia esce dalla sua stanza e sembra differente, forse, semplicemente, più giovane e meno preoccupata.
Non mi parla, solo un cenno, e mi ritrovo a prendere in considerazione l'idea di starmene seduta qui per sentirla parlare, ma mi alzo e la seguo, in silenzio.
Dal suddetto diario, ti ricorderai mica di essere per bene, un giorno di questi?
Che se tua zia è invecchiata così in fretta, stai pur certa che la colpa è tua.
Ma dal bel diario, poi, uscirà che tanto è andata.
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