3. Alibi


Il primo impatto dopo questi tre mesi è, in realtà, meno brutale di quanto temessi: quando si trova dietro la cattedra, o più facilmente sullo spigolo esterno, Andrea ha la strana abilità di mettermi tutto sommato a mio agio e di togliermi di dosso quella sensazione di inadeguatezza che mi trasmette al di fuori delle mura scolastiche e nei miei pensieri.

Non saprei definire se questa sua ambiguità eserciti su di me più fascinazione o più timore: la sola cosa certa, per ora, è che perlomeno riesco a trascorrere le sue ore di lezione riuscendo sia a concedermi il lusso di osservarlo sia quello di seguire con attenzione ciò di cui parla, senza che una cosa precluda l'altra. E, più di ogni altra cosa, senza che nessuno noti quanto io sia rapita da lui.

Certo, le ore che seguono le sue non sono mai delle più rosee: il mio cervello ripesca questo o quel particolare della giornata, di solito basandosi su criteri che io stessa non riesco a comprendere, e lo rielabora, lo rivive, lo pasticcia e porta la mente a vagare per lidi ben distanti dalle mura del mio liceo.

«Cammareri.»

Sbatto le palpebre rapida e abbozzo un sorriso poco convinto: «Dica, prof.»

Il professor Martini, mio docente di matematica e fisica, mi squadra da dietro i suoi spessi occhiali tartarugati: «Mi dica lei, piuttosto.»

Mi guardo intorno, senza comprendere a cosa si riferisca, mentre un mormorio di risate si leva dai miei compagni: sento il sangue affluire alle mie guance con un pizzicore fastidioso.

«Non eri attenta, eh, Melissa?» mi canzona lui con il suo sorriso storto: scelgo la via dell'onestà e ammetto di essermi distratta un momento, ricevendo un'occhiata obliqua di scarsa convinzione in risposta.

«"Distratta un momento"» ripete Clarissa, reclinando la testa «È un bell'eufemismo, è tutta la lezione che hai la testa altrove.»

«Che ci posso fare se mi annoio?» brontolo in risposta: non ho problemi di credibilità, la matematica non è mai stata il mio mestiere.

«Ti annoi spesso, ultimamente» scocca una frecciatina Ester con noncuranza fasulla «Dì un po', hai trovato chi sostituirà Valerio? Io e Clary abbiamo già in testa un nome.»

Mi fa l'occhiolino con aria di chi la sa lunga, preoccupandomi: «Ma di chi parlate?»

«Bordoni, per favore, già è distratta, non ti ci mettere pure tu!» ci arriva la voce lamentosa di Martini «Siete in quinta, ragazzi, sarà ora di diventare persone responsabili.»

«Prof, ma vi siete messi tutti d'accordo per il copione o è un caso?» azzarda Elia, seccato «No, perché in quanto, quattro o cinque settimane ce lo siamo sentiti dire da tutti! E dalla Orsi, e da Scarano, e da Rodari, e da lei... Ci manca che ce lo dicano Fresi e Morelli, poi...»

«Sardi, ti consiglio di tacere» lo rimprovera Martini con fastidio «Non sei stato bocciato per il rotto della cuffia, almeno fingi di essere una persona rispettosa, su!»

«Ci aspetta un anno così?» soffia Ester, tuffando la testa tra le mani con aria teatrale «No, perché io ci esco di testa, ve lo dico.»

"Non dirlo a me."

La discussione tra Elia e Martini si prolunga per un tempo eccessivo, portando anche me a chiedermi come sia possibile che quel tizio allampanato e che, di sicuro, sembrava già vecchio a trent'anni, sia riuscito ad ottenere una cattedra fissa nel mio liceo.

Mica come Andrea: lui sì che sarebbe stato capace di sedare quel momento rivoltoso del mio compagno. L'avrebbe liquidato con poche parole mirate e ripreso il filo del discorso dove l'aveva lasciato senza esitazioni o remore, rendendoci partecipi e interessati.

Lo strillo della campanella che segnala la fine dell'ora fa imprecare Martini in mezzo ai denti, mentre raccatta le sue cose dalla cattedra e si incammina verso l'uscita. Io e i miei compagni ci rilassiamo senza troppe cerimonie: la professoressa Lisma, nostra insegnante di scienze, ha il pessimo vizio di rispettare un quarto d'ora accademico che non le spetta.

«Avanti, chi è?»

La domanda di Ester mi arriva inaspettata, senza che io capisca a che cosa alluda. Le rivolgo un'occhiata interrogativa, facendola ridere.

«Il tizio che ti distrae da più o meno tutte le lezioni, dai!» incalza, dandomi un pugnetto amichevole sul braccio «Perché non può essere altri se non un tizio che ti frulla nel cervello, quindi ti conviene ammetterlo.»

«Ti conosciamo, mascherina!» prosegue Clarissa con palese divertimento «E dopo lunghe e attente riflessioni siamo anche abbastanza sicure del nome di chi ti fa battere il cuoricino.»

Ester annuisce con esasperata lentezza, sorridendo sorniona.

Inizio ad avere paura: che mi sia esposta troppo? Che abbiano unito i pezzi? Le mie regolari distrazioni l'ora di lezione dopo quelle di Andrea, la mia attenzione verso di lui, il mio improvviso interesse verso la letteratura...

«Chi...» esito «Chi sarebbe?»

Mi preparo al peggio, ma soprattutto mi preparo ad agire nel solo modo sensato che mi salti in mente: negare l'evidenza fino allo stremo e oltre.

Ester ride e dà di gomito a Clarissa: «Guarda come arrossisce, è lui, sicuro!»

«Ma chi?»

Ormai la mia voce è uno stridio.

«Il capellone di quinta B!» tuba Clarissa con aria vittoriosa «Ho visto come ciaccolate durante l'intervallo, su quel muretto!»

Non riesco a reprimere l'istinto di sgranare gli occhi: «Paolo?»

«Ah, ce l'ha un nome il tuo Dylan Dog allora!» prosegue Clarissa, tanto agitata da quel pettegolezzo inesistente da non riuscire a stare ferma sulla sedia «Raccontaci tutto, ti prego.»

«Ma...» esito «Davvero mi vedreste bene con uno così?»

«Certo che no» mi fa presente Ester, mentre stringe un braccio intorno alle spalle di Clarissa con aria complice «Ma non ti vedevamo bene neanche con Valerio, ciononostante eravate così carini poi insieme.»

Rifletto.

Dopo quell'incontro fortuito il primo giorno di scuola, io e Paolo in effetti ci incontriamo spesso nel porticato: io scendo con la speranza di vedere Andrea, lui, a suo dire, perché ha bisogno di respirare un po' prima di rinchiudersi di nuovo in aula. Non che io lo cerchi, di solito è lui a beccarmi e a iniziare a ubriacarmi di chiacchiere, ma la cosa non mi dà fastidio: non è invadente, non fa domande se non le solite di circostanza, non fa battute e, soprattutto, mi permette meno sospetti di quelli che desterei se ogni giorno scendessi nel porticato e rimanessi da sola in un angolo a fissare Andrea. Parlargli tutti i giorni è fuori discussione, perché potrebbe sembrare strano e farmi scoprire troppo.

«Allora, è lui?»

«No!» nego, onesta.

"Perché negarlo? Potrebbe essere un buon alibi."

Il pensiero mi sale alla mente in maniera spontanea, ci si insinua e inizia ad affondare le sue radici: in effetti, millantare una cotta per lui mi fornirebbe una buona scusa per giustificare le mie continue uscite durante l'intervallo, le mie distrazioni e disattenzioni, senza che si possano costruire castelli mentali che mi potrebbero compromettere. Abbasso lo sguardo, sorridendo.

«È lui, è lui!» conclude Ester battendo le mani «Non potevo sbagliare, sei la mia migliore amica, ti conosco troppo bene!»

«Abbassa la voce!» le intimo, infastidita «E comunque non ho ammesso niente.»

«Ti vada o no, l'ami e dillo, oh oh!» inizia a cantare Clarissa, seguita a ruota da Ester.

«Ragazze, vi prego, non iniziate con questo teatrino delle muse perché io...»

«Buongiorno» precipita in classe la Lisma con aria trafelata, rovesciando una pila di libri, fogli e registri sulla cattedra «Scusate, ma ho avuto un contrattempo e non sono proprio riuscita ad essere puntuale, quindi cercate di stare attenti perché...»

«...siamo in quinta e dobbiamo essere in pari col programma» mi arriva il bisbiglio strozzato di Elia «Devo iniziare a tenere il conto di quante volte lo dicono durante l'anno.»

Ce l'ho fatta! Scusate ma ho avuto una giornataccia, ma va be', non sono questioni che interessano a voi, no?

Parliamo di cose serie, mie care: secondo voi le amiche di Melissa hanno equivocato... O hanno pittato (=mangiato la foglia in genovese) qualcosa che forse lei non ha ancora interiorizzato?

So che non si tratta di un capitolo esaltante, ma ho in programma... No, nulla, nulla.

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