16. Lettere a Giulietta
I film hanno la pessima abitudine di creare false aspettative su ciò che rappresentano: che siano film d'amore, drammatici o porno, riescono sempre a pompare una realtà fasulla.
Per questo, quando arriviamo al balcone di Giulietta, non riesco a trattenere una smorfia di fastidio: le pareti sono tanto pasticciate da essere nere, riempite da migliaia, se non milioni, di coppie di nomi da tutto il mondo, la calca di turisti è impressionante e un grosso capanello di persone aspetta di fare una foto commemorativa dove palpa il seno della statua di Giulietta.
«Ok, who can say something about Shakespeare's masterpiece, "Romeo And Juliet"?» esordisce la Orsi appena ci disponiamo in maniera più o meno ordinata sotto il balcone.
«Ah, che bella figura di merda già dall'inizio della gita» constata Clarissa, indicando un gruppetto poco distante da noi di ragazzi più grandi, forse universitari, che ci guardano con aria divertita.
«In my honest opinion» prende parola Rodari, sfoderando un inglese pulito, senza inflessioni pesanti tipiche dell'italiano medio «It's overrated.»
Chi più chi meno, ma ridacchiamo quasi tutti, ad esclusione della professoressa Orsi, che sembra aver ricevuto un pugno in faccia.
«Ora, ragazzi, chi mi sa spiegare perché ho detto una cazzata?»
«Be', suppongo che sia perché...» esordisce Erika con poca convinzione. Rodari sorride.
«In English, please.»
«Grazie della collaborazione, Andrea» commenta la Orsi con velato sarcasmo, mentre io perdo del tutto interesse verso quella lezione improvvisata.
La mia mente corre verso un film che ho visto tempo fa, dove Amanda Seyfried, sotto questo balcone, scopriva l'esistenza di un gruppo di ragazze che davano consigli sulle questioni di cuore, anche se da una rapida occhiata non vedo nessuno scrivere alcunché.
"Peccato, mi servirebbe parecchio una dritta."
«Va be', ragazzi» sento minimizzare Rodari «Ho capito che qui l'attenzione è bella che andata, quindi direi che ci diamo...» tira fuori l'orologio da taschino con aria pensosa «tre quarti d'ora di libera uscita, va bene? E ci vediamo davanti al negozio qua vicino, quello dove fanno i ricami personalizzati. Tutti d'accordo?»
«A dire il vero mi sembra un po' prematuro» fa notare la Orsi con fastidio. Rodari alza gli occhi al cielo, ridacchiando.
«Dai Barbara, lasciali un po' liberi!»
«Bella, prof!» commenta Elia con palese divertimento «Ci vediamo dopo!» taglia corto, allontanandosi senza aspettare conferma o smentita e dando il via a una diaspora generale.
«Che fai, Mel?» si informa Ester «Vieni a prendere due souvenir in piazza? Siamo io, Clary, la Ross, Adele e Nick.»
Alzo le spalle, indecisa: «Volevo fare una foto con Giulietta» mento, sperando che gli altri si allontanino e mi diano qualche minuto di solitudine in cui potrò redarre la mia lettera.
«Credo che il tuo modo di fare sia un po' troppo libertino, Andrea» noto nel chiacchiericcio la voce acuta e sfiatata della Orsi, quando il più di noi se n'è andato.
«Sono ragazzi» le ricorda lui «La gita è un'occasione per stare più sereni, senza menate come la cattedra, i registri... ma non ti ricordi come ti comportavi in gita? E dai!» la esorta «Le sbronze di nascosto in hotel, le nottate in stanza di uno o dell'altro, mai fatto?»
La Orsi, dal canto suo, alza il mento con aria altezzosa.
«No, è ovvio.»
Rodari sembra sul punto di ribattere, ma posa lo sguardo su di me e si trattiene: «Resti qui, Melissa?»
Annuisco con vigore: «Sì, mi piace questo posto.»
La professoressa Orsi ne approfitta per allontanarsi borbottando un saluto a mezza voce: Rodari scrolla la testa.
«È davvero rigida» commenta, estraendo dalla tasca posteriore dei pantaloni un astuccio con dentro filtri, cartine e tabacco «Se si sciogliesse un po' potrebbe essere un po' più simpatica, non trovi?» mi domanda, iniziando a spantegare il tabacco sulla cartina.
Non rispondo, temendo di sbilanciarmi troppo.
«Come mai non fai due passi?» si informa, mentre gira la sigaretta con un gesto sicuro e collaudato «Il balcone ti ispira troppi pensieri carini verso il fidanzato?»
Lecca il bordo della sigaretta per chiuderla: intravedo appena la punta della sua lingua, ma quel semplice gesto scatena qualcosa che manda subito il cervello in tilt.
Qualcosa -Dio, è orribile da ammettere- che parte dal basso ventre.
«Ce l'hai sempre il fidanzato, vero? Il fratellino di Merista?»
«Valerio, sì» confermo, cercando di focalizzarmi sul suo viso e rendendomi conto, non senza un senso di orrore, che non riesco a recuperare i suoi tratti negli angoli della mia memoria. Benché mi sforzi, il mio cervello mi restituisce un'immagine del mio ragazzo fumosa e disordinata, come se avesse deciso di scomporla e ricrearla senza un filo logico determinato.
«Sembra un bravo ragazzo» commenta Rodari con la sigaretta incastrata tra i denti «Jacopo a scuola era una frana, ma considerata la classe in cui era capitato era molto perbene, il fratello mi sembra un po' più inquadrato, non mi stupisce che tu te lo tenga stretto.»
"Altro che tenermelo stretto! Quanto vorrei tradire quel bravo ragazzo con lei, prof..."
Perché continuo ad avere certi pensieri? Perché il mio cervello li elabora senza che io lo voglia?
«Scusa se cambio discorso, ma hai per caso da accendere?»
Tiro fuori il mio fedele accendino verde lime, lo agito e, senza riflettere, mi avvicino al viso di Rodari facendo scattare la rotella per la scintilla.
Lui si allontana in maniera appena percettibile, preso alla sprovvista, ma la vicinanza tra i nostri visi rimane comunque eccessiva, e io devo ancora reprimere l'istinto di avvicinarmi di più e azzardarmi a baciarlo, come è già accaduto troppo spesso da febbraio in avanti.
«Calma, faccio io.»
Mi prende l'accendino dalle mani con un gesto deciso, sfiorandomi le dita, e io sono abbastanza sicura che mi si stia appannando la vista.
«È che è quasi scarico» soffio a mezza voce, restando inascoltata: in un lasso di tempo per me ridicolo, riesce ad accendersi la sigaretta.
«Ci sono abituato e so come trattarli, grazie» ridacchia «Pensavo di comprarne un altro dato che il mio non lo trovo, te ne prendo uno?»
«Non è il caso, grazie» sento la mia voce senza che il mio cervello abbia elaborato un qualsiasi pensiero sensato.
Sono diventata un automa e non me ne sono accorta.
«Va be', se ci ripensi dimmelo. Ci vediamo dal negozio qui a destra, ricordatelo.»
Si allontana senza darmi né la possibilità di salutarlo né quella di metabolizzare le mie sensazioni ed emozioni.
Noto che la piccola panchina sotto il balcone ora ha un angolo libero: certa che nessuno mi noti, mi siedo e mi ficco la testa tra le mani, fissando i sanpietrini a terra e tentando di recuperare una lucidità che, in questo momento, non mi appartiene.
È da febbraio che fronteggio questa maledetta cotta, che invece di affievolirsi come speravo non fa che aumentare; Valerio è sempre più distante, perso nelle questioni universitarie e nelle nuove amicizie che ha stretto in facoltà, contro la piacevole e confortante presenza giornaliera di Rodari.
Farmi sfuggire Valerio sarebbe una follia, sono tutti d'accordo su questo punto, io per prima, ma...
No! Non voglio pensarci.
Ancora stordita, recupero un foglio dal blocchetto che ho in borsa, una penna con il tappo mangiucchiato da Ester ("Ero sovrappensiero, non mi ricordavo che fosse tua, scusa!") e scarabocchio il foglio con una grafia traballante e a malapena leggibile.
"Cara Giulietta, sono nella merda."
Che ve lo dico a fa'? Ormai la situazione è sempre più compromessa...
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