12. L'anniversario
Guardo il cellulare con gli occhi ancora cisposi: a differenza del solito mi ha dato il buongiorno la sveglia e non il consueto messaggio di Valerio.
Il che non può che fare partire la giornata male.
A maggior ragione oggi, che è il nostro primo anniversario.
Ho il tempo di fare colazione e lavare la mia tazza, souvenir di un viaggio in Norvegia di due anni fa, prima che arrivi un suo cenno di vita.
"Buongiorno, amore mio. Avrai notato che mi sono fatto attendere, ma ho deciso di lasciarti dormire un po' di più: ti passo a prendere in macchina e ti porto a scuola io. A tra poco, ti amo tanto!
P.S.: buon anniversario, ovviamente."
Non posso non sorridere davanti allo schermo, mentre gli rispondo: in effetti avrebbe senso disattivare la sveglia, ma continuo a divertirmi a sentire prima il suo messaggio e poi, dopo un minuto esatto, l'allarme.
Approfitto del lasso di tempo in più per prepararmi con un po' più cura del solito, cercando i vestiti che so che preferisce e perdendo più tempo in bagno, sperando solo di non dare troppo dell'occhio arrivata a scuola: cincischio tanto che, quando sento il citofono, sono quasi in ritardo.
«Buon anniversario!» mi saluta Valerio gioioso, sollevandomi da terra per darmi un bacio appassionato «Ti avrei portato un mazzo di fiori, ma dopo sei ore a scuola non credo che avrebbero avuto una bella faccia» ammette. Sorrido.
«Tanto lo sai che non sono brava con le piante» gli ricordo «Auguri!»
Gli consegno il mio regalo, godendomi la sua espressione felice mentre lo scarta e lo studia: un set composto da bloc notes, agenda e penna stilografica con il suo nome inciso sul cappuccio, che aveva visto tempo fa in un centro commerciale e non aveva voluto comprare per il costo da lui giudicato eccessivo.
Lo vedo imbarazzarsi.
«Mi fai sentire uno schifo» mi confida imbarazzato, senza però a riuscire a nascondere quanto sia contento del mio regalo «Non dovevi spendere tutti quei soldi, davvero, bastava... Non so, un portachiavi.»
Ridacchio: «Avresti avuto la stessa espressione? Dai, lo sai che farti felice viene prima di tutto.»
Lo dico senza ipocrisia o retorica, rapita dal suo viso gioioso.
«Dai, sali in macchina» mi esorta.
«Cosa vuoi fare stasera?» si informa dopo essersi immesso in strada «A dire il vero avevo in mente di farti una sorpresa, ma magari hai delle preferenze, non so.»
Sorrido: «Ma no, mi basta stare con te, te l'ho detto. È da un mese che parliamo di questo dannato anniversario, com'è che non ti entra in quella testolina?»
«Ed è da un mese che ti dico che voglio solo farti felice: cosa non entra nella tua, di testolina?» mi riprende lui divertito. Ridacchio.
«Touché.»
«Comunque auguri» dice, prendendo un qualcosa di rettangolare e pesante dal sedile dietro appena arriva a un semaforo rosso «Questo è solo un pensiero, appena posso ti do il resto del regalo.»
«Non serve» gli ricordo «A dire il vero non serviva neanche questo» proseguo, anche se i miei gesti tradiscono l'aspettativa e scarto la carta argentata in maniera quasi febbrile.
Un volume grosso, con la copertina azzurra e una caricatura di un uomo ben vestito con la fronte altissima, fa capolino dalla carta strappata; in cima, in grandi lettere bianche, è segnalato che si tratta di "Gibran – Tutte le poesie e i racconti".
«Ti piace?» si informa, senza voltarsi per fare attenzione alla strada «Ho sentito che dicevi a mio fratello che ti è piaciuto "Il Profeta", quindi quando l'ho visto ho pensato che fosse un'idea carina.»
«È azzeccatissimo, amore mio» lo rassicuro con gratitudine «Lo inizierò appena posso.»
Lui ridacchia.
«Sarà meglio, così farai delle relazioni bellissime per Rodari!»
Mi si capovolge lo stomaco.
Nonostante mi ostini a darmi tempo, la sbandata per il mio professore non vuole saperne di diminuire e darmi pace: continuo a trascorrere le sue ore di lezione senza togliergli gli occhi di dosso, a cercare un contatto quando mi passa i fogli della verifica e a studiare come una forsennata le sue materie per emergere e brillare ai suoi occhi, senza neanche ancora averne capito la ragione. Ho spesso il timore che Ester e Clarissa se ne accorgano, ma fino ad ora non mi hanno fatto domande né lanciato frecciatine, quindi mi guardo bene dal confessare quella follia.
«Ma no, lo leggo perché me l'hai regalato tu, mica per la scuola, scusa.» Minimizzo.
Valerio ridacchia: «Come se l'avessi scritto io! Non preoccuparti, se non dovesse piacerti non è un problema, davvero.»
Arriviamo a scuola in breve tempo e ci salutiamo in fretta, dandoci appuntamento per la serata: non vedendo la chioma rossa di Ester, rovisto nello zaino e ne cavo una sigaretta da fumare prima di infilarmi a scuola e per stendere un momento i nervi.
«Non dovresti fumare sotto il porticato della scuola.»
Alzo lo sguardo: il professor Rodari mi sta fissando con lieve divertimento.
«Scherzi a parte, puoi prestarmi l'accendino, per favore? Il mio l'ho scordato.»
Mi sento tanto in colpa per le mie emozioni contrastanti verso di lui che, nonostante ci separino pochi centimetri, glielo lancio pur di non toccarlo: lui, dal canto suo, me lo porge appena non gli serve più, e io tento di evitare qualsiasi contatto, anche minimo, con la sua mano.
"Perché mi fa questo effetto, prof?"
«Comunque è un peccato che fumi già, così giovane» insiste «Rischi di rovinarti la salute.»
Alzo gli occhi al cielo: «La prego, prof, non attacchi pistolotti del genere con me: non esagero, lo faccio ogni tanto.»
«C'è una ragazza che conosco» prosegue lui, come se non mi avesse sentito «Una mia ex alunna, a dire il vero, che è molto bella, come te, ma che tra té, caffè e sigarette adesso ha i denti a chiazze. Insomma, non...»
Non lo sto ascoltando.
Le mie gambe si sono fatte di gelatina, le orecchie ovattate, il viso brucia, il cervello riesce a focalizzarsi su una cosa sola, come un martello che batte sullo stesso chiodo mille volte per affondarlo meglio nel muro.
"Ha detto che sono molto bella."
Me lo sento dire dalla pubertà, ma detto da lui è un altro paio di maniche.
"Lo ridica, prof. Lo ripeta fino a finire il fiato."
Lo osservo con attenzione, rasserenata dal fatto che non ci sia quasi nessuno e che lui sia concentrato sui suoi pensieri per capire cosa si cela dietro i miei occhi: non escludo che possa pensare che il mio sguardo fisso sia dovuto solo all'educazione e nulla più.
«Il mio ragazzo mi ha regalato tutte le opere di Gibran» gli annuncio, appena il silenzio si fa troppo lungo, per saggiare la sua reazione.
«Oh, bene!» commenta con allegria «Quindi ti è proprio piaciuto, mi pare di capire.»
Faccio spallucce: «Abbastanza, sì. Ha qualcosa da consigliarmi?»
È il suo turno a sollevare le spalle: «"Le Ali Spezzate" è molto bello, ma anche molto struggente. Comunque, credo che potresti darci un'occhiata appena arrivi a casa, o durante l'intervallo, e decidere tu cosa leggere e presentare una relazione a riguardo, già che è un autore che ho consigliato io. Guarda il tuo compagno, Marchese: alla fine ha letto "Addio alle armi" in mezza giornata e gli è piaciuto tanto che mi ha detto che questo mese ha intenzione di presentare la relazione su "Fiesta". Però ti avviso, non focalizzarti su solo uno o due autori, altrimenti non c'è varietà, se capisci cosa intendo.»
«No, non capisco.»
In realtà credo di averne un'idea, ma voglio solo protrarre la conversazione fino all'ultimo momento possibile.
«Che se si legge solo e soltanto un autore, si rischia di precludersi tanti altri che potresti apprezzare ancora di più» mi spiega «Come se mangiassi solo pasta con sughi a base di pomodoro, precludendoti non so, il pesto, la carbonara, i sughi a base di panna... Capisci?»
Annuisco. Lui sorride, scatenando un tornado nel mio stomaco.
«Immaginavo che avresti colto con un paragone rustico. Va be', io devo andare, ci vediamo alla terza ora» si congeda, sistemandosi la cartella sulla spalla. Poi si gira un'ultima volta.
«Sei particolarmente bella oggi.»
Mi illumino senza pudore.
La giornata, ora, è partita decisamente meglio.
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