10.

Sistemo al meglio le pieghe del mio vestitino in mussola, accaldata: sono trascorsi dei giorni tutto sommato miti per essere luglio, ma la fortuna si è guardata bene dall'assistermi e mi ha regalato una giornata afosa e senza un refolo d'aria.

Il presidente di commissione ha un faccione tondo, rosso per il caldo, occhiali dalla montatura sottile e uno sguardo amichevole: appena mi sono sistemata, sorride.

«Cammareri Melissa.»

Sembra in attesa, senza che io sappia come rispondergli: mi limito a sorridere poi, spontaneamente, mi volto verso Andrea.

Sta sorridendo anche lui, di palese soddisfazione.

«Vedo che è preceduta da ottime valutazioni» esordisce finalmente il presidente di commissione. «Un quindici di prima prova, tredici la seconda e quattordici la terza, i miei complimenti, Cammareri.»

«La ringrazio.»

«Anche la scelta della tesina è interessante» prosegue, rigirandosi in mano il fascicolo. «È forse legato a un discorso personale?»

«Lo è» taglio corto, guardando Andrea di sottecchi. Il presidente di commissione alza le mani in segno di resa.

«Non entro nel merito del personale, allora, ma le chiedo di parlarmi di Orfeo ed Euridice.»

Mi volto spontaneamente verso Andrea, in cerca di un cenno di incoraggiamento: ma l'Andrea che ho avuto modo di conoscere nelle gite scolastiche e che ho baciato in discoteca non esiste, lasciando spazio solo a un appassionato e stacanovista professor Rodari, che mi sta scrutando con occhi concentrati, quasi feroci.

E forse, a pensarci bene, è ciò di cui ho davvero bisogno in questo momento.

Sorrido al presidente di commissione, dimenticando per un momento tutto ciò che è trascorso nell'ultimo anno e mezzo: mi faccio scudo del supporto di Paolo dietro di me, non ufficialmente maturo da tre giorni, ascolto le domande, mi permetto di dubitare quando ne ho bisogno e prendo tempo senza timore.

Sento lo sguardo di Andrea ammorbidirsi, e ciò non fa che darmi ulteriore carica e desiderio di dare il meglio: al contrario delle mie aspettative e dal modo in cui mi era apparso quando sono andata a sostenere Paolo, il temuto orale di maturità sembra scivolare via di corsa, e quasi non mi sembra vero quando stringo la mano al presidente, ai membri esterni e ai miei vecchi docenti. Esco dall'aula saltando senza vergogna, abbraccio Paolo con slancio e per poco non cadiamo sul pavimento, divertiti, senza neanche accorgerci che la porta dell'aula si è aperta e Andrea sta arrivando verso di me.

Nonostante tenti di dissimulare e nascondersi dietro un'espressione imperturbabile, un lampo di gloria gli illumina gli occhi scuri, addolcendo lo sguardo del professore intransigente di poco prima. Sorrido.

«Professore!»

Vedo Paolo ridacchiare alle mie spalle, divertito dal tono cinguettante che non sono mai riuscita a dissimulare in tutto questo tempo: Andrea ride a sua volta, lasciando che la soddisfazione prenda il sopravvento.

«Posso parlarti un momento in privato, per favore?»

Sento il sangue sparire da ogni parte del corpo, ad eccezione del viso: riesco ad articolare un «Sì, certo» strozzato e acuto, lasciandomi prendere dal timore che sono riuscita ad evitare fino ad ora, guardando in viso Andrea con un misto di paura e speranza.

Paolo, senza dire una parola, scende le scale, e Andrea mi conduce nell'aula più vicina, socchiudendosi la porta alle spalle.

«Devo ammetterlo, ero un po' spaventato» confessa, senza smettere di sorridere, accomodandosi sul solito angolo della cattedra per abitudine. Mi sfugge una risata di derisione, beffarda.

«Sapesse io quanto lo sono adesso, professore.»

«Non devi esserlo, voglio solo farti i complimenti. Non tanto per la tua preparazione, che si è finalmente dimostrata eccellente come durante tutto il resto del tempo precedente a Barcellona, quanto per la maturità che hai dimostrato. Quindi, il tuo è stato un esame di maturità brillante su tutti i fronti.»

Piego la testa di lato, senza comprendere dove voglia andare a parare: «Scusi?»

«Non fraintendermi» riprende a parlare, abbassando un poco la testa e nascondendo il viso tra i riccioli. «Ma considerando i trascorsi, ho temuto che si venisse a creare una situazione molto poco gradevole. Insomma, già dal titolo della tesina e le domande del presidente, credevo che iniziassi a tirare una mole imbarazzante di frecciatine.»

Mi stizzisco, punta sul vivo: «Non mi sembrava il contesto adatto, professore» salmodio l'ultima parola con acredine, irritata. Andrea, dal canto suo, sorride.

«Immaginavo che ti avrebbe dato fastidio, e ti do ragione. Ma a diciotto anni, ogni tanto si fatica a capire quale sia un contesto legittimo per questa o quella scelta. Era il nostro confronto finale, e il rischio che volessi cogliere la palla al balzo per sputarmi addosso tutto ciò che ti sei tenuta dentro durante questo anno scolastico è stato forte. Mi sono preso una pausa in caso volessi parlarmene ora.»

Mi concedo un lungo silenzio, osservandolo: il viso squadrato ma morbido, i piccoli occhi scuri tanto espressivi, i riccioli striati di grigio, le labbra dolcissime...

«Ho notato» prosegue, con la sua voce pacata, «che non è venuto nessuno dei tuoi compagni di classe ad assisterti, né tu sei venuta ai loro orali, neanche quelli di Ester e Clarissa. Siete ancora in lite?»

Taccio ancora, per recuperare una risposta soddisfacente.

«Ho bisogno di chiudere questo capitolo della mia vita» confesso. «Ne ho bisogno per mille ragioni, professore. Tagliare i ponti con la classe è stato necessario, mantenere un contegno all'orale anche. Voglio solo andarmene da qui a testa alta.»

Andrea sorride, soddisfatto e felice.

«Devo rientrare» spiega, avviandosi verso la porta. «Tu adesso vai a festeggiare.»

Sorrido, scuotendo il capo in un diniego: «Non ancora, professore. Ho ancora un piccolo conto in sospeso.»

Lo osservo tornare in mezzo alla commissione d'esame, parlottare con gli altri professori e raggiungo Paolo, esibendo il più ruffiano dei sorrisi.

«Dammi ancora un attimo» dico con fermezza, senza smettere di sorridere di fronte alla sua espressione spazientita. «Faccio un'ultima cosa e arrivo, va bene?»

Sbuffa: «Solo perché ti voglio bene.»

«Ti offro da bere quando finiamo!» lo rassicuro, correndo a perdifiato e trovandomi di fronte alla porta d'ingresso della sala professori.

Lo so.

L'orale di maturità avrebbe di sicuro meritato più spazio, più introspezione e più excursus, ma la verità è che io, la maturità, manco me la ricordo: innanzitutto perché tutto ciò che concerne il liceo è stato un trauma globale totale che ho rimosso, e poi perché dal mio esame son passati dieci anni. Per cui, piuttosto che scrivere dabbenaggini, ho voluto semplicemente glissare. Scelta di comodo? Senza dubbio. Ma ammetto che è la ragione per cui non ho concluso le vicende di Melissa tre mesi fa, quando ho finalmente steso il termine.

Comunque, a questo punto capirete bene che siamo agli sgoccioli, infatti vi annuncio che mancano solo due capitoli al termine delle vicende dei nostri beniamini. Congetture? Pareri? Opinioni? Timori?

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