UNO PIU' UNO [Miya twins]
Short nata dalla challenge #behindthecurtain del bellissimo gruppo fb "Non solo Sherlock, gruppo multifandom" che sforna un'idea originale dopo l'altra.
Prompt: Innamorarsi è una cosa meravigliosa. Ti rende sciocco e felice e sarebbe tutto perfetto così se non fosse che la persona che amo è mio fratello (sorella)
Rating: giallo
Warning: platonical incest
*****
Era la pallavolo.
Era la pallavolo che li teneva uniti. Per questo, quando Osamu decise di mollarla, fu versato più sangue di quanto entrambi immaginassero di avere in corpo.
Atusmu lo disse ad alta voce: "Vuoi mandare affanculo l'unica cosa che ancora ci riesce di fare insieme?"
E Osamu restò zitto a pensarci, perché l'altezza delle verità e la bassezza delle menzogne in quella frase si compensavano con inquietante esattezza.
Totale: zero. Zero per due. Zero diviso due.
"Voglio essere... felice" aveva risposto Osamu, troppo in ritardo. Me stesso avrebbe voluto dire invece, ma gliene era mancato il coraggio.
Erano stati il tipo di gemelli che parlano un linguaggio segreto il cui sema s'inerpica nell'utero materno, la cui sintassi è saliva e sangue, la sensazione costante di guardarsi in uno specchio e riconoscersi a metà.
Sdoppiato o dimezzato, mai uno solo, mai completo in se stesso.
E se non riuscivi ad avere un'anima completa o un corpo solo tuo, come agguantare la certezza di un'emozione integra, di una qualsiasi perfezione?
Per questo le cose bisognava farle sempre in due, per il terrore impronunciabile (e mai pronunciato) di perdersene un pezzo. Come baciare la stessa ragazza (in seconda media, tirando a sorte chi per primo) per essere certi di sentire tutto il sapore, buttarsi dallo stesso scoglio per dimezzare la paura, picchiarsi forte per condividere tutto il dolore e farlo arrivare, a furia di botte, in fondo al cuore (non il tuo), a lasciare una cicatrice identica per forma e dimensioni.
La cicatrice uno dell'altro, sempre infiammata, sempre dolente, l'anima spezzata, l'arto mancante la cui assenza il cervello non potrà mai accettare.
La prima volta che avevano fatto sesso era stato in tre.
Ci avevano messo del tempo a trovare una ragazza che ci stesse e quando poi ci erano riusciti, l'esperienza aveva raggiunto un picco di indicibile (in senso metaforico) appagamento e toccato un fondo di indicibile (in senso letterale) amarezza.
Totale: zero. Zero per due, più uno, perché lei, invece, lì in mezzo si era divertita un sacco.
"Lo rifacciamo presto?" aveva cinguettato tutta contenta, mentre si rivestiva.
Si erano guardati (allo specchio) e Atsumu aveva pronunciato un no che valeva per entrambi. Osamu si era scusato due volte.
Zero per due, meno uno, perché qualcosa, dell'innocenza di prima, era andato perduto.
E continuava a perdersi, lentamente e inesorabilmente, nello spazio fra il numero uno e il due, uno spazio angusto e infinito al contempo.
Lo spazio fra il sette e l'undici, al contrario, era ampio, solido, onesto. Un luogo sicuro, liscio e rotondo come una palla (finito, illimitato) in cui una versione estesa (raddoppiata) di se stessi portava solo vantaggi. Non era fiducia, piuttosto un naturale, brutale, inevitabile ritrovare se stessi nell'altro, senza bisogno di spiegazioni. E colpire senza pensare, così forte da spaccare tutte le regole del mondo. Chiudere gli occhi, per cancellare la realtà fuori dal quadrato nove per nove dove valeva tutto.
Era la pallavolo che li teneva uniti, cos'altro?
"Sono innamorato" aveva detto Atsumu una notte, guardando il soffitto.
"Buon per te. L'amore rende stupidi e felici. Sei già a metà strada."
Stupidi e felici se... Atsumu non l'aveva detto a voce.
"Se cosa?" aveva domandato Osamu, che non lo ascoltava mai (con le orecchie).
La risposta era nello specchio del bagno (e nelle cose che aveva visto solo lui), nell'unico bicchiere sul lavabo, negli spazzolini indistinguibili infilati in quel bicchiere, nel senso abusato del tatto, in quella foto di scuola in cui tutta la classe guardava l'obiettivo e solo loro due guardavano se stessi.
La risposta era che si facevano grandi, e avidi, e quindi bisognava metterci in mezzo qualche migliaio di chilometri.
E fare finta, come sempre, come niente.
**
Nel bagno della stazione gli specchi sono tutti rotti e macchiati e quindi il riflesso non è doppio, ma multiplo, spezzato, ferito. Perfetto per le separazioni.
Gli specchi custodiscono tutti i segreti: delle persone, dei confini e dei numeri.
Lo spazio fra uno e due (o fra sette e undici) è angusto ma infinito: l'amore ci sta dentro a perfezione, si insinua in tutti gli spazi, colma tutti i silenzi, ride tutte le risate, beve tutte le lacrime. E manca di tempismo, di senso dell'opportunità e persino di decenza. Certe parole oscure del dizionario (che iniziano con la I) neppure le capisce.
E' stupido, ignorante e felice. Ed è se stesso.
Si abbracciano. Si abbracciano con tutta la passione, la violenza e l'angoscia, con tutto quello che provano veramente, ciascuno come fosse (finalmente) se stesso, con tutto quello che sente e tutto quello che ha (e non avrà più).
Il per sempre che abita nella minuscola intercapedine fra un istante e il successivo respira numeri decimali sempre più piccoli che però non finiscono mai.
Uno più uno fa uno: intero, completo, definito, solo per stavolta.
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